Giuseppe Adani
Per una lettura aggiornata del Correggio
Correggio, identità e storia di una città

Cronologia

Sull'Allegri vedi anche Il Correggio - vita ed opere di R. Finzi

Ampia esplicazione dell'opera del Correggio è reperibile nel sito della Fondazione Il Correggio

Testo rivisto nell'ottobre 2003

Una costante novità

Compiere una lettura "aggiornata" dell'opera e della personalità del Correggio significa semplicemente proporla come si può fare oggi, nell'autunno dell'anno 2003, dopo l'avvento di una letteratura recente, vasta e molto stimolante, ma difficilmente riconducibile ad un centro unitario di carattere semantico e metodologico. L'ultimo punto di riferimento è la grande monografia "CORREGGIO" di David Ekserdjian (1997), mentre un asse di costante rinnovamento è dato ormai dalla collana di Letture Allegriane che la Fondazione Il Correggio annualmente alimenta presso la Silvana Editoriale. A questi testi rimandiamo il lettore per tutte le voci della bibliografia. Nella sostanza ci preme precisare che l'aggiornamento della lettura consiste nella consapevolezza che l'arte e la cultura del Correggio stanno al vertice dell'arte e della cultura del rinascimento italiano e ne sono - per di più - il fulcro rigenerativo per tutta la successiva pittura europea.


Il Correggio, in vita, fu innovatore straordinario delle arti, tale da rimanere al di sopra della media capacità di comprensione dei contemporanei; e dopo secoli porta con sé una sorta di analogo destino, in quanto impegna la critica in un continuo superamento. La personalità di Antonio Allegri si dimostra più alta delle varie statuizioni in cui viene di volta in volta collocata, obbligando gli studiosi a "riaprire" costantemente il problema delle fonti, dei parametri culturali applicabili al pittore, della ricchezza illimitata suo magistero.
Il dato maggiormente rilevabile da quanto è stato scritto sul Correggio negli ultimi anni, è il riconoscimento dello strepitoso aggiornamento dell'Allegri - nella sua giovinezza e nella sua prima maturità - su tutti i cantieri rinascimentali, e persino su numerose opere minori di vari colleghi, italiani e stranieri. Si ha quasi la palpabile certezza che, ovunque sia accaduto un avvenimento artistico più o meno importante nei primi vent'anni del Cinquecento, ivi egli fosse presente. La figura che ne emerge è quella di un "apprendista" assolutamente sicuro dei propri mezzi e delle proprie potenzialità sin dagli inizi; di un professionista che forgia se stesso con investimenti conoscitivi lucidamente programmati e svolti a ritmo serrato (ivi compresa una ferrea formazione architettonica e prospettica); di un intellettuale che struttura il proprio sapere nei modi più alti, umanistici e teologici; infine di un artista autentico, un genio supremo dell'espressione figurativa, capace di trapassare prodigiosamente dall'esperienza dei sensi agli empirei dell'indicibile, e soprattutto capace di liberarsi, con stupefacente semplicità dai vincoli precettuali delle forme.
L'enorme cultura del Correggio, il suo mestiere totale davanti ai pigmenti, alle tele, ai muri, quella capacità di "vedere prima", intus et ante, e dunque di "segnare poi" cose invisibili agli occhi, comportano forse l'ammissione in lui di una fenomenologia tutta psichica e spirituale (ed anche profondamente lirica) che non è mai stata affrontata crucialmente dagli studi estetici. Sono piuttosto lontane le bonarie interpretazioni psicologiche del Finzi e del Bevilacqua, e quelle più suasive, ma pur sempre rapportate al puro visibilismo e ai valori particolaristici di Longhi e di Bottari. Né altri critici superano il racconto fattuale, o l'analisi schedativa (gli inglesi), o la colta problematicità.
La scoperta del vasto affresco nel refettorio del monastero di San Benedetto Po (1985), e la letteratura che si è accesa al riguardo preceduta dagli studi di Emilio Menegazzo (1959-60), hanno fornito molto materiale documentario, molte ipotesi raccordative sulle committenze ricevute dall'Allegri giovane, e una grande quantità di riferimenti, stilistici. E se l'affresco ritrovato a San Benedetto non convince la critica, alla visione evolutiva dell'arte del Correggio si aggiungono le intuizioni di Eugenio Battisti e la particolare predicazione di Eugenio Riccomini ( "il più grande dei nostri maestri, e ancora il più inafferrabile'), e gli studi recenti di Lucia Fornari. Manca però a tutt'oggi uno studio complessivo e coraggioso che rimetta ordine nel fenomeno del secondo rinascimento e che collochi giustamente il Correggio nel ruolo di colui, il solo, che abbia saputo raccogliere il palpitante messaggio della classicità tosco-romana (contro i limiti della quale premeva l'urgenza drammatica di Michelangelo) e, contemperandolo con i semi del naturalismo padano, lo abbia trasfigurato e trasmesso in plurima fecondità ai secoli successivi e all'ambito multiculturale europeo. Un ragguardevole contributo sta giungendo peraltro, in tal senso, dalla corposa serie di saggi di Maddalena Spagnolo.
Nel contesto di tale situazione questo breve e libero contributo ha prevalentemente l'obiettivo di stimolare le osservazioni sui modi espressivi e su taluni aspetti della personalità del grande pittore.

La "visibilità" del Correggio giovane

Antonio Allegri parte mantegnesco. E' ormai riconosciuta una sua formazione presso il maestro mantovano, il quale muore nel 1506. Se Antonio è presente nella bottega del Mantegna almeno dal 1503-4, tanto da diventarne fiduciario artistico e da continuarne la cappella funebre in Sant'Andrea, allora la supposta data di nascita (1489) calza davvero bene. Chi ha portato l'Allegri a Mantova? Già dal 1490 Isabella d'Este è sposa a Francesco Il Gonzaga ed è marchesa della città; la gentildonna è cugina e grande estimatrice di Nicolò da Correggio, col quale tiene costantemente incontri e rapporti culturali. Il tramite può essere decisamente sospettato, stanti alcuni altri elementi indiziari, come la presenza alla corte di Correggio di un Redentore del Mantegna e come la straordinaria cultura umanistica di Nicolò stesso, poeta, uomo di teatro, costumista, e "maestro di delizie". Pochi anni dopo il matrimonio Isabella comincia quella celebre manovra artistica nazionale che è il programma-committenza dell'arredo pittorico del suo studiolo; vi coinvolge gli interi spazi della cultura rinascimentale italiana e chiama i pittori più in fama a collaborarvi. Tra questi il Mantegna, che è costretto a scostarsi dal suo durissimo archeologismo eroico e ad affrontare temi allegorici con sciolti modi compositivi e con morbido fare cromatico. Egli alla sua marchesa consegna Il Parnaso nel 1497 e Minerva che scaccia i Vizi dal giardino della Virtù intorno al 1504.
Dal Mantegna, suo maestro di bottega e forse suo ospitante, il giovane Correggio assorbe con impegno sistematico la sapienza classica e la ferrata impostazione prospettica: due elementi di formidabile struttura formativa che resteranno basilari nella personalità del "pittore della grazia". Meno importante per lui il segno del contorno incisivo, costruttivo ma clausolante, che Mantegna coltiva come nerbo della definizione visiva di ciascun elemento della composizione, nel primo piano e nei piani lontani. Antonio, di pasta padana e non nordica, non raccoglie, e si tiene ben dentro all'approccio sensista con la luce (lo spessore della luce) e i "perdimenti" delle lontananze. Comprende che questo è l'unico modo per dipingere secondo i rinascimentali insegnamenti della natura, rerum magna parens, e si adoprerà ben presto per introiettare il sublime Leonardo, il quale a Milano aveva gran dimestichezza con Nicolò per le feste di corte, e che aveva appena compiuto (1502-3) un emozionante passaggio nella città dei Gonzaga per disegnarvi il volto di Isabella.
Piuttosto il nostro emiliano osserva di Mantegna alcune capacità decisamente più avanzate rispetto alla ortogonalità compositiva dei toscani: la capacità di muovere il raggio visuale verso l'alto, con fermezza e continuità, realizzando dal sottinsù l'intero ciclo dei Trionfi di Cesare (1480-95, oggi a Hampton Court) o la grande pala della Madonna della Vittona (1496, oggi al Louvre), e addirittura di puntarlo, con una rotazione nuova, direttamente verso lo zenit, su al centro della volta della Camera Picta (la cosiddetta "Camera degli Sposi") per vedere esattamente dal di sotto una realtà fisicamente soprastante e totalmente scorciata. Lo scorcio impressiona il Correggio: egli vede nella stanza da letto del maestro il Cristo morto, ivi conservato per l'intensa quasi sovrumana devozione del medesimo; studia le tempere del Muzio Scevola e del Sansone e Dalila, il giro di teste dei cherubini della Madonna col Bambino (ora a Brera), imitando e disegnando, riprovando sul vero, e certamente concludendo ancora - con scelta d'esperienza più che d'intelletto - che il reale prevalga comunque sul prototipo convenzionato.
Ma la lezione che può aver lasciato maggior impronta sul Correggio da parte di Mantegna è stata quella di saper considerare lo spazio come un medium di invito dinamico, in cui l'azione scorra, mossa cineticamente dalla vita dei personaggi (si leggano ancora i due dipinti per lo studiolo di Isabella, già citati); e di considerare infine lo spazio come un unicum - un solo, complessivo àmbito in cui il pittore, quando immagina, e il fruitore, quando osserva, sono come immersi - nel quale si possa ruotare liberamente (e ci si riporti alla geniale, complessiva composizione della Camera Picta): insomma la lezione fondamentale consiste propriamente in quel guardare per circuitum che diventerà dopo non molti anni il carattere distintivo e innovativo, in termini totali, della "visibilità" correggesca.
Cosicchè quel vedere sferico, quel muoversi oculare verso l'alto, senza sforzo e con perfetta immedesimazione spaziale, cominciano subito nel giovane Antonio, sin dalla cappella in Sant'Andrea a Mantova, ove viene sepolto il venerato autore dei Trionfi.

