Odoardo Rombaldi
La falsa moneta di Giovan Siro e la Santa Inquisizione
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979

Vedi anche "Siro" di R. Finzi
Vedi anche il ritratto conservato nel Museo di Correggio
Vedi anche il ritratto del conte Camillo conservato nel Museo di Correggio

Morto Fabrizio (1597), Camillo, l'unico superstite dei figli di Manfredo, era l'ultimo legittimo signore di Correggio. Egli giungeva a governare da solo il feudo dopo lunghi contrasti con lo zio Gerolamo e aspre contese col nipote Alessandro, superati con pazienza a anche con coraggio. Egli continuò la tradizione dei migliori signori da Correggio mettendosi al servizio delle potenze, nella diplomazia e nelle armi. La sua devozione alla Spagna, tolta - la parentesi degli anni 1556-57 è costante, dal 1551, in cui combatte con le truppe spagnole nella guerra di Parma, al 1554 che lo vede impegnato sotto Siena, poi nel Piemonte e nelle Fiandre. Il suo valore, la sua esperienza gli meritano la stima di Venezia, che lo elegge governatore di Corfù, e la partecipazione, con altri di Correggio, alla battaglia di Lepanto (1571). Morto Gerolamo, si riduce a Correggio: la difesa dei diritti suoi e dei fratelli contro Alessandro lo impegnarono in numerosi viaggi e in trattative lunghe e defatiganti per oltre venti anni. Afflitto dalla mancanza di eredi maschi legittimi dalla nascita di Gian Siro ricevette nuove e gravi difficoltà, cui si aggiungeva la protezione opprimente della Spagna che presidiava Correggio; con pazienza e abilità riuscì a barcamenarsi in condizioni difficili; ma alla sua morte (1605) cominciava per la dinastia dei da Correggio il principio della fine.
Protagonista e insieme vittima del dramma, Giovan Siro. Nessuno dei figli che Camillo ebbe dalla moglie, Maria di Collalto, vedova del conte Giovanni d'Arco, giunse all'età di succedere; prima che costei morisse (1583), da Francesca Mellini Camillo aveva avuto Giovan Siro o Siro, e Cosimo; nel 1591 sposò la donna e legittimò il figlio. Un anno prima che Camillo, sofferente di gotta, morisse (Milano, 1605, 3 giugno), erano cominciate le pratiche per la successione: nel 1605, il conte di Fuentes, governatore di Milano, "onde evitar scandali", aveva ordinato ad un presidio spagnolo di prendere possesso di Correggio; nello stesso anno Siro aveva chiesto all'Imperatore l'investitura del feudo, appoggiato, nel 1606, dal voto della Comunità.
La Camera Aulica impiegò un tempo straordinariamente lungo per decidere, per vari accidenti. In virtù del lodo imperiale del 1579, alla successione del feudo di Correggio erano chiamati solo i figli nati da legittimo matrimonio; essendo Siro "nato da una donna di vile e bassa condizione et che non era tenuta in forma di concubina, dalla quale haveva havuto altri figlioli, mentre esso Conte Camillo era in matrimonio", si riteneva che non potesse succedere neppure a seguito di legittimazione per conseguens matrimonium; d'altro canto, Gerolamo, figlio di Alessandro, aveva ottenuto dall'Impero l'investitura del feudo. Nel 1612, la Camera oppose a Siro il vizio di incapacità; nello stesso anno (6 agosto), uscito dal carcere ove era stato posto per aver partecipato alla congiura dei feudatari contro il Farnese, (ductus extra carceres), per delega Gerolamo giurava obbedienza all'Imperatore; egli possedeva Rossena e Gombio, attendeva di riavere Valle Campegine, occupata da Alberto Canossa già suo amministratore, e aspirava a Correggio, Fabbrico e agli altri luoghi che gli spettavano di diritto e che Siro occupava (1). Tuttavia, poco dopo Gerolamo moriva e i Farnese occupavano Rossena e Gombio, stendendo una pesante ipoteca sul feudo di Correggio e provocando, fin da questo momento, la gelosia degli Estensi.
Nel 1614, le trattative tra Siro e la Camera erano sul punto di fallire e i ministri imperiali parevano decisi a non confermare l'investitura e a vendere il feudo; l'intervento dell'ambasciatore di Spagna, a Praga, conciliò le due posizioni; nel 1615 (14 febbraio) un decreto imperiale concesse a Siro l'investitura di Correggio con l'esborso di 120 mila fiorini.
