Riccardo Finzi |
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Siro | |
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984 |
Vedi anche "La falsa moneta di Giovan Siro e la Santa Inquisizione" di O. Rombaldi
Vedi anche il ritratto conservato nel Museo di Correggio
La presente monografia è tolta dall'opera " Antichità Correggesche " (Correggio, Palazzi, 1881, a pag. 65, in nota) compilata dal Con. Don Giulio Cesare Marchi - Castellini
L'intenso amore di gloria, da cui tutti i suoi grandi antenati furono agitati, in lui poco o punto si manifesta; la fierezza convertesi in barbarie; alla politica avvedutezza succede il più ridicolo ossequio ed abbandono a consultazioni legali ed a consigli ed esortazioni di frati. Nulladimeno ciò non giustifica nè scusa l'iniquo procedere di tanti contro di lui.
Morto Camillo, non solo più non si parla della partenza del presidio spagnolo, ma Fuentes, anche come tutore di Siro e col pretesto di assicurare il tutelato da qualsiasi indebita pretesa, ordina nel 1605 che le chiavi della città siano depositate nelle mani del governatore del presidio. Per intervento però di Ubertino Zuccardi, Provvediiore della città, si ottiene formale promessa che le chiavi sarebbero restituite tostochè Siro avesse avuto la regolare investitura dalla Corte Imperiale.
Si cominciano le relative pratiche; ma queste sono turbate dai gravi dissapori che sorgono tra Siro ed il fratello Cosimo, il quale volea conservare l'autorità attribuitagli dal padre, specialmente sulle caccie, autorità che Siro disprezzava. Cosimo si ritira a Fabbrico e sebbene i manoscritti lo dicano di raro ingegno, di molto cuore e più atto del fratello a reggere lo stato, pure è così vivamente irritato dalle provocazioni di Siro, che assolda banditi, i quali eseguiscono atti violenti a danno di questo. Siro non si perita di rispondere con mezzi uguali ed anche più crudeli e più vili.
Girolamo Gatti, giovane molto amato e stimato in Correggio, amicissimo di Cosimo e perciò odiato da Siro, recavasi di pieno giorno, in compagnia di due rispettabilissimi giurisperiti, Girolamo Augustoni e Vincenzo Guzzoni, al castello suburbano de' Conti in Villa Mandriolo, ove trovasi Siro, per soddisfare un canone. Gli si para davanti un Girolamo Balbi, che aveva titolo di capitano delle milizie di Fabbrico, ma che altro non era che un sicario di Siro, assale l'infelice Gatti ed a colpi di pugnale lo uccide. L'atroce delitto destò compassione ed orrore in Correggio, il comandante del presidio spagnolo, ci pure amico del Gatti, ne chiese imperiosamente vendetta, profittando poi della circostanza per occupare definitivamente la Rocca, ad evitare tumulti. In realtà la Spagna sotto i pretesti di tutela, di protezione e d'ordine, copriva la brama di possedere una fortezza di qua dal Po. Intanto nel 16 ottobre 1612 il Consiglio di Sua Maestà Cesarca, mosso da iniqui maneggiatori, dichiarava Siro illegittimo e lo stato decaduto al Fisco Imperiale.
La illegittimità, che non aveva impedito le investiture di Aldobrandino, di Borso, di Cesare d'Este e di tanti altri principi, era invece un ostacolo per Siro. Ma questi esempi per lui favorevoli avrebbero poco valso, se questa volta per destrezza sua o de' suoi consiglieri, non avessero messa in giuoco presso i Duchi di Modena, di Mantova, e di Toscana e presso il Legato Pontificio, residente in Bologna, la paura che la Spagna s'insignorisse di Correggio. Siro si reca a Milano, preceduto da Ferdinando Gonzaga, Duca di Mantova, il quale tanto adoperossi presso il governo spagnolo, che a capo di due mesi, collo sborso di una somma, erano restituite a Siro le chiavi della Rocca. Rispetto poi alla Imperiale Investitura, essa era osteggiata principalmente da Ranuccio Farnese, Duca di Parma, che presentavasi alla Corte Imperiale come protettore del Conte Girolamo da Correggio, nipote ed erede mediato del Cardinal Girolamo. In realtà egli aspirava al possesso di Rossena e di altri castelli de' correggeschi nel parmigiano e nel reggiano. Ma un'accusa di alto tradimento attribuito all'infelice Conte Girolamo contro lo stesso Ranuccio procurava a questo l'ambito possesso, e Siro era liberato di un oppositore.