Fig 1 - Madonna col Bambino i Santi Francesco e Quirino. Affresco trasportato su tela, cm 112 x 94 (1507-11). Modena, Galleria Estense. (Foto Manzotti).
E' tradizione che l'affresco sia stato eseguito per l'antica chiesa di San Quirino, annessa al castello dei da Correggio. In occasione dell'abbattimento di detta chiesa, nel 1514, il dipinto venne salvato con l'intero pezzo di muro retrostante, e portato in Santa Maria della Misericordia. Le successive vicende lo hanno collocato presso la Galleria Estense, trasferito su tela, dove attualmente giace nei depositi. Si tratta di una delle prime opere documentate dell'Allegri, eseguita forse nel 1507, come suggerisce il Quintavalle, e rifinita nel 1511 secondo la data che appare in basso a destra. Risulta evidente il momento mantegnesco del giovane pittore, sottolineato da una notevole libertà e freschezza. Non compaiono i vincoli architettonici: la Madonna e i Santi conversano spontaneamente in un giardino signorile, presso una siepe di cedri, mentre i conigli mimano un incontro effusivo. L'opera è molto legata alla città natale. Il giardino è probabilmente quello dei Conti; i due santi sono i più amati dai correggesi; e San Quirino, di cui la dinastia locale sta rinnovando il culto, regge una esplicita dedicatio urbis, ovvero l'immagine della città offertagli in protezione. Quest'ultimo elemento, oltre ad essere un prezioso documento urbanistico, ci tramanda il segno della ascesa di Correggio al ruolo di vera piccola capitale. Si auspica che l'affresco possa essere di nuovo conservato a Correggio, nelle sale nobili dei Palazzo dei Principi, ossia nel Museo-Pinacoteca.

Fig. 2 - Madonna con il Bambino e San Giovannino. Olio su tavoletta di legno, cm 48 x 37 (1516). Madrid, Museo del Prado. (Foto Manzotti).
E' una delle numerose piccole immagini sacre, redatte per la devozione domestica di talune famiglie, che il Correggio ha costantemente eseguito durante la sua vita professionale. La datazione viene proposta presuntivamente da alcuni studiosi, rilevandosi notevoli assonanze leonardesche. Lo straordinario naturalismo della figurazione, ove i personaggi appaiono senza aureola e la Madonna in vesti dimesse, viene riscattato al medium culturale del pieno rinascimento da quel sandalo, operato mirabilmente, che costituisce l'indizio del già conosciuto clima romano.

Fig. 3 -"Noli me tangere". Tavola riportata su tela, cm 30 x 103 1520 circa). Madrid, Museo del Prado. (Foto Manzotti).
La bellissima scena nella quale si vede l'episodio susseguente alla Resurrezione, quando il Cristo appare alla Maddalena ordinandole però di non toccarlo, è impaginata dal Correggio in modo magistrale. L'equilibrio del rinascimento, che vuole il rispetto degli assi verticale e orizzontale del dipinto, è mantenuto sul piano geometrico ma è risolto in modo dinamico. Il fascino di quest'opera indimenticabile è affidato alla vivezza dei tre colori fondamentali in primo piano (il rosso, il giallo-oro e il blu) ma anche alla forza avvolgente del verde della natura. Le figure sono profondamente legate al paesaggio: il terzo polo spaziale, insieme alle due teste, è infatti l'emergenza montana, nella quale non è difficile riconoscere il profilo della Pietra di Bismantova. Al sontuoso vestito della Maddalena fanno riscontro, sulla destra in basso, gli umili attrezzi dell'antico lavoro contadino: così il "pittore di Lombardia" sa coniugare i prelievi dal mondo delle corti con le annotazioni più vere dell'umile cultura materiale.

Fig. 4 - La visione di San Giovanni Evangelista. Affreschi della cupola della chiesa benedettina di San Giovanni, in Parma (1520 - 1524). (Foto Manzotti).
La fama che Antonio Allegri si era conquistato con i lavori per il monastero di San Benedetto Po, e con la sorprendente decorazione dello studiolo per la Badessa Giovanna Piacenza (la Camera di San Paolo), gli ottenne nel 1520 il prestigioso incarico di predisporre l'intera decorazione ad affresco della Basilica abbaziale di San Giovanni. E fu nella cupola che il Correggio superò l'intera tradizione iconografica e visuale della pittura italiana immaginando un rapporto diretto dell'umano spettatore con i cieli aperti. E' con divino sbalordimento che noi - insieme a San Giovanni morente, nascosto sotto le nubi - vediamo Cristo stesso scendere dall'empireo, accompagnato dai cori angelici e attorniato dalla corona possente degli altri apostoli, nudi e giganteschi come gli eroi biblici di Michelangelo. Fu con questa cupola ("miracol d'arte sanza esempio") che la storia dell'arte prese un nuovo avvio per i secoli venturi.

Fig. 5 - Martirio di quattro Santi. Olio su tela, cm 158 x 184 (1524-26). Parma, Galleria Nazionale. (Foto Manzotti).
La tela, che fu eseguita per la Cappella Dei Bono nella chiesa di San Giovanni Evangelista, a Parma, rappresenta il martirio dei santi Placido, Flavia, Eutichio e Vittorino. I corpi di questi ultimi due sono già decapitati, sulla destra, La complessità compositiva del tema ha spinto il Correggio a concepire un racconto a lunghe curve ansate, partendo dal carnefice quasi fuori campo che porta via una testa, e seguendo le varie figure fino all'angelo incoronante. Si percorre così tutto il dipinto, partecipando agli eventi e alle relative commozioni, in uno spazio moltiplicato e ricchissimo di invenzioni pittoriche.

Fig. 6-7 - L'assunzione della Vergine. Affreschi della cupola dei Duomo di Parma (1526-1530). Veduta generale, e particolare con autoritratto. (Foto Manzotti).
Il supremo e innovativo magistero del Correggio nel cuore del rinascimento italiano si realizza nel paradisiaco affresco della cupola del Duomo di Parma, sul tema dell'assunzione della Vergine. Il riguardante, ovvero ciascuno di noi che salga la scalinata del presbiterio e si volga verso l'alto, viene pensato come chi si trovi all'interno del sepolcro della Madonna appena depostavi, e si accorga del fatto prodigioso dell'aprirsi improvviso dei cieli e del formarsi del turbine degli angeli che rapiscono in vortice Maria vivente. L'Assunzione è l'evento conclusivo del ciclo d'amore della Sacra Famiglia, dogma sentito intensamente dalla pietas del popolo cristiano, atto mistico rappresentato con attori e figure proprio nel Duomo di Parma fin dal medioevo; ma, nel momento in cui lavora il Correggio, è anche il discrimine di fede tra l'ortodossia cattolica e il protestantesimo, tra la verità della tradizione apostolica e la libera interpretazione dei testi sacri proposta sprezzantemente da Lutero. Antonio Allegri è l'altro Michelangelo che in quell'altra Roma che è Parma statuisce la confessione cattolica come il "possesso per sempre" della Chiesa universale. In un immenso osanna angelico la Vergine sale all'incontro col Figlio, là al sommo del Paradiso, accompagnata dai santi, dai patriarchi, dai profeti, e dal mirare sereno del volto dell'artista: egli, Antonio, circonfuso di luce.

Fig. 8 - Giove ed Io. Olio su tela, cm 163 x 74 (1531 circa). Vienna. Kunsthistorische Museum (Foto Manzotti).
Dopo i lunghi anni parmensi Antonio Allegri si ritira nella città natale, probabilmente nell'inverno del 1530, per un periodo non ipotizzabile sul piano degli intenti. Di fatto resterà a Correggio sino alla repentina morte, che lo coglierà quarantacinquenne nel 1534. Nella sua piccola casa-studio, in Borgovecchio, creerà la serie stupenda degli Amori di Giove, i cui soggetti gli sono richiesti da Federico II Gonzaga, duca di Mantova.
La serie delle quattro tele costituisce il più sublime canto di ogni tempo sulla bellezza e sulla dolcezza dell'amore umano, nobilitato nell'empito divino-mitologico.
Indimenticabili gli episodi di Leda, visitata da Giove sotto forma di cigno, e di Io, cinta nell'amplesso della nuvola in cui si cela l'olimpico amante. Questo dipinto verticale è compositivamente concentrato sul corpo nudo della fanciulla d'Argo, sdutto nello stupendo equilibrio tra ardore ed abbandono, ove la scelta di un chiasma meravigliosamente difficile non prevale sulla totale pervasione amorosa dei sensi e dell'anima. Forse davvero nelle ultime opere della sua vita il Correggio trasfuse la sua piena esperienza di uomo, nella vicinanza tranquilla della sua giovane sposa.

