| Riccardo Finzi |
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| Le Dame di Correggio | |
| Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984 |
Si vogliono qui rievocare le memorie delle dame che maggiormente illustrarono la corte di Correggio al tempo della Contea.
Queste Dame sono solo in parte Correggesi, poichè alcune di esse sono originarie di altre casate.
Della più illustre, la Gambara, è riportata a parte la vita. La prima Dama, in ordine di tempo, che merita attenzione, è Maddalena di Guglielmo Rossi, quarta moglie di Giberto V da Correggio, sposata nel 1314 allorchè quest'ultimo amico di Re Roberto di Napoli, volle riconciliarsi con una famiglia che alcuni anni prima aveva cacciata da Parma.
L'episodio, in cui rifulgono le doti di Maddalena, è il seguente: per una sollevazione dei nemici di Giberto, avvenuta il 25 luglio 1316, lo stesso Giberto è cacciato da Parma, la città che il Correggese aveva signoreggiato per 13 anni.
Al fratello di Maddalena, Orlando Rossi, uno dei vincitori, prega la sorella di volersi salvare dalla furia del popolo, rifugiandosi nell'avita casa dei Rossi. La donna respinge l'offerta e, a piedi nudi, coi capelli sparsi sulle spalle in segno di dolore, raggiunge Giberto e, gettandosi ai suoi piedi, offre allo sposo se stessa affinchè egli possa sfogare su di lei l'impeto d'ira che lo coglie nei confronti dell'implacabile odio dei Rossi.
Simile esempio, riportato in varie cronache, rifulge come una gemma, specialmente se posto a fronte ai tanti esempi di crudeltà, affioranti in quei tempi.
Una Dama di buone virtù e capacità dovette essere Beatrice d'Este, figlia di Nicolò III, Marchese di Ferrata, nata il 9 aprile 1421, sposa a Niccolò I da Correggio nel 1448 e quindi madre di Niccolò detto il Postumo. Costei si marita in seconde nozze con Tristano Sforza figlio di Francesco Duca di Milano e mantiene un certo potere in quella corte. Ebbe molto caro il figlio Nicolò, umanista e poeta, e fece in modo ch'egli venisse dotato della Contea di Castellazzo nello Alessandrino, già in possesso della stessa Beatrice. Poco altro si sa della Dama, che morì in Milano nel 1497.
Una dama nota per la sua pietà è Agnese di Marco Pio di Carpi, che insieme al -
marito, il terribile Manfredo vendicatore del fratello Giberto, nel 1469 dà mano con lo sposo all'erezione del tempio di S. Francesco. Agnese muore nel 1474.
Più tardi emerge dalla storia un interessante gruppo di Signore, facenti parte della famiglia di Niccolò Postumo.
La moglie di Niccolò, Cassandra, figlia naturale del celebre generale della Repubblica Venera Bartolomeo Colleoni, sposa nel 1472 il ventiduenne umanista-guerriero e poichè Niccolò è spesso assente, si dedica - interamente alla famiglia: un maschio, Giangaleazzo e tre figlie, Eleonora, Beatrice ed Isotta.
Di Eleonora, o Lianora, che fu assai diletta al padre, si sa che promessa ad Alberto Pio Signor di Carpi, andò infine in isposa, nel 1493, al Signor di Corno e Conte di Locarno Eleuterio Rusca. Bella e colta, visse quasi sempre a Milano. Ella fu dama di corte di Bianca Maria Sforza. Un brutto ritratto di Lianora bambina si conserva nella Biblioteca Civica di Correggio. Ed un " netto le è dedicato dal padre Niccolò, sonetto riportato nella monografia dedicata a quest'ultimo.
La seconda figlia Beatrice, detta " Mamma ", ricordata nel XLVI canto del Furioso:
... Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio... sposa Nicola Quirico Sanvitale del ramo di Sala, morto nel 1511.
