Riccardo Finzi
Le contestazioni territoriali fra Correggio e S. Martino in Rio
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984

La più antica contestazione fra i Signori dei due territori risale al secolo XIV, a proposito delle ville di S. Biagio e Fazzano e il possesso di dette ville venne disputato nel trascorrere di più secoli, dando luogo a crudi episodi di violenza. Di qui principalmente nacquero i cattivi rapporti fra Correggeschi e Martineschi.
Azzo III da Correggio, di Guido, nell'anno 1369, alla venuta in Italia dell'Imperatore Carlo IV, otteneva insiem,2 ai fratelli che le ville di S. Biagio e Fazzano fossero comprese nell'investitura dei Correggesi, nonostante qualunque altro privilegio in contrario,
La menzione che annulla altri privilegi, fa chiaro come anteriormente al 1369 le ville fossero comprese nell'investitura di altro Signore.
Difatti lo stesso Imperatore Carlo IV aveva nell'anno precedente, cioè nel 1368, concesse le due ville in feudo ai Roberti di S. Martino.
L'accennato diploma in favore dei Correggesi veniva confermato nell'investitura concessa dallo Imperatore Federico nel 1452, a Manfredo, Antonio ed altri fratelli da Correggio, senza parlare della successiva conferma imperiale dell'anno 1494.
A seguito delle discordanti investiture dei 1368 e 1369 gli abitanti delle due frazioni contese furono fatti segno per opera dell'uno e dell'altro Signore a numerose prepotenze.
La cronaca Correggese Zuccardi racconta un singolare episodio che val la pena di riportare colle stesse parole del cronista.
L'anno 1454 (quei di Correggio) venuti in differenza per i confini con quelli di S. Martino de' Ruberti, tennero per sei anni continui le forche presso il canale dell'Erba oltre a Fossa Faella, nella Villa di Trignano, servendosi di esse per termine e per castigo de' delinquenti
Il che inteso dal Duca Borso venne sul luogo per sopir le differenze suddette ed essendo sulla Geminiola domandato agli abitatori quali fossero li confini in quel luogo, ma comparso uno dei più vecchi di loro e detto al Duca: " Sono questi " mostrandogli una motta in capo di essa Geminiola andando verso Modena, allora Antonio da Correggio, fattolo impiccare disse al Duca: " Signore, costui sarà quì per confine e per termine, ma i vostri confini son sulle porte di Correggio " e dappoi in qua quel luogo si chiamò Appiccato.
Quanto vi sia di vero in tale narrazione, non è accertabile.
Se poco spiegabile è un gesto tanto spavaldo e crudele da parte del nostro Antonio, ancor meno comprensibile è ch'egli dicesse al Duca che i suoi confini erano sulle porte di Correggio.
Sta di fatto che quei di Correggio tennero le forche presso il Canale dell'Erba, oltre fossa Faella, in confine colla villa di Trignano, non per sei, ma per dieci anni, compiendo in tal modo una chiara dimostrazione possessoria. Inoltre, a ricordo di tali forche, la via che vi conduceva si chiama ancora dell'Impiccato, ed è in territorio Correggese, segnandone in parte l'attuale confine.
Al dire di Clinio Cottafavi, il luogo dell'Impiccato consisteva in un albero con gradini in ferro per salirlo ed ove da S. Martino si conducevano i delinquenti per appiccarli.
Che le forche dei Signori da Correggio fossero in effetto l'albero accennato od altro albero posto nello stesso luogo, è probabile.
Forche od alberi, erano eretti, a parer mio, in un incrocio stradale denominato Ponticelli sulla carta al 25.000, punto ancor oggi di confine fra i due territori.
La contesa per i confini doveva correre per lunghi anni.
I da Correggio avevano ottenuto che Tommasino della Mirandola emettesse una sentenza arbitrale a precisazione di essi, sentenza che noti accontentò il Comune di S. Martino, nè quelle di Reggio.
Nel nominare quest'ultima Città debbo ricordare che la incertezza dei confini con Correggio si estendeva anche nei confronti del territorio Reggìano, pure quest'ultimo sottoposto alla sovranità del Duca di Modena.
Si crearono quindi più commissioni, tutte quanto mai inconcludenti e finalmente nell'anno 1455, di pieno accordo fra il Duca di Modena ed i Signori da Correggio, venne affidato ad Uguccione d'Abbazia, Consigliere del Duca, l'incarico di emettere una sentenza precisa, dopo sentiti i rappresentanti delle parti in causa.
Uguccione d'Abbazia, ritenute inconciliabili le pretese delle due parti, determinò i confini all'infuori delle petizioni degli interessati, segnando una linea divisoria nel mezzo dei territori contesi.
Ma neppure questa volta si ottenne l'accordo definitivo, poichè per opera dei Notai Cabrino da Cavriago e Giovanni Dalmeri, che sollevarono cavilli a favore dei Signori di cui erano rappresentanti, la sentenza di Uguccione fu considerata di nessun valore.
Senza tener conto delle differenze fra Reggio e Correggio, che non interessano la presente memoria, quelle di Correggio con S. Martino erano gravi assai e la striscia di territorio in contestazione, che comprendeva più di metà delle due ville di S. Biagio e Fazzano, si estendeva per una lunghezza di circa km. 6, con una profondità media di km. 2 e mezzo.
Le biolche di terreno ivi comprese erano circa 5.000.
E' perfettamente inutile descrivere le linee di confine citate dai contendenti, poichè sono oggi mutate le denominazioni di località, fossi, strade e carraie, senza pensare che nelle petizioni per detti confini sono citati come punti di riferimento case, proprietari ed alberi di alto fusto, oggi non più esistenti.
L'accordo stipulato fra i Signori da Correggio e gli Estensi nel 1455, approdava l'anno appresso il 14 luglio, ad una Convenzione che, se non è
unica nella storia, è almeno una delle più interessanti.
