| Odoardo Rombaldi |
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| Il Palazzo | |
| Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979 |
Mentre si veniva formando l'involucro, cresceva all'interno di questo il tessuto urbano; esterno e interno in intima e organica corrispondenza. Il secolo XV, coi primi anni del XVI, conosce due grandi innovazioni architettoniche: la chiesa di S. Francesco e il Palazzo dei Principi, diversissime tra di loro, perchè, se quella modifica l'assetto del Borgo nuovo secondo un'immagine tardo medievale a carattere religioso, questo introduce nel tessuto urbano lo schema umanistico-rinascimentale, razionale e laico, sicchè, mentre la prima, assolvimento del voto secolare dei da Correggio, chiude l'epoca del Borgo vecchio e il medioevo, il secondo rivoluziona il passato e dà inizio al rinnovamento architettonico e urbano di Correggio. Il rapido passaggio dall'architettura religiosa a quella civile e il primato acquistato da questa segnano il trionfo dei nuovi ideali civili della Rinascenza, che rinnoveranno ben presto la stessa architettura religiosa in S. Quirino. La chiesa, crollata nel 1513, sarà ricostruita dal 1516; nel 1531 si celebrerà "in cappella nova magna"; la chiesa cominciata nel 1555, sarà compiuta nel 1587, essendone preposto Gerolamo Donati.
Il Palazzo dei Principi, con le sue proporzioni, è perfetta immagine della nuova concezione dello spazio conquistata dalla filosofia e dalle arti. Come la corte era legge al vivere comune, così l'architettura del palazzo diventava il modello dell'utilizzazione dello spazio.
Il Finzi, con il suo fondamentale lavoro sull'urbanistica della città di Correggio (1), e l'Adani, con il suo importante saggio sul Palazzo dei Principi (2) , hanno inquadrato ed in parte risolto la complessa questione delle moderne residenze dei da Correggio, senza però diradare le oscurità che avvolgono il loro sorgere. Ancora una volta occorre ripassare le carte per cogliere i segni del formarsi del nuovo complesso della residenza principesca. Se ancora nel 1448 è ricordato il casamentum illorum de Corigia (3), nel 1463 (5 gennaio) già si parla del palatium: "Johannes de Bertanis praepositus Saneti Quirini in Palacio" (4). Casamentum, termine di uso medievale, sì applica indifferentemente alle abitazioni della città e della campagna; prescindendo dall'accezione feudale del termine (5) , dal punto di vista edilizio esso indica un complesso di volumi aggregati, di abitazioni e di servizi, creati via via dalle esigenze del consorzio familiare: illi de Corigia; il termine palatium, proprio della tradizione regale, rimanda all'organizzazione accentrata del potere (6) . Al passaggio dall'uno all'altro termine dovette contribuire l'elevazione di Correggio da castro a contea (1452); alla formazione della nuova coscienza del potere dovette seguire l'esigenza di nuovi simboli di esso e, con questi, la presenza di nuovi mezzi, di nuovi strumenti. In un primo tempo si passò da l'un termine all'altro senza che a questo corrispondesse una nuova realtà, poi si progettò il palazzo, disegnato con squadra e compasso, come i nuovi tempi comportavano.
Secondo l'Adani, Niccolò
"per primo realizza, in proprio e per sè, un palazzo degno dell'umanesimo ( ... ) dove ora sorge il Teatro ( ... ) in pari tempo, con la solidarietà di Borso ( ... ) Niccolò lancia la costruzione della dimora familiare, e scavalcando il torrione, predica la fondazione del Duomo sulla fossa degli ortazzi. E' un'idea unitaria e geniale che travalica il compiacimento "concluso" della Piazza della cittadella, e che lancia un ponte fondamentale - quello religioso, a grande dimensione sociale e monumentale - verso la vera città, che è ormai la sede delle istituzioni e dei servizi. Di fatto è una tornata brevissima che si svolge in pochissimi anni: si può fissare verso l'ultimo decennio del quattrocento la costruzione del palazzo di Nicolò; nel 1507 è ultimato il Palazzo dei Principi; nel 1513 si inizia l'imponente Basilica di San Quirino" (7).
Non seguiremo l'Adani nelle ulteriori implicazioni spazio-temporali (l'intervento di Biagio Rossetti), e stralceremo dal discorso la chiesa di S. Quirino, iniziata cinque anni dopo la morte di Niccolò (1508); ci basta il complesso dei palazzi. A Niccolò risale certo parte del nuovo complesso residenziale. Suo figlio Gian Galeazzo, nel testamento (1510) lascerà alla madre Cassandra e alle sorelle Leonora e Beatrice i propri beni, "cum uno pallatio posito in dicto castro sub quibusvis coherentiis et confinibus"; il testamento è redatto "in palatio Domini Testatoris, in camerino versus stratam publicam" (8).