Di lei Enea Irpino, poeta parmense, canta in un appassionato " Canzoniere " conservato nella Biblioteca Palatina di Parma, sonetti e madrigali. Traggo le notizie dall'operetta di Augusta Ghidiglia Quintavalle, " Un volto ritrovato:. colori e inchiostro a gara in onore di "Mamma da Correggio" ".
Il poeta paragona Beatrice a Venere ed A suo figliolo ad Amore. Invero nel ritratto del pittore Alessandro Araldi, che si riporta in queste pagine, "Mamma" appare molto bella. Tanto bella che l'Araldi coglie l'immagine del suo viso per effigiare ad affresco il volto di S. Caterina, nel Chiostro di S. Paolo a Parma. Ed ancora ritrae il viso della dama offrendole l'attribuzione di Santa Barbara, nella tavola con lo " sposalizio della Vergine " nella Cattedrale di Parma.
La sua bellezza è pura e conturbante ed il poeta Irpino ricordando l'Araldi, così canta in un madrigale:
Ritraendovi il bel volto et quei bei lumi onde altamente d'alto amor s'infiamma, Araldo disse a Mamma: " Non mi mirar negli occhi troppo fiso,
mentre or col vago sguardo mi consumi, m'havendo la virtù del chiaro viso da me tutto diviso, tutto m'accendi d'una ardente fiamma.
Per non tener sì i spirti miei confusi, volgi in perfilo gli occhi o tienli chiusi " (f. 31)
Leonora e Beatrice ebbero a maestro il celebre Bernardo Bellincioni, postosi al servizio del Conte Niccolò e morto di poi nel 1491.
La terza figlia di Niccolò, Isotta, nata il 3 febbraio 1492, entrò a 13 anni nel Monastero di S. Antonio, fondato nel 1496 dal padre Nic
colò. Detto Monastero sorgeva ove è ora posta la chiesa dedicata alla Madonna della Rosa. Isotta prese il nome di Suor Barbara. Il Quadrio affer
ma che Isotta " fu di sì alto intendimento dotata, che fu la singolar meraviglia de' tempi suoi e che fra gli altri suoi pregi componeva all'improvviso bellissimi versi Italiani. Forse Isotta fu educata da un certo Antonio di Valtellina, figlio di Francesco, che si dilettava di poesia e che fu al servizio di Niccolò come Cancelliere. Così suppone il Tiraboschi (Bib. Mod.). Il Giolito non dimenticò di comprendere una lettera di Isotta fra le " Lettere di molte valorose donne ", un ottavo uscito dai torchi nell'anno 1559.
La Monaca finì di vivere sul principio del 1557 ed essendo in quell'anno stato atterrato il Monastero, fra i molti documenti che allora furono distrutti forse andarono perduti anche i versi di Isotta.
E' a dirsi poi che anche Cassandra, mortole lo sposo Nicolò, prese il velo nello stesso convento ove s'era monacata la figlia Isotta, ed ivi si spense nel 1519.
E se Beatrice, detta " Mamma ", di cui già si è parlato, potè vantare i versi dell'Ariosto, l'amore di un poeta e i ritratti di un buon pittore, la sposa ed indli vedova di Giangaleazzo - fratello di Eleonora, Beatrice e Isotta - si ebbe sia i versi dell'Ariosto che, addirittura, il pennello di Antonio Allegri.
Parliamo ora di tale illustre Dama. Ginevra Rangone, figlia del Conte Niccolò e sorella di Guido ed Annibale, studiò coi fratelli sotto l'insegnamento di Anton Maria Visdomini. Di lei si conosce ch'era amantissima da Petrarca, che coltivava le lettere e che, come tale, appare nel celebre dialogo " de otio et sybillis; ".
Diresse alla propria madre, Bianca, un epigrammo latino - in ciò forse aiutata dal suo maestro - di ottima fattura, riportato dal Tiraboschi.
