| Odoardo Rombaldi |
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| Nobilta' nello spirito | |
| Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979 |
La lettera di Niccolò, che accenna agli "edifici", è notevole per il motivo iniziale, uno dei più liberi e sinceri che sia dato incontrare in lui:
"Io sono con la Dio Gratia giunto questa sera qui a Correggio a salvamento et talmente accarezzato da le mie donne che io ho conosciuto questo essere un laccio nel quale facilmente potrei remanere inviluppato et non tornar alla Ex.tia V.ra entro il termine ch'Ella mi ha dato."
E' l'esultanza per l'agognato ritorno, che si tramuta subito in gioco: non farsi scappare un dono mandato a Ferrara dalla moglie Cassandra, ignara che il marito stava per tornare:
"Parlando poi con mia mogliera intesi lei haverni per una nave, che ha conducto là certe mie biade da cavallo, mandato uno paro di caponi grassi et uno de pollastre, et dolevasi che o si guastariano o seriano pasto di persone che non le meritaria. Per lo chè io viddi nata gagliarda occasione di mandare un messo a posta volando, come io faccio, il quale onninamente dimane sera trovi la Ex.tia V.ra, a fin ch'ella, pato cercar di questa su nave che si scaricarà a Ferrara o sia a Monisteriolo, si faccia dar li caponi et le pollastre per goderli così voluntera com noi altri lo desideramo, et così trovaranno qual loco che haveriano in ogni modo trovato" (1).
Che d'omaggio affettuoso alla moglie si trattasse e non di altro risulta dal tono scherzoso e dalla semplice osservazione nostra che di polli ne aveva a Correggio quanti ne voleva. Scambi di doni compaiono in tutti i carteggi dei signori del tempo; sono, di solito, primizie degli orti o delicati frutti della pesca o della caccia. Veronica Gambara manderà carciofi (archichiochi) (2). I ricevimenti provano con quanta cura si coltivavano le relazioni con gli altri Signori, per il decoro della famiglia e l'interesse dello stato; feste, ricevimenti, giochi, banchetti erano offerti senza risparmio. In un pranzo dell'ottobre 1477 furono servite queste vivande:
"Fue prima date le salate cum il marzapane, poi inframesso di tordi, tortore, fasani et pavoni, dreto il lesso de caponi et vitello cum una minestra delicata, deinde il rosto cum savore de marinelli, pomiranci, e uve, poi torte bianche ( ... ) ultra di questo, de due sorte zeladie, una cum poche specie et chiara coperta de ovo, l'altra cum specie, molto bone, dopo persichi cum zucharo, formaglio, peri e ultimamente de più sorte confecture" (3).
Non è il caso di insistere in una materia comune a tutte le corti, et è preferibile tornare a Niccolò e ritrarlo nello scrittoio in uno dei suoi palazzi, di Fabbrico o di Correggio. Il 5 febbraio 1501 scrive da Fabbrico a Francesco Gonzaga:
"Volendo la Ex.tia Vs. ch'io mi provi di satisfarla circha il mutar di quel capitulo che conteneva le fatiche de Calisto, bisogna che la mi avisi dopo quale comedia el vol far recitare o in mezo o in che modo, a ciò ch'io sappia rimetterli qualche cosa a proposito; similmente di quello che la vole che parli de Italia, voria saper se ha ad esser semplicemente un capitulo fuora de le Comedie o se pur ha ad intravvenire o in prima o da poi ne le feste; se la Ex.tia Vostra mi significarà quello ch'io ho da fare mi forzarò di servirla et presto perchè et far tosto una cosa porta con sè la scusa (4).
Il lavoro in cui Niccolò è ora occupato è teatrale: un "capitulo sulle fatiche di Calisto", che deve modificare per compiacere al Marchese di Mantova, e un capitolo sull'Italia, che si vorrebbe conoscere nel particolare.
Il 22 febbraio 1502 promette al Marchese di andare a Mantova:
"Ubidirò molto voluntiera a quello che la Ex. Vs. mi commanda, di venir a vedere le rappresentationi ch'ella vole fare, et serò lì a tempo, et de Zobia et de Domenica" (5).
E ancora a lavoro scenico accenna la lettera 17 febbraio 1503, inviata a Isabella, cui chiede
"che mi voglia andar quella tragedia di Seneca intitulata Troas ch'io già le mandai, ligata in un libretto, perchè lo Ill.mo Sig. Duca suo Patre la vole veder, et per questa causa mando questo cavallaro a posta a lei (...), (6).
Il suo talento è ora al servizio di Ferrara che divide con Mantova il vanto di esser tra i primi centri teatrali d'Italia. Ci limitiamo a questo aspetto pratico della cultura di Niccolò, che si connette strettamente con l'arte di governo.
A Correggio in questi anni la vita artistica elabora valori altissimi; vi è presente ed opera Antonio Allegri che esprimerà il maggior frutto del suo genio in quella Parma cui per secoli i da Correggio avevano guardato come a centro della loro più compiuta affermazione.
