Viller Masoni
Dalla vita di corte alla nascita delle istituzioni culturali (metà sec. XV - fine sec. XVIII)
Correggio - Cinque secoli di politica culturale

1.1. I da Correggio dalla metà del sec. XV alla caduta del Principato


Nel 1452 i da Correggio, che da circa quattro secoli e mezzo signoreggiavano sul territorio da cui presero in origine il nome e che da altrettanto tempo si affannavano a ingrandire il loro feudo, con acquisti e imprese bellicose, ottennero finalmente da Federico III il primo diploma che riconosceva loro il titolo di conti, segnava i confini del Comitato e lo sottoponeva direttamente all'Impero.
Si trattò indubbiamente di un segno di intima forza, ancor più sottolineato dal fatto che tre anni prima era stato confermato il principio che le terre rimanessero perpetuamente indivisibili e inalienabili fra i membri della famiglia e i loro eredi, e che il governo spettasse al più anziano di essi. Se poi si va a vedere l'entità delle 59 proprietà, fra castelli e terre (sparse nei Comitati di Parma e di Reggio e anche fuori di questi, dal Po all'Appennino) chiamate a formare la Contea, questa buona impressione è ulteriormente rafforzata.
Eppure solo due anni più tardi cominciò il ripiegamento dei da Correggio nel territorio di partenza, accelerato dalla perdita dei distretto ad est dell'Enza.
Era successo che gli Estensi, preoccupati dalla emergente Signoria di Francesco Sforza a Milano, avevano cominciato a pensare dì dare più salda difesa al confine occidentale del loro Stato, mediante l'acquisto della linea dell'Enza; la partita, giocata a Milano, vedeva i da Correggio battuti in partenza.
La perdita di questi territori
"significava per i da Correggio una svolta: la caduta definitiva del loro disegno di costruire uno Stato importante per estensione territoriale e influente per iniziativa politica nella pianura, fra Enza e Secchia e, di conseguenza, la necessità di ripiegare sulla Contea di Correggio e quindi avviare una politica di raccoglimento e di conservazione. Anche così ristretto la sopravvivenza del feudo dipendeva dall'equilibrio tra gli Stati e dalla protezione dell'Impero, più dal primo che dalla seconda. la prima regola politica per i da Correggio doveva essere l'equidistanza dai blocchi; una perfetta indifferenza non era tuttavia possibile, e dovettero perciò scegliere uno Stato con cui concordare un'intesa preferenziale, senza escludere gli altri. La stessa collocazione del Feudo, avvolto da ogni parte dallo Stato di Ferrara, impose ai da Correggio la stretta collaborazione con gli Estensi. Una serie di circostanze personali e pubbliche fece di Niccolò da Correggio l'anima di questa politica". 1
Questi era nato nel 1450 da Niccolò I e da Beatrice D'Este, figlia di Niccolò III e sorella di Borso e di Ercole. 2 Fu allevato ed educato a Ferrara, dove assorbì il meglio della cultura raffinata che allora caratterizzava quella capitale. Giovanissimo si trovò al centro di una delicatissima situazione famigliare e politica: le ambizioni degli Stati confinanti avevano infatti provocato profonde lacerazioni fra i Signori da Correggio ed egli fino alla sua morte (1508) si sforzò di realizzare un equilibrio tra le opposte forze (Milano, Ferrara e Venezia) che agivano sul suo Stato, mediando nel contempo anche le differenze che lo separavano dai cugini. A questo sforzo egli dedicò le sue capacità di condottiero, ma soprattutto il suo genio di diplomatico e di intellettuale. Fu una fortuna per la Contea di Correggio che il vuoto lasciato da Niccolò fosse colmato da una donna di eccezionale talento, non solo nel campo della cultura, ma anche in quello di governo. Lo stesso anno in cui Niccolò moriva, Veronica Gambara (1485-1550) veniva a Correggio come sposa del Conte Giberto X, cugino di Niccolò Postumo.
Erano gli anni in cui cominciava veramente la crisi degli Stati minimi e anche Correggio moltiplicò i suoi sforzi per sopravvivere, ora soprattutto ricercando la protezione dell'Impero.
Giberto, da tempo occupato nella carriera delle armi, lasciò spesso e volentieri il governo della Casa alla moglie. Donna Veronica nel 1518, con la morte di Giberto, venne a trovarsi a capo della sua famiglia e al centro dei rapporti con gli altri rami del Casato.
Da quel momento ancor di più le sue doti di ingegno, di raffinata cultura e di tatto diplomatico furono costantemente rivolte a stringere relazioni di altissimo rango giovevoli alla famiglia (in particolare alla carriera dei due figli Ippolito e Gerolamo) e allo Stato.
In particolare furono fondamentali i suoi rapporti con Carlo V che Veronica incontrò in più occasioni e che venne due volte a Correggio, nel marzo 1530 e nel dicembre 1532.
Veronica capì bene che il suo feudo poteva essere un punto importante di applicazione della politica spagnola in Emilia e percorse questa strada. Ippolito (1510-1552) fu il braccio armato della sua politica filo ispano-imperiale, Gerolamo (1511-1572) ne continuò l'opera esprimendosi soprattutto nell'arte diplomatica.
Nella guerra combattuta fra la Lega Sacra (Chiesa, Francia e Ferrara) e Impero, Correggio fu alleata di quest'ultimo e dovette anche subire un lungo e duro assedio che provocò molti danni e la distruzione del circondario della città.
Dopo la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559, però, Gerolamo raccolse i frutti della sua alleanza con l'Impero alla quale egli aveva creduto differenziandosi anche dai nipoti. Dall'Imperatore Ferdinando ottenne, oltre alla restituzione dei paesi occupati, l'investitura del Feudo con diritto di batter moneta e l'elevazione di Correggio a Città. La sua nomina a Cardinale nel 1561 gli diede definitivamente la supremazia sui nipoti nel governo della Città.
A Correggio elevata a Città Gerolamo cercò di conferire il prestigio e il decoro convenienti, ma anche quella preminenza e quel distacco dal territorio circostante che l'incipiente assolutismo ormai autorizzava.
Dopo la morte di Gerolamo si aprì un'aspra lotta fra il figlio legittimato del Cardinale, Alessandro, e i cugini Fabrizio, Camillo e Giberto. Questo fece sì che per circa 25 anni le migliori energie e risorse dei da Correggio furono impiegate in tali lotte. Inoltre la ricerca esasperata di alleati da parte dei contendenti 3 creò intorno a Correggio una attenzione e una curiosità che ben presto sarebbero diventati brama di conquista.
Infine nel 1597 Camillo, con la sconfitta di Alessandro e la morte dei fratelli, si ritrovò unico legittimo Signore di Correggio. Afflitto dalla mancanza di eredi maschi, dalla nascita di Gian Siro (1590-1645), avuto da una donna quando ancora la moglie legittima era viva, ricevette nuove gravi difficoltà.
La realtà era che i potenti vicini e protettori cominciavano ad avere fretta di mettere le mani sulla Contea e diedero perciò vita ad uno stillicidio di contestazioni sulla legittimità di Siro all'investitura del feudo. Allorquando quest'ultimo (ancora giovanissimo, inesperto e probabilmente non troppo dotato di capacità di governo) alla morte del padre (1605) si trovò alla guida della Signoria dovette affrontare ogni tipo di insidia legale.
Siro, infine, dopo lunghe trattative nel 1615 acquistò l'investitura dall'Impero, anzi divenne addirittura Principe, ma per la bella somma di 150.000 fiorini.
Per salvare lo Stato dai creditori non gli restò che cominciare a vendere i suoi beni e battere moneta falsa. Il che, ovviamente, gli complicò ulteriormente le cose.
Per sfuggire ad un processo si rifugiò in Convento a San Martino in Rio. Nel 1630 a Correggio arrivarono le truppe alemanne e poco dopo la peste. A nulla servì a Siro il dar fondo ai suoi beni per cercare di cavarsela col denaro. Una serie di accordi fra Impero, Spagna ed Estensi, permise a questi ultimi, nel 1635, di impossessarsi di fatto del feudo. 4 Da allora il Principato di Correggio ebbe un suo Governatore, con sede nel Palazzo dei Principi, nominato dal Duca di Modena. Egli era dotato di poteri di vigilanza sugli organi giudiziari e finanziari e sul potere locale, mentre esercitava direttamente quello militare. 5
In seguito Correggio rimase parte del Ducato di Modena e ne seguì le alterne vicende fino alla fuga di Francesco V nel giugno 1859 e alla successiva annessione dell'ex ducato, nel marzo 1860, al Regno di Sardegna.