Il 14 luglio 1456, nella villa di Casalofio, distretto di Reggio, si radunarono su di un prato, sotto un padiglione, Borso, quale Duca di Reggio e Signore di S. Martino, ed i fratelli Manfredo e Antonio, Conti di Correggio, tutti assistiti dai loro consiglieri, convenendo il disaccordo in sette capitoli.
Nell'atto stipulato si premette che, pur togliendo alcuna validità alle precedenti sentenze, i confini del territorio di S. Martino siano quelli richiesti dai Correggesi nelle loro petizioni e che similmente i confini del territorio di Correggio giungano al limite fissato dalle petizioni dei Sanmartinesi.
Da questa premessa derivava la suaccennata striscia di terreno comprendente parte delle due ville di S. Biagio e Fazzano. Essa non doveva dipendere da nessuna delle due parti, rimanendo una zona neutra fra i due stati.
I sette capitoli si occupano interamente degli abitanti la zona neutra.
Eccoli per sommi capi:
Anzitutto che gli abitanti dei terreni di mezzo (così veniva chiamata la striscia neutra) obbediscano a quello dei due stati a cui han dichiarato di appartenere.
Faceva fede di queste dichiarazioni la sentenza di Uguccione d'Abbazia, in cui era verbalizzato l'interrogatorio di ciascun capo famiglia dei terreni contesi.
Secondo, che i sudditi delle due parti continuino a godere di quei beni, cose e diritti, che hanno, tengono e possiedono nei territori di detti confini.
Terzo, che se avviene si rechi qualche danno od ingiuria alle cose e persone nel territorio medio, da un cittadino di Correggio a un cittadino di S. Martino, colui che riceve il danno deve far valere il suo diritto davanti alla potestà di Correggio e similmente se l'offeso o il danneggiato è un Correggese, deve appellarsi alla potestà di S. Martino,
Quarto, che avvenendo in detto territorio medio un delitto di sangue, possa il malfattore venire arrestato dai birri di qualunque delle due parti e consegnato però alla giustizia dello stato a cui appartiene; se il malfattore è forestiero, debba venire giudicato da chi primo lo cattura, a meno che non sia già stato condannato in contumacia dall'altro stato, nel qual caso verrà consegnato alla potestà dello stato che ha già emesso il giudizio.
Degli altri tre capitoli, di secondaria importanza, che parlano di ponti e scavi, liti civili e dazio, si omette la descrizione.
Seguono nella convenzione diverse altre dichiarazioni e la copia delle petizioni accennanti ai confini, presentate ad Uguccione d'Abbazia dai procuratori dei diversi territorio (Correggio, S. Martino e Reggio E.).
L'accordo fra gli Estensi e i da Correggio fu tale da stringere rapporti di buon vicinato fra le due case e particolarmente amicizia personale fra il Duca Borso e Manfredo da Correggio.
Difatti, pochi anni dopo, nel 1462, lo stesso Borso si accordava con Manfredo per la costruzione del Canale d'Enza, stipulando una capitolazione che venne osservata nello spirito per più di quatto secoli e, sì può dire, sino ai lavori del Consorzio di Bonifica di Parmigiana-Moglia.
Ma non per questo gli abitanti dei territori di mezzo godettero di tranquillità, perchè a seguito della applicazione del trattato, troppo lenta risultava l'opera della giustizia.
Ciascuna giurisdizione non amava inviare i suoi birri nei terreni di mezzo per arrestare delinquenti, inceppata dalla procedura e dal timore di complicazioni che chiameremo non internazionali, ma interstatali.
Ciò senza contare che i giudici erano sempre troppo miti coi rei cittadini, nei confronti dei danneggiati dell'altro stato.
I terreni di mezzo dovevano inevitabilmente divenire rifugio dei delinquenti dei due feudi, se non di altri, banditi da territori vicini.
Le lagnanze degli abitanti erano quindi continue, a seguito delle vessazioni e delle ingiurie patite.
E' bensì vero che particolarmente nelle capitali dei due piccoli stati i relativi Signori tendevano a comparire padri del loro popolo e uomini d'affari, d'armi, di lettere e d'arti, sino a giungere ai maggiori splendori nel secolo XVI; ma nelle campagne, e specialmente nei terreni di mezzo, in cui si riversavano gli odi e le efferatezze dei banditi, sommamente triste e difficile doveva riuscire la vita di quegli agricoltori.
1 terreni di mezzo servirono, a mezzo del trattato del 1456, a procurare uno scambio di simpatie fra i da Correggio e gli Estensi, dopo un trattato d'amicizia stipulato nel 1409 e che era caduto in abbandono.
Ma furono gli stessi terreni di m2zzo che molto più innanzi nel tempo, per le continuate lagnanze di quegli abitanti, scavarono un abisso fra le due Case Sovrane e particolarmente seminarono odi fra Correggesi e Sanmartinesi.
Si è già parlato vagamente di banditi e delitti, senza però accennare ai mezzi di repressione.
Le leggi di S. Martino, date attraverso gli Statuti del 1440, si mostravano miti rispetto a quelle di altri stati vicini e vennero inasprite man mano con gride successive.
Esse comminavano la morte ai ladri, sodomiti, incendiari, stupratori violenti e ad altri rei, sempre che tutti costoro venissero colti sul fatto.
Ma procediamo intanto avanti, riserbandoci di parlare diffusamente più oltre, in tema di giustizia.
A soli sei anni dall'accennata convenzione per i confini, per opera del Duca Borso, che agiva in istretto accordo con Manfredo ed Antonio da Correggio, veniva firmata la capitolazione per il Canale d'Enza, ed avevano inizio i lavori di quel Canale che in parte sussiste tuttora e che per vari secoli tanto beneficio apportò alle plaghe che serviva.
Nel distretto di S. Martino il Canale scorreva per km. 8 e mezzo, animando un mulino e portando mezza macinatoria d'acqua.
