Riccardo Finzi | |
La Zecca | |
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984 |
Per quanto riguarda la Zecca vedi anche "Stato, Città e Comunità fra XVI e XVIII secolo" di A. Ghidini e "Zecca e bancarotta" di O. Rombaldi
In data 9 luglio 1558, a rogito Francesco Guzzoni, i Conti Girolamo e Giberto da Correggio davano mandato al Conte Scipione Archi di presentarsi in nome dei predetti all'Imperatore Ferdinando onde ottenere la rinnovazione del feudo ai da Correggio, nonchè " la grazia, il favore, il beneficio e la facoltà di coniare, fondere e battere" moneta di rame, argento e oro di ogni dimensione e forma in dote degli Illustrissimi Signori e Consorti, eredi e successori, in perpetuo e in ogni tempo coniare e fabbricare monete secondo piacerà o sembrerà ".
Nello stesso giorno i Conti di Correggio Camillo e Fabrizio, a rogito dello stesso Guzzoni davano egual mandato al loro procuratore Francesco Vargas. Ma questo secondo mandato non figura nella investitura Imperiale successivamente concessa. Bensì ivi figura la prima istanza, così che il 16 maggio 1559, nominando la petizione ricevuta dal Conte Archi, viene concesso ai quattro dinasti correggesi e loro successori libertatem, et facultatem in Civitate Corrigiae officinam monetariam fabricandi et instruendi, ac monetam auream, argenteam et aeream cuiusque generis, sortis, et valoris arnmoum suorum insigniis ac nominis inscriptionr signatam cudendi, dummodo cudatur bona, sincera, et iusta ...
L'attività della zecca di Correggio venne iniziata solo dopo dieci anni e cioè a decorrere dal 4 giugno 1569, stante la locazione stipulata per cinque anni coll'esperto monetario Antonio Signoretti.
Il contratto, steso solamente il I° luglio 1571 a rogito Antonio Negrisoli è firmato dallo stesso Signoretti e dai concedenti Giberto e Camillo da Correggio, nonchè da quattro Anziani, di commissione dei Signori XX di Correggio. Il contratto doveva durare sino al 3 giugno 1574. Questo primo contratto, oltre alle norme relative alla pensione locatizia di annue L. 600 di moneta imperiale da pagarsi ai Concedenti, alle esenzioni di dazi, gabelle, gravezze reali e personali a favore degli zecchieri, alla libertà di subappalto e ad altre norme, fissa che lo zecchiere debba lavorare a libbra e peso di Bologna, del titolo netto di oncie 9, denari 20 per libbra di moneta fina.
Nel contratto sono nominati il Quarto, il Bianco, il Giulio, il Grosso, le monete da soldi 8-4-3-2-1, il Sesino, il Quattrino e lo Scudo d'oro.
Questa prima locazione della zecca ha esito felice e le monete poste in circolazione appaiono di un valore commerciale che si avvicina a quello reale dei metalli.
Alla locazione Signoretti succedette quella di Giulio Frassetti, a seguito del contratto stipulato con Rog. Negrisoli dei 9 marzo 1572, e proseguì sino al 1581, cogli stessi patti e condizioni.
E' solo durante la locazione del Frassetti che la zecca di Correggio cominciò ad essere considerata emissaria di monete calanti. Infatti da una grida di Ferrara del 1576 si - rileva che vennero banditi gli scudi di Guastalla e quelli di Correggio per essere calanti di 5 bolognini ... (Bigi).
Morto il Card. Girolamo nel 1572 - che per altro non si occupò della zecca - e morto il Conte Giberto nel 1580, il governo della Contea rimase ai fratelli Camillo e Fabrizio, che concedettero la zecca a Marco Antonio Ferranti, nobile Bresciano, per tre anni, e cioè dal 7 aprile 1581 al 6 aprile 1584, a rogito Antonio Rognoni dell'8 aprile 1581.