Nel 1613 muore il Fuentes, e nel successivo anno Siro risolve di spedire a Vienna un incaricato speciale per togliere le difficoltà opposte alla Investitura. La scelta cadde sopra Ottavio Bolognesi, Cancelliere della Comunità di Correggio. Questo valente giurisperito e poscia abilissimo diplomatico, riusciva ad ottenere il sospirato decreto d'Investitura nell'aprile 1615, promettendo lo sborso di 120.000 talleri imperiali. Ma differendosi il pagamento di quella somma, si promossero altre difficoltà, le quali obbligarono il Bolognesi a nuovi maneggi e Siro a nuove spese. Intanto Ubertino Zuccardi e Giulio Corona ottenevano dal Marchese Toledo, governatore di Milano succeduto al Fuentes, la restituzione delle chiavi della città; ma per questo pure occorreva sborsar denaro. E non andò guari che il Bolognesi, residente a Vienna, accettò ddall'ambasciatore spagnuolo la somma che dovea versarsi alla Camera Aulica, ed allora usciva un decreto dell'Imperatore Mattia, confermato poscia all'Imperatore Ferdinando II, in cui il Comitato di Correggio era eretto in " nobile ed insigne Principato " a favore di Siro, e questi con tutti i suoi discendenti era creato Principe di Correggio e del Sacro Romano Impero.
Siro era amato dal popolo, che ei trattava con estrema familiarità. Le feste, celebrate per tale evento, furono straordinarie. Non le descriveremo per ora, accenneremo solo agli archi trionfali, a pubbliche rappresentazioni, a suoni, a canti, a danze. Flaminio Bartoli ne pubblicò allora in Reggio la lunga descrizione.
Ma il pubblico giubilo cessa alla promulgazione di severissimi editti, che portano numerose condanne all'esilio, alla galera, alla morte.
Follemente invaghitosi di Anna Peloni, figlia del fornitore del presidio spagnuolo, trascura e sprezza proposte di cospicui matrimonii con una figlia del Conte Alberto di Belgioioso, con una figlia de', Principe Triulzio, colla Principessa di Monaco, con Fulvia di Alessandro Pico Duca della Mirandola. Offende il Duca di Modena, rigettandone l'offerta di mediazione in una fiera questione insorta tra Siro e quelli di S. Martino per cause di caccia. Infine si accapiglia col l'Inquisizione; tutta la ragione è per lui, ma la mancanza di dignità e di ardire lo spinge a misure vili, che quasi gli costan la vita. Ecco il fatto.
I Domenicani di Correggio, qui chiamati e grandemente arricchiti dalla famiglia di Siro e da cittadini di Correggio, denunciano al Santo Uffizio di Reggio Ottavio e Giovan Pietro Pistolozzi e Francesco Risighini di Correggio, come rei di bestemmie. Nell'ottobre 1617 giunge da Reggio un Padre Zambeccari, Inquisitore, accompagnato da un uomo d'arme, il quale senza chiedere licenza al Principe e senza dargliene almeno avviso, tronfio e burbanzoso si dirige alla Rocca e stava per entrare quando la sentinella, a norma della consegna, gli chiedeva il permesso. Il frate va sulle furie, poi sprezzando la consegna entra e s'inoltra sino al luogo in cui trovavasi il custode delle carceri. Questi ripete la domanda della sentinella ed infine chiede una breve dilazione ad aprir le carceri al Domenicano, sino a che soltanto ne avesse dato avviso al suo Signore. Il Domenicano assale il custode colle più basse villanie e colle più fiere minaccie e lo costringe ad aprir le prigioni, ove s'introduce coll'uomo d'arme che l'accompagnava. Siro avvertito di quanto accadeva, invia il suo segretario Paolo Grassi per far considerare all'Inquisitore che la sentinella ed il custode non avevano colpa di sorta, che eglino avevano fatto il dover loro eseguendo ordini ricevuti; nullaostante se lo Inquisitore avesse voluto, egli li avrebbe puniti. L'Inquisitore audacemente rispondeva ch'ei non accettava scuse, che a lui spettava di stabilire quella pena che avesse creduta opportuna, che intanto si carcerassero custode e sentinella e che sarebbe ritornato entro certo termine per compiere le sue incombenze, e senz'altro partiva.