Nel territorio signoreggiato dai Correggio, il canale scorreva complessivamente per km. 34 e veniva costruito e mantenuto compresi i ponti ed altri manufatti, a spese di quei Signori.
I Sanmartinesi dal canto loro costruivano e mantenevano in buon uso il tronco di canale passante per il loro territorio.
Coll'andare del tempo, nacquero varie contestazioni per il canale, e la capitolazione Borsiana venne riformata un poco negli anni l526 e 1566, al fine di una più equa destinazione delle acque senza però discostarsi dallo spirito della capitolazione stessa.
Un altro simpatico accordo fu stipulato fra Correggio e S. Martino il 24 aprile 1517, a rogito dei notaio Francesco Alfonso Bottoni, a proposito dell'escavo della Fossa Marza.
Detto scavo avvenne a spese comuni da Via Nova sino al Tresinaro, e nel testo dell'accordo è prevista la costruzione di un nuovo cavo da Via Nuova a Fossa Faella, qualora l'opera compiuta non fosse stata sufficiente a smaltire le acque che colavano nella fossa Marza.
Detta fossa segnava per 2200 metri il confine fra S. Martino e Correggio e per tale lunghezza ciascuno dei due territori curava la conservazione della sponda di relativa giurisdizione.
Agli accordi dovevano però seguire i disaccordi e sempre per quei famosi terreni di mezzo in cui la legge vigeva solo nominalmente. Gli abitanti dei due stati erano ridivenuti nemici e vi furono periodi in cui riuscì più facile a un Correggese o ad un Sanmartinese di recarsi in lontanissimi paesi che non alla piccola capitale del feudo avverso.
Non parliamo poi di salvacondotti, che avevano proprio l'ufficio di non salvare la vita.
Nel 1560, da un carteggio fra il Conte Sigismondo Condolmeri, il di cui fratello Antotiio era Governatore di S. Martino, ed il Conte Francesco Gonzaga di Novellara, si ha notizia che la risoluzione dei conflitti fra Correggio e S. Martino era stata affidata all'arbitrato del Gonzaga stesso.
Appare dal carteggio, iniziato l'8 giugno e terminato il 27 Novembre, che forti ostilità si incontravano a Correggio, particolarmente per parte del Cardinale Girolamo, contro tutti gli Ufficiali del Marchese di S. Martino.
Le antipatie più forti erano appunto dirette contro il Condolmeri.
Finalmente il 19 ottobre 1563 si giungeva ad una transazione che avrebbe dovuto essere definitiva, impegnandosi a tale scopo da una parte i da Correggio Girolamo, Giberto, Camillo e Fabrizio e dall'altra Giustina Trivulzio d'Este e Filippo suo figlio, tutti assistiti dal Cancelliere Giovanni Maria Crispo.
Dal testo della transazione si rivela come le angherie fossero state compiute da ambo le parti, benchè l'ineffabile Condolmeri, nel carteggio precitato, non esiti ad incolpare di tutto i Correggesi.
Ed ecco per sommi capi il sunto dell'accordo: ferma restando la convenzione del 1456, le due parti dovevano restituire a chi di ragione le terre, gli ovini, i bovini, o i raccolti rubati e similmente si doveva fare per il mal tolto o il non pagato in tema di dazio.
La transazione ci mostra come diversi fossero i soggetti banditi dai due borghi, o in essi carcerati.
Difatti, a tal proposito, l'atto prosegue nel dire: Che si debba cancellare et annullare per pubbliche grida ogni bando et condennatione fatta per le Prefate Parti contro i loro sudditi o latri rispettivamente per le cose predette et dipendenti da esse.
Che essendo banditi da S. Martino et condennati molti di Correggio, et dell'assenza, per alcuni omicidij fatti di uomini di S. Martino et all'incontro condennati a Correggio molti uomini di S. Martino per essere andati col Conte Sigismondo Condolmeri su la giurisdizione di Correggio perseguendo alcuni delinquenti, per rinnovar ogni cosa si cancelli et annulli le predette condennationi et bandi absolutamente da l'una e l'altra parte Per vivere in pace e senza contestazione alcuna.
L'accordo prosegue in materia di dazio e contrabbando e termina dichiarando che i Signori di Correggio facciano cavar la fossa Resana, salvo iure declarandi super Arginello.
Ad immaginar la ferocia dei delitti, che ha solo riscontro nel rigore delle leggi, rese feroci dalle gride successive agli Statuti, valga il rammentare che nella gentile Correggio i delinquenti potevano venir condannati secondo cinque tipi di morte.
Ad esempio, per un omicidio comune, si usava la forca. Il matricida od il fratricida veniva squartato in luogo pubblico a coda di cavallo. Il reato di lesa maestà veniva doppiamente punito: prima con la forca, poi con la squartatura.
Il reo di omicidio premeditato, aveva in sorte forca e decapitazione.
1 rei di delitti contro la carne erano puniti con lo strangolamento o la decapitazione.
Seguiva in alcuni casi il rogo a purgare la terra di sì orrendo assassino.
Si sappia che per delitto contro la carne s'intendevano non solo la sodomia, bestialità ed incesto, che comportavano strangolamento e rogo, bensì la congiunzione di secolari con religiosi e di cristiani con ebrei.
In questo caso la pena era più nobile, usandosi solo la decapitazione.
Il falso testimone veniva condannato al rogo; gli incendiari all'ergastolo.
I ladri da strada, come dice la grida, venivano condotti a coda di cavallo in piazza ed appiccati per la gola.
Contro i bestemmiatori si era a Correggio molto severi. Difatti coloro che venivano colti in flagrante, pagavano una multa di 20 scudi d'oro, un patrimonio per quei tempi: se però si bestemmiavano i santi, la multa era di soli cinque scudi ed in quest'ultimo caso se il bestemmiatore non li poteva pagare era condannato a rimanere con le ginocchia ignude tre ore innanzi alla porta maggiore di S. Quirino, in giorno di festa, mentre si celebravano i divini uffizi. Ciò s'intende per i non recidivi.