Il contratto tiene a precisare che il conduttore dovrà battere siccome lavora al presente la zecca di Parma, nominando mezzi scudi d'argento, quarti di scudo, Giulii, Cavallotti, Parpajole, Soldi, Sesini e Quattrini, Talleri, Bagattini, Bolognini, nonchè Scudi d'oro.
li Ferranti garantisce la bontà della gestione mercè una sigurtà di 500 scudi d'oro, offerta in Brescia sua patria, ed altri beni in Correggio. Per altro rog. Rognoni del 7 agosto 1586 il Conte Camillo conferma al Ferranti la locazione della zecca per altri tre anni e cioè dal I' agosto 1585 al 31 luglio 1588 con poche variazioni ai capitoli precedenti, accenni alla bontà e peso della zecca di Milano ed alla qualità e peso delle monete da coniarsi.
Il contratto col Ferranti è ancora rinnovato per molti anni. Intanto ombre di una certa gravità calano sulle zecche Italiane. Infatti il 29 Dicembre 1596 è pubblicata in Correggio una grida, a Rog. Frassetti, in cui si parla di sesini falsi e cattivi, battuti alla macchia e portati nella giurisdizione di Correggio. Una nuova grida del 7 maggio 1599 lamenta gli inconvenienti prodotti dalla spendita di sesini cattivi, affermando però ancora una volta che detta moneta proviene da altre zecche poste fuori dello stato.
La frode doveva essere molto estesa ed imputabile, forse, a più bande di falsificatori.
Nel 1597 era morto il Conte Fabrizio, così che Camillo da quell'anno rimane solo a risolvere i guai monetari, guai che non erano certo da imputarsi allo stesso Conte Camillo.
Intanto il Ferranti continua a battere moneta nella zecca di Correggio sino all'11 maggio 1600; e cioè sino al giorno fatale in cui viene assassinato da una banda di malfattori, a scopo di rapina, nel suo casino di campagna posto in Villa Capri, a circa cinque km. di distanza da Correggio.
Nel complesso, rispetto ad altri zecchieri, il Ferranti deve considerarsi un galantuomo. I suoi eredi continuano alla meglio la condotta della zecca sino all'anno 1603.
Il Conte Camillo, intanto emette due grida nel 1601 bandendo i sesini falsi - che dovevano pullulare nelle tasche dei Correggesi - provenienti da altre zecche statali o da falsari che chiameremo eufemisticamente " privati ".
Il susseguente contratto di locazione è stipulato dal Conte Camillo il 31 luglio 1603 per dieci anni, a rogito Guglielmo Cattania, con gli ebrei Abraham Jaghel e David Ricco. Il contratto è rinnovato cogli stessi locatori, a rog. Paolo Camellini, meno di un anno dopo e cioè l'8 marzo 1604 e per la durata di anni dieci, con scadenza il 7 marzo 1614.
Nei capitoli dei due contratti è inserita la norma che il Concedente oltre a ricevere una pensione di 600 scudi da L. 7, partecipa per 1/3 al guadagno netto della zecca.
Già il I' agosto 1603 viene bandita da Camillo un'altra Grida contro i sesini cattivi et anco adulterati, facilmente anche questa volta battuti fuori della zecca di Correggio. Intanto, a norma del contratto del 1604 si precisano il taglio, il titolo, il valore delle monete, nonchè si fissa quali immagini debbano venire coniate, secondo il beneplacito di Camillo, sulle monete battute.
Ma in quali zecche si adulteravano le monete di vari stati, fra cui quelle di Correggio?
Molto difficile è il dar risposta alla domanda.
E' da sapersi, intanto, che il 1 febbraio 1602 la Corte Romana pronunziava sentenza contro il Marchese di Tresana, Francesco Malaspina, per essere convenuto reo di aver fatto senza vergogna coniare nella di lui zecca molta quantità di monete false o adulterate d'oro, d'argento e di bronzo del conio di Principi diversi ed in specie della Santa Sede, e per molte parti del mondo con vile suo guadagno avendole fatte circolare ...