1.2. Vita culturale ed artistica alla corte dei da Correggio


Correggio, quindi, fece parte a pieno titolo del
"mondo delle Corti padane che tra Quattro e Cinquecento ha raggiunto il massimo del suo sviluppo ma anche il suo punto terminale: il suo apogeo e il suo declino". 6
Un mondo 'speciale', in cui mancò un centro egemone di conglobazione (che Ferrara, nonostante le sue ambizioni, non riuscì mai ad essere pienamente), che conobbe dunque una storia molto più frantumata e particolaristica rispetto ad altre regioni: soprattutto in questo aspetto delle Signorie
"dove si forma l'ideologia del piccolo Stato coordinato al grande Stato. Si forma dunque questa forte fascia intermedia dove crescono e si moltiplicano le Signorie che si riconoscono in qualche modo soggette a un eminente dominio ma teorizzano la propria autonomia: questi Signori minori serviranno, rispetteranno in pace e in guerra il loro principe, se il principe avrà il dovuto rispetto della loro libertà".7
Questi signori minori vivevano in piccoli centri, che però in effetti fungevano da capitali.
Questo dunque è un primo punto importante: la coscienza/presunzione di Correggio di essere una capitale, e di avere conseguentemente il diritto/dovere di preservare e pretendere una dignità, una considerazione, una autonomia adeguati, che non spetta a tutti e che non verrà completamente meno neppure quando la decadenza politica la porterà ad essere incorporata in una Signoria più potente.
In questi centri si creavano vere e proprie Corti. E cosa significava una corte? Significava disponibilità di cariche, significava una più vantaggiosa spartizione dei benefici ecclesiastici, ma significava anche la creazione di posti-lavoro per svolgere una vera e propria opera di coesione sociale, persuasione, propaganda, di cui il Signore aveva grandemente bisogno per fini interni ed esterni.
"L'esigenza di fare una politica culturale è certo più forte negli Stati dinastici che non nelle repubbliche". 8
Fare politica culturale significava necessariamente chiamare, utilizzare e creare giuristi e notai, burocrati ed ecclesiastici, artisti e artigiani, medici e professori, in una parola: intellettuali.
In quello che abbiamo chiamato 'il tempo di Lodovico Ariosto' e che copre quasi l'arco di un secolo, il problema del rapporto intellettuali-società si impone con forza tutta particolare". 9
Non a caso, quindi, negli anni compresi fra la metà del'400 e la metà del'500 nell'area padana, soprattutto emiliana,
"avvennero mutamenti importanti nella vita economica e sociale e furono anche pronunciate in molti campi della cultura (dalla filosofia alla medicina, dalla politica all'architettura, dalla poesia alla musica, alla pittura) - parole decisive destinate a risuonare a lungo nella cultura di tutta Europa". 10
Ecco dunque un secondo punto importante: in queste piccole capitali si svolse una vita culturale più che significativa, che permise a importanti idee e uomini di circolare in 'provincia', ma che permise anche a questa 'provincia' di produrre idee e uomini altrettanto importanti.
Ora, è possibile che ciò non abbia lasciato in questi luoghi, oltre che dei concreti prodotti culturali ed artistici, anche dei discepoli, dei cultori, meglio, delle abitudini e dei gusti artistici e culturali tali da sopravvivere e organizzarsi in modi diversi una volta che la forma che li aveva generati (la corte) si fosse dissolta?
Cioè, in altri termini, è possibile che alti livelli di produzione e consumo culturale tendano più facilmente a sopravvivere alle specifiche strutture socio-politiche che li hanno indotti e a ripristinarsi, in forme organizzative adeguate e aggiornate, nelle epoche successive?
Una cosa è certa: che la Correggio dell'umanesimo e del Rinascimento fu tutt'altro che "un de' meschini principati emiliani" 11 o "una minuscola corte [...] tagliata fuori dalla vita mondana e culturale del tempo". 12
Fu invece
"sede di una corte che ha registrato la presenza, oltre che della stessa Gambara, di Niccolò da Correggio, dell'Ariosto, del Bembo, del Molza, di Bernardo Tasso e di altri letterati e spiriti colti, di artisti, dei duchi di Ferrara, di Carlo V, ecc., insomma è stata una cittadina di stimolo e di progresso partecipe degli ideali del Rinascimento, fra i quali andavano enucleandosi quelli di un'arte basata sulla libertà meritale e sulla libertà dello spirito". 13
Anzi, se a questi aggiungiamo qualche altro nome di artisti nati e operanti, almeno in alcune fasi della loro vita, a Correggio (il Correggio innanzitutto, e poi il musicista Claudio Merulo e il letterato Rinaldo Corso, ad esempio) o di artisti 'stranieri' che ebbero rapporti di lavoro o di amicizia con Correggio e i suoi Signori (il Mantegna, l'Aretino, Biagio Rossetti, ad esempio), 14 si può facilmente concludere che questa città ebbe spesso rapporti con intellettuali e correnti ideali che rappresentarono momenti alti della produzione culturale del tempo.
Questo non può non significare una notevole preparazione culturale e una raffinata sensibilità da parte dei 'padroni di casa' che selezionarono e allacciarono questi legami.
Senza la pretesa di una puntuale ricostruzione, non sarà male ripercorrere i momenti salienti di questo sviluppo culturale e artistico.
Fra il 1450 e il 1474 il Conte Manfredo Il incrementò notevolmente lo sviluppo urbanistico della città, delineandone fortemente l'attuale aspetto: eresse baluardi per il ponte levatoio, completò le mura e vi apri quattro porte, eresse un ospedale e un ospizio, ricostruì ex novo vicino alla torre preesistente la chiesa di S. Francesco.
A tanto fervore edilizio doveva corrispondere fin da allora l'opera di pittori, scultori, orafi, intagliatori in legno, artigiani del ferro e arazzieri". 15
Si ha notizia, infatti, di un gruppo di pittori componenti la Brigata de 'pittori de Correza che fra i secc. XV e XVI operava a Correggio ed anche in piccole città vicine. Questa squadra era composta da Antonio Bartolotti (che nel 1500 era in Correggio Capo-scuola dell'Arte dei pittori), Lorenzo Allegri (mediocre pittore, zio di Antonio), Quirino Allegri (cugino di Antonio) e da altri 14 pittori. 16 Tra i giovani che aiutavano il Bartolotti vi era certamente anche Antonio Allegri, che allora si trovava a Correggio dove aveva già dipinto vari quadri, 17 e che solo nel 1518-19 si sarebbe trasferito a Parma per affrescare la Camera di S. Paolo.
Si ha pure notizia di una scuola di Arazzeria introdotta in città nel sec. XV, per volontà dei Conti, dal fiammingo Rainaldo Duro e che ebbe vita fino al sec. XVI. 18
Purtroppo oggi di tanto operare non rimangono a Correggio che scarse tracce, benché notevoli. 19
Fra gli ultimi anni del '400 e il primo ventennio del '500 vennero realizzate alcune costruzioni assai importanti perché segnarono, anche sul piano urbanistico ed architettonico, il trionfo dei nuovi ideali della Rinascenza.
Si trattava del Palazzo di Niccolò Postumo (1496 c.a.), del Palazzo di Francesca di Brandeburgo, poi Palazzo dei Principi (finito nel 1508), della nuova Basilica di S. Quirino (iniziata nel 1513).
I primi due in particolare vennero finalmente a rispondere all'esigenza di nuovi simboli e mezzi del potere che fu indotta dal passaggio di Correggio da Castrum a Contea. In entrambi ci fu sicuramente l'intervento diretto o l'ispirazione di Niccolò, che potè avvalersi della straordinaria consulenza dell'amico Biagio Rossetti, prestigioso urbanista e architetto degli Estensi.
Niccolò aveva probabilmente concepito un progetto unitario che prevedeva una vera e propria riorganizzazione urbanistica di Correggio e che aveva come punto focale la costruzione di questi nuovi palazzi. Essi infatti da un punto di vista urbanistico contribuivano. a saldare nella città l'insediamento signorile-militare con quello civile, da un punto di vista politico sancivano una volta di più l'egemonia della famiglia da Correggio sulla città . 20
Soprattutto attorno a questi due palazzi ruotò, infatti, la vita di Corte e, in particolar modo, quella vivace attività culturale (spettacoli, feste, ricevimenti, ma anche riunioni dotte) i cui promotori furono principalmente Niccolò e Veronica Gambara.
Se la residenza di Niccolò finì col trasformarsi in un vero e proprio 'Palazzo-Teatro', il Palazzo dei Principi, per la sua stessa struttura architettonica, era evidentemente destinato a fini mondani e culturali.
"Consuetudini poetiche artistiche e letterarie di una società impegnata in un clima culturalmente raffinato ed evoluto dovevano avere un riscontro formale, una specchiata rispondenza nello spazio stesso in cui si venivano svolgendo". 21
Questi palazzi, quello dei Principi in particolare, dovettero anche diventare sedi privilegiate di un collezionismo d'arte che proprio lo sviluppo delle Signorie risvegliò e trasformò da erudito in edonistico, facendolo diventare una 'moda' e un motivo di prestigio, ma anche un segno del nuovo modo di sentire l'arte. 22
Anche qui gli influssi ed i legami con le più potenti Corti limitrofe ebbero certo il loro peso. Fra le più tipiche collezioni rinascimentali vanno infatti annoverate quelle dei Gonzaga a Mantova e degli Estensi a Ferrara. Non è certo un caso che uno dei primi pezzi della raccolta d'arte dei da Correggio fu un capolavoro, il Redentore, commissionato ad Andrea Mantegna nel 1493.
A questo si aggiunsero nel corso di oltre un secolo numerose altre opere d'arte ed arredi come rivela, in parte, un inventario del 1606 che dà presente nel Palazzo un prezioso patrimonio. 23
Non va neppure dimenticato che numerosi altri artisti, nel corso del sec. XVI, vennero chiamati dai Signori e dalle Confraternite a costruire ed ornare le chiese e gli oratori che sorsero in quel secolo, in particolare quelle di S. Quirino e di S. Giuseppe. Attività che proseguì pure durante il Seicento e che permise l'esecuzione di alcune opere di grande valore, anche se non vi erano più a Correggio principi-mecenati in grado di assicurare una committenza continua e prestigiosa. 24
Né mancarono i musicisti. Uno studioso locale ipotizza "una prima occasionalità di asseverare la preesistenza di una scuola Musicale in Correggio" in considerazione del fatto che le feste e gli spettacoli promossi dai Conti prevedevano "le interpolazioni di analoghe sinfonie con proprietà di caratteristici strumenti" perciò era necessario che esistesse a Correggio "un insegnamento Musicale abbastanza idoneo e numeroso". 25
Dei resto è improbabile che, ad esempio, Claudio Merulo (1533-1604) potesse essere chiamato a vent'anni a Brescia quale organista della cattedrale senza che avesse già una adeguata preparazione e pratica maturata nella sua città. Dove, peraltro, in quel periodo risiedevano musicisti come il francese Menon, il Prevosto Girolamo Donati e altri ancora.
La corte, d'altra parte, non fu solo punto di riferimento per artisti e musicisti.
Un posto importante vi ebbero anche letterati e filosofi che, convocati da Veronica Gambara, dettero vita a riunioni dotte dalle quali, fin dal 1520, prese corpo un'Accademia. Fu la prima di numerose altre che sorsero fino all'inizio dei sec. XVII, promosse da studiosi locali, ad esempio quella dei Filogariti fondata da Rinaldo Corso (1525-1582), o dai successivi Conti (ad esempio quella degli Spensierati favorita da Camillo). 26
Questo, fra l'altro, dovette favorire il formarsi di piccole biblioteche private, contemporaneamente a quella, più corposa, che in quegli anni si stava formando nel Convento di S. Domenico e che poi sarebbe confluita nella prima pubblica Libraria alla fine del '700.
Le preoccupazioni di carattere politico ed economico, sopraggiunte già nell'ultimo scorcio del sec. XVI, non impedirono peraltro a Camillo di occuparsi dell'istruzione dei rampolli della nobiltà locale. Così egli fra il 1592 e il 1602 dettò una serie di provvedimenti per l'introduzione e il mantenimento dell'insegnamento delle umane lettere. Scuola che, pur con alterne vicende e con periodi di interruzione tali da comprometterne la qualità e la credibilità, continuò anche durante e dopo il Principato. 27