Nel turbine della maniera grande

Le opere fiorentine del giovane Leonardo, prima della sua lunga emigrazione a Milano (1482-1499), avevano dato un impulso fortissimo al superamento della linearità idealistica e del "disegno colorato" che erano state le costanti del Quattrocento toscano. Michelangelo aveva raccolto quelle istanze in una versione energetica e spazialmente unitaria, cosicché aveva preso avvio - utilizzando il deposito albertiano e la nuova visione architettonica bramantesca - quello che oggi noi chiamiamo il "secondo rinascimento", ovvero una stagione delle arti, eticamente elevatissima, collocata nei primi trent'anni del XVI secolo. Ne furono coinvolte non soltanto Firenze, tesa fra le ultime glorie repubblicane e l'egemonia medicea; e non soltanto Roma, con i memorabili pontificati di Giulio Il e Leone X; ma tutte le corti italiane, Venezia compresa, in un eccitatissimo cantiere di ampliamenti urbani, di edificazioni monumentali, di cicli pittorici, sculture, medaglie, ritratti, arredi, costumi. Le tipologie della "città ideale", del "palazzo italiano", della nuova basilica cristiana, della piazza come sito perfetto e significante, della statua memoriale, della villa e del giardino come mondi concettuali totalizzanti, dello "studiolo" e della "stufetta" come corredi ideali dei ceto signorile, delle collezioni d'antichità, sono rivelatrici della temperie intellettuale nella quale - pur fra guerre e carestie - si mosse meravigliosamente la civiltà italiana.
Una stagione di giganti, sotto il profilo dei protagonisti, viene chiamato questo piccolo gruppo di decenni. Nelle colonne dei confronti cronologici cerchiamo di darne un abbozzo, avvertendo che la nostra maggior attenzione si rivolge ai primi vent'anni del Cinquecento, nei quali avviene la formazione definitiva dell' eccezionale personalità del Correggio.
Per maniera grande viene inteso, in termini coevi, quel modo solenne e acculturato di affrontare la figurazione nei termini della pienezza classica (composizione intellettuale) e naturalistica (mimesi tipologica e cromatico chiaroscurale). Vi si comprendeva anche il superamento della frammentazione presentativa, e dunque la capacità di impaginare "sinfonicamente" alti assunti tematici su vaste superfici.
Il compito richiedeva forti doti culturali; padronanza delle concettualità sovrastoriche (teologiche, bibliche, mitologiche, letterarie, morali) con i conseguenti intrecci speculativi; preparazione ferratissima nel disegno, nella anatomia, nella costumistica, nello studio delle molte. fonti dell'antico, nella riproduzione del vero sull'intero cosmo delle forme, nel colore, nell'ombreggiatura, nella prospettiva e negli ordini architettonici; infine la grazia geniale di tradurre le idee nella figurazione comprensiva, coinvolgente "in ordine" tutte le parti e le superfici di un ambiente secondo un pensiero.
In altre parole il ruolo dell'artista era quello di realizzare la compositio visibile, dalla intentio del committente, e dalla dispositio umanistica di alcuni consiglieri pensatori. Compito e ruolo più che difficili, di fatto attingibili soltanto dai pochi supremi personaggi che hanno dato i capolavori della "stagione" di cui abbiamo appena parlato, e che hanno reso il Rinascimento italiano un fenomeno storicamente imparagonabile. Intorno ai "giganti" dai nomi ben noti si muovono tuttavia molti artisti eccellenti, con apporti, interferenze, inquietudini, invenzioni che rendono il cantiere della maniera grande quantomai frenetico e complesso. Gli spostamenti geografici, gli inseguimenti e le parziali anticipazioni stilistiche, le visite tra le città, le "informazioni" attraverso i taccuini disegnati, le stampe, le descrizioni orali e scritte fanno dell'Italia primo-cinquecentesca un alveare turbinoso di emulazioni ad altissimo livello. Ancor oggi la critica non riesce a risistemare tutto, e occorre riconoscere più il fatto di un groviglio di personalità che non soltanto l'olimpico magistero discendente dei "divini" Leonardo, Raffaello, Michelangelo. A maggior ragione se si pensa che le committenze romane di importanza universale furono ben poche, tutto sommato. Dunque in molti luoghi e modi ruscellò il secondo rinascimento.
Abbiamo già rilevato che a Mantova Antonio non diventa mai definitivamente "mantegnesco"; possiede a monte una visione artistica più fluida e sensista; conserva così, anche a fianco dell'enorme sicurezza incisiva del caposcuola, il suo disegno mosso, avvolgente (si vedano le sinopie del pronao di Sant'Andrea), la sua tendenza a slittare "imprecisamente" nello spazio, a spargere presentimenti sul nascosto. Piuttosto apre con fervore il proprio carattere ricettivo, già dotato degli stimoli di cui si parlava, alla inimmaginabile cultura - archeologica, umanistica, formale, ed anco architettonica, prospettica, anatomica - dell'autore dei Trionfi. S'imbeve della sapienza del Mantegna, della sua formidabile capacità di impostazione dei temi, del suo naturalismo magico, della eccezionale tecnica coloristica: e tesaurizza con cura.
Un'altra annotazione va fatta sul piano territoriale. In passato il percorso Correggio-Mantova ha sempre avuto come punto obbligante di transito San Benedetto: per ragioni geo-fluviali (di navigazione interna, di passaggio alla sponda mantovana) e per ragioni geo-sociali di tappa e alloggio (le "vie" erano quelle dei castelli, o dei monasteri). La grande abbazia di Polirone offriva una notevole organizzazione ricettiva per i viaggiatori e un rimarchevole "luogo d'incontro", anche culturale, per quel mondo inesausto di itineranti che nei secoli addietro comprendeva diplomatici, ecclesiastici, militari, mercanti, artisti, nobili e pellegrini. Il contatto con i benedettini è dunque molto precoce per Antonio Allegri, di animo religioso, e volto a ricercare la radice del timere Deum, così come desideroso di cogliere ogni occasione di contatto sociale, di istruzione, di apprendimento di novità. Qui si lega alla universale famiglia dei figli di San Benedetto; qui conoscerà ben presto Gregorio Cortese, che vi professa i voti nel 1507.
Infine un'osservazione sulla "cultura di corte", intendendo per questa la reminiscenza del decorativismo particolaristico tardo-gotico entro l'avanzato rinascimento: reminiscenza che ancora è presente nelle personalità di Nicolò e di Isabella, innicchiata negli allegorismi degli attributi, delle "imprese", dei dettati attraverso le cose (rebus) ricercate e "mirabili". Il Correggio pare non porvi interesse, avendo già lo sguardo mirato all'umanesimo più pieno, e tuttavia le concede alcune allusioni minori, apparentemente rilasciate con levità ma pregne di fascino e testimonianza: il sandalo stupefacente della Madonna col Bambino e San Giovannino del Prado, oppure - più tardi - il petaso e i talari di Mercurio nell'Educazione d'Amore, o la faretra nell'Antiope. Sono rivelazioni di un assunto culturale che - al di qua delle estreme e più rigide concessioni ad Isabella nella Allegoria della Virtù - registrano l'attenzione del Nostro ad un patrimonio ben vivo ai tempi della sua giovinezza e passibile di essere ricreato, in termini balenanti, nei nuovi contesti della mitologia umanizzata. L'oro fuso darà barbagli lungo l'opera pittorica del Correggio in dettagli oggettuali sempre incantevoli e insieme ai vestimenti, alla natura, alle pietre, dimostrerà una cultura formale di rango eccelso.


Ma le considerazioni intorno ad alcuni connettivi della formazione giovanile non possono trattenere ormai dall'impatto con il problema critico più a lungo angustiante circa la presenza del Correggio nella Storia dell'Arte. Uscì mai di Lombardia? Mai secondo il Vasari. Mai secondo l'amorosa gelosia provinciale che ne custodì la memoria per secoli. Oggi l'esegesi degli studiosi concorda sul famoso "viaggio a Roma" ipotizzato nel 1518, che avrebbe adeguato l'arte dell'Allegri al rinascimento, e vi aggiunge la proposta del Gould su di un soggiorno romano nel 1513. Curiosa l'eccezione di Carlo Pedretti, nella prefazione del libro di Pier Paolo Mendogni "Il Correggio a Parma" (1989), ma orientata verso una conoscenza dal settentrione della "maniera grande". E' tempo, a nostro parere, di prendere in mano i risultati del Correggio, ovvero la qualità complessiva delle sue opere, e di eseguirne - per così dire - l'analisi scientifica. Come sempre i risultati sono il prodotto dei fattori, e senza di questi non sarebbero possibili. Dalle opere, dunque, dobbiamo trarre i costitutivi - conoscitivi e qualitativi - superando il quesito del vincolo territoriale; d'altra parte i rimandi e i legami che i vari studiosi dichiarano tra i dipinti del Correggio e le opere di molti maestri coevi sono, a censirli nell'ultima vasta bibliografia, pressoché innumerevoli.
Nel turbine della maniera grande dobbiamo gettarci anche noi, rischiando al di fuori dei documenti. Prima del 1503 Antonio Allegri conosce la pittura ferrarese e si sofferma sui modi del Panetti e del Garofalo (il quale nel 1500-1501 era stato quindici mesi a Roma); conosce la pittura di Lorenzo Costa e di Leonardo, cogliendo intense suggestioni da quest'ultimo. Studia il clima letterario- iconografico di Firenze e si strumenta sull'emblematica figurale pagana. Giunge presso il Mantegna per un completamento di formazione, più che per un vero alunnato, tanto che è ammissibile pensare che il maestro l'abbia accettato piuttosto come aiuto che come allievo. Non rimane a Mantova per intere annate, ma viaggia periodicamente per l'Emilia, la Lombardia (Bergamo, Cremona, Milano), il Veneto (Venezia, Castelfranco) e probabilmente il Friuli.
A Reggio frequenta il Cesariano, a Correggio si incontra col Rossetti; studia il De Divina Proportione di Luca Pacioli (1498), illustrato da Leonardo; visita le fabbriche settentrionali di Bramante: si forma così ad una padronanza architettonica e spaziale di primissimo ordine. Nel 1510 è probabilmente una prima volta a Roma: si orienta sull'antico, raccoglie numerosi appunti; osserva l'incipiente clima dei nuovi modi. Ha modo di avvicinare il reggiano Zacchetti e il Lotto; soprattutto può ragionare d'arte e di composizione. Il Cortese si convince così che sarà "un futuro Parrasio ", ma la traduzione dell'ormai famoso passo dovrebbe essere "il futuro Parrasio ", giacché soltanto in tal modo assume senso. E il Cortese l'ha certamente confrontato con la nuova maniera romana, senza il paragone con la quale non avrebbe avuto origine l'apprezzamento stesso. Volendo poi divagare sulla scelta dei nomi (Apelle per Raffaello, Parrasio per Antonio Allegri) si potrà ricordare che l'umanista conosceva certamente Apelle come pittore ellenistico, e Parrasio come il pittore classico dell'età di Socrate e Platone, famoso per l'invenzione della simmetria (il distintivo che sarà rinascimentale per eccellenza) e per il raffinato modo di trattare i capelli!!