Tresana era un piccolo marchesato, il cui territorio è attualmente in provincia di Massa Carrara. Oggi il Comune di Tresana conta solo 5000 abitanti circa.
E' da pensare che parte delle monete di Correggio adulterate potessero uscire da quella zecca. Comunque è ammissibile che dalle varie zecche vicine, e da quella pure di Correggio, uscissero monete cosiddette " calanti ".
Il 3 giugno 1605 muore il Conte Camillo e gli succede il quindicenne Siro, sotto la tutela di Ubertino Zuccardi e del Conte di Fuentes, Governatore di Milano.
Il contratto coi due zecchieri giunge alla scadenza il 7 marzo 1614 e non viene rinnovato.
Tanto più che nel 1612 David Ricco, incolpato di avere battute murajole calanti, viene imprigionato e riconosciuto colpevole poichè con atto Panighi del I° gennaio 1613 lo stesso Ricco chiede di venir liberato dal carcere, impegnandosi a tramutare le muraiole in altre monete fini. Ciò che in realtà avviene, poichè nello stesso anno 1613 le murajole vengono sostituite con buona moneta. Lo Jaghel era stato precedentemente sostituito con Antonio Maria Bulbarini, correggese, divenuto così nuovo socio del Ricco.
Povero untorello, David Ricco, che aveva approfittato di una moneta di basso costo, come la muraiola, ossia il Camillino da due soldi e mezzo (v. la fig. 68) soffrendo il carcere e rimettendoci persino le spese. 1 grandi falsificatori verranno dopo. Così che sino al 1614 la zecca di Correggio poteva ritenersi corretta, nei confronti di quanto doveva avvenire più tardi.
Dal termine del contratto col Ricco ed il Bulbarini sino al 4 gennaio 1617 non si ha notizia siano state battute in Correggio altre monete.
Certo è che allo scopo di togliere gli abusi della locazione precedente, nel 1616 vennero nominati dai tutori di Siro due sopraintendenti della zecca, nelle persone di Antonio Arrivabene e Francesco Landini, nonchè l'esperto saggiatore Sigismondo Lini. Indi, a rog. Antonio Panighi del 4 gennaio 1617, la zecca di Correggio venne affittata per tre anni al veneziano Camillo Pareschi ed al bolognese Marco Antonio Ghiselli. La condotta venne stipulata con termine 16 marzo 1620 per l'annua pensione di scudi 600 da L. 7, come già fissato in passato. Ma i nuovi capitoli, apparentemente più rigidi, sono in effetto ancor più favorevoli agli zecchieri, in quanto li salvaguardano dall'arresto e condanna che altre autorità poste fuori dello stato di Correggio potrebbero richiedere ed infliggere. Ciò è come dire che lo stato garantiva di non concedere l'estradizione dei rei, ancor prima di conoscere ch'essi avessero a compiere un reato o delitto. In questo modo Siro si rendeva garante dei suoi zecchieri nei confronti degli altri stati.
Ma verso la fine del 1617 il Pareschi si rese sospetto ed inviso alla potente Inquisizione a motivo delle sue opinioni eterodosse. E nel 1618, preferendo andarsene da Correggio, rinunziò il contratto a Magno Lippi Alemanno che doveva proseguire la condotta, forse da solo, dato che non si sa più nulla del Ghiselli. Il Principe Siro approva, ma il 22 aprile 1619, a Rog. Matteo Botti, il Lippi chiama a propria sostituzione, per cinque mesi, il francese Giovanni Renouilles. E poichè il Lippi non aveva adempiute le condizioni prescritte e neppur pagato il canone della locazione, il Fiscale Carisi, in data 26 agosto 1619 dichiarò decaduto detto Lippi dall'esercizio e sequestrò quanto esistente nella zecca. Seguì il processo contro il Lippi ed anche contro il Renouilles.
