Gabriele Fabbrici
Gli ebrei di Correggio dal XV al XVIII secolo
Correggio, identità e storia di una città

Sullo stesso argomento vedi anche "Gli ebrei e la loro universita'" di O. Rombaldi e "Gli ebrei" di R. Finzi.

Tra la diaspora dalla Spagna e il Settecento

Fra pochi mesi, nel 1992, ricorreranno due centenari destinati certamente a sollevare numerosi interrogativi ed a imporre un serio e complessivo ripensamento sulle origini del nostro mondo moderno: il quinto della scoperta dell'America e il quinto della cacciata degli ebrei dalla Spagna. Due avvenimenti all'apparenza così diversi e distanti, ma che hanno segnato la storia del mondo in modo complementare. Se la cacciata degli ebrei privò la Spagna di un corpo sociale sentito come estraneo e diverso, l'impresa colombiana operò in senso opposto. L'esodo forzato non solo fu un evento rivoluzionario nella storia di quel Paese, secondo molti e autorevoli studiosi. Ne segnò anche l'inizio della decadenza economica e un grave impoverimento culturale ed ebbe inoltre grandi ripercussioni nell'intera Europa. L'Italia fu tra le nuove patrie di ebrei spagnoli e portoghesi; la grande corrente immigratoria tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento interessò l'antico ducato di Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Dopo il 1598 non pochi di questi ebrei seguirono gli Este a Modena e Reggio dopo che essi avevano dovuto forzatamente rinunciare a Ferrara. Anche Correggio, sede di una delle più antiche comunità israelitiche reggiane (seconda solo a Reggio Emilia), fu interessata, seppure marginalmente e in una misura che ancora non è dato conoscere con precisione, al fenomeno. Tra Cinquecento e Seicento, si ha notizia di alcuni ebrei lusitani, quali Pinchas di Manoello e Shelomo lusitano, che dopo aver soggiornato a Correggio si trasferirono in altre località dello Stato estense. Secondo Finzi, ebrei spagnoli stabilitisi a Correggio vi intrapresero qualche lavoro artigianale quale la tessitura delle sete e dei velluti secondo l'uso iberico.
E questa solo un frammento minimo di una storia che attende ancora di essere scritta, come lo attende anche la storia stessa della comunità israelitica di Correggio che ha alle sue spalle oltre cinque secoli di vicende a tratti drammatiche, ma improntate ad una sostanziale integrazione con la società cristiana.
Le brevi note che seguono cercheranno di fare il punto sullo stato attuale delle nostre conoscenze, mettendo a profitto le indagini di Balletti, Finzi, Rombaldi e degli altri studiosi (non molti in verità) che si sono interessati a questo, oltre a ricerche che da alcuni anni sto conducendo in materia. Si è preferito soffermare l'indagine ai secoli che vanno dal XV (primo insediamento stabile) alla fine del XVIII (avvento di regimi libertari di stampo francese) poiché l'Ottocento, con l'affermazione dell'egualitarismo di matrice transalpina, il tentativo restauratore e la definitiva emancipazione dopo l'Unità nazionale, ha avuto caratteristiche del tutto differenti che necessitano di un'indagine ad esso specificamente dedicata.

Le origini: il Quattrocento

Quella di Correggio è tra le più antiche comunità israelitiche reggiane. Seconda solo a Reggio Emilia anche per dimensioni, ha la sua origine nel 1436 allorché un Datelino di Leucio da Perugia apre il suo banco di prestito su pegno nella cittadina. Datelino, cui i da Correggio e gli Anziani del Comune rinnovarono per due decenni le concessioni ad ogni scadenza (1441, 1446 e 1459, quest'ultima volta per dodici anni) è figura che da una prima ricerca appare di un certo rilievo. La sua attività non si limitò alla sola gestione del banco, ma si estese anche alla sfera commerciale, tanto su scala locale quanto su scala interregionale. Dal figlio Dattilo discese un ramo stanziatosi in Toscana che, tra Quattrocento e Cinquecento, raggiunse una certa agiatezza e notorietà a Pisa.