Ma in altra fonte il palazzo si sdoppia: "palatium novum et vetus olim ipsius quondam Domini lohannis Galeatii"; nessun dubbio che la proprietà dell'uno e dell'altro forse, prima che di Gian Galeazzo, di Niccolò stesso.
Ma qual fosse il palatium novum e quale il vetus non è detto. Fin dal 1490 si ricordano i palazzi dei signori da Correggio: un torneo si svolse il 18 luglio di quell'anno "supra plateis ante pallatia Magnificorum Dominorum de Corigia" (9).
Che Niccolò ponesse mano ad un edificio ragguardevole per mole, avanti il 1490, risulta da un rogito stipulato il 26 novembre 1487, col quale mastro Leonardo fiorentino promette di consegnare a Francesco da Todo 41 mila mattoni e 9 mila coppi: "miara zinquanta de lavorere da fornaxa, zoè miara 41 de quadrelli et miara 9 de copi", (10).
Ora, Francesco di Enrico da Todi era un fattore di Niccolò: condannato, nel 1475, a pagare L. 4272.15 per cattiva amministrazione, nel 1481, 12 giugno, aveva riacquistato la grazia del suo signore (11). A quale dei palazzi fossero destinati quei laterizi non sappiamo, ma la mole dei mattoni sarebbe bastata, secondo l'architetto Franca Valli, ed alzare il corpo del Palazzo dei Principi, la parte frontale e i due risvolti, fino a metà del cortile (del palazzo di Niccolò, non più esistente, non si può dire). Anche ammesso che il Palazzo dei Principi non sorgesse per impulso e con il denaro di Niccolò, sono tuttavia suoi, cioè ferraresi, gli spiriti e le forme di quell'opera singolare, che la tradizione assegna a Francesca da Brandeburgo (+ 1512), sebbene nessuna carta coeva stia a documentarlo (12) , e che una data all'interno di esso pone entro il 1508.
Alla piazza non dedicheremo più di un cenno; ivi si svolgeva il mercato: "in plateis (ancora un plurale), in burgo vetere, in quibus fit mercatura"; il diritto di mercato, al pari del suolo, era attributo del potere; una trasformazione della piazza è ricordata nel 1475, in cui furono chiusi i portici che fronteggiavano il palazzo (13).
"Mastro Leonardo fiorentino habitante in Corezo se convenuto con Francesco da Todo et se gli ha promesso de fargli miara zinquanta de lavorere da fornaza, zoè miara quaranta uno de quadrelli ci miara nove de copi, il quale lavorere detto Leonardo promesso darlo a dicto Francesco coto e bene saxonato a laude ci arbitrio de ciascuno bono lavorente ci fornaxaro ci cum iusto modulo ci bene conducto, facendolo suso il terreno di detto Mr. Leonardo, principiando a marzo proximo che vene, fin per tuto setembre che seguirà" a prezzo di soldi 24 il migliaio non compresa la legna e la sabbia; mastro Leonardo obbligava sè con tutti i suoi beni.
A qual fabbrica fossero destinati questi materiali non è detto; ricordiamo che Niccolò e Borso costruirono anche la porta o le porte di Correggio, ne dà precisa notizia Cesare Cesariano nel commento al De Architectura di Vitruvio, ed. Gotardus de ponte, 1521 e. CXXI r.: "Li itineri de le porte non siano directi ma (gr.) scaia, id est storta et sinistrata dal comodo directo: lo exemplo di questo a li giorni nostri feceno fare li Illustrissimi Signori Nicolao ci Borso al suo Corriggiense oppido."
Dal 1487, dunque, al 1505, in cui Niccolò si preparava a servire Ercole d'Este, "data un'occhiata a li miei edifizi" (14) (palazzi o monasteri?), la vita di Niccolò ebbe, tra mille altri negozi, anche questa nobilissima cura della fabbriche, in cui, non meno che nel verso, la sua vita si perpetuava.