Nel contempo Siro affittò la zecca ai due gentiluomini Francesi, forse suggeriti dal Renouilles, il Cap. Nicola de la Ferté e Riccardo Toussaint. Costoro firmarono i Capitoli della zecca per tre anni, a Rog. Francesco Carisi, in data 21 ottobre 1619. In quest'ultimo contratto si parla di un " saggiatore " nominato da Siro, ma pagato dagli zecchieri, di un " cassiere " ancora pagato dai conduttori, e ad onoranze di ben 4000 scudi annui.
L'esosità e la tirchieria di Siro appaiono appieno in questo contratto. Canone enorme e, per risparmiar spesa, controllo inefficace. Cosa poteva pretendere Siro da un saggiatore ed un cassiere che venivano pagati solo ad arbitrio dei conduttori?
Come era da prevedere, le cose andarono di male in peggio. Riccardo Toussaint venne incolpato di gravi abusi, così che lo stesso fuggì ed il De la Ferté accettò per socio, al posto del Toussaint il genovese Giovanni Agostino Rivarola, un emerito falsario, che accettò i patti della locazione originaria con rog. Carisi del I' aprile 1620, rogito che fa seguito ad altro Atto del 28 marzo di quell'anno.
Mentre il De la Ferté poteva ringraziare chiunque giungesse a sollevarlo da sì grave peso, il Rivarola è fortemente appoggiato dal gentiluomo Mirandolese Andrea Personali, che gode grande credito nel suo Stato.
Il Personali si associerà, per suo conto, al Rivarola, con un atto del 10 luglio 1620 stipulato alla Mirandola. Strano atto, pubblicato dal Maestri (Documenti inediti di Zecche Italiane:
Mirandola, Correggio, Tresana - Modena, 1908) in cui appare chiaramente che il Personali offriva il proprio prestigio per coprire il Rivarola, traendone in cambio, senza sborsare un quattrino e senza mai occuparsi direttamente della condotta della zecca, la metà degli utili della stessa, precisando persino che la perdita netta per eventuali debitori cattivi avesse a restare a carico del Rivarola. Il Personali certamente sapeva che il Rivarola era stato zecchiere del Farnese, a Parma, dal 5 gennaio 1614, ove ebbe a gestire la zecca, in collaborazione con un socio, sino al 1617 e che ivi subì un processo per adulterazione monetaria. In quel grave frangente il Rivarola riuscì a cavarsela, ma non avrebbe potuto ottenere in locazione altre zecche senza la " copertura " del Personali.
Intanto il Cap. De la Fertè, dopo pochi mesi di gestione col Rivarola si allontana o viene allontanato dalla zecca, così che il 22 luglio 1620, a rog. Francesco Carisi, notaio nonchè Fiscale del Principe, il Rivarola accetta tutti gli oneri della zecca già assunti dal Capitano Francese.
Passano alcuni mesi e succedono altri colpi di scena, poichè il 17 dicembre 1620, a Rog. Carisi e consenziente Siro, il Rivarola entra in società, per la zecca, con Don Cosimo da Correggio, fratello naturale di Siro, residente in Fabbrico ove erasi sposato con la lavandaia Claudia Franchetti, ed accetta in società - acciò delegato da Cosimo - Gian Luigi Franchetti, fratello di Claudia.
Fatto il colpo, che legava a sè il fratello di Siro, il Rivarola cercava di ottenere proiezioni ancora più elevate.
Intanto Siro ' il 3 febbraio 1621 sposava Anna Peloni, figlia di Antonio, munizioniere delle truppe spagnole. Le cambiava il nome in Pennoni, per far credere che la donna sortisse da illustre casata, e nominava il fratello di lei, Francesco, Mastro di Caccia e Presidente della zecca.