1.3. L'Archivio Notarile


Alcuni documenti della seconda metà del'700 28 riportano la notizia che prima dell'anno 1300, a causa di un incendio provocato da lotte intestine, andò interamente distrutto il pubblico Archivio di Reggio e che in quella occasione i protocolli dei notai di Correggio, che là venivano solitamente trasportati, andarono completamente perduti.
Certo non è un'informazione da prendere come oro colato, ma è credibile, anche perché si ha notizia 29 di almeno due incendi a seguito di zuffe cittadine che nel XIII secolo a Reggio provocarono la perdita di atti pubblici: nel 1226 e nel 1289.
Fatto sta che, l'8 dicembre 1476, Niccolò e i nipoti Borso, Giberto e Galeazzo, Signori di Correggio, imposero ai notai della loro Contea, sotto la pena di una multa assai salata (100 ducati), di non accedere più al Collegio Notarile di Reggio e di non attenersi neppure ai suoi precetti regolamentari . 30
Passarono però quasi ottant'anni prima che, il 7 novembre 1554, il Cardinale Gerolamo provvedesse ad erigere a Correggio un Collegio Notarile, con facoltà di autoregolamentarsi e conferire l'abilitazione all'esercizio del notariato nello Stato. 31
Fra le ordinanze promulgate dal collegio fin dal suo esordio, una determinò che per
"L'esercizio dell'Ufficio delle accuse e del Banco si ponessero in un bussolo li nomi de' Notari in detto Collegio ascritti e se ne estraessero a sorte due in ciascun anno ché detti Ufficij soli esercitassero".32
Con una grida del 20 ottobre 1571 33, poi, i Signori di Correggio fecero precetto ai notai, sotto pena di 25 scudi d'oro, di non postillare gli atti pubblici e soprattutto di non rilasciare, a chicchessia, gli originali degli atti in loro possesso.
Come si vede, si venne pian piano delineando il disegno dei Conti di Correggio di rendere autonomi i propri notai dai Collegi delle città limitrofe, ma emerse anche la necessità di arrivare a trovare una soluzione efficace e definitiva al problema della conservazione degli atti che probabilmente, dopo la proibizione di avere rapporti con l'Archivio di Reggio, venivano trattenuti dai singoli notai. Questo doveva comportare qualche dubbio sulla loro autenticità e permanente integrità (perciò la proibizione di aggiungere postille) e soprattutto il grosso pericolo della loro perdita, allorquando, con la morte del notaio, essi passavano agli eredi.
Fu probabilmente per risolvere questi problemi, dai quali in definitiva dipendeva la sicurezza sia degli interessi pubblici che delle sostanze private, che Gian Siro nel 1611, riscontrando le notevoli difficoltà esi5tenti a "ritrovare gli istrumenti pubblici" essendo egli "così geloso del bene dei suoi sudditi" e volendo quindi risolvere tali inconvenienti.
"ha comandato si faccia un Archivio [ ... ] lasciando per benignità sua [ ... ] una stanza del suo palazzo, la quale per Archivio Pubblico dichiara la destina".34
Particolare, questo della sistemazione dell'Archivio nel suo palazzo, niente affatto secondario, che sta a dimostrare la volontà di Siro di farsi personalmente carico della tutela, ma anche della 'pubblicità' (e quindi autorevolezza), degli atti notarili.
Contemporaneamente egli delegava il proprio Cancelliere Ottavio Bolognesi, nominandolo Ufficiale dell'Archivio, a raccogliere tutti gli atti esistenti presso i notai e presso coloro che per eredità o per altro titolo ne avessero in casa propria, obbligando gli uni e gli altri ad ubbidire a tale ordine sotto pena di una multa.
Questo sforzo di recuperare tutti gli atti dei notai defunti non portò ad un risultato completo, ma permise di riunire, pur con probabili lacune, gli atti rogati dal 1442 in poi. 35
L'Archivio Notarile di Correggio era cosi, formalmente e di fatto, finalmente creato.
E importante che già nella redazione del 1615 delle Costituzioni ovvero Gride della Città di Correggio, 36 nel libro terzo, Siro facesse inserire il cap. XVI intitolato Provvisione sopra l'Archivio che regolava in modo ampio l'istituzione e il funzionamento dell'Archivio (figg. 14). In particolare veniva ribadito l'ordine a chiunque
"habia in casa sua o in qual si voglia luogo, con qual si voglia titolo o colore, Istrumenti, Rogiti, o prothocoli, sentenze e processi di qual si voglia Notaro morto, cossi Antico come Moderno, et cossi Civile come Criminale, che si debbano portare gli originali, overo coppia di tutte le opere nominate scritture che rogarano o scriverano per l'Avvenire sottoscritte di loro mane, in detto archivio".
Veniva creato un Ufficiale dell'Archivio al quale solo "diamo ogni autorità per
levare et autenticare"
le scritture e i rogiti dell'Archivio.
Inoltre veniva prescritto
"alli Notari, che pro tempore essercitarano l'Ufficio del Banco, et anco che in altra maniera Rogarano processi, che non debbano dare l'originale d'essi a qual si voglia persona"
e che
"finito il semestre del Ufficio del Banco debba il Notaro dopo venti giorni aver portato in detto archivio, et consegnato all'Ufficiale suddetto, tutti li processi originali tanto Civili quanto Criminali".
Fatto, quest'ultimo, che spiega tra l'altro l'origine e la formazione dell'Archivio Giudiziario che è conservato tutt'oggi come fondo autonomo rispetto agli altri Archivi.
Nel 1635 il piccolo Principato dei da Correggio perse la propria autonomia e venne incorporato nello Stato Estense che da tempo manovrava in tal senso. Il Duca Francesco I confermò molte delle consuetudini e delle istituzioni vigenti a Correggio, fra esse l'Archivio; tanto è vero che "a quel tempo c'era e fu confermato [ ... ] Archivista di Correggio il Notaio Francesco Torricelli che aveva presso di sé tutte le chiavi di detto Archivio". 37
Per tutto il'600 l'Archivio mantenne la stessa collocazione, finché, crescendo il numero dei documenti, il Duca di Modena nel 1720 concesse un altro locale sempre nel medesimo palazzo e "negli anni 1727-28 venne comandato che si repertoriasse tutto l'Archivio". 38
Nel 1750 fu redatto un breve Regolamento da osservarsi in avvenire per il Pubblico Archivio di Correggio, 39 nel quale vennero sostanzialmente sintetizzati e riconfermati i punti chiave dell'antica Provvisione.
Nello stesso anno venne pure avviato un nuovo repertorio degli atti depositati presso l'Archivio. 40
Tutto questo dà evidentemente l'impressione di una istituzione che funzionava in modo corretto, curando continuamente sia l'acquisizione degli atti che il loro ordinamento. Ne è autorevole conferma la relazione che il Notaio e archivista di Modena Niccolò Giannozzi stilò, il 2 luglio 1760, per comunicare l'esito della sua ispezione all'Archivio di Correggio:
"Devo [ ... ] riferire non essere questo archivio né in disordine né in confusione, stante il metodo diligente e regolato con il quale tenuto rimane [ ... ] La custodia fin d'ora praticata nella conservazione dei medesimi [Archivi], corrisponde mirabilmente alla Statutaria prescrizione del Luogo" .41
Pertanto costituì certamente una doccia fredda per i Correggesi il Chirografo del 10 gennaio 1775, 42 col quale il Duca Francesco III riformava il funzionamento degli Archivi pubblici del suo Stato, ma soprattutto li riduceva a tre soli: quello di Modena, quello di Reggio (che, tra gli altri, "avrà sotto di sé il Principato di Correggio'9 e quello di Castelnuovo di Garfagnana.
"A suddetti tre Pubblici Archivi si dovranno trasportare rispettivamente tutte le Scritture Rogiti e Libri che si trovano presentemente uniti negli altri Archivi dello Stato".
La Comunità di Correggio, però, non accettò passivamente tale decisione e mosse i propri passi per evitare almeno che il proprio Archivio venisse trasportato e unito a quello di Reggio. Tale richiesta fu motivata con i disagi che il trasferimento avrebbe comportato per i cittadini Correggesi, ma soprattutto con l'argomento vincente della buona situazione ed efficienza dell'Archivio di Correggio, nel quale erano conservate le
"matrici di centoventi e più Notai [ ... ] le quali ascendono a più di mezzo milione e che superano di gran lunga nel numero quelle degli altri Archivj di Stato, toltine quelli della Capitale e di Reggio". 43
Fatto sta che l'Archivio non venne trasferito e anzi nel 1777, con provvedimento del Duca, 44 esso venne ripristinato (assieme a quelli di Carpi e Mirandola) (fig. 5). Conseguentemente i notai tornarono ad essere tenuti a presentare "le copie autentiche dei loro Istromenti" anziché all'archivio di Reggio a quello di Correggio, con l'obbligo per quest'ultimo di "spedire di sei in sei mesi copia intera dei Rogiti subordinati all'Archivio di Reggio".
La conferma della piena legittimità del proprio Archivio, la necessità (ancora aumentata dalle ultime vicissitudini) di tenerlo efficacemente ordinato e funzionale, assieme al fatto che nel 1783 quello che fino ad allora era stato il Palazzo de li Studi con l'apertura del nuovo Collegio Ducale si rese disponibile e fu trasformato in Palazzo Municipale, indussero la Comunità ad affrontare, "con grave dispendio" la predisposizione di una nuova sede per l'Archivio nel secondo piano di tale Palazzo e il trasferimento, nel 1785, di tutti gli atti che fino ad allora "si custodivano in diverse stanze del Palazzo dei cessati Principi". 45
A conclusione di questa fase delle vicende dell'Archivio Notarile di Correggio possiamo porre il Decreto del Duca Ercole III del 7 marzo 1786 46, col quale veniva fissato il numero massimo dei Notai per ciascuno dei dodici Archivi del ducato. Per quello di Correggio, che aveva "Giurisdizione Immediata" su Correggio e "Giurisdizioni Mediate" su San Martino in Rio e Campogalliano, furono previsti 10 Notai, due in più di quanti risultavano esservi dieci anni prima.