Il personaggio di maggiore spicco appare, allo stato delle conoscenze attuali, Vitale di Dattilo di Datelino, agente e procuratore di numerose importanti famiglie ebraiche toscane.
Fratello di Emanuele, di cui si dirà in seguito, Vitale nel 1485 è tra i fattori della famiglia dei di Pisa nel banco di Pisa e dieci anni dopo, nel 1495, ricevette ben 60 ducati d'oro dalla Compagnia di Benedetto Buonvisi per recuperare i libri contabili del medesimo banco sequestrati dai pisani.
Emanuele di Dattilo da Correggio si trasferì a Parma presumibilmente dopo la metà del secolo e già nel 1465 appare titolare della concessione di uno dei banchi cittadini. Nel 1477 operava anche come incaricato di affari per conto di Salomone di Brescello.
Nel Cinquecento, un altro membro della famiglia, ltzchak, venne ricordato, in toni semiseri e burleschi, dal poeta Moshè ben Ioab nell'opera Divano.
Ritornando a Correggio, sul nucleo ebraico originario si innestarono ben presto altre famiglie. Il favore accordato loro dai da Correggio, un ambiente sostanzialmente immune da rigurgiti e fermenti antisemiti e condizioni economiche favorevoli furono garanzie sufficienti per lo sviluppo di quel primo, modesto gruppo di famiglie, che fin dal primo momento seppe proiettarsi anche al di fuori della cerchia locale. Il banco di prestito non costituì mai, né allora né poi, l'unica fonte di reddito e di attività, trovando supporto in attività commerciali, mercantili e imprenditoriali.
Non di rado gli ebrei correggesi, ricorrendo a complesse operazioni con compiacenti prestanome, gestirono, in barba alle leggi del tempo, compravendite di terreni e condussero aziende di cristiani, non esclusi i da Correggio. Lo stesso Datelino, fondatore della comunità, venne in possesso, fin dal 1449-1450, di terre a Correggio e in zone limitrofe, rivendendole quasi immediatamente, sia per non oltrepassare sfacciatamente le norme imposte dalle leggi, sia per reinvestire i capitali in altre attività commerciali più redditizie.
Anche la gestione di dazi e appalti rientrò da subito nella loro sfera di interessi.
Nel 1460 Manfredo da Correggio concesse ad Abramo e Simone di Daniele da Rossena la facoltà di esigere dazi nel territorio di Rossena (allora facente parte della contea correggesca). 1 due ebrei, inoltre, potevano aprire oltre al banco che già possedevano, una o più botteghe, professare liberamente e senza costrizioni di sorta la loro religione, godendo altresì di piena fede pubblica per gli atti da loro stipulati, purché scritti in caratteri latini e in lingua italiana o latina.
La riscossione dei dazi doveva avvenire a Ciano, vicino a Rossena, nel giorno di martedì, in tempo di mercato.
Nel volgere di alcuni decenni il nucleo ebraico originario conobbe uno sviluppo di un certo interesse e si avviò decisamente ad assumere le dimensioni e la fisionomia di una vera e propria, seppur piccola, comunità. Purtroppo siamo ancora poco informati sui tempi, sulle fasi e sulle modalità di questa espansione che tuttavia traspare allorché si procede all'esame, anche sommario o parziale, dei numerosi documenti quattrocenteschi relativi ad ebrei correggesi.
Così, ad esempio, l'atto con cui Manuel, Angelo, Bonaventura, Vitale, Abram e Guglielmo, figli sopravvissuti del fu Datilo (o Datero), decisero, nel 1492, di procedere alla divisione dei propri beni, fornisce una serie di informazioni il cui valore va ben oltre l'atto stesso. Il patrimonio di Datero non venne parcellizzato in piccole eredità. Per conservarne l'integrità e favorire così lo sviluppo dell'intero nucleo familiare e parentale, si decise di istituire una sorta di asse prioritario e privilegiato incentrato sui fratelli Angelo e Bonaventura. Ad essi venne assegnata la gestione dei beni paterni e la casa avita, che tuttavia rimanevano di proprietà anche degli altri componenti della famiglia. Cinque anni dopo, nel 1497, Angelo e Bonaventura ottennero l'avvallo di tutti i Consortes etparentes per l'alienazione di una piccola parte dei crediti maturati nella gestione del banco per potere acquistare terreni e una casa nei sobborghi di Parma.