Il Correggio elabora progressivamente la propria maturità. Intanto s'affacciano i primi elementi classici nei suoi dipinti (la colonna eolica al centro della Natività di Brera), e continua il giro delle raccolte stilistiche, già registrate dai critici, ovvero dal Dosso (Ferrara) e dall'Aspertini (Bologna). Forse a Roma lavora nell'equipe della Farnesina, come voleva il Battisti, e compila molti taccuini. Bramante, Michelangelo e Raffaello iniziano i loro lavori "nuovi", ma egli non compie scelte stilistiche sull'uno o sull'altro, quasi attendendo gli sviluppi dei secondo rinascimento. Intanto si lega sempre più con la famiglia dei Benedettini, i quali gli offriranno costantemente punti d'alloggio, appoggi culturali e committenze davvero rilevanti. Nel 1513 Gregorio Cortese stringe da vicino Raffaello per l'esecuzione della pala dell'altar maggiore destinata alla chiesa benedettina di San Sisto, a Piacenza (la celeberrima Madonna Sistina, ora a Dresda), e perché l'urbinate venga al cenobio di Polirone ad affrescare la parete frontale del refettorio. Ottiene il dipinto mobile e lo porta a Piacenza insieme con il "suo" giovane pittore. E' stato notato (Spinelli) come la coppia degli angeli nella cimasa della "Sistina", tuttora in situ, corrisponda alla coppia affrescata degli angeli nel refettorio di Polirone, ed anche a quella della pala bergamasca di San Bariolomeo, di Lorenzo Lotto (1516). Emerge così l'intreccio di scambi dei momento romano tra il 1512 e il 1513, che coinvolge Raffaello, il Correggio, il Lotto, e gli altri pittori dei cantieri vaticani e chigiani. Il legame col Lotto è rimarcato spesso da diversi critici, anche attraverso la risalita geografica dell'Italia, durante la quale il Cortese e il Correggio si soffermano in Toscana e di nuovo in Lombardia (primavera 1514) per "rivedere" Leonardo. L'aria finissima che lega la Madonna di San Francesco del Correggio (1514-15) e le pale bergamasche del Lotto (1516 in poi) non si può certamente negare, né disgiungere dagli apparati compositivi (Riccomini).
Dunque il Correggio è tutt'altro che il provinciale fermo e trattenuto, trepidamente pronto ad istruirsi su qualche disegno di seconda mano che fosse passato per l'Emilia. Si può dire che egli sia sempre in scena, che non perda una sola battuta del dialogo fra tutti gli artisti italiani sin dal primo decennio del cinquecento. Si pone, in tal contesto, il misterioso confronto tra la piccolissima tavoletta correggesca (cm 20 x 16,3) della Madonna col Bambino e Angeli, ora agli Uffizi, da tutti i critici datata precocemente, tra il 1507 e il 1512, ma ultimamente assegnata al 1511 (Ercoli), e la piccola tavoletta raffaellesca (cm 40x30) con la Visione di Ezechiele, anch'essa agli Uffizi, commissionata nel 1511, ambedue su fondo di "lume d'oro": una sorprendente singolarità nel contesto dell'imperante naturalismo e una sorprendente coincidenza di scelta mistica, la cui idea scaturisce pressappoco nel medesimo anno.


Il 1514 è un anno molto importante per l'Allegri: diventa maggiorenne, riceve la committenza per le portelle dell'organo nella chiesa abbaziale del celebre monastero di Polirone, e - in patria - viene incaricato di realizzare una pala vera e propria, di dimensione e di carattere trionfale, per il famedio dei Conti di Correggio, la chiesa più amata della piccola città: San Francesco. La Madonna di San Francesco(ora a Dresda) dimostra lo splendente signoreggiare di tutto il verbo del pieno rinascimento da parte del Correggio. Il coevo Commiato di Cristo dalla Madre pare proprio ricordare i nuovi chiostri in costruzione a San Benedetto, per i quali il Cortese si opponeva alle forme gotiche e imponeva le colonnine classiche (Piva). E' giusto sottolineare la maturazione prospettica e architettonica del giovane maestro, che s'accompagna alle mirabili capacità luministiche e cromatiche.
Seguono alcuni anni di ulteriori ricerche e prove. Pare che le induzioni leonardesche su quinte spaziali "indefinite" suggestionino il Nostro più che l'ovata cifra raffaellesca, e certamente l'umorosa officina lombarda lo attira per ragioni che potremmo chiamare genetiche, ossia per l'identità del linguaggio e del pensiero formale "aperto". Nel 1516 rifinisce la decorazione della Cappella del Mantegna in Sant'Andrea, da tempo lasciata. Nel 1517 osserva con attenzione la Susanna e i vecchioni del Lotto a Bergamo, ove ormai il dipinto "manca del centro", e risponderà con la propria Adorazione dei Magi, complessa prova tipologica-gestuale. Nel Duomo di Cremona si interessa vivamente alle libertà frescali dì Giovan Francesco Bembo e di Altobello Melone, che nella Fuga in Egitto libra in alto tre fluttuanti angiolotti: cose "di prim'ordine" secondo il Longhi, che vi vede già un superamento anticlassico. E qui, se vogliamo, il controcanto del Correggio sta nella stupenda Sacra Famiglia di Hampton Court e nella Madonna di Albinea, veri poemi di liricità padana che portano dritto alle solari meraviglie della Camera di San Paolo e del Noli Me Tangere del Prado.
L'Allegri è dunque un ricercatore e un viaggiatore instancabile: al termine dell'inverno e al termine della stagione degli affreschi regolarmente si mette in partenza per vedere e raccogliere, con una sistematicità e una tenacia che lasciano ammirati. Non v'è angolo dell'Italia artistica dal quale egli non abbia tratto argomenti.
Tra la tarda primavera e l'autunno del 1518 gli dobbiamo assegnare un lungo e imprescindibile itinerario che inanella il Veneto, Roma e la Toscana. L'eco della collocazione dell'Assunta di Tiziano era già stato preceduto dalla fama dell'autore, ed anche dalla disputa sulla gran tavola prima della sua sistemazione sopra l'altar maggiore dei Frari. Antonio diligentemente si pone in viaggio; le sue tappe sono presso gli amicali monasteri benedettini, e a Padova, presso l'abbazia madre di Santa Giustina considera la fresca pala del Romanino con occhio selettivo; la parlata viva di questo arruffatore della pittura gli interessa certamente, ma ormai la mira è per i fuochi più alti dell'arte italiana. Tiziano gli appare sfolgorante: la potenza delle forme corporee, la gestualità sensuata ed innica, l'epistrofe ascensionale di Maria che tutto coinvolge nella gloria dell'incontro col Padre, la cromia densa nelle vesti e crisofanica nei cieli, il turbine dei cherubini che sforano luminosi l'empireo. Sì, contrae un debito memorabile di "maniera grande" ed ha gran viatico per un ultimo controllo. A Roma sa che sono completate le Stanze, e che le Logge Vaticane sono diventate l'antologia assoluta della nuova cultura artistica dopo il fervore dei celebri ritrovamenti archeologici sotto la guida di Raffaello. Si riporta a Roma per verificare il dibattito culturale; per mettere ancora a punto lo stato delle arti; per trovare la fabbrica di San Pietro avanzata e per aggiornarsi sulle mirabili idee architettoniche del tempo leonino (San Giovanni dei Fiorentini, la Cappella Chigi); per vedere i marmi di Michelangelo, che accolgono e respingono l'intero dato dello spazio; infine per accedere all'ultimo collezionismo, fonte indispensabile di pienezza di conoscenza e chiave d'accesso alle speculazioni umanistico-mitologiche che si diffondono in tutti i cenacoli intellettuali.


Dopo Roma risale la Toscana; si ferma a Siena, dove può rendersi conto di quelle certe "invenzioni" di Domenico Beccafumi che gli erano state segnalate; qui può vedere di persona il gruppo antico delle Tre Grazie che Enea Silvio Piccolomini aveva posto, con cólto gesto antiquariale, al centro della sua mirifica biblioteca. Del Beccafumi terrà conto nella Adorazione dei Magi (Quintavalle), che abbiamo già ricordato, e delle greche marmoree Grazie farà tesoro per lo studiolo della Badessa Giana. Ripassa per Firenze e a Bologna rivisita la Pala di Santa Cecilia, di Raffaello, giunta in San Giovanni in Monte due anni prima.
Nel 1519 il Correggio dipinge la Camera di San Paolo, a Parma. Con tale capolavoro incipit esse suus, "inizia ad essere se stesso" come dicevano gli antichi. Dopo il lungo tirocinio autodiretto, e dopo l'ininterrotta presenza in tutte le sedi di forgiatura della "maniera grande italiana", egli è ora Maestro! Sarà totalmente indispensabile al Pordenone (Sgarbi), alla pittura diurna e notturna del Savoldo e dei lombardi (Riccomini), ma soprattutto sarà maestro supremo all'intera arte europea dei secoli venienti.