A S. Martino invece il bestemmiatore pagava cinque lire ed al reo di bestemmia, recidivo per la prima volta, s'imponeva l'inchiodatura della lingua e una multa di 200 scudi.
Non pagando la multa, il reo si buscava tre anni di galera.
Secondo gli Statuti, a S. Martino gli adulteri venivano condannati a morte.
A Correggio non così gravi erano le pene per così diffuso, quanto occulto reato.
Le adultere però non potevano venire tollerate dal marito, cadendo lo sposo, in caso di tolleranza, nelle stesse pene comminate all'adultera.
Un'amena, quanto filosofica, grida vigente in S. Martino permetteva al capo di casa di bastonare i servi e la moglie, usando però il riguardo di non rompere loro le ossa.
Ma se ciò fosse per disgrazia avvenuto, mentre il servo poteva appellarsi affinchè il padrone venisse punito, non così era per la moglie che
doveva prendere in pace botte e rotture, non potendosi castigare il marito a meno di non crescere la discordia fra gli sposi.
Di questa piena autorità dei marito fra le pareti domestiche, si ha conferma a mezzo della grida che contrasta il paragrafo 28 del X libro degli Statuti, perchè mentre in tal paragrafo si commina agli adulteri la pena di morte, la grida successiva dà facoltà al marito di decidere sulla condanna dell'infedele, che poteva venire arsa viva o perdonata, ed in quest'ultimo caso perdendo solo la dote.
Dal giorno della grida, di donne arse vive in S. Martino, non ve ne furono più.
Strane e feroci leggi in cui non era ammessa mai la via di mezzo e che per il solo fatto di uscire clandestinamente dai borghi senza passare per le civiche porte, condannavano alla forca od a pene consimili, sia i fuggiaschi che coloro che vi prestavano aiuto.
Come è da immaginarsi, gran parte dei rei riuscivano però a sfuggire alla giustizia, massimamente se erano potenti.
Per citare un caso avvenuto in S. Martino e che per la notorietà del mandante e dell'ucciso fece epoca in quel tempo, si parlerà della morte del Conte Capitano Stremitti, avvenuta nel luglio del 1642, per opera di certo Lazzaretti da Scandiano. Era suo mandante, nientemeno che Alfonso d'Este, figlio del Conte Don Francesco, Governatore di S. Martino.
Il Lazzaretti, che era riuscito a fuggire, veniva estradato e saliva il patibolo. Il giudice Perteghini condannava a morte pure Alfonso, con sentenza del 27 maggio 1643; ma Alfonso si spegneva poi serenamente 43 anni dopo la promulgazione della sentenza.
L'accordo del 1563 per i confini, venne seguito da pochi anni di tranquillità.
Sui primi di febbraio del 1575 cominciarono a rinfocolarsi le ire fra i due paesi e Filippo d'Este, Signore di S. Martino, tenne costantemente informato il Duca del corso della vertenza coi da Correggio, spronato forse dal Condolmeri, persona di fiducia del Duca di Modena.
Nel novembre del 1580, quando tutto sembrava ormai sopito, scoppiarono nuovi dissensi fra i due stati, a motivo di una grida emessa da Camillo di Correggio (ch'era Conte di quello stato) per vietare ai Sanmartinesi di portarsi armati alla Chiesa di S. Biagio.
Poichè la predetta chiesa era sita nei terreni di mezzo, il da Correggio, senza abboccarsi prima con Filippo, prendeva provvedimenti che erano solo di spettanza comune.
La grida ci fa supporre che Correggesi e Sanmartinesi approfittassero delle feste e del comune luogo di riunione, che era la chiesa, per darsi botte da orbi.
Sigismondo Condolmeri però, vegliava su S. Martino, ed essendone governatore dal 1584 al 1590, è precisamente in quei sette anni che furono maggiori le contese pei terreni di mezzo.
Un lungo carteggio del Conte col Duca di Modena, ci mostra l'attività del primo sino al 1594, cioè sino a quattro anni dopo il suo scadimento dalla carica di governatore.
Per curiosità si leggeranno alcuni brani di lettere del conte.
Ha inizio la corrispondenza del Condolmeri il 16 luglio 1584. In tal giorno una lettera informa S. A. S. che in Correggio non v'è gente forastiera, onde in tanti aiuti in che sperava il Signor Camillo, non è stato soccorso se non da dieci uomini, venuti da Bologna.
Il popolo di Correggio, con tutto il Paese è tanto spaventato et intimorito, oltre alla disunione et le cose sono al fine ridotte a tal punto che quando V. A. havesse animo a maggior castigo, ogni cosa sarìa in suo potere.
I sudditi di Correggio hanno pena la vita dal Signor Camillo, di non mettere piede sul territorio di V. A. per offendere alcuno.
Il brano di lettera qui riportato si presta a molti commenti.
Ci si limiti ai più elementari e si noti, da una parte come Correggio fosse tenuta in istretta osservazione da chi ne bramava il possesso; dall'altra il giustificato timore dell'insidiato Conte Camillo.
Cinque giorni dopo, il 21 luglio, il Condolmeri riprende la sua corrispondenza, narrando un episodio che molto interessa i rapporti sempre assai tesi fra Correggeschi e Martineschi:
La cavalleria di Carpo, come V. A. haverà inteso, questa mattina ha malmenato quaranta cavalli che andavano a salvarsi in Correggio condotti da Iacopo Maria Menzani et sui terreni di meggio indivisi tra noi et Correggio, sono stati uccisi quatro, tra quai il sudetto Iacopo Maria Menzani, et credo vi sia anche suo fratello per lettere che haveano adosso, come si conoscono. Io subito ho mandato a levarli per dubio che quei di Correggio non li levassero per la conservatione della giurisditione et perchè i corpi restano in potere di V. A.
Trenta un cavalli si son salvati in Correggio et vi sono tra questi due feriti et vengono dal Bolognese.