Lo sviluppo della comunità passava anche attraverso una oculata politica matrimoniale, tesa a imparentarsi con famiglie economicamente rilevanti. Così nel 1462 Angelo di Dattilo sposò Rachele di David di Carpi, titolare di uno dei due banchi di Carpi. Alcuni anni più tardi Daniel di Bonaventura di Dattilo sposò Diana di Lustro di Monselice che portò in dote ben 226 ducati.
Per inciso, i Lustro di Monselice (detti anche Monselici), furono tra le famiglie ebraiche più in vista tra Quattrocento e Cinquecento in un'ampia arca compresa tra la bassa pianura mantovana e il reggiano (Luzzara, Fabbrico, Novellara, Correggio).
Nell'ultimo ventennio del secolo gli ebrei correggesi appaiono impegnati con grande successo anche in altre città. Nel 1482, ad esempio, Consiglio da Correggio è tra i beneficiari dell'autorizzazione a commerciare lana e seta a Mantova, mentre pochi anni più tardi, nel 1487, Elia da Correggio è beneficiario di un trasferimento di crediti da parte di Emanuele da Abbiategrasso.
Lo stesso Signore di Correggio, Borso, ritirò il salvacondotto che avrebbe permesso ad Elia e al cognato Joseph di recarsi a Milano per esigere il credito.

La formazione della Comunità

Se il Quattrocento è il secolo che vide il primo stanziamento stabile di un nucleo ebraico a Correggio, il Cinquecento, fu contrassegnato dal definitivo consolidamento di quella presenza. Una presenza che, oltre a rafforzarsi numericamente fino a raggiungere le dimensioni di una piccola comunità, finì con l'acquisire un peso crescente nella società correggese. A fronte di questa constatazione, facilmente evincibile da un'esplorazione anche superficiale della documentazione archivistica relativa agli ebrei locali, sta purtroppo un'altra constatazione, questa volta di segno negativo: questo secolo, determinante per la storia ebraica correggese, è forse il meno conosciuto (ovviamente in quest'ottica particolare). Gli storici che si sono occupati delle vicende correggesi (a cominciare da Finzi e Rombaldi) hanno dedicato pochissimo spazio alla storia ebraica cinquecentesca, sfruttando in modo del tutto marginale l'ampia riserva di fonti a disposizione. Si pensi alle centinaia e centinaia di rogiti notarili riguardanti ebrei correggesi in minima parte utilizzati. Dalle poche e frammentarie notizie che allo stato attuale delle ricerche si possono assodare, la tendenza della comunità ebraica correggese ad una costante espansione demografica ed economica appare continua e senza soluzione di continuità, favorita in questo dalla benevolenza e dal favore loro accordato dai da Correggio. Non è dunque un caso che gli episodi che vedono ebrei correggesi farsi parte attiva nell'intermediazione fondiaria siano, nel corso del secolo e nonostante i divieti della legge, numerosi. Compravendita di terreni, prestiti e mutui ad usura, comunque, non erano le uniche pratiche economiche di una comunità che andava moltiplicando e diversificando le proprie attività. Il commercio, sia pure legato ad una dimensione ancora modesta e ad ambiti poco più che locali, stava via via assumendo sempre maggiore rilevanza. Elia Nolano, che nel tragico 1557 ~ l'anno che vide Correggio assediata, nonché la sopravvivenza stessa della dinastia messa a durissima prova ~ era corrispondente dei da Correggio, esercitava in città e a Modena i suoi commerci. Un figlio, Salomone, attivo a Correggio e Reggio, può lasciare ai tre figli nel 1582, oltre ad una casa in Borgovecchio, centum et plus bobulca di terra in Mandriolo, un capitale di oltre 800 scudi, ampie scorte di mercanzie. ~ una prova, tra le tante che potrebbero essere portate, della vivacità di una comunità che si proietta anche al di fuori dell'ambito urbano e dello stato. Lontani da Correggio, ma vicini a Parma dove erano cointeressati ad Lino dei banchi cittadini, Daniel e Simone conducevano, nel 1506, i dazi di Rossena. Sono noti alcuni dei più importanti ebrei correggesi del tempo. Di Elia Nolano e del figlio Salomone si è detto. Bonaventura, oltre ad esercitare con grande profitto il prestito su pegno, era interessato a una non secondaria attività fondiaria. Nel 1550 uno dei suoi figli rilevò il banco paterno. Nei decenni che seguirono nel banco correggese successero Zaccaria e Leone. Israel, un altro dei figli di Bonaventura, era cambiavalute, Lucio gestiva attività commerciali a Correggio, Modena, Carpi e Finale Emilia, piazze quest'ultime su cui godeva, dopo avere rivolto apposita istanza al Duca, di alcune esenzioni tributarie.