1.4. Il Pubblico Teatro


Se la nascita di un teatro pubblico a Correggio risale alla seconda metà del '600, molto anteriore fu invece il sorgere e lo sviluppo di una attività teatrale.
Essa, rispecchiando quel più generale fenomeno italiano di riscoperta e rielaborazione dei classici che si svolse come riflesso di una cultura aristocratica ed elitaria a partire dalla fine del sec. XIV, si espresse all'interno della vita di corte.
"La rappresentazione drammatica, pur essendo il momento centrale delle feste di corte, non esauriva lo spettacolo. Infatti l'esecuzione delle commedie (interpretate per lo più dai letterati della corte) avveniva di solito alla fine di una lunga festa da ballo [ ... ] Inoltre fra un atto e l'altro,
e alla fine della commedia, venivano inserite altre brevi azioni, mimate e danzate, in cui erano svolti temi leggeri e bucolici: gli intermezzi, destinati ad avere, per la loro maggiore spettacolarità, una fortuna superiore a quella delle commedie".
47
In particolare, si sa che negli ultimi 15-20 anni del sec. XV il problema concreto della realizzazione scenica di testi antichi, o comunque ispirati ai classici, fu efficacemente affrontato a Ferrara, nel corso di feste offerte dal Duca Ercole I.
Fu proprio in una di queste occasioni che, nel 1487, fu rappresentata la Fabula di Caefalo di Niccolò Postumo, un'opera ispirata alle Metamorfosi di Ovidio che però mostra anche aspetti legati a forme drammatiche più leggere.
Era quindi ancora una volta Niccolò, vera figura di organizzatore culturale ante-litteram, che faceva da tramite fra le punte avanzate della cultura del tempo e la corte di Correggio.
Egli (compositore di commedie e ideatore, fra l'altro, di spettacoli, feste e giostre presso diversi Signori italiani) "nei brevi soggiorni in Correggio dovette provvedere a giochi e spettacoli".48
Opportunamente vi à stato chi recentemente ha sottolineato la circostanza non certo casuale che l'edificio in cui venne allestito il pubblico teatro della città nel sec. XVII (che peraltro era localizzato nell'arca ove sorge l'attuale Teatro Comunale) fu proprio il palazzo di Niccolò, che sorgeva a fianco del Palazzo dei Principi. 49
Nel sec. XVI l'attività teatrale continuò a vivere nell'ambiente di corte e si ha notizia di alcuni spettacoli, rappresentativi tanto del filone erudito (aulico e accademico) che dell'incipiente genere popolare (quella commedia dell'arte che avrebbe avuto la sua maggiore diffusione nel Seicento). 50
Prima del crollo del Principato, la corte riuscì almeno in un paio di occasioni a dar vita a grandi rappresentazioni sceniche. La prima è costituita dalle feste fatte nel 1615 in occasione dell'investitura di Siro a Principe, quando la piazza della città venne trasformata in un enorme teatro per tornei, concerti e giochi e in un bosco vicino fu rappresentata una commedia di Guidubaldo Bonarelli intitolata Filo di Siro . 51
La seconda occasione si ebbe nel 1621 quando, per iniziativa di Siro, venne rappresentato nel cortile-giardino del Palazzo dei Principi Il pastor Fido di G.B. Guarini . 52
Il tramonto dello Stato autonomo dei da Correggio portò necessariamente a cambiare le carte in tavola anche in questo campo. Seguendo un processo comune a tutto il nord Italia si passò dal teatro di corte fortemente elitario a un teatro pubblico, nel quale invece affluivano diversi strati sociali della popolazione.
Questo fenomeno si estrinsecò soprattutto attraverso
"il rapido moltiplicarsi di edifici teatrali autonomi, secondo una tipologia che rimase immutata
per oltre due secoli, e che si diffuse dapprima in Italia, poi in tutta Europa, e che proprio per le sue origini resterà conosciuta come 'teatro all'italiana'".
53
Caratteristica saliente di questo nuovo tipo di teatro era la compresenza di spazi di fruizione alternativi: i palchi per le famiglie nobili e la platea per gli strati sociali subalterni, soprattutto la borghesia.
Il palco "garantiva il rispetto della differenza tra le classi e dava a ciascun ambiente famigliare la sua cellula entro la quale svolgere i riti di grazia, cavalleria e rappresentanza". 54
Il pubblico si andò quindi diversificando, divenne in qualche misura pagante e finì col condizionare maggiormente il tipo di rappresentazioni, con una chiara preferenza per gli spettacoli di divertimento, di svago e di mondanità. Nel corso del' 600 il melodramma e la commedia dell'arte divennero assolutamente Predominanti rispetto ai generi teatrali classici.
A Correggio i presupposti di un simile cambiamento
"cominciano a delinearsi nel gennaio 1642 allorché la Comunità accoglie la proposta dei giovani di allestire una commedia per il carnevale ritenendola 'cosa decorosa' e di beneficio pubblico'. Il Governatore gli concede l'uso di una sala". 55
Nel dicembre 1653,
"essendo ricorsi a SA.S. codesti Giovani di Correggio supplicandola a concedergli l'uso della sala del Palazzo Vecchio per rappresentarvi Commedie [questi] sì compiace fargliene la grazia affinché possino esercitarsi in quell'azione virtuosa". 56 (fig. 6)
Nello stesso anno tale G. Pietro Rosa affrontò notevoli spese per provvedere sia al consolidamento e rifacimento del tetto e di alcune strutture murarie, sia all'acquisto
"di colori per dipingere le scene [ ... ] La guerra immediatamente susseguita [...] impedì per lungo tempo d'applicarsi a pensieri e passatempi, restò sospesa l'esecuzione di una tale clementissima concessione fino all'anno 1660".57
Finalmente il Consiglio della città il 18 gennaio 1660 tornò ad occuparsi del teatro, deliberando di approntarne il palcoscenico, il palco ducale e quello della Comunità.
Proseguì dunque in detto anno 1660 il Sig. Pietro Rosa l'opera incominciata, riducendo la Sala
"ad uso di teatro e facendo dipingere varie scene, e comprandone altre per le mutazioni e vi spese £8.200 [ ... ] e vi impiegò parte ancora dell'anno 1661". 58
Da sottolineare il ruolo di questo Pietro Rosa, già segnalatosi a Correggio in altre attività economiche e che
"incarna la figura dell'imprenditore che investe denaro proprio col patto di trattenersi gli incassi degli spettacoli cedendo poi il teatro alla Comunità al termine dell'opera dietro rimborso". 59
La Comunità assicurò a "tutti i Gentiluomini di Correggio" la partecipazione a questa iniziativa di indubbio prestigio, permettendo loro di fare costruire a proprie spese il rispettivo palco e concedendogliene poi la proprietà. Pare però che la cosa non filò del tutto liscia, poiché risulta che "vi fu molto da gridare perché tutti volevano li posti più belli". 60
Comunque le cose andarono avanti velocemente e ciò senz'altro in virtù della grande attesa che doveva esservi in città per questa realizzazione. Ne è prova il fatto che, poco dopo l'avvio dei lavori, si volle allestire per il carnevale (e più precisamente l'8, il 9 e il 10 febbraio) ben due spettacoli: la "Fida Ninfa con li intramedj in Musica [ ... ] di Erminia e di Tancredi del Tasso" e "una commedia buffonesca". 61
Il nuovo Teatro pubblico ebbe così il 'battesimo del fuoco' mentre era ancora in costruzione. Ma l'inaugurazione solenne si ebbe nel maggio dell'anno successivo, quando
"venne a Correggio il Serenissimo D. Alfonso di Modena con tutta la corte per pigliare il giuramento di fedeltà da quel popolo havendo havuto la investitura di quel Stato dal Imperatore; e con questa occasione quei Signori di Correggio li recitarono due Commedie per darli trattenimento".62
Da un prospetto comparativo dei proprietari dei palchi negli anni 1666, 1737, 1845 63 si evince come vi fossero cinque ordini con 19 palchi per ciascuno di essi e come essi fossero distribuiti fra le famiglie aristocratico-borghesi più in vista della città.
Si ha notizia di alcune riparazioni e lavori eseguiti sia nell'ultimo ventennio del sec. XVII che nel primo del sec. XVIII. 64
Ma poi, a causa di eventi bellici che comportarono per Correggio anche una momentanea occupazione da parte delle forze imperiali, 65 il teatro dovette subire diversi danni, soprattutto perché fu adibito a magazzino; tanto che nel 1750 venne stimata in £. 2.988,10 la cifra necessaria per eseguire le opportune riparazioni .66
"Importanti lavori di rifacimento e di ampliamento vengono eseguiti nel 1752 con l'intervento dell'architetto Francesco Cipriano Forti. La tipica struttura a palchetti [ ... ] permane, anzi trova un adeguamento sul piano architettonico. I palchi sono completamente rifatti, migliorati dal punto di vista funzionale e ornati da decorazioni. I cinque ordini restano invariati e, salvo qualche cambiamento, anche la distribuzione del numero dei palchetti al loro interno. Pure rifatta è la soffittatura della sala". 67
Ma questa sistemazione architettonica dovette anche servire a compiere una riforma per porre rimedio ai
" diversi abusi che vi sono, tra quali uno dei principali si è quello che le Banche e sedili della Platea sono de particolari, la maggior parte de' quali vhanno ancora i suoi proprj Palchi, e fare nel tempo istesso un vantaggio al teatro medesimo, che non ha dote, né assegno alcuno, per lo che la Comunità stessa è obbligata a fare bene spesso diverse spese pel suo mantenimento, dove in tutte le altre città li detti Banchi o sedili sono del Pubblico o delli Proprietari delli teatri che per ogni recita n'esigono un tanto per ciascun posto,".
68