Il colore e lo spazio del Correggio

Dell'ammirazione che hanno suscitato, e che suscitano, i colori del Correggio hanno scritto e parlato in molti. Sono uno degli elementi qualificanti della grandezza dell'artista, tanto smaglianti quanto trasmissori d'estasi: un paradiso di per sé soli, a prescindere dai soggetti. Già gli episodi diurni e quelli umbratili di molte tele e tavole investono il riguardante di infinita gioia; quelli notturni, novissima invenzione, sconvolgono per meravigliosa incessante magia di prensilità e di stupore. Non possiamo ripetere e riportare i testi dei molti adoratori del Correggio in questo senso: potremmo semplicemente indurre in ogni persona la certezza che il vedere la Notte meriti il lungo viaggio a Dresda, e che il fermarsi davanti all'Orazione nell'Orto renda ben spesa una intera mattina alla Apsley House di Londra.
Sul colore del Correggio ci bastano due note. Una proviene dalla viva testimonianza di Renato Pasqui, raccolta da chi scrive. Il famoso restauratore ammise un giorno un gruppetto di correggesi sulle impalcature della cupola del Duomo di Parma. Con accenti commossi, dopo anni di solitudine sui ponteggi, Pasqui ci disse: "siete di Correggio! ebbene sappiate che la vostra città è la patria del più grande pittore del mondo; ho restaurato capolavori di molti maestri, ma nessuno ha mai dipinto come lui! vedete? (e ci mostrava l'esecuzione delle figure a fresco) egli partiva dalla luce, contrariamente a tutti gli altri; egli lavorava sulla luce e ombreggiava tratteggiando a incrocio con i violetti e con gli ambrati". Sì, Antonio aveva trovato quel modo di stendere a tutta luce la prima impaginazione generale, a differenza della tecnica di sempre, che comporta il lumeggiare progressivo e sovrapposto. E questo che incanta, guardando i dipinti e le cupole. La seconda nota viene da un altro tecnico, il quale pure ebbe a che fare vis-a-vis con il Correggio: il fotografo parmense Bruno Vaghi. Quel grande occhio indagatore e inseguitore aveva compreso - tra l'altro - l'impossibilità del fermarsi della macchina fotografica a riprendere le calotte sferiche affrescate dal Nostro. Studiando la Camera di San Paolo per il libro del Longhi (1956) Bruno Vaghi ispezionò la conservatissima pittura del Correggio sino alla più estrema minuzia del tocco, tra granulo e granulo dell'intonaco; scoprì in questo modo la strabiliante tessitura del monocromato correggesco e decise quelle riprese delle lunette su lastra, sino al particolare estremo portato ad ampia latitudine, che rimangono a tutt'oggi uniche, magistrali, memorabili. Lì, si coglie il dipingere del Correggio - soltanto lì, nelle riproduzioni genialmente pilotate dal Vaghi ed eseguite nel volume genovese del 1956 (Roberto Longhi, Correggio, La Camera di San Paolo). Quello che anche in titolate edizioni (1989, 1990) appare come un uniforme brunaccio, quello che alla vista naturale - nella Camera - si deliba come un fuso marmoreo incarnato, lì si rivela per la gamma dissociata dei costitutivi, liquidi, sciolti: sono le biacche, i perlacei, i violetti, i cilestrini, gli aurati, i verdaranci; le liste leggere dei bruni manganese; le velature gocciolate, aurorali, dei gialli, dei rosati; i fremiti dell'indaco.
Ogni monocromo delle lunette è bioccolato di colori e colori, punti di tocco breve, embricati e interrotti, giocati di macchie lievi e più forti con un frenetico - si direbbe - mutar di pennello dal mazzo che Antonio teneva fra le dita; e sempre la virgola dei pigmento, incrociandosi tra le sorelle scivola nel fluire che determina il cadere del vestimento, l'ondulare dei capelli, la polpa carnosa di un arto o il volgere del capo; sempre l'intera figura vive nella propria unità fisiologica per la forza della sola costruzione cromatica. Si focalizzino, con animo stupefatto, le grandi lastre particolareggiate del volto e della cornucopia della Fortuna, della testa sublime dell'Adone, o Apollo, delle mani della Giunone punita, e dell'incredibile frontone del tempio "greco" di Giove. Si avrà più che una misura, più che un parametro stilistico: una rivelazione piena, e non ancora autenticamente valutata. Così il Correggio, nel cuore del "finitissimo" rinascimento, realizza e conquista la piena e insuperabile modernità dell'indipendenza dei pigmenti e della loro divisa giustapposizione.


Non è possibile - vogliamo dirlo con forza - capire e leggere l'arte dell'Allegri senza aver chiarito in termini critici, e fino in fondo, il suo modo di tessere la pittura, ovvero l'intera apparizione figurativa. Quello che abbiamo detto per i monocromi della Camera della Badessa vale per i mille verdi del pergolato, per gli incarnati dei putti e della Diana (noterete che gli scuri dei capelli vengono realizzati "a trapano", come negli antichi marmi imperiali!), per i peltrici e rameici riflessi dell'instrumentum domesticum, sospeso tra le bende. E vale per le cupole gigantesche di San Giovanni e del Duomo, che oggi possiamo mirare soltanto da terra, ma che ben vedemmo dappresso. Poiché non è normalmente concesso analizzare e godere l'ordito esecutivo degli affreschi del Correggio con la vicinanza e le luci che Bruno Vaghi si dette, è doveroso, per chiunque voglia parlare del pittore, "passare" attraverso questo fotografo; tanto più oggi, che blasonate case editrici pubblicano il colore più bello del mondo - come dicemmo - brutalmente tradito. Doveroso omaggio a Vaghi, il quale - per l'antico ossequio alla sola maestà della parola - nel volume longhiano del 1956 non vide neppure pubblicato il suo nome.
Sul colore del Correggio non vogliamo aggiungere altro, come poco aggiungeremo sulla sua percezione spaziale. Quella formazione che procede lenta, sin verso i trent'anni, non maturava forse una risposta di "sintesi superante" alla nervata concettualità del rinascimento, tutta tesa alla regula e a far rientrare la licentia nella regola attraverso la sprezzatura, ma non oltre?
In termini rinascimentali (Bembo) si intendeva per sprezzatura la capacità di superare una notevole difficoltà figurativa-compositiva in modo apparentemente facile, e i riferimenti erano soprattutto ai vari tipi di scorcio. Noi crediamo che il Correggio abbia infine scelto e realizzato la sprezzatura totale nella nuova concezione spaziale della identità tra l'artista (il pensante esecutore della pittura), l'evento della figurazione, e il fruitore riguardante. Con le cupole parmensi evento e spazio divengono una cosa sola: è medesimo lo spazio interiore al dipinto e lo spazio fisico dell'osservatore. Dunque anche il tempo viene coinvolto, diventando esso stesso simultaneo e captante: compaiono veramente, qui ed ora, ai nostri occhi mortali rapiti nella gloria, i corpi e le cose divine. I nostri sensi sussultano, prima dell'intelletto, perché vediamo direttamente i cieli.
Questa è l'innovazione meravigliosa attuata dal Correggio dopo quel lungo guardare per circuitum, come ricordavamo, e dopo aver introiettato i dipinti naturalistici di Leonardo e l'epifania gaudiosa dell'Assunta di Tiziano, saliente con potenza al paradiso in una composizione del tutto libera da architetture.
Questo è il valore delle cupole. Ma non dimentichiamo che lo "spazio - tempo" comporta il movimento: è una acquisizione scientifica del tutto moderna che moto, tempo e spazio siano un solo totale fenomeno. Correggio unifica gli spazi e immedesima gli avvenimenti col moto: il moto della danza infrenata dei putti a San Paolo, il moto della discesa del Cristo a San Giovanni; il moto del vortice angelico che sale dalla navata all'empireo nel Duomo. Ecco la modernità: l'aver oltrepassato il cristallo tolemaico del pensiero rinascimentale, l'aver capito che non si dà spazio (somma di enti fisici) senza il moto ( vita degli enti). Così il Correggio pare prevedere, o possedere, la folgorante rivelazione (1987) del fisico contemporaneo Klaus Múller quando ha detto che lo spazio - tempo " ist das Material der Schópfung', è il materiale stesso della creazione.
Con tale materiale lavora Antonio Allegri, uomo dall'animo meditativo e "concavo": ma questi sono i risultati. Ai più alti livelli del rinascimento Raffaello si esprime dunque con un'arte illustrante, Michelangelo con un'arte dimostrante, il Correggio con un'arte attuante.