La presenza ebraica nello stato correggese non si limitò alla sola capitale, pur risultando questo il centro di maggiore importanza politica ed economica. Nel segno di una sempre più accentuata diffusione insediativa che coinvolgeva l'intera bassa pianura reggiana (si pensi alle floride comunità di Guastalla, Gualtíeri, Poviglio, Luzzara e Novellara), gli ebrei si stabilirono anche nel secondo centro della contea correggesca, Fabbrico. Nel 1513 un certo Elia viene definito, da alcune fonti mantovane, con il toponimo "da Fabbrico", e pochi anni dopo lo stesso personaggio viene incaricato dai conti di Correggio di alcuni commerci in Mantova. Dall'agosto del 1529 Diana di Deodato da Bivagni, moglie di Vitale da Monselice (appartenente ad uno dei rami della famiglia Lustro di cui si è detto in precedenza), ebbe la concessione di aprire e gestire un piccolo banco di pegno. La comunità fabbricese crebbe in numero di membri (pur non risultando mai, comunque, superiore alle 20 - 25 unità) e nel corso del Seicento acquisì una certa importanza economica. Le famiglie più ragguardevoli erano quelle dei Ravà (conduttori dei mulini della Comunità di Fabbrico), dei Monselici (che proseguivano nella tradizionale attività di prestito, affiancandovi quella della mercatura), dei Finzi (conduttori eli mulini a Correggio), dei Fano e dei Vita Levi.
I signori di Correggio guardarono sempre con particolare favore alla presenza di ebrei nei loro domini.
Gride e altri provvedimenti li tutelavano da insulti o atti ostili dei quali, in verità, non vi è alcuna traccia significativa negli atti giudiziari del tempo, a testimonianza di un'estrema tolleranza e dì tiri buon inserimento della comunità ebraica nel tessuto sociale correggese.
Il Seicento e la fortuna ebraica.
Dopo il consolidamento attuatosi nel corso del Cinquecento, venne il tempo della definitiva espansione. Il XVII secolo rappresentò, da questo punto di vista, il momento in cui la comunità israelitica correggese assurge ad un rango di primaria rilevanza economica e sociale. Il Seicento si aprì nel segno di tiri prestigioso riconoscimento del ruolo che gli ebrei ormai giocavano nella società locale. Tra il 1602 e il 1603 taluni di loro vennero chiamati a gestire direttamente l'attività della zecca comitale. il primo appalto venne concesso ad Abrain lagliel e David Ricchi (o Ricco) il 31 luglio 1503: una data davvero "storica" a siglare un avvenimento che ebbe ben pochi riscontri in arca padana (Modena). Negli anni seguenti e fino al 1613 fu il Ricchi a condurre la zecca locale, non sempre tuttavia in modo chiaro. Il suo comportamento venne apertamente censurato, rilevandosi come dalla zecca correggese uscissero monete calanti. Nel quindicennio seguente nessun altro ebreo, né correggese né di altre città, ebbe incarichi di responsabilità nell'officina monetaria dei principi. Solo nel '27 il veneziano Guglielmo Tesci venne incaricato della gestione della zecca fino al 1629.