Questa lunga citazione mi è parsa necessaria perché mette bene in evidenza il rapporto, per cosi. dire, amministrativo del teatro sia con la Comunità che con i proprietari privati. Questi ultimi, in pratica, ne avevano avuto fino ad allora il completo controllo lasciando al Pubblico quasi tutto l'onere della sua manutenzione e di periodici contributi al suo funzionamento. Cosicché la Comunità, pur essendo composta da rappresentanti appartenenti alla stessa classe nobiliare-possidente, 69 fu costretta a cercare di 'sbloccare' almeno la platea per renderla disponibile ad un pubblico di volta in volta pagante. Scelta difficile per i "Pubblici Rappresentanti", che erano consapevoli che "a tale lodevole riforma siano per opporsi i rispettivi padroni di dette Banche" e che perciò dovettero ricorrere al Duca per ottenere l'autorità atta a consentirla.
Dopo la riapertura, l'attività teatrale riprese di gran carriera, tanto che nel 1762 si eseguirono ben 6 spettacoli diversi.
Ma più spesso gli spettacoli, ripetuti in diverse repliche, erano uno o due ogni anno: la stagione principale, con rappresentazioni d'opera, si svolgeva fra la fine di ottobre e il mese di novembre, in occasione della Fiera di S. Luca. Tale concomitanza non è certamente casuale: è noto, infatti, che le fiere rappresentavano (e rappresentano tuttora) non solo un evento economico e commerciale, ma anche una delle maggiori occasioni di incontro sociale e di svago.
A Correggio, come altrove, vi si svolgevano spettacoli pirotecnici e di burattini, tombolate e balli, giochi di abilità e altre attività ancora a cui si rivolgevano soprattutto i ceti popolari che convenivano numerosi in città, anche dal contado e dai paesi limitrofi.
Accanto a questi divertimenti più 'semplici', con la riapertura del Teatro si cominciò ad organizzare anche spettacoli più pretenziosi, sia sul piano culturale che mondano, cui accedevano soprattutto i ceti aristocratici e abbienti.
A Correggio quella di S. Luca si trovò ad essere per oltre un secolo (dalla sua istituzione nel 1713 al ripristino della fiera di S. Quirino nel 1831) l'unica fiera annuale; inoltre essa giungeva alla conclusione di un 'rito' economico e sociale importante come la vendemmia: era naturale, quindi, che diventasse l'avvenimento dell'anno, tanto sul piano economico che su quello sociale e culturale.
La presenza del Teatro ben si inserì in questo contesto, pertanto nel corso del settecento e ancor più dell'ottocento si consolidò la tradizione di avviare in occasione della fiera d'autunno la stagione teatrale più importante: quella lirica.
Insomma la fiera (in virtù del suo rilievo economico, delle facilitazioni che consentiva al traffico delle merci e delle persone, della sua felice collocazione temporale) offriva l'occasione per attivare manifestazioni di carattere culturale e mondano che, a loro volta, davano prestigio alla ricorrenza e contribuivano a richiamare in città numerose persone, con indubbio vantaggio per gli operatori commerciali.
Non è un caso che, soprattutto nel corso dell'800, si andarono intensificando le petizioni rivolte dagli 'Esercenti Pubblici"
al Comune perché promuovesse il "solito spettacolo d'opera autunnale che è principal risorsa e utilità di tutti gli esercenti e di comune aggradimento". 70
Oltre che la fiera di S. Luca, anche il carnevale offriva l'occasione per organizzare spettacoli teatrali, soprattutto commedie e farse. Non prese invece piede, probabilmente a causa delle inadatte caratteristiche della stagione, l'utilizzo del Teatro per un cielo estivo di spettacoli, in concomitanza con la fiera di S. Quirino che dopo il suo ripristino riprese gradualmente il primato fra le manifestazioni fieristiche correggesi; non mancarono i tentativi di spostare a quell'epoca la stagione lirica né mancarono rappresentazioni estive: furono però episodi isolati che non intaccarono la tradizionale "stagione d'opera autunnale".
Per quanto riguarda il genere delle rappresentazioni, nella seconda metà del settecento non mancarono le opere drammatiche, ad esempio: Il Baldassarre (1755), Osiride (1762) e Sara in Egitto (1763) di Francesco Ringhieri, L'amore della patria di Pietro Chiari (1764), Semiramide riconciliata (1765).
Ben presto, però, l'opera buffa divenne il genere nettamente prevalente, ad esempio: La Locanda di G. Gazzaniga e Lo sposo burlato di N. Piccinni nel 1777, La Sandrina di A. Sacchini e La Frascatana di G. Paisiello nel 1778, Il geloso in cimento di P. Anfossi nel 1779,L'Avaro sempre dell'Anfossi nel 1780,L'Albergatrice vivace di L. Caruso e Le Gelosie villane di G. Sarti nel 1781, L'Italiana in Londra di D. Cimarosa e La Vendemmia di G. Gazzaniga nel 1782,Fra i due litiganti il terzo gode di G. Sarti nel 1783,La Pazza per amore di P. Anfossi e La Volubile di B. Asioli nel 1785, Giannina e Bernardone di D. Cimarosa, I due castellani burlati di V. Fabrizi, La Contadina Vivace di B. Asioli e I due amanti alla prova di L. Caruso nel 1786, Il vecchio geloso di F. Alessandri nel 1787, Chi la fa l'aspetti di V. Fabrizi e Il Calabrese fortunato di L. Caruso nel 1788, L'Impresario in angustie di D. Cimarosa nel 179 1, Chi la dura la vince di G. Paisiello nel 1797. 71
A determinare questa scelta concorsero diversi motivi, innanzitutto di carattere funzionale:
"L'opera comica non richiedeva orchestre numerose o apparati scenografici complessi o grandi cantanti che erano invece una prerogativa dell'opera seria. Ma soprattutto con le predilezioni di un pubblico pagante si doveva fare i conti, un pubblico che a Correggio coagulava nobiltà provinciale, borghesia, ceti popolari, forestieri, accumunato dalla passione per un genere divertente che mescolava in giuste dosi patetico e gioioso". 72
Oltretutto le rappresentazioni potevano avvalersi quasi sempre di un forte nucleo di musicisti e cantanti locali 73 grazie alla notevole e antica tradizione musicale (e del suo insegnamento) della città che proprio verso la fine del XVIII secolo riprese grande vigore in virtù soprattutto dell'attività e del genio della famiglia Asioli, in particolare di Bonifazio.74
Questi erano riuniti in Società di dilettanti che provvedevano a produrre (oltre che realizzare) gli spettacoli, sperando poi di rifarsi delle spese attraverso la vendita dei biglietti.
Probabilmente i successi di pubblico e di critica furono prevalenti, sottolineati spesso da stucchevoli "composizioni poetiche" encomiastiche . 75 Qualche volta però invidie di paese 'bilanci in rosso' dovettero turbare l'attività di queste associazioni. 76
Le imprese di professionisti, provenienti da fuori, non mancarono, ma solo nel secolo successivo divennero prevalenti.
In conclusione una cosa sembra evidenziarsi nettamente: la Comunità non interveniva direttamente nella gestione del Teatro. Essa ne assicurava l'agibilità e il funzionamento, ne regolamentava l'uso, ma il compito di organizzare, produrre e realizzare gli spettacoli era assunto dai privati. Questo emerge chiaramente da un Regolamento da osservarsi nel Teatro dell'Illustrissimo Pubblico di Correggio emanato dal Provvisore probabilmente all'inizio del 1785 . 77
Tale Regolamento (a stampa) richiamava le "provvidenze" fissate dal Governatore e l'ultimamente pubblicate". Esse erano contenute in un Avviso (a stampa) del 31 Dicembre 1784 che il Governatore Vincenzo Fabrizi fece pubblicare, riassumendone un altro di ugual tenore dell'ottobre 1780, per porre "riparo agli abusi introdotti, o che introdurre si potessero, ripugnanti alla decenza di pubblici Spettacoli e delle Rappresentanze in questo teatro". (fig. 11)
Venivano proibite: grida o applausi smodati, rumorose richieste e concessioni di bis, insulti agli attori o agli inservienti, accedere a Logge o Palchi altrui momentaneamente vuoti e altre cose del genere. Siccome la Direzione del Teatro era affidata al Provvisore, questi veniva incaricato di fare rispettare tali prescrizioni. Il Regolamento, per parte sua, si limitava a prescrivere le condizioni cui "qualunque impresario o Capo Rappresentanze", una volta avuto "il permesso dal Governo" e presentata "supplica al Pubblico", doveva attenersi per ottenere il Teatro in uso. (fig. 12)
Si trattava, per così dire, di condizioni cautelative: chi avesse avuto in uso il teatro, si presume gratuitamente poiché non si parla mai di affitti o simili, doveva: render conto, ed eventualmente risarcire in caso di danni, di tutto ciò che gli veniva consegnato dal custode del teatro; provvedere alla pulizia del teatro durante i giorni delle rappresentazioni; prendere misure preventive (impedendo a chiunque di accedere al teatro "con fuoco scoperto", preparando 'fogli pieni d'acqua" e secchi) e vigilare che non si verificassero incendi; usare per L'illuminazione dalla sala e del ridotto, sia in occasione di rappresentazioni che di feste da ballo (che sappiamo essere state numerose, intercalate con gli spettacoli, specialmente per carnevale) materiali (olio di oliva o candele di cera) che non provocassero nausea agli spettatori. Infine "tutti i serventi dipenderanno dal Custode e dall'Impresario" i quali erano pure responsabili della vigilanza "sulle cose tutte in esso esistenti e che vi fossero introdotte in occasione di recite tanto di spettanza pubblica come de 'privati" (e sappiamo che i proprietari dei palchi spesso amavano arredarli in modo personale, trasformandoli in veri e propri salotti).