All'origine delle sventure di Siro è la tradizionale avarizia imperiale, che la guerra dei Trent'anni doveva ingigantire; i fatti che narreremo cadono sotto il segno malefico del denaro, di quello vero e di quello falso. Dopo un mese dal decreto Siro non aveva pagata la somma richiesta e la Camera revocò l'investitura; il versamento di 50 mila fiorini, prestati da Antonio Franzini, rimosse l'ostacolo (1615, 30 marzo). Le trattative continuarono fino al febbraio 1616 e si conclusero con l'elevazione dello stato di Correggio a principato; Siro ebbe il titolo di principe dell'Impero, la facoltà di creare conti e cavalieri e di nominare dottori. Lo stemma fu così modificato:
"Un'aquila nera coronata, in campo d'oro nel primo quarto, da man destra, e un leone giallo con un giglio pure giallo sopra il capo in campo turchino da mano sinistra, che riguarda l'aquila, e così sotto l'aquila un altro leone simile, e sotto il suddetto leone un'altra simile aquila; nel mezzo lo scudo antico di questa famiglia, cioè un campo rosso con una sbarra attraverso, bianca, che è l'istessa d'Austria, con una croce rossa grande, che separi detta aquila e leoni, e che le aquile siano di due capi".
Il prezzo fu elevato da 120 a 150 mila fiorini renani; lo stato fu ipotecato per sette anni (2).
Per salvare lo stato dai creditori non restò che battere moneta falsa, espediente cui già si era ricorsi, ma questa volta il reato ebbe conseguenze tragiche. Il traffico della valuta mise in moto emissari esteri, e ciò insospettì l'inquisitore di Reggio. Nel settembre 1617 il vicario del Padre inquisitore chiese a Siro di arrestare "due persone nate in paese eretico capitate a Correggio, per havere moneta dalla Zecca e condurla fuori", ordinando che nessuno lasciasse il paese. L'inquisitore, portatosi a Correggio per interrogare gli indiziati, i fratelli Giovan Pietro e Ottavio Pestalozza, e Francesco Beseghino, fu ostacolato nella sua inchiesta e venne a diverbio con le guardie; il colloquio con Siro, anzichè dissipare o comporre la vertenza, si tramutò in grave accusa da parte del Padre e in violenta da parte del Principe. Questi dichiarò di aver così agito a tutela della autorità propria; in effetti, inesperto ed acciecato da giovanile impulso, come riconoscerà poi, agì come peggio non avrebbe potuto.
Cominciò allora la propria difesa, che doveva costargli umiliazioni dolorosissime, senza salvarlo. Le pratiche aperte per risolvere il caso, con la loro risonanza, attirarono su Siro l'attenzione malevola di chi voleva perderlo. Ancora una volta Siro si rivolse al Ministro di Spagna, cui consegnò un memoriale (3); poi spontaneamente, senza esser chiamato nè citato, si presentò all'Inquisitore di Milano (1617, 12 novembre). Dal carcere in cui fu trattenuto fino al settembre del 1618 confessò al Papa il suo pentimento, chiedendo l'assoluzione:
Conobbi da principio l'errore et eccesso mio commesso contro il Padre Zambeccari, Inquisitore di Reggio, dolentissimo di havere doppo Dio offeso la Santità Vostra et la Maestà del S. Officio ancora; riconobbi l'eccesso molto maggiore, passati quei giorni della collera e trasporto dell'età giovanile, et ne chiamai con memorale perdono a V. B.ne, non audendo all'hora venire ai piedi Santissimi Suoi personalmente per l'erubescenza della gravità del delitto; per il che mi posi nelle forze di questo Padre Inquisitore al fine di piangere la contumacia in parte, e dar segno di pentimento con rimanere in prigione assai stretta, dove sono circa quaranta mesi fa; dentro di quel tempo più volte ho fatto supplicare V. S.tà per clemente benignità et gratia, sapendo che la sola giustizia non mi darà luogo che di castigo. Hora non potendo di presenza prostrarmi ai piedi Suoi, lo faccio con questa, et vengo dalla B.ne V. come Vicario di Cristo, Padre e pastore universale benigno e pietoso, et a guisa del figliolo prodigo humilmente la supplico di havere compassione della persona et stato mio et non essermi giudice grave, ma usar meco la misericordia, alla quale ricorro et si come dalla MA divina ho hauto gratia di conoscere quanto l'abbia offesa in questo particolare, così spero di haverla dalla S.tà Vostra di condono, meritandola in qualche parte la confessione dell'eccesso il pentimento et la deliberatione di emenda et qualche attione de miei antenati fatta in servitio di cotesta Santa Sede, per la quale spenderò sempre il sangue et non meno per la Casa della S.tà V. li cui s. mi piedi bacio humilissimamente prostato a terra et priego la D. M.tà che la conservi per il beneficio della cristianità. Dalle carceri di Milano alli 20 di Giugno 1618 Humiliss.a et devotiss.a creatura Siro Principe di Correggio. (4)
Dalla disgrazia del Principe si ripromisero un vantaggio sia la Spagna sia il Papa, decisa la prima ad occupare Correggio per influenzare direttamente gli stati emiliani, contrario il secondo ad ogni estensione dell'influenza spagnola e desideroso di farne un feudo per il nipote.