Andò a nozze giovanissima col diciottenne Giangaleazzo, nel 1503, recandogli in dote ben 7000 ducati.
Rimasta vedova nel gennaio del 1517 a trent'anni, senza figli, le fu restituita la dote ed ottenne ricchi doni, come appare in un atto del 17 febbraio dello stesso anno.
Il ritratto che la effigia, firmato dal Correggio con l'abbreviazione di " Anton. Laet. ", in cui Ginevra appare in abito vedovile, nel saio di terziaria francescana di contro al grande albero di alloro che fa da sfondo alla sua figura e quasi ne incornicia il capo, è stato dipinto nel 1518 e, facilmente, aveva a servire alla donna per rimaritarsi. Come tale venne presentato al futuro sposo, il Marchese Luigi Alessandro Gonzaga di Castelgoffredo, figlio di Rodolfo, capostipite del ramo di Castiglione e Solferino.
Nel dipinto la vedova mostra un'ampia scollatura da cui appaiono le ancor tornite spalle e sul piatto ch'ella reca con la mano destra si legge: " Nepente ". Con che la vedova appar dichiarare d'esser pronta a sorbire il succo capace di spegnere in lei la memoria del già compianto sposo.
Le nozze col Gonzaga si celebrarono nel 1519. Neppure dal secondo marito Ginevra ebbe prole ed ella venne sepolta in Mantova coll'abito di terziaria francescana - come appare nella Cronaca Lancillotto - il 10 agosto 1540, all'età di 5 3 anni.
Di lei il Tiraboschi (Bibl. Mod.) ricorda oltre l'epigramma, due lettere scritte all'Aretino nel 1537, per accompagnare certi doni che, insieme al Gonzaga suo marito, mandava al Poeta.
Giulio Cesare Scaligero scrisse in suo onore un epigramma in cui la Contessa è posta a raffronto dell'illustre letterato Guido Rangone, di lei fratello. Ed anche Enea Irpino, dopo aver poetato per la cognata " Mamma ", così la ricorda:
Coregio tuo, raccoglie una mia figlia
tutto di cor di spirito gentile.
Per l'alto nome suo duono il genebro in chiaro pregio a chi si l'assomíglia al puro e invitto animo virile ...
(Canzoniere, f. 37 v.)
In quanto poi al valore del - ritratto, se ne discorre a parte nel capitolo dedicato al Correggio.
Oltre a Mamma e Ginevra celebrate nella Y stanza del 46' Canto del Furioso, Lodovico Ariosto rammemora una seconda Ginevra nella stanza seguente. Si tratta della figlia di primo letto del Conte Giberto X, sposata al Conte Paolo Fregoso. Nella stanza l'Ariosto canta
... Veggo un'altra Ginevra, pur uscita dal medesimo sangue, e Giulia seco; ...
e nella stanza seguente, la 5', l'Ariosto ricorda altre dame di Correggio, anche se appartenenti ad una nobiltà più modesta.
. . . Ecco la bella, ma più saggia e onesta Barbara Turca, e la compagna è Laura...
Il Tiraboschi riporta una lettera che Ortensio Landi scrive a se stesso, sotto il nome di Lucrezia Gonzaga. Questa lettera è molto interessante perchè ricorda le varie dame di Correggio al tempo di Rinaldo Corso. La lettera è la seguente: A grande invidia m'havete commosso, M. Hortensio mio, e il peccato sia vostro, scrivendomi che siete per andare a Correggio, dove infiniti piaceri gusterei, non solo poetizzando col V. Messer Rinaldo Corso, ma anche philosofando col Signor Giberto, ragionando di cortesia colla Signora Lucrezia, di lealtà con la Signora Claudia, di amore con le sue citelle, di bontà con la D. Suor Barbara, delle Scritture Sante con la Vostra hospite bonore di Casa Merli et madre del virtuoso M. Rinaldo. Ma che dirò poi della gravemente gioconda et giocondamente grave affabilità di M. Lucrezia Corsa? Che piacere singolare sarà il vostro, se per sorte (si come intendo) il Sig. Hippolito et sua consorte vengano questa vernata a Correggio? (Bibl. Mod. T. 11, a pag. 143).