Prima che scadesse il termine fissato, il Padre Zambeccari tornava a Correggio, scortato da otto birri a cavallo. Ordina che gli sia consegnato il custode per condurlo con sè, e che altri detenuti siano mandati al confine dello stato. Verissimo che la Inquisizione era strapotente, verissimo che Correggio era sotto la influenza della Spagna, ma vero altresì che l'ultimo e più mite antenato di Siro sarebbe balzato a cavallo, ed a colpi di lancia e di spada avrebbe fatta rispettare la sua autorità. Egli invece discutendo, dolendosi ed irritandosi ricorrea ad un atto che vestiva il carattere di una volgare vendetta. Lascia partire l'Inquisitore per Reggio, ma in certo punto della strada era appostato il sicario Balbi, che aggredisce la scorta e la disperde, poi percuote talmente l'Inquisitore, che lo lascia semivivo sulla via.
Odio acerrimo contro Siro divampava allora nel terribile Tribunale. Ma Siro, dopo il fatto, avendo chiuso il Balbi ed i complici in segrete della Rocca, stimava di poter essere sicuro. Di fatto, il marchese Toledo, governatore di Milano, spinto dalla, Inquisizione, gli ordina di comparire a lui davanti per giustificarsi.
Ei parte per Milano nel 12 novembre 1617, e tra perchè non si avevano prove da contrapporre alle sue negative ed alle dichiarazioni di sua innocenza, e tra per le raccomandazioni di autorevoli amici, è lasciato libero e torna a Correggio nel 20 dicembre del detto anno. Ma il Balbi stancasi di star rinchiuso nella Rocca, e chiede a Siro una somma per recarsi in lontani paesi. Siro, ora prodigo ed ora avaro, nega la somma, ed il Balbi pensa ad evadere e riesce. Cade o si pone ei stesso nelle mani dell'Inquisizione, da cui ha promessa di aver salva la vita, ma ciò non toglie che sia sottoposto a tormenti ed a pene. L'istruzione del processo raccoglie assai di più di quanto bastava pel Santo Uffizio, sicchè Don Pedro Toledo citava Siro a ricomparire in Milano nel 26 gennaio 1618; ed egli bonariamente partiva. Lungo la strada, dovunque si fermava, era riguardato ed evitato come uno stregone; locchè dovea provargli che il Santo Uffizio aveva preso il suo partito, e che egli era perduto. Nondimeno per que' misteri dell'umana natura che confondono la leggerezza e la pusillanimità col proposito e coll'eroismo, Siro continuava la via, giungeva a Milano, e ad onta di aderenze, di protezioni, di rimostranze, di suppliche era arrestato, tradotto al castello, e dopo un mese consegnato all'Inquisizione. La morte di lui in mezzo agli strazii era dunque fissata. Ma il Bolognesi da Vienna suggeriva alla Francesca Melini, madre di Siro, di recarsi senza dilazione a Roma ed invocare l'intervento del Papa; egli, colla influenza che si era acquistata, avrebbe cercato di facilitare a lei la riescita. La povera madre parte subito, accompagnata da Francesco Carisi, e si bene sa comportarsi e così eloquente è la sua parola, che Camillo Borghese, allora Papa Paolo V, le rilasciava senz'altro un ordine di liberazione. Di fatto nel 19 luglio 1618 Siro era come per miracolo tolto dalle carceri del Santo Uffizio e condotto nel castello, donde usciva nel 19 settembre del dette anno, e dopo di essere stato tradotto nei castelli di Lodi e di Pavia, forse per salvarlo dalla rabbia inquisitoriale, finalmente tornava a Correggio.