1.5. Il Collegio Ducale e la Pubblica Biblioteca


Nella prima parte del sec. XVIII si crearono anche a Correggio condizioni favorevoli ad una generale ripresa della situazione economica e sociale. Ciò ebbe modo di riflettersi positivamente anche nel campo della cultura e dell'istruzione.
In un periodo caratterizzato da una relativa apertura dei monarchi verso le riforme e il progresso dei propri Stati, il Duca di Modena dovette avere un occhio particolare per Correggio.
Di questa città egli aveva potuto constatare la sostanziale fedeltà, ma anche un chiaro attaccamento alla propria dignità e dimensione di ex-capitale.
"Tra le richieste sociali la domanda di istruzione era diventata più forte nel sec. XVIII e così entrò fra gli elementi della politica ducale la ricerca di un consenso nella classe dirigente locale, attraverso l'appagamento qualificato dell'aspettativa sulle scuole." 78
In quel periodo, infatti, il servizio scolastico offerto dalla Comunità (due Maestri, di cui uno a metà stipendio) appariva chiaramente insufficiente ai bisogni della città, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Di qui la decisione della Comunità, confortata dall'assenso delle autorità ducali, di introdurre a Correggio un ordine religioso che avesse il compito specifico, e la relativa esperienza, dell'istruzione della gioventù.
Dopo un primo 'esperimento' condotto coi Padri Barnabiti di Bologna, si arrivò nel 1722 all'affidamento definitivo 79 di tale compito, e dei relativi mezzi, alla Congregazione dei Padri Scolopi.
Questi dovettero operare assai bene nel corso di un sessantennio, rafforzando e qualificando il sistema formativo della città, cosicché quando, nel 1783, Ercole III decise di istituire a Correggio un Collegio Ducale (aperto il 18 ottobre di quell'anno) ne affidò a loro la conduzione.
Fu un fatto importantissimo per lo sviluppo sociale e culturale di Correggio che divenne in questo modo sede del secondo centro scolastico del Ducato dopo Modena.
Si trattava di un centro di istruzione superiore frequentato da un numero di giovani per quei tempi straordinario (oltre un centinaio), caratterizzato da un insegnamento di levatura scientifica e didattica di tutto rispetto, 80 frequentato dai figli della classe dirigente locale ma anche da alunni provenienti da altre località o addirittura da altri Stati.
Inoltre l'uso delle Accademie o feste letterarie (intrattenimenti musicali, teatrali, filosofici, morali che gli alunni tenevano alla fine dell'anno scolastico), introdotto dagli Scolopi e rivolto ad un pubblico di invitati, rappresentò un'ulteriore occasione di dibattito e di 'promozione culturale'.
Perciò è condivisibile l'opinione secondo la quale all'opera degli Scolopi, attraverso il Collegio, è attribuibile
"lo svolgimento del raccordo fra la cultura del disciolto Principato (cultura anche psicologica, da capitale autonoma, ma profondamente sostenuta da elementi giuridici, amministrativi, diplomatici, letterari, religiosi, artistici) e la cultura moderna, proiettata verso le scienze, le professioni liberali, la ricerca". 81
In questo contesto si spiega anche la nascita a Correggio di una pubblica biblioteca.
L'atto formale della sua costituzione fu una lettera del Governatore di Correggio, conte Vincenzo Fabrizi, in data 27 giugno 1783, con la quale veniva comunicata
"La Sovrana Clementissima Concessione della Libraria dei Soppressi Domenicani a questo Pubblico, sotto la custodia dei Padri Scolopi e colla presidenza dell'Individuo Presidente a queste scuole. Dovendo questa Libraria essere una proprietà della Comunità preme assaissimo che la medesima in avvenire possa conservarla in tutta la sua estensione". 82 (figg. 13-14)
E' necessario precisare che i Domenicani erano stati presenti a Correggio fin dall'inizio del sec. XVI. Dopo la distruzione del loro primo Convento collocato fuori le mura, in occasione dell'assedio del 1557, essi si trasferirono in una sede fatta appositamente costruire nel 1561-63 nella parte nord-ovest della città. Qui rimasero per oltre due secoli svolgendo un'importante funzione religiosa e culturale.
Il loro ruolo andò gradualmente diminuendo nel corso del sec. XVIII e così furono soppressi.
Il loro convento, che nel frattempo era diventato un importante complesso monumentale, venne riadattato in parte e destinato a sede del Collegio Ducale.
Tornando alla lettera del Fabrizi, essa era diretta a Giambattista Contarelli, poeta ed erudito correggese, che veniva incaricato di "voler stendere le sue riflessioni su questo affare".
Premurosamente il Contarelli inviò la sua risposta già il 29 luglio successivo, 83 accludendovi le sue Riflessioni per sistemare la nuova pubblica Biblioteca.
Si tratta di una specie di regolamento, articolato in nove punti (di cui l'ultimo è purtroppo oggi illeggibile), che vale la pena di descrivere compiutamente.
"Premesso un esatto inventario da conservarsi nell'Archivio della Comunità",
Contarelli proponeva
"che segua la consegna mediante l'atto di pubblico Notaio, che spieghi la donazione Sovrana, le intenzioni di SA.S. dirette all'uso pubblico tanto de' libri donati quanto di tutti quelli che esistono presentemente nel Collegio di Correggio; che spieghi le custodie dei primi e dei secondi appoggiate ai Religiosi di quest'ordine".
Il punto II precisava che
"fra gli obblighi da enunciarsi deve esservi quello di dare nota esatta dei libri dei due Collegi uniti 84 che devono passare nella pubblica libreria, e in caso di provenienza di altri libri [parola illeggibile] sta di darne riscontro e catalogo al Pubblico benché diverse ne sian le proprietà.
Quello della loro custodia e conservazione entro la biblioteca senza che alcuno dei Religiosi possa fuor d'essa estrarli a comodo privato di sua camera e molto meno a comodo d'altri siasi".

Poi il manoscritto è illeggibile, ma pare di capire che un ulteriore obbligo fosse "quello di somministrare un Religioso abile" quale "bibliotecario, onde rendere pratico l'uso destinato da S.A.S.".
Una volta poi che i libri fossero stati uniti nella nuova sede (punto III)
"dovranno questi collocarsi giuste le loro categorie sotto la direzione del Presidente degli Studi, frammischiandoli anche opportunamente per l'ordine più distinto della Biblioteca, giacché gli Inventari distingueranno abbastanza la proprietà di ciascheduno".
Poi i punti IV e V si occupavano delle nuove accessioni e del criterio di "pubblico comodo e vantaggio" che doveva presiedervi.
"IV. Nel caso che il Pubblico provvedesse del proprio libri ulteriori a favore di detta libreria o cambiasse in migliori alcune opere ne darà nota ai Religiosi, o si noteranno nell'Inventario le variazioni che seguissero.
V. Tanto quelle che la medesima provvise quanto quelle che fossero riputate necessarie dal Presidente accennato, e in tutti gli altri casi dovrà questi, od il Pubblico medesimo, andare di [parola illeggibile] intelligenza all'oggetto del pubblico comodo e vantaggio".

Seguivano, infine, tre punti che sottolineavano con puntigliosa insistenza la cura e il controllo che il Contarelli intendeva fossero riservati a questo nuovo patrimonio pubblico.
"VI. Sarà necessario che una copia dell'Inventario dei libri applicati da SA.S., e dell'Inventario di quelli dei due Collegi che si faranno uniti sia passato al Presidente degli Studi.
VII Sarà a carico del bibliotecario eseguita l'unione de' libri il formare un indice esatto e distinto di tutti i libri per servizio e metodo della Biblioteca.
VIII. Ogni volta che più piacesse per parte del Pubblico sarebbe bene che si verificasse la conservazione de' libri a fronte de' rispettivi Inventari".