Vediamo ora di riconoscere i vari soggetti citati nella lettera. Di Rinaldo Corso si parla in una monografia del presente volume. Il predetto Giberto, è l'undecimo della casata, di cui già si è accennato nel capitolo precedente. Lucrezia è la moglie di Manfredo III Conte di Correggio, figlia di Ercole d'Este di S. Martino, sposatasi nel 1514, madre del Conte Camillo. Claudia è la Contessa Rangone, consorte del nominato Giberto, di cui parleremo più innanzi. Suor Barbara è Isotta, di cui già si disse. L'onor di casa Merli è Margherita, sorella del Prevosto di Correggio Don Ippolito, un uomo dotto in lingue greche, ebraiche e latine. Madonna Lucrezia è la sposa di Rinaldo, figlia di Gabriele Lombardi. Ippolito è il figlio maggiore della Gambara. La sua consorte è Chiara, del Conte Gianfrancesco da Correggio. Da Ippolito e Chiara nascerà Fulvia, sposa a Lodovico Pico della Mirandola, una dama di cui si parlerà più innanzi.
In quanto a Rinaldo Corso, nella sua operetta " Gli honori della Casa di Correggio " ' stampata nel 1554, egli nomina Giulia, che chiama di real costume. Questa Giulia è facilmente da riconoscersi nell'amica della seconda Ginevra, figlia del Conte Giberto X. Ricorda inoltre Virginia, di bellezza sovrumana; due Merli, d'onore ciascuna calda; Anna di Lodovico, di bellezza rara, ed inoltre Caterina Gatti, Chiara dei Calcagni ed altre donne.
Vi è quindi da pensare che i letterati di gran fama che godettero l'ospitalità di Correggio, gli alti prelati ed i principi, venissero accolti più da belle e colte dame che da cospicui uomini.
Infatti i maschi della casata di Correggio ed i loro compiacenti uomini di corte - fatte, s'intende, le solite eccezioni - si dedicavano, oltre al cavalcare ed al tirar d'armi, più alla caccia che agli studi e scorrazzando per le campagne ed in palude, trovavan modo di cacciare tal tipo di selvaggina da seminare un certo numero di figli naturali che, qualche volta, venivano legittimati.
Una donna di notevole lignaggio è Francesca di Brandeburgo, nipote di Barbara, Marchesa di Mantova, moglie di Borso da Correggio nel 147ì. Rimasta vedova, la Dama ebbe a far costruire per sè, il notevole Palazzo dei Principi, ove morì nel 1512.
Le Dame di Correggio non si occupavano solo di letture, studi o preghiere, se in un Catalogo stampato nel 1548 si legge: Nel far il gelo e confettar li pezzi interi, tiene ai nostri tempi il primo luogo Suor Barbara, il secondo Donna Ludovica e il terzo la Gattina della Signora Lucrezia. Dei quattro personaggi, due ci sono noti, poichè Suor Barbara è la nominata Isotta e Lucrezia è quella d'Este, moglie di Manfredo. Donna Lodovica è poi la zia di Isotta, figlia del Conte Antonio da Correggio. La Gattina non poteva essere altro che una Gatti, forse la già nominata Caterina.
Parliamo ora delle due dame più illustri che onorarono Correggio con la loro cultura, il brio e la bellezza, ma che disonorarono i rispettivi mariti col loro contegno di adultere.
Si tratta di dame amiche fra di loro: Olimpia, detta Claudia, una Rangoni sposa a Giberto XI, nata circa nel 1531 e Lucrezia Lombardi, a cui si è già accennato, figlia di Gabriele e nipote di Giambattista, detta La Marchesina, nata circa nel 1520 e sposa di Rinaldo Corso nel 1549.