Non parleremo ora delle feste fatte dal popolo di Correggio alla madre di Siro reduce da Roma. Diremo di lui che se mostrossi un poco più curante dei bene de' suoi sudditi, divenne pur anco sempre più schiavo della Peloni, che in fine, sprezzando i contrarii consigli de' migliori amici, e solo seguendo il suo talento e le sollecitazioni di un frate Urbano da Reggio, cappuccino, sposava nel 3 febbraio 1619, cangiatone il cognome in Penoni perchè si credesse discendere da una nobile famiglia di Milano.
Gli nasce Maurizio, ma la gioia gli è presto turbata dalla notizia che egli era stato accusato davanti alla Corte Imperiale di battere talleri falsi. Consigliato di portarsi a Vienna per difendersi, non aderisce e non si occupa della citazione.
Contro il presidio spagnuolo, da lungo odiato, il popolo si leva a rumore per offese fatte al Principe dal Comandante di quel presidio. Siro racconcia le cose alla meglio, senza far valere la sua autorità.
Per la contrastata successione degli stati di Mantova e Monferrato scende in Italia un esercito imperiale. Tremila uomini, comandati dal colonnello Dietrichtstein, sotto gli ordini del mastro di campo barone Aldringen, prendono alloggio in Correggio, Campagnola e Fabbrico, senzachè Siro possa far valere il privilegio accordato ai da Correggio da Carlo V, per liberarne il Principato.
Crescendo tuttogiorno le requisizioni e le estorsioni e riesciti infruttuosi altri tentativi, si consiglia a Siro di presentarsi al Conte di Collalto, generale dell'esercito Cesareo, residente in Reggio; e Siro prende un partito, che se offriva modo al Collalto di dimostrare animo generosissimo, era rispetto all'esito sommamente problematico, e difatto riusciva a gran danno di Siro. Invia al Col[alto la propria madre, Francesca Melini. Il Collalto, memore de' dolori che questa donna aveva procurato ad una sua congiunta, la prima moglie di Camillo, la respinse disdegnosamente e le condizioni di Siro si aggravarono grandemente. Maria di Collalto doveva essere spietatamente e brutalmente vendicata!
Nel 1630 agli altri mali si aggiunge la peste; dalla Valtellina scende a Milano e da Milano colle truppe imperiali si propaga a Mantova ed a Correggio. Nello stesso tempo il Marchese Spinola, governatore di Milano, e con lui il Collalto, ordina a Siro di consegnare nuovamente la Rocca agli spagnuoli, e l'Aldringen gli intima altra citazione riguardante l'affare della zecca, con ordine di comparire davanti al Tribunale Cesareo entro 21 giorni, e, cacciate le cento guardie che custodivano il palazzo del Principe, lo fa occupare da Alemanni.
Sito dopo molto esitare si dice deciso di recarsi a Vienna. Ma (doloroso ed in pari tempo ridicolo!) esce di Porta S. Paolo, gira un tratto dintorno alle mura, si ferma a pregare nella chiesa suburbana della Madonna della Rosa, poi, arrestandosi ad intervalli per contemplare Correggio,
finisce per recarsi al Convento de' Capuccini di S. Martino in Rio, ove prende stanza.
Ormai potenti vicini, amici e ministri odorano il cadavere, e stimano loro grave dovere il pensare alla successione ...
Giungono in Correggio due Consiglieri Aulici, il Cavaliere Cavalchino ed il Foppoli col Fiscale Parasacco e si comincia ad istruire il processo. La accusa è fondata sulle sole deposizioni di Girolamo Brusoni e di Pellegrino Frassetti, rei di varii delitti, ed ai quali, banditi da Correggio, erano stati confiscati i beni. li Cavalchino, meno disonesto degli altri processanti, si commuove alle rimostranze di Ubertino Zuccardi. Ma vi erano avidità da saziare, e col Zuccardi stabilisce di ottenere da Siro lo sborso di 3000 scudi, che dovevano distribuirsi a coloro che " lavoravano nel processo ". Siro lietissimo aderisce alla domanda Zuccardi e tutto stava per finire, quando Siro interpella un Padre Onofrio, Capuccino, che lo persuade a fidar solo nella sua innocenza; manca alla promessa fatta al Zuccardi; il processo continua, si compie colla massima rapidità, è spedito a Vienna, ed è tantosto pronunciata la sentenza che dichiara Siro decaduto dallo stato, quando non paghi alla Camera Imperiale trecento mila fiorini. Nè va guari, che il Duca di Guastalla, come Imperiale Commissario, prende possesso dei Principato di Correggio in nome di Sua Maestà Cesarea.