Alcune osservazioni sono possibili.
Innanzitutto risulta evidente la precisa volontà del Contarelli che la proprietà pubblica di questa biblioteca venisse evidenziata in ogni modo, quasi enfatizzata.
Questo è perfettamente in sintonia con un fenomeno che, come è noto, proprio in quel periodo portò in molte città di una certa importanza alla pubblicizzazione di fondi librari provenienti da conventi soppressi, azione che servì a catalizzare altri fondi privati o pubblici e quindi a formare vere e proprie biblioteche pubbliche.
Se non alla stessa causa concreta, è certamente attribuibile ad uno stesso movimento politico-culturale l'origine, ad esempio, di quasi tutte le maggiori biblioteche dell'Emilia Romagna. Dalla Classense di Ravenna (1772) all'Universitaria di Bologna (1742), dalla Panizzi di Reggio Emilia (1796) alla Comunale di Faenza (1804), dall'Estense di Modena (solennemente aperta al pubblico nel 1764) all'Ariostea di Ferrara (1747), dalla Palatina di Parma (istituita come Biblioteca Reale nel 1762) all'Archiginnasio di Bologna (1801): tutte queste grandi biblioteche traggono la loro fisionomia dal secolo dei lumi.
Tornando alla biblioteca di Correggio, le Riflessioni del Contarelli e altri documenti lasciano intendere, d'altra parte, la limitatezza di tale pubblicità.
I libri dovevano essere conservati e custoditi con religiosità e non potevano essere dati in prestito, neppure agli insegnanti.
Questo 'uso pubblico' doveva in realtà essere limitato ad una 'consultazione in sede' da parte degli studenti e degli insegnanti del collegio: un'utenza quindi ben circoscritta e assai limitata. Questa destinazione esclusivamente scolastica sembra emergere anche da un altro documento 85 che presenta i
"Pubblici rappresentanti premurosi a comodo della gioventù studiosa, al che dirigonsi le clementissime vedute di SA.S., s'apra la Biblioteca Domenicana donata a questi Pubblici e diretta dai Padri Scolopi che v'anno unito i libri loro, nella stagione prossima [...] a riparare il lungo passato silenzio".
Infine si può notare come, fin dall'inizio, questa Pubblica Biblioteca fosse formata da due fondi ben distinti: quello donato dal Duca di provenienza Domenicana e quello che gli Scolopi avevano fino allora costituito nel corso della loro attività educativa a Correggio e a Mirandola.
Ad essi ben presto, nel dicembre del 1783, se ne aggiunse un terzo: quello dei '7ibri già dell'eredità Tirelli" che "restavano depositati presso il Pubblico Archivio" . 86
Qual era dunque la consistenza della Pubblica Biblioteca di Correggio al momento della sua costituzione?
Non esistono problemi a stabilire la consistenza dei fondo Domenicano, in quanto ci sono arrivate ben due copie del relativo inventario, 87 redatto nel 1783, che comprende 976 opere dei secoli XV-XVIII.
Semplice è altresì definire l'entità dei libri della eredità Tirelli, perché anche di questi ci sono pervenute più copie dell'inventario. 88 Si tratta di 104 opere dei secoli XVI e XVII, quasi tutte di argomento giuridico.
E' impossibile invece sapere con esattezza quale fosse la consistenza del fondo scolopiano nel 1783. Una serie di considerazioni basate su un inventario successivo fanno "presumere che inizialmente il nucleo scolopiano non superasse le 600 opere" . 89
In definitiva il fondo iniziale della Pubblica Biblioteca doveva essere di circa 1.670 opere, alcune delle quali in più volumi: non era una dotazione eccezionale, ma più che sufficiente per cominciare.

1.6. Conclusioni


Fra la prima metà del XV e l'inizio del XVII secolo si svolse a Correggio, soprattutto nell'ambito e per iniziativa della corte dei da Correggio, una vita culturale abbastanza intensa, raffinata, non solo collegata alle Corti limitrofe, ma anche aperta alle novità che colà maturavano e che in alcune di esse (soprattutto quella Estense di Ferrara e quella Gonzaghesca di Mantova) raggiunsero valori di assoluta grandezza.
Questo favorì sia l'accumularsi in Correggio di importanti beni artistici e documentari, sia il costituirsi di un ambiente e di una mentalità particolarmente propizi a permettere ulteriori sviluppi di consumo (e talora di produzione) culturale di buon livello, commisurato alla reputazione di una capitale, sia pure di un piccolo Stato.
Sicché, quando Correggio perse la propria autonomia politica e dovette subire diverse perdite di beni e di prestigio, non decadde al ruolo di 'colonia' estense.
Anche perché fu essa (il 29 marzo 1634) a decretare la fine della Signoria dei da Correggio e a votare l'annessione allo Stato Estense, la Nobiltà locale potè vittoriosamente pretendere dai nuovi padroni un'autonomia (anche amministrativa) e uno status rilevanti. 90
Ciò si riverberò anche sulla vita sociale e culturale della città. Si potè così passare, senza rotture definitive, dalla politica culturale della Corte a una vita culturale 'pubblica', con proprie sedi appositamente predisposte e attrezzate e con un'utenza che, ancorché ristretta ed elitaria, arrivò a toccare tutti gli strati dominanti, tanto nobiliari che borghesi.
L'istituzione del Pubblico Teatro prima e del Collegio Ducale (con l'annessa Pubblica Biblioteca) poi, dettero consistenza e permanenza di risposte a questa esigenza di svago qualificato, di consumo culturale, di istruzione superiore, di vera e propria formazione e produzione intellettuale.
Queste istituzioni culturali, dunque, non nacquero e non operarono in modo coscientemente coordinato e preordinato; ma seppure in tempi e in modi assai diversi, risposero assieme alle composite esigenze di una realtà che appare, fino alla fine del sec. XVIII, se non in salita, certamente non in discesa.