In quei primi tre decenni la comunità ebraica correggese seppe sviluppare quei presupposti di diversificazione delle attività commerciali che già si è ricordato per il secolo precedente. La presenza su mercati non locali si andò facendo via via più incisiva e di pari passo fu ascendente la curva demografica. Da poco meno di una trentina di unità nel 1644 si passò a circa 70 verso la metà del Seicento, con Un parallelo aumento nel numero dei "fuochi", cioè dei nuclei familiari (da 7 a 12). Purtroppo la frammentarietà delle fonti (censimenti) rende questi dati imprecisi e, soprattutto, non inquadrabili in serie storiche continue. Tra le famiglie più in vista, spiccavano i Finzi (divisi in numerosissimi rami), i Vienna (tre rami), i Sinigaglia, i Ravà, gli lesi, i Sansonà, i da Fano, gli Ottolenghi, i Civita.
Per quanto attiene i Finzi, in particolare, è lecito supporre una loro derivazione mantovana da un importante ramo di Una famiglia di remota origine tedesca, già nota a partire dal XIV secolo in arca bolognese e successivamente trasferitasi, nel corso dello stesso secolo, nella capitale gonzaghesca. A questo proposito Riccardo Finzi ricorda che nel 1594 il banco di Correggio era tenuto da Un tal Leone, forse appartenente alla predetta famiglia, che pareva avere per stemma un cervo, simbolo della discendenza dalla tribù di Neftali.
Altri personaggi meritano una citazione: Mosè Finzi, facoltoso commerciante di origine mantovana, Lazzaro Guastalla e Leone Civita, banchieri e prestatori, lsaac e Simone Sinigaglia, commercianti di sete e drappi, Jacob Iesi, commerciante al minuto e all'ingrosso di granaglie e derrate alimentari.
Conduzione del banco, prestito su pegno, commerci di varia natura, conduzione di terreni per conto terzi, riscossione dei dazi per il macello e le carni 0 Finzi nel 1654 e Mosè con Salomon Finzi nel 1668) furono solo alcune delle attività che videro impegnati gli ebrei correggesi. Nel 1618 Angelo da Fano, banchiere in Correggio, ottenne dal Principe Siro la licenza, per sé e i suoi successori, di commerciare liberamente a Correggio, di risiedervi e possedervi case ed orti per abitazioni e terreni per seppellirvi i morti (l'attuale cimitero presso la Madonna della Rosa sostituì, nel Settecento, quello più antico di Corso Cavour). E interessante notare come nel 1633, dopo l'inglobamento dell'antico Principato, agli ebrei venisse proibito di condurre poderi di altri (non il possesso di beni rurali) sotto pena di un'ammenda pari a 200 scudi e la perdita dei frutti. Ebbene, nonostante il provvedimento sia stato reiterato mezzo secolo più tardi, cioè nel 1683, negli anni Quaranta numerosi ebrei appaiono conduttori di possessioni di proprietari cristiani e tra il 1665 e il 1666 a Laudadio Fano, Giuseppe Vita e Desiderio Monselici furono affittate ben sette possessioni facenti parte della gastalderia ducale estense e provenienti dal patrimonio fondiario già dei da Correggio.
Sul finire degli anni Sessanta del secolo cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di una grave crisi economica cittadina. Crisi che non risparmiò alcun settore della società correggese, investendo anche la comunità ebraica. Nel 1668 un ebreo guastallese, tale Cantoni, già noto per un comportamento "disinvolto" in tempi di gravi carestie, approfittò di un temporaneo allentamento dei controlli daziari per esportare notevoli quantità di frumento provocando un brusco innalzamento dei prezzi e una diminuzione nella disponibilità del cereale sul mercato interno. Nonostante le reiterate proteste della municipalità correggese e degli stessi mercanti ebrei della città che vedevano gravemente compromessa sia la loro immagine sia i loro affari, solo cinque anni più tardi si riuscì a porre un freno a tale illecita esportazione.