In mezzo allo schifo che destano i raggiri e le violenze, con che Spagna ed Impero perseguitavano ed opprimevano l'imbelle discendente di una eroica stirpe, la quale tanti meriti aveva verso quelle potenze; ci è molto grato di registrare un atto nobilissimo. L'Imperiale Commissario invita a sè davanti i capi del Consiglio del Comune, per ricevere i loro ossequi. Si presentano Giovanni Palazzi e Francesco Righetti. Ma il primo con ardimento assai pericoloso altamente protesta contro le inquità che si commettevano a' danno di Siro, richiede pubblicamente il notaro Serra di far rogito di quelle proteste e tosto il Serra lo stende. Furono entrambi giudicati rei ed il Serra di morte.
Intanto la peste sempre più infieriva, e, nell'opera desolatrice, colla peste andavano di pari passo gli spagnuoli ed alemanni (bisogni e lanzi), colle minaccie, co' saccheggi, cogli incendi, colle uccisioni. Sarebbe quadro orrendamente straziante, se, colla scorta de' nostri manoscritti dovessimo descrivere le stragi e le barbarie di que' tempi luttuosi. Dicemmo altrove che il piccolo principato soffriva la perdita di 7500 persone. Ora soggiungiamo che ciò avvenne nel giro di pochi mesi, e che in Correggio rimase estinta una metà delle famiglie, prima ivi esistenti, e tra esse i Turchi, gli Spampanini, i Pastori, i Pallavicini, i Cerasini, i Torriani, i Baldrini, i Castioni, i Petrati, i Maresini, i Bernardi, i Dentelli e moltissimi altri.
Il Gonzaga, Duca di Guastalla, nel giugno fattosi erigere un trono fuori porta S. Giovanni presso a' Cappuccini, cinto dalle orde appestate e fameliche che formavano il presidio spagnuolo e l'acquartieramento alemanno, oltre alle altre che seco aveva condotte quando giungeva in Correggio quale Commissario Imperiale, esigeva dai cittadini giuramento di fedeltà a Cesare, e, nominato il Cavalchino a sostituirlo come Commissario Imperiale, partiva. Poco dopo però il Cavalchino, forse disgustato e nauseato delle ingiustizie e crudeltà che doveva tollerare e permettere, rinunciava a quella carica che delegava a Girolamo Bernieri di Correggio, nominando giudice Ubertino Zuccardi. Ma oramai trattavasi di governare sulle tombe e sulle rovine, e di scongiurare qualche maggior male, ma non mai di ottenere miglioramenti. Alle altre spogliazioni, dirette anche allo scopo di rendere impossibile a Siro ed a' suoi discendenti di recuperar lo stato, si aggiunse la esistenza di enormi somme che il principato dovette pagare per le spese di processo nella causa intorno alla zecca, e nel 1631 per provvedere di viveri la truppa alemanna, allorchè nuovamente portavasi all'assedio di Mantova. Appena però partita quella truppa, e nonostante le tristissime condizioni in cui Correggio era ridotto, protestossi clandestinamente con satire mordacissime e con violenti libelli, che però non riescirono se non a peggiorare le condizioni di Siro e del paese. Intanto crescevano gli aspiranti alla preda del principato. Tra i principali: il Duca di Guastalla, il Collalto, il Senatore Villani, i Barberini, nipoti di Urbano VIII, i Duchi di Toscana, di Parma, di Modena, della Mirandola ecc. E tra le promesse ed il denaro che questi spargevano, tra per le angustie, le vessazioni e le morti lungamente patite, tra per la dappocaggine di Siro, essendo il popolo spossato ed esinanito; fu allora che lo chiamavano ad esprimere il suo volere.
Nella sala annessa alla chiesa di S. Maria, presso Porta S. Paolo, che si ebbe e conservò poscia a lungo il nome di " Sala della Congiura ", nel 29 marzo 1634 riunivasi il Consiglio Generale del Principato.