Di Claudia, figlia del Conte Claudio Rangone, i letterati fanno l'elogio per l'ingegno ed il Tiraboschi pubblica alcune sue lettere (Bibl. Mod.). Il biografo Correggese Ernesto Setti (1757-1826) nel T. Il delle sue biografie di Illustri Correggesi, riporta la notizia che Vincenzo Martelli, in una sua lettera scritta il 12 luglio 1549, dice di lei che è una donna di molto talento. Sempre dal Setti si ricava che Girolamo Catena scrisse una ottava latina in suo onore. Il Catena nell'indice della sua raccolta di rime, scrive di lei essere donna che oltre le grazie e la dignità dell'aspetto... è di vastissimo ingegno, e di presta ed onorata eloquenza, specialmente in scrivere lettere...
Sempre secondo il Setti, Claudia ebbe elogi da Luca Cortile e da Marcantonio Piccolomini. Inoltre Torquato Tasso si portò a Correggio per trovarla assicurandola di nutrire quella stima che per essa, e per il di lui genitore, aveva pure nutrito il proprio padre Bernardo (A. Caro. Lettere, T. 11).
Nel 1564 a Claudia venne dedicata una raccolta di versi fatta dagli Accademici di Mantova in lode di molte donne gentili. E nella fine della dedicatoria leggesi una ottava di Francesco Filippini, di cui si riportano i primi due versi:
Voi, o Claudia gentil sete discesa
da l'unico splendor per l'alte stelle. . .
Bella e perfida, Claudia abbandona il marito ed indi inizia la causa di annullamento di matrimonio a motivo di parentela, benchè ella sia solamente una lontana cugina di Giberto.
Dapprima Claudia dimentica pure la figlia Lucrezia, che si fa monaca a 15 anni nel 1569, forse per sfuggire allo scandalo provocato dalla madre. E la dama si occupa troppo tardi della figlia, nel vano tentativo di farle ottenere lo scioglimento dei voti promessi.
In Roma, Claudia, rifugiata nel Convento di S. Maria di Campo Marzio, attese la pratica di annullamento e ottenne quanto desiderava.
Ottenne inoltre la restituzione della dote, come fa fede un Atto del Notaio Graziani.
Giberto inutilmente fece sentire a Roma le sue ragioni, a mezzo dei migliori avvocati. Ella con la sua perfidia e le sue grazie aveva come ammaliata la Corte Pontificia. E vittoriosa, libera dal nodo coniugale, uscì dal Convento.
Scrive il Litta (op. cit.) a proposito di Giberto: Andò a Roma per la causa del divorzio e della restituzione della dote con una comitiva di legali; la moglie gli oppose bellezza e l'affetto del Cardinale di Correggio, e trionfò. Questo Cardinale era Girolamo, zio di Giberto: Lo stesso Litta dice di lei: Nel 1566 abbandonò il marito che accusava di non avere seco da dieci anni compiuto ai doveri maritali. Passò a Roma, ove istituì causa di divorzio sotto il titolo di parentela, non avendo pretesto più legittimo. Benchè la parentela fosse nel decimo grado, nulladimeno Pio V dichiarò nullo il matrimonio, legittima la prole. Claudia era l'amante del Card. di Correggio ed è fama che facesse avvelenare per gelosia certa Calcagni, ma trattandosi di una Rangoni, il fatto è coperto di tenebre ... Visse sempre in Roma corteggiata da' personaggi più distinti. Colà morì nel 1593, 2 febbraio, lasciando eredi i Barnabiti.
Parliamo ora di Lucrezia Lombardi. La donna è chiamata nell'Accademia Correggese fondata dalla Gambara - Ipparca - ed è annoverata dal Ruscelli fra le donne più illustri d'Italia. Lo stesso afferma che Lucrezia, dopo sposata, scrisse il volume " Quesiti di M. Lucrezia Corso da Correggio ". Ma nessun di lei scritto è stato mai rinvenuto. Ortensio Landi fa menzione di lei nei suoi " Dubbi ".