Ottavio Bolognesi, nell'intento di restituire Siro allo stato e di conservare questo al suo principe, si recò a Roma e svelò al Papa le mire di don Pietro di Toledo, governatore di Milano, 94per il che vi fece grandissima riflessione il Papa, e pretese che la confisca del feudo di Correggio havesse da essere della Chiesa, quello volendo applicare a suo nipote". Ma il Bolognesi informò gli ambasciatori del disegno del Papa; la Spagna confermò il suo proposito e il Papa, riconoscendo la sua impotenza a contrastarlo e l'impossibilità di realizzare il suo intento, preferì riportare la situazione allo stato primitivo; ordinò perciò all'Inquisitore di Milano di liberare Siro; il Governatore si oppose inutilmente e il 19 luglio il Principe usciva dal carcere e faceva ritorno a Correggio. Egli doveva soddisfare varie condizioni, tra cui il pagamento di una somma a Roma o ai Domenicani di Correggio; Siro ottenne di continuare la penitenza in Correggio.
Nel 1620, 4 agosto, ebbe da Ferdinando Il conferma dell'investitura; il passato sembrava cancellato, ma nell'ombra si tramava la sua rovina. Nel 1623 egli fu accusato di falso in moneta e gli fu intimato di presentarsi al Commissario imperiale in Italia per giustificarsi; il rifugio in convento gli parve il mezzo più acconcio per sottrarsi ad un processo che l'avrebbe distrutto; si ritirò nel convento dei Capuccini di S. Martino in attesa che la tempesta si allontanasse; una voce contemporanea informava: "tediato dalla lunghezza e ispirato da Dio fa passaggio dai Tribunali alla religione dei Capuccini, in cui vive ancora" (5).
Il 1630 fu l'anno forse più tragico per Correggio e il suo principe. L'alloggio delle truppe alemanne, mandate ad acquartierarsi nel nuovo feudo imperiale, e il processo si abbatterono contemporaneamente sul giovane, privo di risorse e indifeso; poco dopo sullo Stato sopraggiunse la peste.
Il 18 gennaio, Siro scriveva ad Ottavio Bolognesi residente a Praga:
"Se continuerà (l'alloggio) è certissimo che questi poveri sudditi sono in necessità di abbandonare la Patria e le proprie lor case ( ... ). lo ho soccorso loro col prestito contante di 30 mila scudi, che è tutto quanto denaro mi trovavo ad havere" (6).
Disponeva di molte argenterie e pensò di ridurle in moneta o di darle in garanzia di un prestito. Privo egli stesso di mezzi, non potendo ricavar più nulla dai sudditi, spogliati dai soldati, il 25 gennaio aggiungeva:
"lo certo antiveggo che con l'intiera ruina di questo stato è malagevolissimo il supplire per tutto febbraio e, conseguentemente, se si passasse più oltre, bisognerebbe cadere negli effetti della disperazione" (7).
Riguardo al processo, citato a comparire davanti a don Ferrante Gonzaga, "machinatore, istigatore di tutto, nemico, persecutore inveterato dalla Casa e pretendente alla sua giurisdizione", non avendo più di 24 giorni per costituirsi, essendo indisposto, e il palazzo occupato dai soldati, chiese una proroga, autorizzando il Bolognesi a usare anche il denaro, ove fosse necessario (7 febbraio).