Erano presenti duecentoventi consiglieri di Correggio, di Campagnola e di Fabbrico; assisteva Enrico Andrea Appiani, dottore del collegio dei giudici di Milano, consigliere della Serenissima Casa d'Austria, commissario cesareo e podestà di Correggio.
La maggioranza dei consiglieri elesse a presentare le ragioni e suppliche del principato il dott. Francesco Zuccardi, il quale dimostravasi assai diverso dal suo congiunto Ubertino che avea spesa la sua vita in pro di Siro e del paese. Il Zuccardi disse che ogni male derivava dal permettere che Siro vivesse tanto vicino a Correggio, e si offriva a nome del popolo a fare ogni atto di ostilità contro Siro supplicando però il Commissario a licenziare la soldatesca. L'Appiani accettava che si convertisse in solenne decreto l'allontanamento di Siro ed il proposito di osteggiarlo, ma rispetto alla partenza della truppa straniera, per la sola speranza della quale parecchi eransi acconciati a tanta bassezza, l'Appiani dichiarava non essere
in suo potere di dare ordini in tale proposito e tutto dovette ridursi ad una umilissima supplica al principe Doria ed al Cardinale Infante. Al danne ed all'avvilimento, le beffe!
Dopo queste vergognose deliberazioni, Siro vedendosi minacciato anche dagli abitanti del principato, si decise finalmente di abbandonare l'inglorioso suo soggiorno in S. Martino, e riparò a Mantova, che dopo la pace di Cherasco era stata occupata in nome del Duca di Nevers da Alfonso Gonzaga di Bozzolo con duemila duecento veneziani.
Ei non dimetteva però la speranza di ricuperare lo stato e continue erano le suppliche che inviava al Consiglio Imperiale; ma null'altro potè ottenere se non che la multa da pagarsi fosse ridotta a duecento trenta mila fiorini d'oro.
Deposto dal principato, spogliato de' beni allodiali, depredati i tre principali castelli che possedeva in Correggio, in villa Mandriolo di Correggio ed in Fabbrico (la sola devastazione di quello di Mandriolo si valutò allora che importasse la perdita di un milione di talleri); Siro era impotente a pagare la indennità anche dopo la riduzione della somma.
La Corte di Spagna sborsa questa somma ed ottiene Correggio a titolo di deposito. Ma Francesco I d'Este, Duca di Modena aveva crediti contro la Spagna, aveva saputo destare in questa la speranza di avere un fido e forte alleato in Italia, ed in Vienna, anche col mezzo dello stesso Bolognesi, erasi procacciato potentissimi appoggi; di guisa che poco dopo e precisamente nel 1635 lo Estense, pagando alla Spagna l'accennata somma, ebbe provvisoriamente l'investitura del Principato di Correggio, riservato però a Maurizio, figlio di Siro, il diritto di redimerlo pagando egual somma.
Ridicola e beffarda riserva, mentre Spagna ed Impero avevano tutto preso o distrutto!
Siro moriva nel 23 ottobre 1645 in età di anni 70 ed era sepolto in Mantova nella chiesa di S. Barnaba.
Il giovane Maurizio mosse fiera lite all'Estense, ma impotente a proseguirla per mancanza di denaro fu costretto nel 4 settembre 1649 ad accettare una transazione col Duca di Modena che stipulavasi a rogito Tirelli. Maurizio cedeva ogni diritto sul Principato e sui Giuspatronati della sua famiglia e riaveva molti de' beni allodiali, colla concessione di alcuni privilegi.
Ogni cosa preziosa, compresi cinque quadri di Antonio Allegri, Siro era stato costretto a vendere. Maurizio, per pagare i debiti e per vivere,
nel 1661 dovette vendere il palazzo di Mandriolo ed una possessione presso il Naviglio a Sebastiano Carletti. Nell'anno successivo vendeva altra possessione e tre mulini, ed altra pure nel 1667.
Da Eleonora Gonzaga ebbe la figlia Olimpia, che fu moglie di Giovanni Arrivabene, Pier Antonio, trovato morto nel 1679, Annibale che si fece monaco, e Giberto ...
Can. Don Giulio Cesare Marchi Castellini
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