Erano dunque giunti a Camillo i rinforzi, ma con grave sacrificio di sangue.
Il 23 luglio il Conte Camillo scriveva al Condolmeri chiedendo i quattro corpi d'uomini ammazzati sul suo territorio e dichiarava di dolersi oltre che degli omicidi di cui aveva informato l'Imperatore e il Governatore di Milano, pure della violata giurisdizione.
Il Condolmeri, mentre riporta al Duca la lettera di Camillo, lo informa di avere risposto come si deve e nel medesimo tempo scrive che in Correggio aspettano gente da Milano et dentro si sono ridotti buon numero di banditi disperatissimi di questo caso, et sono per fare male assai a chi non sta bene previsto.
Il 25 luglio il Condolmeri così scrive al Duca a proposito dei 31 cavalli rifugiati in Correggio:
Sono tutti in Correggio et sono in tanto spavento che un pezzo d'artiglieria che si metta fuori farà fare rissolutione al popolo o di tagliarli a pezzi o darli a man salva a V. A. Pare che Camillo pubblicamente habbia data la fede di volerli diffendere contro tutto il mondo,- quanto ai banditi che sono in Correggio, Herculese Saccomano ha seco vinti huomini. Menzani Albriggi et Innocentino sono restati in trentadue. Marco Ant. Bontadini di Monte Ombrato di quei suoi circa 25 et altri che fanno passare poco di più il N° 100 ma buona gente disperata et rissoluta e poco oltre il Condolmeri prosegue: Quando V. A. havesse alcuna mira a la morte di quei Saccomano, haverei qualche modo di tentare la fortuna Per servirla.
Quel Condomeri si rendeva proprio prezioso al suo Duca.
Come servizio di spionaggio non c'era proprio male.
A S. Martino si sapeva quel che succedeva a Correggio e se qualche persona riusciva incomoda agli interessi del signor Duca, il Conte cercava di provvedere in modo radicale.
Il 27 ed il 29 luglio il Condolmeri scrive che i banditi sono ancora in Correggio benchè desiderosi di uscirne ed a riscontro di una lettera di Camillo a tal proposito, così si esprime al Duca:
.Il signor Camillo mi ha domandato se io li voglio dare il passo da entrare e uscire uomini che non siano banditi e detto che non tengo ordine, se non di perseguitare i banditi che passano per lo stato di V. A.... nel resto mi governerò come favano i ministri di V. A. In questa giurisdizione fo fare cinque corpi di guardia giorno et notte e; da questa banda non usciranno senza rumore.
Nella finale della lettera il nostro Governatore viene a chiarire un punto che lasciava per qualche istante sospesi.
Difatti quando dice " Nel resto mi governerò come favano i Ministri di V. A. " l'ascoltatore lì per lì non immagina quale fosse quel metodo tanto in voga presso i sullodati Ministri. Ecco dunque quale era la loro massima in simili casi:
Dare diplomaticamente il passo ed indi massacrare gli armati lungo la strada.
Il carteggio prosegue con varie lettere, tutte interessanti, in agosto, poi il 17 settembre il Condolmeri annuncia di avere ricevuto ordine dal suo legittimo Signore Filippo 1 d'Este, che tutte le truppe di S. Martino siano ordinate in tre o quattro corpi di guardia e poste " alla volta di Stiolo, verso il canale dell'herba, di Panzano et dell'Appiccato ".
Da ciò si vede che il buon Filippo, qualche volta si ricordava del proprio feudo.
Dopo il periodo di febbre del 1584, successe una calma relativa fra i due territori.
Il motivo è chiaro: l'insidiato Conte Camillo era riuscito a far presidiare Correggio da un grosso reparto di soldati spagnoli. Era l'anno 1585.
Cadevano quindi per il momento le audaci speranze del Condolmeri.
L'anno appresso il Conte Camillo, recatosi a Torino, veniva ospitato dal Marchese Filippo, nel suo Palazzo, per due settimane.
Camillo e Filippo erano veramente due principi assai singolari, e se fosse dipeso solamente da loro, fra i due staterelli certamente sarebbe sortita una duratura alleanza.
Era Camillo poco amante degli studi, semplice di cuore, un poco focoso, tenace ammiratore del bel Sesso.
Militò in varie guerre, sostenne l'assedio in Correggio nel 1557 e nel '71 si trovò alla battaglia di Lepanto contro i Turchi.
Un brano di lettera del Condolmeri, in data 27 gennaio 1591, in cui si informa che il Duca Camillo e la fidanzata, Francesca Millini, si preparavano ad andare a Roma per fare legittimare i bastardi, così si esprime: " Poca allegrezza si . sa dello Sposalizio perchè la Signora Lucretia (che in realtà si chiamava Francesca) si duole di havere un marito senza robba e senza ingegno ".
Camillo si sposò in seconde nozze l'anno appresso, nel 1592.
Filippo d'Este era invece un Signore di razza. Delicatissimo di costituzione, amabile di tratto, di intelligenza viva e versatile, sapeva cattivarsi le altrui simpatie.
Diplomatico assai fine, rese molti servigi al Duca di Savoia e ad Alfonso Il Duca di Ferrara, Modena e Reggio e fu candidato allo stesso Ducaro di Ferrara.
Filippo appariva di natura accomodante quanto Camillo. Ma l'Estense aveva alle spalle il Duca Alfonso, che influenzava ogni suo atto e Camillo, d'altro lato, veniva spinto all'azione dai membri di sua famiglia.
La calma stabilitasi nei terreni di mezzo per vari mesi, doveva venire troncata nel 1587, a seguito di alcuni lavori di fortificazione ordinati dal Condolmeri presso ai confini di Correggio, guastati di notte dai Correggesi e ripresi dai Sanmartinesi.