La condotta della zecca di Correggio va di male in peggio. Monete adulterate ne escono suscitando l'apprensione e le proteste dei banchieri, soprattutto di quelli di Germania. Certamente non tutte le monete falsificate od adulterate si potevano addebitare al Rivarola o comunque alla zecca di Correggio. Ma mentre i Principi Italiani coi maneggi e forse col denaro si scagionavano dall'accusa, Siro non si curava di provare la propria innocenza. Anzi, cessata la locazione del Rivarola, il 5 dicembre 1622, a Rog. Carisi, Siro concedeva
allo stesso, la zecca ancora per tre anni, dal 21 ottobre 1622, ponendo nei patti oltre alla pensione locatizia di 4000 scudi, "la metà degli utili che si caveranno dalla zecca ".
Nel contempo il Rivarola si fa grande amico del Pennoni ed evidentemente lo sovvenziona, come appare in una lettera di Francesco Pennoni datata da Correggio il 10 giugno 1623, diretta a Pompeo Avolio della Mirandola, quest'ultimo socio del Rivarola per la zecca di quella città, lettera in cui è scritto ... io desidero servire il Signor Rivarolla per aver sempre ricevuto molte amorevolezze et cortesie da lui ... (Maestri, id.). E più avanti, nella stessa lettera il Pennoni si dice debitore di una quantità di scuti per li corami di una stanzia e creditore del Rivarola di dieci soldi per libra di tutte le monete che si sono levate di zecca dal anno 1622 a dì 5 maggio sino al detto mese di giugno 1623 ...
Molto facilmente, dunque, il Pennoni riceveva una percentuale dal Rivarola. Quest'ultimo oltre alla zecca di Correggio ha in locazione la zecca di Tresana, in data 4 giugno 1623 e in quello stesso anno è zecchiero, in Mirandola, del Duca Alessandro Pico.
Le tre zecche gli servono per far perdere le traccie delle sue falsificazioni. Inoltre il Rivarola si accorda con un altro falsario, Girolamo Donati, di Correggio, in data I' settembre 1623, a rogito stipulato in Mirandola e relativo alle due zecche di Mirandola e Tresana.
Si inimicavano intanto Siro e il Duca perchè il Pico avvertiva il Principe Siro delle malefatte del Rivarola. Siro è restio a credere; gli costa troppa fatica di procedere contro chi porta in casa tanto denaro. La pacificazione fra i due Dinasti avviene infine con una lettera del 29 ottobre 1623, ad opera intermediaria del Duca Cesare d'Este.
Ma poi gli eventi precipitano. Il 14 novembre 1623 la Repubblica venera promulga la sentenza di bando capitale in contumacia contro Agostino Rivarola e Pompeo Avolio, quali fabbricatori e contrafattori di monete dello stato Veneto.
Il 10 dicembre 1623 Girolamo Donati è in carcere a Mirandola, accusato di concorso in adulterazioni monetarie. Cinque giorni dopo ha inizio la carcerazione a Correggio del Rivarola e del Franchetti.
Don Cosimo da Correggio nel frattempo era morto, ma la sua vedova, risposatasi nel 1623, accendeva liti contro Siro presso la Corte Imperiale, accusandolo d'ogni nefandezza. Ciò poichè Siro l'aveva spogliata dei beni di Cosimo e solo più tardi le aveva accordata una pensione. Le accuse e le testimonianze, forse false, di Claudia e degli altri Franchetti dovevano poi gravare non poco nella causa imperiale promossa contro Siro.
Processi contro i falsari erano aperti a Mirandola e Correggio e talune testimonianze provarono che certe monete d'ottone erano fatte indorare, indicandosi anche la bottega dell'indoratore, che era quella di Pompeo Avolio, in Mirandola, ove il servizio veniva compiuto da tal Giacinto Bolognese. Altre monete, forse di ferro, venivano invece argentate.
Infine non si sa per quale intervento miracoloso, si fece silenzio sulla questione della zecca.
La monetazione venne intanto sospesa dal 1624 al 1627; allorchè il 21 aprile di quest'ultimo anno a rog. Torricella, il contratto della zecca fu concluso coll'ebreo veneziano, ma banchiere in Correggio, Guglielmo Tesei. Ciò con gli stessi patti precedenti. Il Tesei proseguì a battere moneta sin verso il 1629, sino cioè all'epoca in cui la Corte Imperiale rinnovò l'accusa di adulterazione monetaría. Così che presso il Tribunale Cesareo di Milano il Principe fu accusato di avere battuti Talieri e Ducatoni falsi e di avere partecipato consciamente cogli zecchieri alla monetazione dei falsi stessi.