La cultura del Correggio

Il problema della cultura del Nostro non è piccolo. Ancora dovranno parlare le opere, e già la bibliografia offre indicazioni multiformi, quasi sbalorditive. Intanto ci sembra che una buona tesi di collegamento tra la spazialità del Correggio e la sua preparazione intellettuale sia quella della capacità di 'fare racconto" in talune opere particolari. Premesso che lo sperimentalismo (anche questa è dote moderna) non abbandona mai il continuo pervagare creativo del nostro pittore, e lo conduce a tralasci e a ritorni non consequenziali, annotiamo la novità del quadro "parlante" in almeno due opere famose: il Martirio dei Quattro Santi della Cappella Del Bono in San Giovanni a Parma (ora nella Galleria Nazionale della medesima città), databile al 1524-26, e la Leda, della serie degli "Amori di Giove" (ora alla Gemaldegalerie di Berlino), databile al 1531-32. In questi due dipinti - dal formato rettangolare a base più larga e dalle misure praticamente uguali - la proposta allegriana è quella di una vera e propria narrazione, con un incipit e un excipit che in entrambi i casi partono dall'estrema destra, a metà altezza, procedono con una linea curva o spiraliforme verso il centro, e salgono per concludersi ancora a destra, sovra il punto d'inizio. A dirlo con parole sembra che il "succedere" di fatti entro uno stesso dipinto sia una sorta di neo-medievalismo, ma nel Martirio il Correggio eleva ad altissima fusione l'esperienza eccezionale del San Paolo in cattedra (1519-20) del Beccafumi, che già il Longhi aveva indicato e che oggi la critica riconosce come il tentativo più avanzato di coniugare insieme Leonardo e Michelangelo alla fine del secondo decennio del cinquecento (Ciardi-Dupré). Probabilmente il Nostro compie ancora un intenzionale ritorno a Siena e si porta stilisticamente sulla prora più avanzata della composizione classico-manierista. Qui il ductus parte dal carnefice che trasporta via la prima testa staccata sul limite destro del dipinto (e occorre ringraziare il Mendogni che ha pubblicato la figura da una copia integra, eseguita antecedentemente alla riduzione dell'originale), per proseguire nel secondo corpo decapitato in angolo, in basso, e passare con lunga ellissi avvolgente alle braccia del decollatore che colpisce San Placido; poi scende ad innestarsi con la spada nel costato di Santa Flavia, risalendo nella subitanea estasi divina all'angelo glorificante, i cui piedi toccano il cielo e di nuovo il limite di partenza. Nella Leda, invece, l'evolvente è perfetta ed è concentrata nella parte a dritta del quadro. La figlia di Testio compare tre volte: in basso a destra ella viene arrembata dolcemente dal cigno mentre si bagna nel fiume; si schermisce interrogativamente, ma in lei subentra l'intuizione gioiosa che nel candido animale si nasconda il desiato amante; ed ecco che Leda, intrisa d'affetto, si alloga contro l'albero ombroso e accoglie trepidamente l'amato in un lungo silente fremore dei sensi; tutta la natura appare estatica, come mai uomo dipinse; e infine la fanciulla ancora in un trasporto d'amore, rivestendosi dopo l'abluzione, ringrazia e saluta l'ospite numinoso che lascia la scena volando.
La capacità di darci la molteplicità in unum è davvero più che moderna nel Correggio.


Un secondo dato di cultura, preso dall'osservazione delle opere, mi sembra quello delle forme materiali. Il Nostro dimostra, sin dagli anni giovanili, di procedere nel possesso sempre più esteso dei dati dell"'arredo" compositivo e dell'abbigliamento; per quest'ultimo spazia dai paludamenti ebraici e pagani sino alla contemporaneità più aggiornata e, nelle cupole e nelle ultime opere, giunge a risultati addirittura fuori dal tempo. Per 1'arredo può essere sufficiente suggerire la criticizzazione della somma di forme presa dall'instrumentum domesticum dell'età imperiale nel giro del fregio della Camera di San Paolo, laddove appaiono - possedute con estrema pienezza - le sagome esculte delle paterae, delle oinochòai, delle phialae, degli aquimanilia, delle lances, della secùrula che accompagna i cesellati argenta escaria et potoria della raffinatissima Badessa Giana. E' il segno di specifici studi e ricerche, di un apparato intellettuale che alla cultura materiale giunge attraverso una cultura archeologica di primissimo ordine, se tutto lo studiolo di Giovanna Piacenza si rivela - come hanno dimostrato il Longhi, il Panofsky, il Calvesi - una antologia di conoscenze sulla glittica romana antica (i cammei, le gemme, gli avori) e sulla monetazione della medesima epoca. Vi si aggiungano l'ammirevole tempio greco-italico della lunetta di Giove, e le are sacrificali del Genius e di Vesta, il disegno dei capitelli e delle membrature; inoltre la ripresa di questi elementi in modi più ampi nel fregio della chiesa di San Giovanni, e si vedrà che il Correggio archeologo è il ben degno continuatore del Mantegna, ma anche il pari-grado dei colleghi tosco-romani.


Qui si porrebbe allora un discorso opportuno sul Correggio architetto, ma rimandiamo alle indicazioni della cronologia e della bibliografia: si leggano con attenzione le opere del Popham, di Di Giampaolo-Muzzi, e dell'Adorni. Si sappia in ogni caso che la conoscenza degli "ordini", delle membrature, delle proporzioni, della tecnica costruttiva, dei problemi della luce in architettura, delle nuove forme concettuali del primo Cinquecento, sono cose ben certe nella produzione e negli atti di Antonio Allegri. Dalla frequenza con le opere dell'Alberti, del Fancelli, del Mantegna, a Mantova, passa alla vicinanza con il Rossetti a Ferrara e a Correggio, con il Cesariano (grande misuratore e teorico) a Reggio Emilia, con il Peruzzi a Carpi, e con i due 'fuochi" bramanteschi di Milano e di Roma. Le perizie richieste più volte al Correggio, i suoi numerosi disegni costruttivi e stilistici, la sapienza di dati edificatori presente nei suoi dipinti, non lasciano dubbi sulla cultura architettonica del pittore delle Grazie. Nella città natale è probabile che egli abbia contribuito alla sistemazione della chiesa di Santa Maria, e ad altre opere.

Dall'antico e dalla produzione letteraria tardo-medievale e umanistica il Correggio esunse, attraverso lunghi anni di studio, anche una conoscenza approfondita della classicità, che divenne in lui - artista operante con l'immagine - una smagliante cultura mitografica, posseduta con sicura freschezza di precisione iconica. Si spiega così come il trentenne pittore, non ancora impegnato in lavori sull'antico (ma ci manca un riferimento fondamentale alla Camera dei Filosofi, affrescata in una delle ville dei Signori da Correggio) abbia potuto affascinare nelle conversazioni e coi disegni la eruditissima ed esigentissima badessa Giovanna, in cerca di un vero e proprio exploit umanistico all'interno della sua stanza da ricevimento. Per dare un'idea di tale cultura diremo che gli studi del Panofsky coinvolgono nelle fonti della Camera di San Paolo i testi diretti di nove scrittori greci, di ventun scrittori latini, di quattro autori della patristica cristiana, e di ben trentanove letterati dell'umanesimo (commentatori dei testi greci e latini, oltreché rielaboratori delle storie mitologiche e "fabbricatori" della ierogliphica deorum). Per il medesimo affresco, sempre secondo il Panofsky, il pittore conobbe certamente oltre quaranta monete romane imperiali, con diverse varianti, e molte descrizioni dei collezionisti del rinascimento. Da notare il fatto che per le raffigurazioni di diverse lunette della Camera occorre risalire a testi, o monete, in versione rarissima, od unica.
Da questa mole di apparati potremmo scremare idealmente talune cose, ma rimarrebbe sempre intatta la forza creativa del Correggio a trasformare nel "fuoco" finale figurativo (inventio et compositio) una messe ricchissima di dati e di nessi mitologici come quella che abbiamo indicato, e alla quale il Calvesi aggiunge altri importanti riferimenti. In ogni caso dalla Camera di San Paolo - vista dal Mengs in poi come opera di stupenda, novella grecità - ricaviamo anche la conoscenza che l'Allegri ebbe di molte prove mitografiche fiorentine, umbro-romane, e raffaellesche.
Di Michelangelo il Correggio conobbe sicuramente il disegno della Leda: cosa non facile per chi non avesse praticato una costante attenzione a tutta la produzione coeva, anche a quella meno accessibile. Di Michelangelo, ridisegnato in libera copia, non accettò la sintesi e l'energia scultorea per l'evento sensuale del cigno, né volle imitarne l'amplesso rude; ma dalla diletta dimestichezza con l'animo greco, con la lingua greca, il Laetus pictor trasse invece la commovente, stupenda immagine della Danae che - verso l'atteso amante celeste, sentito nel rorido arrivo della pioggia d'oro - compie il dolcissimo gesto della charis, del dono della sposa allo sposo, scostando il velo dal grembo verginale. Charites era il nome greco delle Grazie, personificazioni dei doni della femminilità all'uomo, e dunque charis il più alto di tali doni, così precisato dall'intensa meditazione culturale del Correggio. Una meditazione che poteva esser partita - sarà bene qui ricordarlo - proprio dal lavoro letterario di Nicolò II da Correggio, il suo primo introduttore nel mondo delle arti, che - certamente sulla temperie dell'umanesimo fiorentino e dell'amico Lorenzo il Magnifico - già negli ultimi decenni del '400 aveva scritto le "fabulae" di Psyche e di Cefalo, ed aveva così proposto all'ambiente intellettuale europeo un indirizzo mitico-classico strettamente legato all'uso topologico e scenico. W. Stechow (1963) e John Shearman (1964) hanno rivelato significative concordanze tra l'impianto concettuale della Farnesina (la villa che il Peruzzi progettò nel 1511 e Raffaello decorò per Agostino Chigi nel 1517-18) e il "Palazzo d'Amore" ideato da Nicolò nella Psyche (1491?, apparsa a stampa nel 1510), con una successione di Iuoghi deputati" (logge, giardini), ciascuno dedicato a divinità e arredato simbolicamente in senso correlativo. Se Peruzzi (che poi verrà a Carpi) e Raffaello colgono cose precise dagli orditi culturali di Nicolò, è lecito pensare - anche per la strettissima correlazione tra la Farnesina e la Camera di San Paolo - che l'Allegri partecipasse, e ben presto, della medesima nutrizione di pensiero: tanto più che nelle lunette per Giovanna Piacenza compaiono definiti gli specula (naturale, fatale, dottrinale) della visione rinascimentale neoplatonica della realtà e dell'esistenza dell'uomo. Neoplatonismo che il Panofsky e il Quintavalle considerano "superato", dall'impostazione complessiva della Camera, la quale si ispirerebbe piuttosto a quel neoplotinismo (riscoperta e rivalutazione del pensiero di Plotino) che fu davvero l'ultimo grido dell'età d'oro del rinascimento italiano. Rimane da aggiungere che il recentissimo studio di Michele Frazzi ("La Camera Alchemica", quaderno n. 7 della Fondazione Il Correggio, 2004) svela l'intera trama alchimistica del complesso figurativo, e tanto basti per considerare il Correggio come un vero scrigno di studio e di erudizione.