1 0. Rombaldi, Correggio, Città e Principato, Modena, Banca Popolare di Modena, 1979, p. 58- Tutto questo paragrafo, pur essendo frutto di diverse letture, è però soprattutto debitore verso questo testo e quello di: R. Finzi, Correggio nella storia e nei suoi figli, Reggio Emilia, Age Editrice, 1968.
2 Niccolò fu poi detto Postumo perché nato dopo qualche mese dalla morte del padre.
3 Tale ricerca di alleanze, fra l'altro, portò nel 1584 all'istituzione in città di un presidio militare spagnolo che sarebbe stato sloggiato dagli Estensi solo nel 1655.
4 L'investitura formale e definitiva giunse però solo nel 1661.
5 Nel 1644, per ordine degli Estensi, venne effettuata una Descrizione delle bocche maschili e femminili, grandi e piccoli, della Città e Principato di Correggio. Si tratta della prima accurata descrizione pervenutaci. Questi i dati più rilevanti:
fuochi bocche
Correggio città 412 1.970
Correggio ville 663 3.825
Campagnola 181 975
Fabbrico 259 1.403
1.515 8.173
1 risultati della Descrizione, che è conservata all'Archivio di Stato di Modena, sono riportati da 0. Rombaldi, op. cit., pp. 181-183.
6 M. Berengo, Conclusioni, in Il Rinascimento nelle corti padane. Società e cultura, Bari, De Donato, 1977, p. 609.
7 Ivi, p. 610.
8 Ivi, p. 612.
9 P. Rossi, Premessa, in Il Rinascimento nelle corti padane, op. cit., p. 14~
10 Ivi, p. 16.
11 B. Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1965, p. 275.
12 G. Varini, Storia di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Moderna Ed., 1968, p. 83.
13 A. Ghidini, L'Allegri in patria. Breve guida ai documenti Correggesi, in 1534-1984
Celebrazioni per il 450` anniversario della morte del pittore Antonio Allegri, Numero unico edito dal Comune di Correggio, 1985, p. S.
14 Né è vano ricordare, in epoca precedente, la grande amicizia fra Azzo da Correggio e Francesco Petrarca che, fra l'altro, gli dedicò il De remediis utriusque fortunae.
15 A. Ghidiglia Quintavalle, L'arte a Correggio. Conversazione tenuta a Correggio per la celebrazione del quarto centenario della 'investitura' a città i121X111959, in "Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le antiche Provincie modenesi", Serie IX, vol. 1, 196 1, p. 99.
16 Cfr. Q. Bigi, Notizie di Antonio Allegri, di Antonio Bartolotti suo maestro e di altri pittori e artisti Correggesi, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1873, pp. 3-42.
17 Si ha notizia di almeno cinque opere presenti in alcune chiese della città fino ai primi decenni del sec. XVII: La Madonna del S. Francesco, Il Riposo durante la fuga in Egitto con S. Francesco, I quattro Santi, La madonna col Bambino fra i Santi Francesco e Quirino e il Trittico dell'Umanità di Cristo.
18 Cfr. Q. Bigi, Degli arazzieri e ricamatori di Correggio, Correggio, Tipografia Palazzi, 1878, p. 8.
19 A. Ghidiglia Quintavalle, Ritrovamenti e restauri a Correggio (a cura del Comune di Correggio), Parma, La Nazionale, 1959, pp. 1-19.
20 Cfr. G. Adani, Il palazzo nella vicenda storica e urbanistica della città, in Il Palazzo dei Principi in Correggio, [Roma], A.C.R.I., 1976, pp. 7-27.
21 F. Manenti Valli, Il Palazzo nei suoi valori architettonici e formali, in Il Palazzo dei Principi in Correggio, op. cit., p. 65.
22 Cfr. L. Salemo, Musei e Collezioni, in Enciclopedia Universale dell'Arte, Firenze, Sanson, 1963, vol. IX, pp. 738-771.
23 Cfr. 0. Rombaldi, op. cit. , p. 137.
24 Fra tutti è doveroso ricordare il S. Bernardino che risana lo storpio di Mattia Preti (realizzato per la chiesa di S. Francesco) e il Redentore che appare a S. Martino di Domenico Fetti (realizzato per la Basilica di S. Quirino).
25 G.B. Fantuzzi, Delle scuole Musicali in Correggio per quattro secoli, Correggio, Tipografia Palazzi, 1883.
26 Cfr. 0. Rombaldi, op. cit., p. 143.
27 Cfr. A. Ghidini, Note sull'istruzione a Correggio tra lo scorcio del XVI e la fine del XVIII secolo, in Istruzione educazione e Collegio in Correggio dal XVII al XX secolo, Correggio, Convitto Nazionale "R. Corso", 1984, pp. 19-27.
28 BCC, amp, b. 178.
29 Cfr. A. Balletti, Storia di Reggio nell'Emilia, Reggio Emilia, Tip. L. Bonvicini, 1925.
Ciò contribuirebbe anche a spiegare perché oggi non c'è traccia a Correggio di atti di Notai Correggesi di quel periodo.
30 BCC, amp, b. 178.
31 Ivi.
32 Cfr. una breve Informazione sui regolamenti del Collegio Notarile redatta il 12Dicembre 1776 (Ivi) e un manoscritto su pergamena che contiene anche le convocazioni del Collegio dal 1555 (B~C, amp, b. 23). 33 Ivi. 34 BCC, amp, b. 178. 35 i notai rogitanti prima del 1611 e di cui si conservano atti sono sessantaquattro, con un totale di circa centodiecimila rogiti. Si veda in proposito l'Inventario dell'Archivio Notarile di Correggio. 144211880 (dattiloscritto) compilato nel 1968 da A. Ghidini (BCC).
36 BCC, sm.
37 Cfr. una Informazione redatta a metà del sec. XVIU probabilmente dall'Archivista di allora.
BCC, amp, b. 178.
38 Cfr. unaletterade17 settembre 1880 scritta dall'allora custode dell'Archivio di Memorie Patrie Don Giulio Cesare Marchi per comunicare notizie storiche sull'Archivio Notarile di Correggio. Ivi.
39 Ivi.
40 Repertorio delle Scritture, Libri ed altri Monumenti che si conservano nell'Archivio della Comunità di Correggio cominciato il dì primo Aprile 1750, BCC, sm.
41 BCC, amp, b. 178.
42 Ivi.
43 Cfr. in particolare una Supplica del cancelliere Sebastiano Setti e una Succinta informazione attribuibile al notaio Vincenzo Antonio Vicini. Ivi.
Probabilmente diversi altri documenti non datati, fra i quali alcuni di quelli già citati, trovano origine in questa precisa volontà di rivendicare la permanenza a Correggio del suo Archivio documentandone la consistenza, la funzionalità e l'illustre passato.
44 Cfr. la Notificazione emessa il 5 maggio 1777 dal Consiglio di Economia di Modena. Ivi.
45 Cfr. una nota dell'epoca che indica nel 25 agosto 1785 la data di tale trasferimento o, più probabilmente, del suo completamento. BCC, amp, b. 178.
46 Ivi.
47 C. Molinari, Teatro, in Enciclopedia Europea, Milano, Garzanti, 198 1, vol. H, p. 8 l.
48 0. Rombaldi, op. cit., p. 15 l.
L'A. cita, ad esempio, un duello, descritto da documenti dell'epoca, che si tenne davanti al Palazzo dei Signori il 18 luglio 1490, sostenendo che "simili spettacoli non dovevano essere eccezionali, anche se non regolari come il gioco dell'anello".
49 Cfr. A. Ghidini, Il Teatro Comunale Bonifazio Asioli, Correggio, Tipolitografia F.G.T., 1982, [p. 3].
La circostanza è ulteriormente resa significativa dal fatto che nel 1976 è stata scoperta, in un vano del sottotetto dell'attuale Teatro, la presenza di muri rinascimentali e di un ampio fregio.
Sicché l'A. avanza l'ipotesi "che i muri e il fregio circostante appartenessero al corpo del primitivo teatro, e cioé al salone destinato e trasformato a tale uso".
50 Ibidem.
51 Cfr. 0.'Rombaldi, op. cit., p. 152.
52 Cfr. R. Finzi, Correggio nella storia e nei suoi figli, op. cit., p. 125.
53 S.M. Bondoni, I teatri storici della provincia di Reggio Emilia, in Sette teatri allo specchio, Reggio Emilia, Tip. Tecnocoop, 1980, p. 1 l. B primo teatro pubblico venne aperto a Venezia nel 1637.
54 G. Ricci, Teatri d'Italia, Milano, Brani ante Ed., 197 1, p. 15 1.
55 A. Ghidini, Il Teatro Comunale Bonifazio Asioli, op. cit., [p. 3].
56 Cfr. la copia autenticata della lettera inviata in data 23 dicembre 1653 dal Segretario del Duca Giovan Torre al Governatore di Correggio. BCC, amp, b. 55.
57 Cfr. una successiva Memoria intorno al Teatro. BCC, amp, b. 55.
LA guerra a cui sì fa riferimento è probabilmente la lotta franco-ispana che si concluse nel 1659 e alla quale "partecipò anche Francesco I oltre ogni ragionevole misura di principe di piccolo stato dell'Italia padana seicentesca" (L. Marini, Lo Stato Estense, in I Ducati padani, Trento e Trieste, Torino, UTET, 1979, p. 106.)
58 BCC, amp, b. 55.
59 A. Ghidini, Il Teatro Comunale Bonifazio Asioli, op. cit., [p. 31.
60 Cfr. alcune memorie tratte da un diario manoscritto della fine del sec. XVII. BCC, amp, b. 55.
61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 BCC, amp, b. 55.
64 Ivi.
65 Ci si riferisce alla partecipazione del Ducato di Modena alle guerre di successione (spagnola, polacca, austriaca) che infiammarono l'Europa nella prima metà del sec. XVHI e che si conclusero con la pace di Acquisgrana del 1748.
66 Cfr. la stima presentata alla Comunità in data 23 marzo 1750. BCC, amp, b. 55.
67 A. Ghidini, Il Teatro Comunale Bonifazio Asioli, op. cit., [p. 3].
68 Cfr. la minuta di un'istanza inviata in questo periodo dai "Pubblici rappresentanti della Comunità" al Duca. BCC, amp, b. 55.
69 Cfr. G. Schianchi, Ordinamenti settecenteschi a Correggio, Tesi di Laurea A.A. 1968/69, Università di Bologna, Corso di laurea in Lettere Classiche.
70 ASCC, acc (Seduta dell'8 aprile 1870).Sulle vicende storiche delle fiere a Correggio cfr. W. Pratissoli, Tempo di fiera: un'istituzione correggese attraverso i secoli, in Correggio produce. Fiera di S. Quirino 1982, Correggio, Studio Lobo, 1982.
71 Cfr. alcune memorie e avvisi delle rappresentazioni. BCC, amp., bb. 55-55 bis. Una ricostruzione minuziosa ed esauriente di tutti gli spettacoli tenutisi nel teatro di Correggio, dalla sua apertura ai giorni nostri, appare più complessa di quanto si potrebbe pensare (vista la ricchezza di materiale). La più ampia ed attendibile, anche se non completa, è senz'altro la "Cronologia delle opere rappresentate dal 1777 al 1975" in A. Ghidini, Il Teatro Comunale Bonifazio Asioli, op. cit., [p. 61.
72 Ivi, [p. 4].
73 Cfr. gli avvisi delle rappresentazioni. BCC, amp, bb. 55-55bis.
74 Cfr. R. Finzi, Celebrazione del musicista Bonifazio Asioli (1796-1832) nel secondo centenario della nascita, Reggio Emilia, Age Editrice, 1970, pp. 5-8.
75 Cfr. soprattutto BCC, amp, bb. 55-55bis; numerosi altri avvisi teatrali e relativi componimenti poetici sono sparsi anche in diverse buste dell'ASCC.
76 Ad esempio, da un Elenco generale dell'introito e della spesa nel dramma intitolato "Il geloso in cimento" nella Fiera dell'anno 1779 dalla Società d'alcuni Giovani di Correggio risultano entrate £. 3.325 e spese £. 4.624. BCC, amp, b. 55.
77 BCC, amp, b. 55.
78 M.G. Lasagni, La presenza degli Scolopi a Correggio dal 1722 al 1810, in Istruzione educazione e collegio in Correggio dal XVII al XX secolo, op. cit., p. 34.
79 Sarebbe durato fino al 1810, quando vennero allontanati da Correggio a causa della soppressione napoleonica delle Congregazioni.
80 Accanto alle discipline 'curricolari' di carattere umanistico e scientifico, ebbero notevole spazio anche insegnamenti 'opzionali': il francese, la musica, il ballo, le arti figurative. la scherma, la partecipazione a spettacoli teatrali, ecc.
81 Ivi, p. 33.
82 BCC, sin.
83 Ivi.
84 Si allude al Collegio di Correggio e a quello di Mirandola che era stato pure gestito dai Padri Scolopi i quali però, al momento dell'apertura del Collegio correggese, confluirono qui per rafforzare sufficientemente la locale Casa calasanziana in vista del gravoso impegno che la attendeva.
85 Cfr. una nota, purtroppo in parte illeggibile, non firmata ma datata 15 luglio 1783. Ivi.
86 Cfr. la nota dell'Archivista (datata 19 dicembre 1783) apposta sul catalogo di tali libri. Ivi.
87 Ivi.
88 Ivi.
89 A. Ghidini, Nasce la biblioteca per il Collegio fra uso scolastico e pubblico interesse, in Istruzione educazione e collegio in Correggio dal XVII al XX secolo, op. cit., p. 159. L'A. offre anche una descrizione dei tre distinti fondi.
90 Tanto che solo nel 1789 Ercole III sostituì gli antichi Statuta di Correggio con una Costituzione da lui promulgata e sostanzialmente uniforme a quella delle altre Comunità del Ducato.