A quel tempo, siamo ormai quasi alla metà degli anni Settanta, la comunità israelitica si era ormai data una struttura amministrativa completa e definitiva. Il consiglio degli anziani poteva contare su efficienti strutture assistenziali (Compagnia della Misericordia e Compagnia del Soccorso), autonome finanziariamente e con un non disprezzabile patrimonio immobiliare, su una scuola gestita da Un maestro (forse di origine polacca) appositamente stipendiato, su una sinagoga, su case e botteghe di proprietà della Comunità stessa.
Nel 1680, però, ciò non fu sufficiente per fronteggiare la rapidissima espansione della crisi latente. 1 Sinigaglia chiesero al Duca di Modena di far sì che i loro capitali esposti a Modena e a Bologna potessero essere recuperati. Di fronte a lungaggini che minacciavano seriamente la sopravvivenza stessa della ditta, la Comunità intercesse direttamente presso il Duca e la Comunità di Modena. Ciò, tuttavia, non impedì ai Sinigaglia di dovere chiedere alla Camera Ducale nel 1683 provvidenze ed esenzioni per poter fare fronte alle crescenti esposizioni finanziarie. Nel 1681 David e Simone Ravà furono colpiti dal congelamento dei loro crediti a cagione della precaria situazione finanziaria della ditta. in un crescendo impressionante nel 1685 i membri della Comunità israelitica correggese, esaminata la propria situazione finanziaria e le effettive disponibilità economiche, decisero di diminuire il bilancio della stessa mediante la riduzione delle quote versate.
Esempio emblematico dei rovesci che colpirono non pochi ebrei correggesi in questi decenni è la vicenda di Angelo Finzi. Questi negli anni '60 era ancora un attivo commerciante, ma già nel 1671, come rivela un suo memoriale al Duca, la Situazione cominciava a farsi pesante. Nel giro di due decenni precipitò e nel 1699, ormai poverissimo e senza averi, lo si ritrova a vivere in una casetta messagli a disposizione dalla Compagnia della Misericordia per quattro scudi l'anno.
In questo clima di generale stagnazione e di crisi, fin dal 1673 la Comunità aveva provveduto ad istituire un apposito ente, il Bussolo della Misericordia, cui era fatto carico assistere materialmente e moralmente i bisognosi. Al Bussolo erano preposti i personaggi più in vista della Comunità, quali Sanson e Mosè Finzi, David Ravà, i fratelli lsaac, Simon Isaia e Salornon Sinigaglia, Salomone Vienna, Abramo e Leone Ravà, i fratelli Josef, Mosè, Jacob e Israel lesi, i fratelli Angelo, Benedetto e Sirnon Finzi, Lazzarojona.
Particolarmente grave fu la crisi delle manifatture seriche e nel 1699 i mercanti ebrei avanzarono un'istanza per la sospensione del regime vincolistico messo in atto dal governo centrale che li danneggiava in modo sempre piú pesante.

In queste vicende complesse e drammatiche, si inserisce un episodio di notevole rilievo per la storia della cultura popolare correggese: il sequestro di materiali librari operato nel 1683 ai danni di Mosè lesi. Nella casa di questo homo da puoco et pitoccho (così ce lo descrivono le fonti dell'epoca), furono rinvenuti numerosi libretti di "segreti negromanti e, di pratiche alchimistiche e pseudo-mediche. Parimenti numerose erano le pubblicazioni in materia di spiritismo, occultismo e per ottenere l'invisibilità e la protezione dal malocchio e dalle fatture.
In tutto ciò, è di un certo effetto la notizia del sequestro di un'opera che nei secoli precedenti, lungi dall'essere considerata proibita o sospetta, era stata considerata uno dei massimi monumenti del sapere scientifico: gli scritti di Alberto Magno, cioè del domenicano Alberto di 13611sdelt, maestro di S. Tommaso D'Aquino ed autore enciclopedico del XII secolo.
Nel nostro caso, il materiale sequestrato allo lesi era composto dalla fusione di due delle principali opere del grande studioso, il De animalibus e il Devegeta1íbusetp1antis.