Senonché la cultura del nostro Antonio non fu soltanto umanistico-classica (e si pensi ai nomi dei suoi quattro figli), bensì anche profondamente religiosa: cristiana e biblica. Anello tra i due versanti potè essere giustappunto quel Gregorio Cortese, benedettino e futuro cardinale che fu grecista e latinista insigne, ed insieme scrittore profondo di teologia, biblista esegetico di densa dottrina, studioso della patristica, autore di opere soteriologiche (attinenti alla salvezza dell'anima) fondamentali nel contesto della lacerazione spirituale del primo Cinquecento, quando avvenne lo strappo luterano e quando le polemiche sulla Grazia, sulla predestinazione, sul cultus Dei, sul ruolo di Maria nella redenzione toccarono apici devastanti. Gregorio Cortese -preparatore e protagonista del Concilio di Trento, uomo di immenso impegno religioso-politico, già umanista e valutatore eccelso delle arti, scopritore del genio di Antonio Allegri sin dal 1510 - può aver avuto un ruolo dottrinale di primo piano nella formazione spirituale del Correggio. Per rendersi conto della valenza dogmatica e teologica che pervade totalmente l'affresco del refettorio di San Benedetto in Polirone (sia o no del Correggio, ma al quale il Correggio fu presente) sarà opportuno leggere le pagine del Piva in "Dal Correggio a Giulio Romano", e qui cogliere quel clima di "paolinismo preluterano", venato in vario modo di agostinismo, di fermenti ed idee erasmiane, di tentazioni nicodemiste, ma che sfocia infine in quel grande movimento dello "spiritualismo" italiano che generò il Concilio e la affermazione della vera fede cattolica.
L'Allegri partecipa alla vita della Chiesa certamente sin dagli anni della giovinezza: compie le scelte dell'ortodossia all'interno dell'ordine benedettino con meditata consapevolezza e le traduce nella visibilità delle sue opere. Quante verità dogmatiche ben fissate i conologicamente sin dalle sue opere del primo periodo! Cristo vero uomo e vero Dio; la maternità verginale della Madonna; la regalità di Cristo; la sua passione e morte; la prefigurazione biblica della redenzione; la dottrina degli angeli; il ruolo mediatore dei santi; la ecclesia come corpus Christi; il mandato apostolico ai vescovi; la realtà sacramentale del sacerdozio! E altre ancora già presupposte, come l'Assunzione di Maria in cielo!
Sarà nelle immense opere a fresco della chiesa di San Giovanni e del Duomo di Parma che il Correggio squadernerà una sicurezza teologica e storico-sacrale forse ineguagliata nell'intera storia dell'arte.


In San Giovanni fu chiamato a dare pareri architettonici, a disegnare interamente l'apparato di decorazione a fresco lungo tutta la basilica e ad eseguirne una vasta parte: ad essere, insomma il "maestro totale" del biblico significato unitario che coinvolge l'essenza e la distribuzione morfologica-semantica del vano ecclesiale. Giustamente Padre G. M. Toscano sottolinea il ruolo sapienziale dei monaci benedettini nel fornire al pittore la dottrina sui magnalia Dei 0 grandi fatti di Dio, dall'inizio alla conclusione delle Scritture), ma altrettanto obiettivamente occorre riconoscere ad Antonio la straordinaria altezza intellettuale e trasfigurativa che lo rese capace di vivificare i concetti e realizzarli in pieno canto immaginativo. Il fregio di San Giovanni - lungo la navata, il transetto e il presbiterio - raccoglie una densi significati dalle tradizioni ebraica, pagana, cristiana: dal tetramorfo alle profezie, dai sacrifici pagani a quelli biblici, e si snoda attraverso le reinvenzioni semiologiche e rituali architettoniche delle civiltà antiche con una potenza figurativa, una certezza epigrafica (in greco, in ebraico, in latino), una forza iconologica da lasciare ammirati come nei confronti della volta Sistina. Si legga, a proposito, il saggio di G.M. Toscano in Un miracol d'arte senza esempio. Ma dove il Correggio oltrepassa certamente l'accurata precettistica dei monaci è nel guardare una cupola come autentico luogo celeste; nel riuscire a vedere - non soltanto concettualmente, ma realmente - i cieli aperti, percettibili dagli occhi umani, ed ivi il Cristo in persona scendente ad accogliere l'amato apostolo Giovanni. Con la visione diretta del Paradiso il Correggio superava la millenaria condizione del contemplante umano nei riguardi della pars coelestis del vano ecclesiale, e unificava definitivamente lo spazio fisico con lo spazio mistico, generando l'estasi barocca tra terra e cielo.
La grazia trascendente di partecipare attualmente e attraverso i sensi, alle cose divine, non può essere stata suggerita al pittore se non da una meditazione teologica vissuta e introiettata in sé in modo straordinario. Il pensiero analogico corre ancora a Michelangelo, memorizzatore in infinitum dei testi biblici e della Divina Commedia.


La proposta della figurazione generale della cupola del Duomo, a Parma, si presentava al Correggio come una prova al limite delle forze umane, l'occasione possibile di un capolavoro - soprattutto di invenzione ideativa - che toccasse i vertici significativi, insieme, del rinascimento e della dossologia cristiana. Qui egli dovette e volle impegnarsi con tutta quella statura di artista che si era data lungo una vita di continua immedesimazione nelle grandi verità della religione e nei fatti della storia. E' da notare che l'Allegri affronta i temi della mariologia e della escatologia salvifica prima del Concilio di Trento, nel pieno della polemica e della dubbiosità che agitava l'intera Europa cristiana a seguito dell'evento luterano. Egli accoglie elementi ispirativi diversi: la pietas popolare delle sacre rappresentazioni dell'Assunzione di Maria, l'antichissima fede orientale della kóimesis della Madonna (la latina dormitio Virginis), e la tesi del primato del beneficio della salvezza assegnato appunto alla Madre di Dio. Così nel pensiero interiore figurativo del Correggio Maria si addormenta nel sepolcro e immediatamente il suo corpo glorioso, destato dagli angeli, dai patriarchi, dai profeti, viene sospinto trionfalmente al cielo, Così noi, che stiamo dentro al duomo, siamo dentro al sepolcro (pars terrestris) e partecipiamo guardando alla ineffabile felicità dell'incontro di Cristo con sua Madre. L'edificio della chiesa fisica è dunque concepito come il luogo della vita mortale dei fedeli, i quali però - nella condizione "militante" - possono già sperimentare, pregustare autenticamente, il paradiso. Ma gli occhi che aiutano la visione non sono quelli dell'anima - è questa la commovente novità - bensì quelli del corpo, chiamati da un pittore "di Lombardia" a bearsi infinitamente della Gerusalemme Celeste.
Non sappiamo se il Correggio fu pago di questa gloria; con certezza fu pago del suo atto di fede, della sua immensa preghiera negli spazi vertiginosi della cupola, giacché presso Maria pose il proprio volto radioso. Non sappiamo neppure se, come operaio dell'arte, egli si aspettasse committenze più risonanti (nello stesso anno della sua morte, avvenuta nel pieno della sua maturità, 1534, il vescovo di Parma diventa Papa!). Sappiamo oggi che la sua fama postuma è rimasta perennemente in bilico tra l'ammirazione sconfinata degli "intendenti" e la costante emarginazione dei manuali didattici. Ma sappiamo egualmente che la grandezza della sua pittura e della sua cultura ha avuto un palcoscenico meraviglioso - gli altari delle nostre città, le cupole di Parma - dal quale ancora e sempre parla al mondo.


Cronologia

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I fatti delle artiI fatti e le opere del Correggio
1474Mantegna termina la Camera Picta

1488-1490Mantegna dipinge la Cappella di Innocenzo VIII in Vaticano (poi distrutta nel 1780), della quale rimase famosa la cupola, a intrecci di vegetazione verso il cielo.1489 Antonio Allegri nasce nella contea di Correggio.
1494Biagio Rossetti e a Reggio. Progetta Palazzo Da Mosto. (Manenti Valli).

1497Leonardo termina il Cenacolo, in Santa Maria delle Grazie, a Milano.