Ecco un brano di lettera in data 2 marzo '87, di mano dal Condolmeri, che ci illumina in parte il fattaccio:
Il Signor Fabrizio di Correggio, (Fabrizio era fratello di Camillo) questa mattina avanti giorno con una gran truppa di gente accompagnata pur dalle lancie del presidio che stavano a Fabrico è vinuto a rimuovere quello ch'io avevo ridotto nel Pristino stato, dove essendovii all'ultimo concorso alcuni pochi dei nostri huomini per impedire il riguastare quello ch'era stato fatto, vi sopragiunse Don Girolamo (da non confondersi col Cardinale omonimo) con tutta la cavalleria e la maggior parte della fanteria, et massime quei spagnoli che portano gli archibugioni, con molti guastatori... et voleva far ridurre le cose nel stato in ch'io li avìa posti, ma questi huomini non hanno a patto alcuno voluto mai acconsentire, anzi bravamente dicevano piutosto star per morire che comportare ch'Egli mettesse le mani in quel fatto et che facesse stare alla larga quei soldati che altrimenti tiraviano et si combatteriano.
Anche questo increscioso incidente terminò senza sangue perchè i Correggesi, a seguito delle pressioni dei Duchi di Modena e Savoia, si ritirarono ed offrirono delle scuse.
Il Condolmeri, vero vittorioso del conflitto, cominciò però a sentirsi poco tranquillo, perchè in data 28 maggio 1587 chiedeva al Duca un corpo di guardia per difesa personale.
Passarono vari mesi tranquilli e la simpatia fra Camillo e Filippo andò crescendo, sino ad indurre Camillo di chiedere a Filippo la composizione di un'acerba lotta per interessi di famiglia che correva fra lo stesso Conte e il bastardo Alessandro, che il Cardinale Girolamo aveva avuto prima di abbracciare la carriera ecclesiastica.
I due da Correggio, convenuti a S. Martino nel 1590, sotto il patronato e la mediazione di Filippo, alfine si riconciliarono.
Una gran spina era stata tratta dal cuore di Camillo, perchè Alessandro, nei mesi di disaccordo, capitanata una banda, si era dato ad incendiare e devastare tutti i beni del Signore di Correggio, e altri reati di brigantaggio compiendo, finiva col meritarsi, a termine di legge, quasi tutti i tipi di pene di morte in uso a Correggio.
Nel 1593 il Duca di Modena era intenzionato di far biforcare il canale d'Enza sui confini di Correggio per avviarne un ramo nel Carpigiano.
Ciò risultava contrario ai trattati e non ebbe seguito.
Nel 1594, in settembre, sorse una nuova controversia per i terreni di mezzo, placata sei giorni dopo da un accordo stipulato fra Camillo ed il nuovo Marchese di S. Martino, Carlo Filiberto I.
Per vari anni si visse in pace e di buon accordo, e ciò sino al 1603, in cui si accese una guerriglia che arrecava vari morti fra le due parti.
Cosimo da Correggio, l'impetuoso fratello del nuovo Signore di Correggio, Siro, invadeva il territorio di S. Martino con 200 cavalieri.
Senza l'intervento del Duca, che intimava a Cosimo di ritirarsi, i Sanmartinesi avrebbero certo avuta la peggio, perchè il reparto d'armati era imponente rispetto alle esigue forze di Carlo Filiberto.
Difatti l'anno precedente non fu possibile levare altrettanti soldati nell'intero territorio del Marchese.
Il Podestà Pignatti, scrivendo al Duca in tal proposito, affermava che pochi erano gli abitanti, poverissimi e bisognosi di lavoro per vivere.
Ma nel 1615 doveano scoppiare grossi guai nei terreni di mezzo, a pregiudizio di quegli infelici abitanti.
Motivo: la caccia alla lepre di un servo di Siro, che nella foga dell'inseguimento forse varcava i confini degli stessi terreni, portandosi a S. Martino.
Al di sotto di tale futile motivo stavano i rapporti sempre tesi fra i due stati ed il ricordo di reciproche angherie.
Se la guerra, una vera guerra che poteva avere in quel tempo vaste ripercussioni, non fu scatenata dal servo imprudente, lo si deve a diverse cause concomitanti, fra cui il timore abituale del Principe Siro, lo sventolare al vento del gagliardetto di S. M. Cattolica di Spagna e l'entrata in fazione di altri due stati, in quel tempo molto potenti.
Correggio era sempre presidiata dagli Spagnoli che, chiamati dal Conte Camillo trent'anni prima, per difendersi dai Sanmartinesi e da Alessandro, dovevano ancora uscirne, benchè invitati a farlo più di una volta, sia da Camillo, che da Siro.
Nel maggio del 1615 un servo del Principe di Correggio, fatto prigioniero a S. Martino per il motivo di caccia che si disse, veniva rinviato a casa sua dopo un mese di carcere, mercè il pagamento di 50 lire di multa.
Ciò spiacque a Siro che dette ordine alle guardie di confine di arrestare il primo Sanmartinese che, per motivo di caccia, si fosse avventurato in territorio correggese.
Il 28 luglio dello stesso anno, sia per caso o precisa volontà, veniva arrestato dai Correggesi proprio un servo del Governatore di S. Martino, Don Francesco d'Este, che, seguito da un cane levriero si era recato a caccia nei terreni di mezzo, per ordine espresso del Governatore.
Non si sa di certo se il servo, che avea nome Girolamo Baracchi, abbia veramente violata la giurisdizione e sì dubita che l'arresto sia avvenuto addirittura nel territorio di S. Martino.
Le richieste di liberazione del servo e del cane, sollecitate da Don Francesco, non ottennero che evasive risposte.
Trascorsi circa tre mesi dall'arresto, D. Francesco passò alle rappresaglie facendo imprigionare alcuni Correggesi di Villa S. Biagio, abitanti nei terreni di mezzo, e che, per la storia, si chiamavano: Giovanni Vicari, Lodovico Mignani, Giberto Lucenti, Tomaso Rossi, Giovanni Beccaluva e Lodovico Corradi:
Era il 30 ottobre 1615.