Si trattava sempre dell'opera del Rivarola, perchè la locazione del Tesei non dette adito ad alcun rilievo.
Nell'anno 1629 il Rivarola venne arrestato e di lui non si conosce più nulla. Forse accusando altri egli riusciva ancora a scolparsi, come riusciva a farlo Pompeo Avolio, suo complice Mirandolese. Ma quest'ultimo non sfuggì ad una tragica morte, come afferma Padre Papotti nei suoi " Annali della Mirandola " (Vol. III, pag. 146) poichè lo stesso afferma che il 12 agosto 1643 fu sorpreso il Signor Pompeo Avolio in tempo di notte da sessanta a settanta uomini a cavallo nel suo casino e possessione detto la Stoffa presso la Città e via condotto senza che si potesse mai sapere dove, da chi, e il perchè, con tutte le diligenze e ricerche fatte a' Principi vicini ...
Augusto Maestri, nell'operetta: "Documenti di zecche Italiane - Giovan Agostino Rivarola, zecchiere, suo processo alla Mirandola per monetario (Modena, Ferraguti, 1909) " offre parecchi particolari relativi alle falsificazioni. Dalla lettura di quel breve testo e da altri, nonchè dalle narrazioni delle vicende generali d'Italia e particolari di Correggio, chi scrive pensa si possa oggi rispondere agli interrogativi da gran tempo affacciati sulla colpevolezza di Siro.
Il Principe di Correggio nei suoi ventitrè anni di governo o almeno di partecipazione alla vita dello stato, e cioè dal 1611 al 1634, accumula una sull'altra una tal.- quantità di sciocchezze da mostrare la sua incapacità di reggere uno stato. Ed è appunto per la sua incapacità, ch'egli venne man mano irretito da un parentado e da amici che non ambivano ad altro che ad arricchire, anche se per far questo si scivolava necessariamente nell'illecito. Si aggiunga la mollezza del costume, a Correggio e fuori di Correggio, la dabbenaggine di tanti e la scaltrezza del falsario Rivarola e si avrà il quadro completo.
E' certo che a Siro vennero strappate dal Rivarola concessioni su concessioni, di cui lo stesso Siro e la sua corte approfittarono. Egli forse non fu estraneo, al tempo del Rivarola, al fatto del conio di talune monete " calanti ", perchè l'alto ricavo dalla zecca come locazione ed il guadagno sancito nei capitoli dovevano farlo accorto che la zecca s'era inoltrata profondamente nel campo dell'illecito. Ma Siro non partecipò alle vere falsificazioni, che vennero compiute dal Rivarola alla insaputa del suo Principe. Ugualmente però la sua responsabilità e quella di altri a lui vicini nella corte, dovevano essere abbastanza gravi se egli non consegnò il Rivarola, principale falsario, al Duca della Mirandola rimanendo fedele ai patti ch'egli aveva firmati, e finì per imporre silenzio al processo, scarcerando i rei, così che non si ebbe alcuna sentenza riguardante i falsari. Forse perchè pure a Mirandola si addensavano gravi responsabilità intorno a quella Corte Ducale.
Che altro è da dirsi? Perchè Siro perdette il Principato, mentre le disposizioni monetarie dell'Impero del 1559 e la Costituzione di Ratisbona del 1570 minacciavano multe e tutt'al più la perdita della zecca?
Per rispondere a tale interrogativo occorre riportarsi a quegli sciagurati tempi di frode, prepotenza e delitto.