1501-1502Antonio visita Ferrara e Ravenna. Alloggia probabilmente a Pomposa dove è ancora presente la comunità benedettina, aggregata nel 1494 a quella di Santa Giustina, in Padova.
1503Leonardo e Michelangelo dipingono le Battaglie nel salone di Cinquecento in Palazzo Vecchio, a Firenze.1503 Antonio Allegri è presso il Mantegna, a Mantova. Vi rimane fin dopo la morte dei maestro, avvenuta nel 1506
1503 - 1507Cesare Cesariano, architetto e trattatista, soggiorna ed opera in Reggio. Lavora probabilmente in Palazzo Da Mosto, dove sperimenta le proporzioni auree. Negli anni successivi è a Farina, nel Monastero di San Giovanni. Prepara la prima traduzione in Italiano del De Architectura, di Vitruvio, e i suoi Commenti. Studia le interrelazioni armoniche tra il corpo umano e le figure geometriche. (Manenti-Valli).

1504Raffaello giunge a Firenze da Urbino. Vi rimarrà sino alla fine del 1508.

1504-1506Mantegna dipinge le tele per lo studiolo di Isabella. Realizza inoltre alcuni stupendi monocromi, dei quali alcuni di soggetto pagano mitologico (es: L'introduzione dei culto di Cibele a Roma).

1505Giorgione dipinge la Pala di Castelfranco.

1506Leonardo ritorna a Milano e vi rimane sino al 1513.1506Viaggia in Lombardia e nel Veneto. Conosce, oltreché i dipinti, i disegni di Leonardo, e sceglierà per la propria grafica costantemente il modo della sanguigna. (Popham)
1507Tiziano dipinge a Venezia San Pietro, Alessandro III e il Vescovo di Pesaro, con monocromi pagani sul marmo antico.1507 Il Correggio dirige i lavori d'affresco della cappella funebre dei Mantegna in Sant'Andrea, a Mantova. Gregorio Cortese, già segretario dei futuro papa Leone X, professa i voti a San Benedetto in Polirone.
1508Michelangelo inizia il titanico affresco della volta della Cappella Sistina.1508Muore nella sua città Nicolò da Correggio. Lascia un Casino, fuori porta San Giovanni, ove più tardi (codicillo al testamento di Giberto X nel 1518) viene citata una stanza affrescata con il nome "Camera Philosophorum".Si pensa ad un lavoro del Correggio, forse su committenza di Veronica Gambara, letterata e umanista, sposa di Giberto X.
1508Nell'autunno Raffaello inizia il lavoro delle Stanze Vaticane.

1508Giorgione e Tiziano affrescano, a Venezia, il Fondaco dei Tedeschi.

1509Bramante inizia, in novembre, l'immensa fabbrica dei nuovo San Pietro.

1510 settembreIl reggiano Bernardino Zacchetti lavora alla volta della Sistina sui cartoni di Michelangelo,1510Antonio Allegri è probabilmente a Roma. Studia i marini classici e le monete antiche.
1510-1512Ai cantieri romani di Raffaello collaborano Lorenzo Lotto, il Sodoma, Baldassarre Peruzzi, il Bramantino, il Beccafumi. E' presente Sebastiano del Piombo. (Brizio).1510Gregorio Cortese chiede invano a Raffaello di affrescare il refettorio di San Benedetto in Polirone, poi scrive di avere identificato in Antonio Allegri il futuro Parrasio". Il Correggio dipinge la Madonna col Bambino e Angeli musicanti, in lume d'oro: ora agli Uffizi.
1511Raffaello termina la Stanza della Segnatura. Riceve dal Conte Ercolani, di Bologna, la committenza per la Visione di Ezechiele, in lume d'oro, eseguita più tardi: ora agli Uffizi.(Jones, Penny)

1511Leonardo, a Milano, porta a compimento la seconda versione della Vergine delle Rocce.

1511 - 1512Raffaello esegue gli affreschi della Farnesina (Galatea), per Agostino Chigi. Ai festoni collabora il Correggio (ipotesi verbale di E. Battisti).

1512Per la Messa papale d'Ognissanti viene scoperta totalmente la volta della Cappella Sistina, dipinta da Michelangelo.1512Secondo il Vasari intorno a questo anno "fiorisce" il Correggio (prima stesura delle Vite).
1511-1514Raffaello affresca la Stanza di Eliodoro. Nella prima fase lavora con lui Lorenzo Lotto. (Longhi, Brizio)

1513Lorenzo Lotto è in Toscana per studiarne gli avanzamenti artistici. (Brizio)1513Gregorio Cortese, di certo a Roma, commissiona la Madonna Sistina a Raffaello. E' con lui il Correggio.
1513Lorenzo Lotto è in Lombardia. Avviene un nuovo incontro artistico tra il Lotto e il Correggio, nel comune studio di Leonardo. (Brizio)1513 ottobreIl Cortese e il Correggio accompagnano il dipinto di Raffaello a Piacenza (Spinelli). Nel viaggio visitano le città d'arte umbre e toscane. Dopo Piacenza il Correggio si reca a Milano per studiare di nuovo Leonardo. Dipinge la Natività di Brera, e i Quattro Santi, ora a New York. La fusione degli elementi romani con quelli leonardeschi prosegue nella Madonna del Prado, nella Madonna dei Castello Sforzesco e nella Zingarella di Capodimonte.
1513 - 1514Tiziano dipinge la Madonna, ora nella collezione Magnani Rocca, ove attribuisce particolare protagonismo ai vestimenti.1514Compie un viaggio a Venezia e a Murano, ove ammira l'ultimo grandissimo Bellini (Ipot. Quintavalle). Riacconcia a fresco i tondi dell'atrio di Sant'Andrea a Mantova.


1514Stende il contratto per le portelle dell'organo del monastero di San Benedetto Po. Dipinge il Commiato di Cristo dalla Madre.
1514Leonardo, a Roma, dipinge il San Giovanni Battista.1514 - 1515 Esegue, a Correggio, la Madonna di San Francesco.
1516Lorenzo Lotto inizia la serie delle pale bergamasche.1516E' in contatto col Peruzzi, a Carpi. (Ipot. Adorni)
1516 - 1519Giulio Romano dirige i lavori alle Logge Vaticane, per incarico di Raffaello.

1517Lorenzo Lotto dipinge a Bergamo Susanna e i vecchioni (ora alla Collezione Contini Bonacossi, Firenze) ove eccepisce il centro compositivo.1517Esegue prove dispositive di spazio sdutto e composizione eccentrica. Dipinge la Madonna Campori, la Sacra Famiglia di Hampton Court, il Riposo in Egitto degli Uffizi.
1517Altobello Melone realizza e data, nel Duomo di Cremona, gli affreschi della Fuga in Egitto e della Strage degli Innocenti "già Anticlassici", secondo il Longhi).

1518Il Romanino colloca la Pala di Santa Giustina nella omonima chiesa benedettina di Padova.

1518Avviene a Venezia l'inaugurazione solenne della meravigliosa Pala dell'Assunta, di Tiziano Vecellio, nella chiesa dei Frari.1518Nella tarda primavera Antonio Allegri compie un viaggio di aggiornamento in Italia: visita i cantieri lombardi e veneti, si porta a Venezia, indi di nuovo in Toscana (Siena) e a Roma. Si interessa del concorso architettonico per San Giovanni dei Fiorentini e copia i disegni del Sangallo (Popham, Adorni). Vede i nuovi ritrovamenti della statuaria greca. Studia le collezioni d'antichità. Dipinge l'Adorazione dei Magi, di Brera, a composizione eccentrica e su suggestioni dei Beccafumi.
1518Giulio Romano porta a termine le figure monocrome nello zoccolo dell'Incendio di Borgo (Stanze Vaticane).1519A Parma il Correggio affresca il camino e la volta dello studiolo della Badessa Giovanna da Piacenza (la cosiddetta Camera di San Paolo) nel monastero benedettino femminile. Dà disegni e consulenze architettoniche per la chiesa benedettina di San Giovanni. Conosce Antonio Begarelli.
1519In Francia muore Leonardo.1520 - 1525Lavora agli affreschi della Cupola di San Giovanni, in cui viene coinvolto il Parmigianino già maestro (Fornari).
1520Giovan Maria Falconetto esegue il ciclo figurato nel Salone dello Zodiaco, in Palazzo D'Arco, a Mantova (Marani). A Roma muore Raffaello.1520Riceve il primo pagamento per gli affreschi della Cupola di San Giovanni.
1524Giulio Romano giunge a Mantova, ove rimarrà. Visita la Cupola di San Giovanni, a Parma. Progetta il Palazzo del Te.1525Dopo diversi consulti è ancora perito architettonico per la Steccata, al chiesa santuario scaturita da un progetto degli anni romani di Leonardo (Adorni).
1526Tiziano dipinge la Pala Pesaro.

1526-1530Lavora agli affreschi del Duomo di Parma, ove "sospende" quasi tutte le figure. Esegue i grandi dipinti della maturità, comprese le due tele per lo studiolo di Isabella d'Este Gonzaga.

1529Michelangelo transita per l'Emilia, diretto a Venezia.1530 - 1534Il Correggio lavora in patria. Crea i soggetti supremi degli 'Amori di Giove": Ganimede, lo, Danae, Leda.
1534Viene eletto Papa Paolo III Farnese, già Vescovo di Parma.

1534Tiziano salva, con un giudizio, gli affreschi della cupola del Duomo di Parma (tradizione).1534Muore nella città natale.
1537 - 1541 Michelangelo dipinge il Giudizio Universale, nella Cappella Sistina, ove "sospende" quasi tutte le figure.

1545 - 1546Dopo il momento manierista Tiziano dipinge a Roma le Danae, per Alessandro Farnese.

1547Tiziano realizza le tele del soffitto della Scuola di San Giovanni Evangelista, a Venezia, offrendo un alto tributo all'arte del Correggio.