A pochi decenni dalla rivoluzione illuministica una parte significativa della tradizione culturale medioevale, sottoposta ad un'analisi deformata e deformante che non risparmiava neppure i grandi pensatori cristiani in nome di un'ossessiva lotta all'eterodossia, veniva messa all'indice.
Sul finire del secolo, si avvertirono ì primi, incerti segni di ripresa. La crescita demografica portò il numero di ebrei a Correggio a circa 70 unità per 12 fuochi; non si registrarono casi significativi di emigrazione e alcuni commercianti furono in grado di riprendere l'attività. Ne è un esempio Desiderio Monselici, di Fabbrico, che aveva beni sia in quella cittadina che a Correggio, e in quegli anni riuscì a partecipare all'alienazione dell'eredità di Don Fabrizio d'Austria acquistando due possessioni.

L'espansione, il ghetto e la liberalizzazione

Il processo di espansione demografica cui si è fatto cenno per il secolo precedente, conosciuta una breve battuta d'arresto nel primo decennio del Settecento (nel 1708 gli ebrei correggesi erano 60 distribuiti in 13, fuochi), riprese immediatamente vigore.
Nel 1717, anno dell'estimo generale delle case cittadine, erano oltre un centinaio (con 18 fuochi) gli israeliti che dimoravano nei quartieri di S. Maria, S. Domenico, S. Francesco, Porta Modena e via Casati. Gli immobili da loro posseduti furono stimati complessivamente più di 10.000 scudi (ben cinque oltre 1.000 l'uno). La condizione economica, dopo gli ultimi tragici decenni seicenteschi, si avviò, a partire dagli anni Venti - Trenta, verso una progressiva ripresa, toccando l'apice quasi in coincidenza con l'introduzione della manifattura dei cappelli di truciolo da parte della ditta ebraica carpigiana Norsa e Usiglio nel 1752 - 1753.
Fu, una ripresa di breve periodo. Pochi anni più tardi, la ben più ampia crisi che investì tutto il territorio peninsulare si ripercosse pesantemente anche a Correggio, scuotendo il tessuto sociale cittadino. Il degrado
economico ebbe immediati riflessi sull'ambiente urbano. La città, un tempo celebrata per il suo decoro, si avviò sulla strada di un lento declino. Nel 1761 l'abate Giacinto Speranza, governatore di Correggio, inviò alla Camera Ducale di Modena una relazione sull'impolitezza della città, descritta in termini crudi, ma estremamente efficaci: 11contrade tutte rovinate, piene di fango, d'immondezze e di masse enormi di letame che ne impediscono persino il comodo passaggio; le acque sono tutte stagnanti e imputridite nelle fosse delle mura donde, tramandando esalazioni fetide, cagionano un'infinità di malattie e di fetori agli abitanti".
In quegli stessi anni si manifestarono i sintomi evidenti di una nuova crisi economica, di ampia portata, che stava per colpire gli ebrei correggesi. Chiuso nel 1768 il loro Monte dei Pegni, furono costretti a richiedere l'ammissione, concessa dopo non poche perplessità e obbiezioni, al Monte di Pietà cristiano (1775), dovendo pagare un tasso del 5%.
Nel 1783 un'annata di particolare carestia e l'atteggiamento fraudolento di taluni ebrei che pagavano sulle merci da loro impegnate un tasso del 9% esigendone, su quanto impegnato presso il loro banco, il 20 e oltre, ingenerarono non pochi turbamenti e lamentele presso l'autorità centrale. Quattro anni più tardi, nel 1787, un'apposita inchiesta appurò che gli ebrei, ormai oltre 200, tra residenti stabili e temporanei (nel 1771 erano 147 con 28 fuochi), avevano riscosso abusivamente oltre 30.000 lire modenesi, con grave danno per l'erario. Da ciò scaturì la richiesta di escluderli dal Monte di Pietà, come in precedenza era stato fatto per i pubblici impieghi, gli ospedali (esisteva, comunque, un'infermeria annessa alla scuola ebraica), dai monti frumentari, dagli istituti dotali ed elemosinari.