Già infedele al marito, che l'adorava, e Perdonata, per ultimo Lucrezia nella quaresima del 1562 si fece rapire da un gruppo di sconosciuti, nell'uscire che fece dalla predica, in compagnia di Donna Claudia Rangoni.
Passata a convivere col Notaio G. B. Cartari, in Reggio, restava a favore dell'amante, nominandolo erede universale Nel 1567, due anni' dopo il testamento, trovandosi Lucrezia in Fabbrico, sola, in una sua casa posta nella Villa dei Galli, nella notte fra il 30 settembre ed il I' ottobre, veniva assalita da otto sicari che, sfondate le porte della casa, atrocemente la trucidavano. Nulla si seppe mai nè degli assassini, nè del mandante.
Dopo narrate le vicende di queste due illustri, sciagurate donne, tanto dotate dalla sorte quanto malefiche, riportiamo infine qualche notizia di Fulvia da Correggio, figlia del Conte Ippolito e della Contessa Chiara da Correggio.
Andata sposa a Lodovico Pico della Mirandola, in seconde nozze di quel Signore, rimase ben presto vedova ed assunse il governo dello stato per conto del figlio maggiore Galeotto Pico e la tutela dei cinque figli, associando i cognati a tale tutela e governo. Alla tutela si aggiunsero gli interessati consigli del Re di Francia.
Fulvia resse con fermezza lo Stato di Mirandola. Cosa non facile perchè, predominanti in Italia gli Spagnoli, nonchè l'Impero - di cui i Pico derivavano l'investitura - lo stato di Mirandola era sotto la protezione della Francia sino dall'anno 1533, al tempo in cui Re Francesco 1 aveva protetto Galeotto, padre di Lodovico, resosi celebre per essersi impadronito dello stato assassinando il proprio zio. Galeotto ebbe una illimitata devozione verso la corona di Francia e mandò i figli a studiare in quella Corte.
I cognati di Fulvia erano pertanto infrancesati: Luigi fu Vescovo di Limoges; Ippolito, militando colle truppe di Carlo IX contro gli Ugonotti, morì alla battaglia di jarnac; Silvia e Fulvia erano maritate a due membri della casata francese di La Rochefocault. La sola cognata Livia era maritata con un Conte Italiano.
Quel Galeotto, padre di Lodovico sposo di Fulvia, era conosciuto anche a Correggio perchè nel 1538 ordì una congiura contro Ippolito da Correggio che, nella sua qualità di generale dell'Imperatore, osteggiava la sua devozione alla Francia. Tale congiura doveva terminare miseramente perchè, scoperta, tal Pagano Zoboli che doveva porre in atto i disegni di Galeotto, perdette miseramente la vita.
Fulvia, lottando per la difesa dello stato nell'ambito dell'Impero, fece chiudere le porte della Mirandola in faccia al cognato Luigi e si rifiutò di mai più ricevere la cognata Livia, facendo alzare i ponti del Castello dopo una fortuita dipartita della donna. In quanto alle altre due cognate, Silvia e Fulvia, venute dalla Francia " per metter pace ", i loro consigli non ottennero alcun effetto.
Il Re di Francia voleva vederla a Parigi col primogenito; ma essa non lo volle mai compiacere, benchè dal Re, che si era preso l'assunto di dissipare le domestiche vertenze, riconoscesse in sè sola concentrata la tutela. (Litta - Pico, tav. IV).
Fulvia seppe virilmente e con molto senno restaurare l'indipendenza dello Stato e, scoperto in tal Giulio Pojani chi tentava di avvelenarla, fece pubblicamente decapitare il reo. Morì nel 1590.
Con tal figura di donna retta, tenace e potente, si chiude la serie delle Dame di Correggio che si è voluto rammemorare.
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