Non essendogli stata concessa la proroga, nel marzo si mise in viaggio ma non raggiunse la sede destinatagli. Il 27 marzo scriveva da S. Martino:
"Fratanto io me ne sto fuora di Correggio per non esser posto prigione dagli Alemanni, che mi hanno perso di rispetto affatto, fin tanto che non vengano gli ordini di Sua Maestà. Son perso d'animo e ridotto in stato infelicissimo perchè, se bene, quanto alla causa, io sono sicuro di puotermi difendere secondo giustizia, non di meno, il vedermi privo dei sudditi e quei pochi che mi restano esser mendichi, il vedermi privo della Rocca, delle chiavi, della propria Casa, dei miei denari et argenti e della patronanza, e il vedermi ogni hora, hor travagliato dalla soldatesca, che minaccia di quando in quando di dar il sacco a quel puoco che è restato, con far mille strapacci della mia persona e delle mie creature, hora dal Signor Duca di Guastalla, che tratta meco in termini rigorosissimi, sì nella causa criminale come in altre cause civili, essendosi mossi contro di me non solo la Signora Claudia Franchetti ma fin li Conti d'Arco, che mi dimandano 40 mila scudi, ( ... ) so ben che da qui avanti mi converrà far vita privata" (8).
Il 22 aprile è Francesca Mellini, la madre di Siro che fa appello al Bolognesi:
"Signor Ottavio, per la tempesta delle nostre avversità presenti ci ha bisognato per le spese intollerabili e codesto alloggio di soldati impegnare gli argenti di S.E., pigliare denari a interesse; s'immagini mo' lei il resto; et ci hanno altresì svaligiate le possessioni, desolato il palazzo, distrutto il vino, sì che ormai siamo esausti d'ogni cosa" (9).
Nel maggio, da S. Martino, Siro tentò una strana difesa dall'accusa di aver falsificata la moneta:
"Li suddetti Commissari fanno gran strepito sopra una moneta che dicono essersi battuta nella zecca di Correggio sotto il Rivarola, la qual è simile alla moneta del Tirolo che ha quelle lettere: MONETA NOVA TIROLENSIS, e dall'altra parte alcuni scudetti dentro li quali vi sono alcune aquile e leoni, e fra detta moneta e quella battuta dal Rivarola dicono non vi sia altra differenza se non che quella del Tirolo dice TIROLENSIS, e quest'altra SYROLENSIS; et l'altro giorno fecero far il saggio di tutte due monete e vi chiamarono per assistente l'orefice carpigiano, che sta in Correggio, el che si può credere habbiano fatto per far constare la differenza ch'e dall'una all'altra nella bontà. lo non ho mai saputo che tal moneta si sia battuta in Correggio et non credo possino provare, et so certo che non proveranno la mia scienza, quale, quand'anche vi fosse, che non vi è, dico che in Italia si usano queste similitudini, e tra molti esempi ch'io potrei addurre, come di Bozolo con Modena, di Massarano con Milano, della Mirandola con Modena, di Mantova col Tirolo, di Guastalla; dirò solo questo, che corre una moneta simile a quella di Bologna che dice BONONIA DOCET et questa dice BONA OMNIA DOCET, et quanto all'imprese che sono dall'altra parte delle monete tirolensi, che sono aquile e leoni, forse anche l'arma d'Austria, rispondo che nelle mie arme porto queste aquile e questi leoni et dell'arme dell'Austria sono centinara d'anni che siamo in possesso di portarle". 1630, 16 maggio, S. Martino, il Principe di Correggio (10).
Alla fine del 1630 si insinuarono i primi timori di peste. Nel gennaio 163 1, tutti i mali pesano suol cuore del Principe:
"lo non passo alcun momento d'ora che no habbia l'orecchie e il cuore ingombrati di incendii, di demolizioni, di violenze a luoghi, a persone sagre, di prigionia, di tormenti, di forche piantate, di rapine et, in una parola, di crudeltà de ogni sorte, et questo in aggiunta alla mia più individua principal infelicità" (11).
Rassegnata vittima della sorte, condannato dalle sue colpe, raccomanda la sua salvezza al Bolognesi:
"Signor Otavio, io son ruinato e la mia Casa è in ultimo sterminio; così ha voluto Dio e la mia mala sorte, a creda certo che io non ho tanta colpa nelle mie avversità come Ella pensa" (12).


1 A.S.PR. Feudi, Correggio b. 50. Nel 1613 (febbraio) l'Impero concedeva ai Farnese Rossena passata da Gerolamo, condannato, alla Camera Imperiale. Il Farnese aveva ottenuto da Gerolamo, in cambio del condono del patibolo, un mandato per entrare in possesso di Rossena; Gerolamo morirà poi nel carcere della Rocchetta (1612).