Siro, avuta immediata notizia dell'arresto, inviava subito truppe nei terreni di mezzo per occuparli, mobilitando pian piano il suo piccolo esercito.
11 giorno stesso Cesare d'Este, Duca di Modena e Reggio, avvertito del fatto, ordinava la mobilitazione generale in tutto il suo stato destinando le truppe di S. Martino a rimanere alla difesa dei confini.
Il 31 ottobre le prime truppe, quelle di Carpi, partivano alla volta di Trignano.
Il Conte Paolo Brusantini iniziava indi lo stesso giorno trattative per conto del Duca, allo scopo di giungere alla liberazione del servo e del cane e ad una equa convenzione in tema di caccia nei terreni di mezzo.
Le cose sembravano avviarsi felicemente. Ma evidentemente a Modena e S. Martino non si era in buona fede, perchè le truppe continuavano a venire mobilitate.
In buona fede non si era neppure a Correggio, poichè Siro segretamente chiedeva l'aiuto del Duca di Mantova. Si muovevano le truppe di quest'ultimo il 5 novembre.
Siro era seriamente impensierito per le grandi forze che stava spiegando ai confini il suo nemico.
Intanto i Sanmartinesi depredavano dieci porci e molte galline nelle terre dei Correggesi, benchè tali scorrerìe, seguite da furterelli, non fossero approvate dal Brusantini, che, caso raro, ottenne si restituisse il mal tolto e venissero puniti i depredatori.
Il Brusantini era veramente desideroso di pace e ciò dimostrò accettando il prigioniero ed il cane il 5 novembre, intendendo in tal modo di ritenere chiusa la vertenza.
Ma Siro che, stante il suo carattere procedeva sempre a mezze misure, non osò, per timore dello scorno, liberare direttamente servo e cane. Volle invece donare i prigionieri al Comandante del Presidio Spagnolo, che subito li liberava.
Questa mezza misura dimostra pienamente il carattere di Siro, ch'era quello di un tirannello senza forza e senza ardire. Ed egli, dopo molte titubanze, a seguito di un ordine del Governatore Spagnolo di Milano, dovette poi il 14 novembre ringoiarsi nuovamente prigioni servo e cane, che gli vennero rinviati dal Marchese Carlo Filiberto, affinchè Siro li liberasse di sua mano.
S'intende che dietro le quinte Sanmartinesi stava sempre il Duca Cesare.
11 Duca di Modena, mobilitando tutte le sue truppe, aveva ordinato che queste fossero pronte nei luoghi di confine assegnati, l'11 novembre.
In tale mattina dovevano trovarsi in pieno assetto di guerra circa settemila soldati, tolti da tutti i territori dipendenti dai Duca.
Cesare pose a capo delle truppe il Marchese Bentivoglio. Nel campo avverso, quello correggese, non si poteva contare che su circa ottocento armati, compresi i componenti del presidio - spagnolo e i militi inviati dal Duca di Mantova.
Le forze di Cesare d'Este erano imponentissime, anche se un terzo di esse mancava all'appello.
Si pensi che in tal epoca, il Principato, coi territori di Correggio, Campagnola e Fabbrico, non toccava i diecimila abitanti.
L'11 novembre 1615 il Duca Cesare ordinava al Marchese di sloggiare per l'indomani i Correggesi dai terreni di mezzo e di occupare quel vessatissimo suolo.
E l'assalto avveniva precisamente il 12 novembre, nelle prime ore del mattino, coll'occupazione del territorio che veniva man mano sgombrato senza lotta dai Correggesi.
Furono scelte ad entrare per prime nei terreni contesi le truppe di S. Martino, appoggiate dall'artiglieria, con qual gioia di quei militi è da immaginare.
In giornata l'intera occupazione dei terreni di mezzo era avvenuta.
Il 13 novembre Cesare ordinava al Bentivoglio di far sgomberare ed il 14 la lotta era completamente finita a tutta ragione di Carlo Filiberto, ovverossia del Duca, o meglio ancora dei suoi numerosi armati.
Ed ora osserviamo direttamente come si svolse la lotta nella fatal giornata del 12 novembre, esaminando i verbali degli interrogatori compiuti in Correggio più tardi e cioè il 5 maggio dell'anno appresso 1616.
Avanti a Francesco Colleoni, Antonio Paris e Paolo Ferrari, compaiono come testi i due sergenti spagnoli a nome Giovanni Eredia e Baldassarre Ruiz.
Essi erano di guardia allo stendardo spagnolo che sventolava dalla casetta di Alessandro Faltrini, posta fra le Ville di S. Biagio e Fazzano.