Non è senza rispetto che si leggono le carte che regolano alcuni fatti della sua vita: una donazione di beni:
1519, 1° febbraio - Francesco di Niccolò da Grassano, volendo rimeritare l'Allegri "ob merita et servitia que de continuo habuit diversimode et in diversis et pluribus necessitatibus suis ab egregio et discreto iuvene nepote suo magistro Antonio pictore, filio Perregrini de Alegris de Corigia ( ... ) dedit ( ... ) domum unam positam in dicto castro veteri terre Corigie ( ... ) cui confinat a sero via Comunis, mediante orto diete domus contigue'ipsi domui, versus stratam publicam, de subto illi de Pagazinis, a mane Angelus dictus Romanellus, nepos suus", e diverse pezze di terre (7)
Il contratto per la dote:
"Curn verum fuerit et sit quod alias Mr. Antonius de Alegris de Corigia, filius magistri Perregrini, pictor, acceperit in uxorem et pro uxore sua vera et legitima ( ... ) honestam mulierem dominam Hieronimam filiam quondam Berti Merlini armigeri, sitque verum quod in dieta acceptatione et in contrahendo sponsalitium inter predictos iugales promissum fuerit ( ... ) ipsi magistro Antonio domos, terras, res, bona et iura ( ... ) spectantes ( ... ) ipsi domine Hieronime, tam causa et occasione hereditatis ( ... ) quam ( ... ) dotium (8)
I vincoli famigliari e l'interesse alle cose sono ben visibili in questi atti,.
A Correggio, privata del suo Niccolò giungeva (1508) Veronica Gambara, moglie di Giberto. La presenza della illustre Donna, fu decisiva nell'avviare la città dalle forme quattrocentesche a quelle del pieno rinascimento, e nella cultura e nella lingua; la lingua, ancora emiliana in Niccolò, diventa con lei, italiana.
La Gambara raggiunge una maturità di intelligenza critica che va oltre l'episodio che la rivela; la lettura di un quadro del Correggio ne dà la misura:
"( ... ) crederia di manchare molto del debito mio inverso di V. Ecc.tia se non mi advisasi di darle qualche notitia intorno al capo d'opera di pictura che il nostro Mr. Antonio Allegri ha hor hora terminato, sapend'io maxime che V. Ecc.tia, come intendentissima di simili cose molto si diletta. Rappresenta il medesimo la Madalena nel deserto ricovrata in un orrido speco a fare penitentia, sta essa genuflexa dal lato dextro con le mani gionte alzate al Cielo in atto di domandar perdono de peccati, il suo bell'atteggiamento, il nobil et vivo dolore, che exprime il suo bellissimo viso la fanno mirabil sì che fa stupore a chi la mira. In quest'opra ha expresso tutto il sublime dell'Arte della quale è gran Maestro" (9).
Questo giudizio, così pacato fa pensare che l'Illustre Donna portasse all'arte del "gran Maestro" un interesse non contingente; se così fosse avremmo qui un incontro di incalcolabile valore per la formazione e la diffusione del gusto estetico dall'una all'altra delle arti, e da queste verso il mondo (10).
Abbiamo detto di maturità di forme e di linguaggio italiano. A Correggio Rinaldo Corso scriverà i Fondamenti del parlar toscano (Venezia 1549):
"Questi mesi (ha il ventesimo sesto) che io, lasciata per la febbre Bologna, et i civili studi, ho passato, et passo miseramente in Correggio mia ( ... ) mi sono io pur finalmente riscosso et in me medesimo tornato tanto, che quello, che gran tempo prima nell'animo haveva, in ispatio di pochissimi giorni ho messo ad effetto. Et la Thoscana favella, incerta fin hora et sparsa ho ridutta in guisa ( ... ) che potrà per innanzi di ciascuno quantunque Barbaro e strano sotto certe regole essere compresa non altrimenti, che l'altre lingue ordinate, si sien fatte per adietro" (11).
Al Corso, "nel fatto, riuscì di sbozzar il tipo di Grammatica che per una tal quale contemperanza dei suoi vari criteri e per una certa scorrevole piana esposizione finì col prevalere e rimaner tradizionale" (12).
Veronica Gambara promosse nel suo palazzo riunioni dotte e da queste prese corpo un'accademia, fin dal 1520; ne sarebbe stato capo G.B. Marchesini, alias Lombardi, correggese, dottore di filosofia e medicina e professore dello studio ferrarese.
Al Corso è attribuita la fondazione di un'altra accademia, quella di Filogariti. Verso la fine del sec. XVI si riunivano i Trasformati e più tardi gli Spensierati o Scioperati, di cui sarebbe stato capo Cosimo, figlio di Camillo da Correggio. Lo stesso Camillo avrebbe favorito la nascita dell'accademia degli Spensierati (1593), "considerando quanto dannoso sia agli uomini vivere oziosamente in ogni luogo, e massimamente nelle cittadi, e quanto utile e onore a loro apporti lo impiegarsi in nobili e virtuosi esercizi", esortando ad entrarvi "tutti i Professori di qualche virtù" e "a vivere fra loro et osservare concordemente li suoi statuti".
All'inizio del sec. XVII sorgerà in Correggio l'accademia dei Teopneusti.- di altre sì ha solo il nome: degli Incogniti, degli Indifferenti(13).
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