2 La pratica è così documentata in A.S.MO. - A.S.E., Casa e Stato, Controversia, b. 72: A 2- decreto imperiale che concede a Siro l'investitura di Correggio col pagamento di 120 mila fiorini alla Camera - 1615, 14 febbraio; A 5- Decreto imperiale che intima la esecuzione della sentenza contro Siro e la revoca dell'investitura per non aver egli dato esecuzione al concordato per Correggio - 1615, 17 marzo; A 6- risposta del Bolognesi al decreto; A 7 - id.; A 8 - lettera dell'Ambasciatore di Spagna ai ministri imperiali sul decreto -1615, 19 marzo; A 9 - Diploma cesareo sull'ipoteca del feudo di Correggio e sigurtà di Antonio Franzini, che paga 50 mila fiorini per conto di Siro - 1615, 27 marzo; A 10 - Intimazione a Siro di pagare 120 m. fiorini, -1615, 6 aprile; A 1I - Reversale dell'oratore spagnolo per 70 mila fiorini - 1615, 31 marzo.
A soccorso di Siro, impotente a pagare sì forte somma, venne l'ambasciatore di Spagna, Baldassarre de Zuniga, il quale, dopo aver ottenuto dall'Imperatore la Contea di Correggio, e il titolo di principe, sollecitò Antonio Franzini, consigliere dell'arciduca Ferdinando, a pagare per conto di Siro 70 mila fiorini renani, ricevendo a garanzia del prestito, le entrate dei beni allodiali e le entrate feudali di Correggio per 7 anni; Siro restava debitore di 50 mila fiorini, al frutto del 6070, ridotti a 46.666, che poco dopo si rifiutò di pagare; sorse una vertenza, risolta a favore dell'erede del Franzini, Francesco, con sentenza data a Venezia; frattanto, il diploma imperiale, datato 27 marzo 1616, restò presso il governatore di Milano. Vedi anche A.S.MI, Feudi Imperiali, Correggio, b. 234.
3 Memoriale a Bolognesi per trattare col ministro di Spagna in nome di Don Siro su alcuni capitoli, tra cui di essere imputato di aver fatto offendere l'Inquisitore di Reggio: "Egli dovrà sincerare la mente di don Pietro e di tutti li Ministri Regi per l'impressione fattagli dal Capitano Valsena con cattivi uffici nella persona nostra, allegando che egli è sempre stato di mala volontà verso di Nui, nonostante che se li sia dimostrato in ogni occasione con quanta osservanza e devozione si cammini verso il servizio della Maestà Cattolica; che della Zecca è falso quel che egli asserisce in materia di monete false, come con ogni giustificazione si esibisce di mostrare; che è falsissimo che da ciò sia proceduta l'offesa dell'Inquisitore di Reggio, facendo professione di cristiano e vivendo ossequentissimi al Santo Officio, come si può da tutti gli effetti comprendere e sì può in ogni tempo facilmente giustificare; che non si è sparlato nè di Sua Maestà nè della Nazione mai se non fosse, per quanto in occasione di discorso sopra le presenti guerre, si sia ragionato da alcuni secondo le passioni particolari, come si costuma per tutto, anche dentro di Milano; che, avendo il predetto Capitano procurato che si mandi soldatesca, si osti con allegare che questa sarà un danno notabile di tutta la città, per la penuria delli alloggiarnenti, perchè in quel caso sariano astretti li cittadini abbandonare le proprie case ritirandosi in villa, e dove in cospetto di tutti li Principi apariria che la protezione di Sua Maestà risultasse in oppressione, atteso che lo stendardo solo regio basta in far sapere che nui e tutto questo stato vive sotto la umbra della Reale protezione; che non è vero, ma falsissimo che Nui ricettiamo luterani, banditi e altri uomini di pessima vita". A.S.MO. -A.S.E., Casa e Stato, Controversia, cit. b. 72 B. 5
4 A.S.MO., Rettori dello Stato, Correggio, b. 2
5 A.S.MO., Rettori dello Stato, Correggio, b. 4 6 A.S.MO. Carteggio Principi e Signori, b. 1 1497 "Avanti che venissero i tedeschi, stavano in Correggio soldati spagnoli, 100 in circa. Il Principe faceva far la guardia dentro la rocchetta (...); avanti che il Principe fosse inquisito egli teneva le chiavi in corte, aveva la rocchetta libera con l'artiglieria e munizioni, era lui che mandava per il suo chiavero ad aprire e serrare, e manteneva la guardia de propri soldati paesani alla detta rocchetta, et aveva l'assoluto dominio e giurisdizione dello stato come Principe".
A.S.MO., Rettori dello Stato, Correggio b. 2. 1632 18 gennaio. 8 ibid.
9 ibid.
10 A.S.MO. Rettori dello Stato, Correggio b. 4
11 A.S.MO. Carteggio Principi e Signori, b. 1149
12 ibid.