Reinvestendo continuamente i capitali così raccolti, gli ebrei di Correggio cercarono di far fronte alla dilagante recessione aumentando lo spettro di attività, intensificando i rapporti economici extra-cittadini ed extra-ducali. Questa attività, spasmodica, ottenne risultati oltremodo positivi. Se nel 1787 ben undici ditte ebraiche risultavano tra i maggiori possidenti locali, nel '90 Samucle David Sinigaglia figurò addirittura ottavo tra i proprietari terrieri. Tre anni più tardi, nel 1793, le famiglie Sinigaglia, lesi, Finzi, Vienna, Tedeschi e Fano possedevano numerose tenute a Fosdondo, S. Prospero, Ardione, S. Martino, Mandrio, Mandriolo e Canolo di Sotto. Ciò indusse malumori e malcontenti popolari che trovarono facile esca nelle disagiate condizioni economiche di quasi tutta la popolazione correggese. Fecero capolino sentimenti antiebraici, ma fortunatamente le manifestazioni in tal senso si limitarono all'affissione di pesanti satire contro gli avidi giudei.
Questi sentimenti erano stati alla base, associati comunque a più prosaiche e concrete motivazioni economiche, della creazione del ghetto. Dopo due tentativi nel 1736 e nel 1737 andati a vuoto, nel 1779 il progetto venne riproposto. Dopo un lungo contenzioso, con l'opposizione della Comunità ebraica correggese, e l'intercessione di autorevoli esponenti delle Comunità di Modena e Reggio, il ghetto venne aperto (1781) in via Casati (Quartiere Filatoio). Si trattò di un fatto del tutto anomalo in un periodo in cui le idee illuministiche di eguaglianza e libertà si andavano rapidamente affermando. Fu un ghetto atipico, con solo metà delle famiglie israelitiche rinchiuse nel serraglio. Le altre, le più facoltose e influenti, riuscirono a conservare beni e residenza all'esterno della segregazione. Delle trenta case e la Sinagoga che nel 1786 risultavano di proprietà di ebrei, meno della metà (quattordici) erano ubicate nel ghetto. Delle altre, cinque erano nel quartiere di S. Quirino (ove era anche la Sinagoga antica), otto in quello di S. Domenico, due in Borgovecchio e una in Piazza Padella.
Sette anni più tardi, a testimonianza dell'inutilità del provvedimento e della capacità della Comunità di continuare nei suoi fiorenti commerci, i 177 ebrei residenti (88 maschi e 89 femmine) possedevano 36 case.
L'avvento del regime francese, sul finire del secolo, portò sì l'agognata eguaglianza di diritti che, in nome dei principi sanciti dalla Rivoluzione, equiparava gli ebrei a tutti gli altri cittadini, ma significò anche nuovi doveri verso lo Stato. Doveri che, in primo luogo, si concretizzarono in nuove, pesanti tasse. Tentativi di evasione totale o parziale non andarono a buon fine e salate multe colpirono alcuni dei membri più in vista della Comunità, come Sarnuel David Sinigaglia e Isac Nacman Finzi. Tra il 1798 e il 1799, un personaggio di grandissimo rilievo, quel Moisè Beniamino Foà che era divenuto librario ducale e tipografo nella Modena estense, acquistò, in società con correligionari del luogo, numerosi terreni nel suburbio di Correggio e al confine con il carpigiano.
Il secolo si chiude all'insegna di torbidi e tumulti che nel 1799 agitarono la città. Gli ebrei furono costretti a pagare le truppe franco-tedesche che stazionavano a Correggio per evitare il peggio, ma non poterono evitare requisizioni, furti e ruberie puntualmente denunciate, ma mai perseguite o risarcite. Alcuni, certamente i più sfortunati, furono oggetto anche di violenze e poté dirsi fortunato quel Samuele Ventura che sfuggì alle brutalità dei franco-tedeschi scappando nottetempo sui tetti di Correggio quasi ignudo e solo in camicia.