Ecco quanto narra il sergente Eredia:
E' vero che allì 12 del mese di novembre prossimo passato ritrovandosi una grandissima quantità di soldati del Signor Duca di Modona et del Signor Marchese d'Este di S. Martino à piedi et a cavallo con doi pezzi d'artiglieria, che ascendevano al numero di quatordici milla in circa per quanto con l'occhio si poteva scorgere (evidentemente il bravo sergente ci vedeva doppio in quanto al numero delle truppe) accampati nella campagna che è in confine delle ville di Fagiano et S. Biagio distretto di Correggio et dello stato di S. Martino, in un subito a suono di tamburo cominciorno a dar l'armi, et si incaminorno con gran furia contro le dette due ville gridando amazza amazza, di dove si erano partiti. Incominciato questo rumore, i soldati del Signor Principe di
Correggio, chiamati da S. E. per fugire maggiori inconvenienti uscirno di dette case di dette ville, et intratti detti soldati Modonesi, et di S. Martino dentro le case di dette ville, depredorno et sachegiorno con gran crudeltà quelle, portando via ogni sorta di roba tanto da mangiare, quanto arnesi, letti, ottensili et altri beni mobili, et condussero via tutti li animali grossi, e minuti che ritrovorno levando via li cadenazzi, et serrature delle porte abrugiando molte tavole, et perforando coi pugnali anche molti vasselli di vino levando i cerchi di ferro da quelli, devastando i muri di dette case et di più amazorno un soldato (ch'era il caporale Borghetti da Caprì) suddito di Correggio che era rimasto indietro per non haver voluto lasciar l'armi, et usorno in più molti altri atti di grandissima crudeltà contro lo stato di Correggio non avendo però nell'entrare che fecero i nemici nella villa di Fazzano il Sig.r Sergente Roìz che meco era in guardia dello stendardo protestato più volte al Sig.r Marchese Bentivoglio Generale et al Sig.r Cavaliere d'Este che non sopportassero che fosse molestato lo stato di Correggio et la detta villa di Fazano, nè di S. Biaggio giurisdizione di detto stato che erano sotto la protezione di S. M. Cattolica altrimenti che ogni danno e disprezzo che fossi fatto a dette ville et stato sarìa fatto ad onta di S. M. domandandoli detto Sig.r sergente Roiz a detto Sig.r Marchese et Cavaliere se conoscevano detto stendardo per stendardo di S. M. ed essi risposero di sì et vedendo che perseguitavano i nemici a sacchegiare detta villa di Fazano dove loro erano si disse come dunque avevano ordine di comportare che sotto uno stendardo Reggio fossero fatti tali misfatti, et depredationi ma essi cinvitorno più volte a portarlo via et perchè - non volessimo farlo lo fecero levare, da luoco dove era piantato, et lo fecero portare nella chiesa di Fazano.
Ecco intanto ciò che succedeva in Correggio: " Il principe e tutto il popolo in arme con il Sig.r Governatore dei Presidio Spagnuolo, et i suoi soldati, comossi grandissimamente si posero in Armi et si metterno a fabricarvi fascinate et alzare i terrapieni delle mura conducendovi l'artiglieria essendo spaventati tutti gli abitanti ".
L'interrogatorio di alcuni abitanti ci descrive come i Sanmartinesi ruppero con palle di ferro la chiavica del Tresinaro e come l'acqua del Canale d'Enza, passando nel cavo, allagasse i dintorni. Grave danno ricevettero i mulini di Correggio che erano animati da detto Canale.
Altri interrogatori compiuti l'8 maggio ci descrivono varie brutalità.
Ameni episodi ricordano poi le beffe fatte dagli invasori allo stendardo spagnolo.
Qui però occorrerà sopprimere qualche frase che nei verbali è espressa in modo troppo realistico.
E' vero che pianto che fù lo stendardo di S. M. Catolica nella casetta d'Alessandro Faltrini nella Villa di Fazzano, gli soldati di Modena et S. Martino andavano a garra a veder detto stendardo usando tuttavia contro di quello parole et atti di gran beffa et disprezzo, hora con salutarlo per scherzo, hora con dire quella è l'immagine d'una bettola et d'una hostarìa, domandando alli nostri soldati che stavano a guardia di quello quanto volevano del bocchale del vino, bora con dire che detto stendardo era una coperta da cavallo con l'impronta di una padella intendendosi l'arme reale in essa dipinta che accennavano con diti e sorigi pieni di spirito contro di quello, rimproverando tuttavia i soldati di Correggio che uscissero fuora, et ingiuriandoli in molte guise.
Uno dei contadini danneggiati così dichiara:
I soldati, a me in particolare ruppero le finestre della mia casa di S. Biagio levando via una gran ferriata di finestra che pesavano da 25 pesi in circa per quello che si poteva scorgere, et mi levorno ogni cosa di casa, scrivendo anche in casa di alcuni altri cittadini di Correggio vari motti sporchissimi in vilipendio dei Sig.r Principe.
E per ora basta coi verbali.
A seguito di accordi presi nel febbraio, alla fine di marzo venivano liberati da Siro servo e cane e da Carlo Filiberto i Correggesi tenuti in ostaggio. 1 terreni di mezzo rimasero, salvo i danni patiti, nelle stesse condizioni di prima.
Le discordie si avviavano però alla fine, perchè Siro, dopo varie vicissitudini che non è il caso dì narrare, finiva col perdere il Principato.
Egli, bisognoso di asilo, si rifugiava in convento, e proprio in S. Martino, passandovi alcuni giorni nel 1631. Indi prendeva la via dell'esilio.
Il principato passava nel 1635 agli Estensi, che tanto ne avevano agognato il possesso.
Il Duca, padrone delle terre di Correggio e rispettato e temuto in quelle di S. Martino, faceva tacere ogni dissidio, assegnando a ciascun feudo la sua giurisdizione.
Nel 1671, 24 maggio, a mezzo di una transazione rogata dal Notaio Beccaluvi, si appianavano gli ultimi screzi fra S. Martìno e Correggio, e gli abitanti dei due territori vissero d'allora relativamente in pace, senza che però si sopisse del
tutto la vecchia acredine del passato, che sboccò di poì, sino a 50 anni or sono, in frequenti liti individuali.
La repubblica Cisalpìna, nell'anno 1800, staccava da S. Martino le due ville di Prato e Lemizzone per unirle a Correggio, originando in un primo tempo molti malumori a S. Martino.
La legge Dittatoriale del 4 dicembre 1859
confermava la circoscrizione del Comune di Correggio, comprendendovi le due ville.
Dopo d'allora, benchè tal perdita sia apparsa grave per motivi di sentimento, l'aura nuova di libertà e di unificazione degli spiriti della terza Italia, fece man mano svanire le velleità di campanile.
(Da "Accordi e Contese fra Correggìo e S. Martino in Rio, nella Storia " di Riccardo Finzì, Correggio, Soc. Cromotip., 1935).
Le notizie sono desunte da ricerche compiute nell'Archivio di Memorie Patrie di Correggio, nell'Archivio Comunale di S. Martino in Rio, nell'Archìvio di Stato di Modena e da altre fonti.