Ma ritorniamo nei palazzi. David Guzzoni, notaio e cancelliere, rogò molti atti all'interno di essi, con precisi riferimenti ai diversi ambienti (15). Il palazzo di Niccolò è ricordato fin dal 1476: "in palatio Domini Nicolai in quodam camarino viridi", 4 luglio; " in curtili parvo ante coquinam", 1481; "in sala posita a latere superiori", 1482, 17 gennaio; "in lobia a latere superiori", 1486, 20 febbraio; "in camarino versus arcem", 1489, 19 gennaio; "in camara magna in latere inferiori versus arcem", 1497, 27 febbraio; "super lobia parva versus arcem", 1499, 6 aprile; "incius camarino parvo suffulto assidibus",
1503, 24 settembre; "subtus lobia parva a latere inferiori versus arcem", 1506, 13 maggio; "incius camarino cubiculari a latere inferiori suffultus assidibus", 1506, 30 ottobre. Il palazzo comprende la fattoria: "incius factoria", 1506, 14 febbraio, e un cortile grande: "dinanzi la finestra de la sala che guarda un curtile grande del palazzo", 1505, 18 aprile; "in palatio Nicolai et in curtili magno dicti palatii", 1507, 26 gennaio.
Altri atti sono rogati nel casino fuori porta S. Giovanni: "ad Caxinum extra portam S. Ioannis, in sala seu lobia a latere inferiori ante capellam", 1502, 29 agosto; "apud caxinum prope pischariam, a latere", 1502, 29 novembre; "subto lobiam ante capellam dicti caxini", 1503, 22 maggio.
Nel 1504 è ricordato il palazzo di Borso, di Giberto e di Francesca di Brandeburgo. "In palatio dominorum quondam Borsii et Giberti, a latere posteriori, in salotto magno", 1504, 16 giugno; "in palatio domini Giberti in quo habitat praefata Domina, in superiori, in saloto versus curtile dicti palati", 1507, 12 agosto; "in palatio domini Giberti in parte quam tenet domina Francisca incius camarino listato versus curtile a parte posteriore", 1508, 28 marzo; dopo la morte di Niccolò, Cassandra vive in questo palazzo: "in palatio domini Giberti, in camarino parvo listato, quem tenet domina Cassandra", 1508, 16 giugno.
Poi il palazzo è di Francesca: "in palatio Dominae Franciscae, sito in castro veteri", 1510, 2 aprile. Gian Galeazzo, figlio di Niccolò, abita nel palazzo del padre: "in palatio domini lohannis Galeati", 1510, 18 dicembre. Morta Francesca (1512) il palazzo passa ai figli Gian Francesco e Manfredi: "in palatio lo. Francisci et Manfredi in camara magna terena", 1512, 15 dicembre.
Da questo labirinto passiamo all'altro delle tappezzerie e degli arazzi.
Nel 1460, Federico Gonzaga fu "alogiato in casa di Manfredo", che aveva "le camare e sala apparate de tapizarie" (16).
Nel 1476 è ricordato "magister Contus filius quondam Marci de la Zinella, rechamator"; pare che questi fosse di Trento ("de Tridente"); nel 1481 compare un Petrus recharnator (17).
Dal 1481 al 1512 è certa la permanenza in Correggio di un Rainaldo de Duris de Flandria, magistro a rassis. Niccolò, nel 1481, gli donava 10 biolche a Fazano per i 57 ducati dovuti occasione tantarum manifacturarum pannorum a rassis; (18) nell'84, Rainaldo è anche detto magister a stalla,- (19) nell'86 è detto olim magister a stalla e ricordato per una terra a Mandriolo (20); nel '92 riceve da Cassandra altra terra a Fazano pro tot manifacturis pannorum a rassis (21); nel 1496 riceve terre in compenso di manifattura di panni a rassis (22); nel 1512 se ne annuncierà la morte al lora avvenuta (23). Se l'arte introdotto in Correggio fosse poi continuata, non sappiamo.
Il cardinal Gerolamo possedeva "tapezzerie di Fiandra di panno affigurate dell'historia di Abraam et Isac", pezzi in tutto cinque. A scuola fiamminga e alla seconda metà del sec. XVI appartengono gli arazzi che decorano le sale del Palazzo acquistati o dal card. Gerolamo o da Giberto.
Ne sono rimasti dodici, più quattro candeliere e due frammenti; cinque rappresentano caccie, sei giardini all'italiana, uno una festa rusticana.
Un inventario del 1606 (24) dà presente nel Palazzo un prezioso patrimonio:
"Corami per addobbare la camere, d'oro e di vari colori pezze 76 portiere di corame " 10 razzi di Fiandra affigurati per addobbare dette camere". " 42 da altro elenco: " 24 "damaschi per addobbare dette camere di vari colori " 26 spalliere di mezzo raceno alla moresca " 26 spalliere di filo e bavella, di vari colori " 11 tappezzerie di panno rosso " 7 portiere di panno " 11 letti di piume d'oca n. 26 materassi di lana, da letto n. 49 cavedoni p. 19 scranne d'appoggio all'imperiale n. 49 casse di noce " 33 tovaglie di Fiandra, sotili " 60 tovaglioli di Fiandra " 238
Molto importerebbe ricostruire il mondo di corte, individuando le dimore che i membri della casata scelsero, le persone di cui si circondarono. La mancanza totale dei libri di casa non lo consente. Dopo il Palazzo, sede del governo, ricordiamo il Casino fuori le mura, la villa di Mandriolo, il palazzo di Fabbrico.