Il Duca Estense, che s'era impadronito di Carpi un secolo prima, mirava ad impadronirsi di Correggio per allargare i suoi stati e già pensava anche alla Mirandola, di cui si impadronirà
nel secolo successivo. Si tratta di un modesto stato che si arricchisce di uno staterello per ingrandirsi e così aumentare potenza e prestigio. Tanto più che Fulvio Testi, Segretario dell'Estense, è un abilissimo intrigante devoto alla sua patria ed al suo Signore.
D'altro canto la Spagna ambiva impadronirsi definitivamente di Correggio per aumentare il proprio potere nell'Italia settentrionale, rimanendo così incuneata fra altri domini, proprio nella valle del Po.
C'era di mezzo l'Inquisizione, che non poteva perdonare a Siro i suoi trascorsi. Principi di Corti vicine ed illustri personaggi rimproverando al Principe imbelle i mancati cospicui maritaggi, soffia. vano con rancore sul fuoco. Infine l'Impero, sempre assetato di denaro, aveva scorta la buona preda, non difesa altro che da un diritto che assumeva a quel tempo la parvenza di un fantasma; la buona preda che doveva fruttare al famelico Impero 230.000 fiorini d'oro: una somma non disprezzabile neppure da una Corte Imperiale.
Il quadro è abbastanza significativo. Certo è che se Siro avesse possedute capacità di governo, anche se modeste, lo stato di Correggio avrebbe potuto sopravvivere forse ancora per un secolo, o addirittura sino al 1796, tempo della calata in Italia dell'esercito comandato da Napoleone Bonaparte.
Ritorniamo ora alla zecca di Correggio per altri particolari, tratti da Quirino Bigi (" Di Camillo e Siro e della loro zecca - Modena, Vincenzi, 1870 ") e dal diligente studio inedito del correggese Annibale Setti (" La Zecca dei Signori da Correggio - 1954-1955 ").
In Correggio, la zecca non ebbe mai una sede fissa. Dai vari rogiti appare che essa si spostasse, di volta in volta, nelle case degli zecchieri o meglio nelle case da essi prese in affitto. Ad esempio nel 1569-1570, essa era sita in Piazza (?), in una casa Calcagni; nel 1606-1609, presso D. Antonio Correggio; nel 1613, in casa di Alessandro Arrivabeni; nel 1618-1622, in Castelvecchio; nel 1628 in casa di Ippolito Arrivabeni; nel 1630 in una casa vicina alla Piazza (?) (Setti).
E' però a dirsi che l'ultima residenza della zecca dovette essere posta nell'attuale Piazza Garibaldi, facente angolo con Via Jesi. Almeno così ci ricorda la tradizione.
Circa l'arte della coniazione, mentre i sistemi tradizionali erano indicati come " a getto ", e cioè versando la lega metallica negli stampi; ed " a conio ", comprimendo dischi o tondelli di lega fra due coni a vite, nella zecca di Correggio le monete venivano coniate a mezzo del " martello ", come appare dal rog. Carisi in data 17 dic. 1620. Così che dette monete venivano propriamente " battute " ad una ad una a mezzo di sigilli metallici colpiti fortemente con appositi magli.
Gli intagliatori dei coni, che dovevano essere abbastanza abili poichè le immagini che appaiono nelle monete sono veramente interessanti, venivano chiamati in città volta per volta. Essi erano in gran parte stranieri; ma il Setti (a pag. 109) accenna anche ad un Cap. Gio. Ciamontesi. Quest'ultimo dovette essere invece il valoroso artista Correggese Giovan Maria Piamontesi, che di certo incise punzoni per la zecca di Correggio.
Particolarmente il Bigi ed il Setti si diffondono sulle varie monete, sui loro pesi e valori, e confrontano le stesse con le altre monete dei tempo uscite dalle zecche italiane e straniere. Ma in questa breve sintesi non è possibile fare altrettanto e quindi si rimandano i lettori, ansiosi di conoscere di più in argomento, alle opere citate in queste pagine ed anche alla bibliografia finale di questo volume, nonchè alle cartelle della Zecca conservate nell'Archivio della Civica Biblioteca.