Secondo la tradizione, nel Casino di Niccolò, passato al figlio Gian Galeazzo, lavorò il Correggio; nel 1518 un codicillo al testamento di Giberto fu redatto "in camara philosophorum" del casino. Nel 1584
"fu abbrugiato l'edificio del Casino overo Palazzo et fu tagliata et guasta una gran quantità di neranzi (aranci), limoni, mortelle, e piante gentili che erano nelli giardini di detto Casino, rompendo li vasi e rubando mobili e guastando ogni cosa: mobili, anelli d'oro, coralli, drappi di lino, di renza, lenzuoli, tovaglie".
Il danno fu stimato in mille scudi. L'edificio fu riparato e arredato di nuovo; nel 1636 esso conteneva di nuovo "assaissime piante di naranzi,
Don Maurizio possedeva "in vicinanza di Correggio una casa, che ha stradoni con boschi deliziosissimi, uno dei quali è lungo più di un miglio, che arriva fino a Correggio" (1658); deve trattarsi della villa di Mandriolo (25).
Attorno ai personaggi della famiglia ruotava una folla di persone di ogni qualità: funzionari di governo, cancellieri e notai, ambasciatori e messaggeri, uomini d'arme ed esecutori, maestri e musici, gente addetta ai servizi, spesso forestieri.
Le carte hanno conservato il nome di alcuni funzionari di Niccolò: Antonio Stella da Venezia, timpanista (26) ; Niccolò de Marani detto Trombetta, custode della rocca di Castellazzo; Francesco Astolfi, siniscalco; Pasquino de' Merli da Scurano, cancelliere e fattore generale di Borso, Giberto e Galeazzo.
La vita di corte si intrecciava con quella delle famiglie nobili (27) , ammesse a Palazzo; confidenti e collaboratori, esecutori di missioni speciali; esiste così un partito di corte che fonda la sua potenza sul privilegio, sulla proprietà terriera ma anche su ogni sorta di traffici. Beatrice d'Este fa società con i fratelli Antonio, Giovanni e Jacobo de Monti, di Correggio, per lavorare e commerciare nell'arte della lana e nella spezieria, a metà di lucro e perdita (1484) (28). Pasquino di Peregrino de Merli di Scurano riscuote denaro prestato per l'acquisto di panni d'oro, d'argento, seta, grana e altri colori, nonchè sale e ferro (1460) (29); nel 1475 fa società, a metà di lucro e danno,
con mastro Simone de Storti per commercio in cuoio, versando 200 fiorini per tre anni (30); nel '76 fa società, a metà di lucro e danno, con Tommaso della Fossa per il commercio d'olio d'oliva, versando 80 ducati (31), nell'86 fa società con Andrea de Curli di Correggio in arte calzolarie (32); nel '77 aveva preso in affitto 7 b. di terra dall'Abbazia di Campagnola (33).
Tra Borgo vecchio e Borgo novo vive un certo artigiano che dipende interamente dalla corte e dalle migliori famiglie; sono forestieri, anche, condotti per la loro abilità o allettati dalla possibilità di far guadagni. Nel 1451 Luca de Caratico qu. Burbarini di Piacenza, orefice, chiede esenzioni per venire ad abitare a Correggio per esercitare l'arte (34) . Nel 1480 Mastro Giovanni de Ferrariis di Milano, abitante prima a Correggio poi a Fabbrico, vende 14 once d'argento di due vergelle (35). In arte calzolarie commercia Leonardo di Domenico alias Florentini, abitante a Fabbrico 1462 (36); lo stesso vende terra a Fabbrico, in ronco de Florentinis -1474 (37); a Correggio abitano Leonardo de Delfinone, tintore, da Milano -1473 (38) ; e Gabriele de Lombardis, drappiere, di Bergamo - 1473 (39).
Francesco da Todi e Gianquirino da Crema fanno società per panni di lana, pignolati, olio ed altro - 1476 (40); Bernardino da Crema lavora e commercia in panni di pignolati - 1482 (41); Iorio de Calcagni presta ai fratelli de Castellini 100 ducati per commercio di spezie - 1482 (42) ; Antonio Zuccardi, Quirino da Todi e Pellegrino de Iusti fanno società per la condotta del sale - 1491 (43).
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