Odoardo Rombaldi
La prima crisi dello stato: Alessandro, Giberto e Fabrizio
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979

(Stemma della famiglia)

Morto il Cardinale (1572, 8 ottobre) Alessandro (1) credette di avere tutti i titoli per succedere al padre, ma andò oltre; prima dell'apertura del testamento egli occupò Rossena anche nella parte spettante ai cugini, e di più, controllando il canal d'Enza, poneva una ipoteca sullo Stato. Cosi, i consorti gli si opposero e continuarono contro di lui l'azione già condotta da anni contro il Cardinale; essi rivendicavano le loro quote di proprietà dei beni allodiali e il totale possesso di quelli feudali, che non potevano passare ad un legittimato. Cominciava così una vertenza che impegnerà per anni le migliori energie e risorse dei da Correggio, con crisi violente e conseguenze gravi per la stessa dinastia; i consorti, non volendo o non potendo risolvere la vertenza in modo amichevole, si appellarono a tutti i tribunali, da quello imperiale a quello reale di Milano, ricorsero a tutti gli arbitrati, dalla corte di Firenze a quelle di Parma, di Ferrara, di Mantova e, fin da questi anni, crearono attorno a Correggio un'attenzione, una curiosità che dovevano ben presto diventare brama di conquista.
La situazione apparve fin dall'inizio minacciosa. Presa Rossena il Duca di Parma, protettore di Alessandro, dichiarò che avrebbe invaso lo stato di Correggio se i fratelli non avessero ceduto quel castello, ma il governatore di Milano si oppose ad ogni atto di ostilità. La richiesta di Alessandro e del Duca di Parma era tuttavia perentoria: se i cugini avessero ceduto ad Alessandro la valle di Campegine e Rossena, questi avrebbe rinunciato a tutti i suoi diritti sul resto; i cugini si dissero disposti per Campegine ma rifiutarono di cedere la loro parte di Rossena:
"perchè di troppo danno le sarebbe per il canal nostro che di là deriva, che verressimo a perdere l'entrare dei nostri molini, che è la più sicura che abbiamo, offrendoli però tant'altri beni di doppio valore di Rossena in ricambio di quel luogo e qualche cosa di più, se fosse parso onesto a S.E." (2).
Fu quindi necessario intraprendere un'azione diplomatica a largo raggio. A condurla fu Fabrizio, anche a nome dei fratelli Giberto e Camillo. Giberto, affetto da gotta, "accompagnata anche di qualche altra mala compagnia", e, per di più amareggiato dall'abbandono della moglie Claudia Rangoni, non poteva muoversi da Correggio. Camillo, dopo aver partecipato alla battaglia di Lepanto, era in Spagna per acquistare la protezione del Re. Fabrizio fu dunque a Madrid (1574 - maggio-luglio), a Vienna (1578), a Praga (1578-79), a Milano (1581) e ancora a Vienna (1582). A Madrid, anche per gli intrighi del Duca di Parma, cui Alessandro aveva affidato la sua causa, Fabrizio trovò un ambiente poco favorevole; Alessandro aveva fatto valere, a suo favore, la lealtà dimostrata dal padre nella Lega sacra e il dubbio comportamento dei cugini. Fabrizio ne informava il duca Alfonso in questi termini:
"Ho saputo da un principal ministro di questa Corte che l'Agente del Duca di Parma, a nome di Alessandro da Correggio, ha proposto un memoriale nel Consiglio di Stato ove sono rimessi i miei negozi, nel quale, pretendendo d'impedire le mie domande, allega particolarmente che nell'ultima guerra della Lega in Italia miei fratelli volevano accordarsi col Sig. Duca d'Ercole, padre di V.E., e coi francesi, ma il Cardinale di Correggio fu quello che volse seguire le parti spagnole et che a lui si deve tutto l'obbligo di quei servizi, di modochè non solo ha intenzione di estinguere i meriti nostri con questa Corona ma ancora di generar diffidenza presso S.M., colorando, come credo, questa bugia, con la Protetione che di presente tiene l'E.V. di noi" (3).
Inoltre, il partito di corte, favorevole ad Alessandro, escludeva Camillo dalle udienze del Re. Fabrizio chiese al Duca Alfonso di interporre la sua mediazione a Madrid e presso la Corte Cesarea; nel 1575 inviava a Ferrara un ricorso da trasmettere all'Imperatore affinchè Alessandro fosse dichiarato decaduto dal feudo. Tranne Ferrara, pare che Fabrizio non avesse altri appoggi; convinto, perciò, che nessuno potesse difender la sua causa meglio di quanto potesse lui stesso, si recò a Vienna e a Praga. Donde, il 14 settembre 1579, poteva informare che l'Imperatore aveva proprio allora pronunciato il "suo laudo nella nostra causa, il qual è stato in sostanza conforme all'accordo che trattassimo già a Firenze" (4)
E di ciò attribuiva il merito al Duca Alfonso cui protestava la sua devozione.
Il lodo riconosceva in Camillo e Fabrizio gli unici titolari dello stato ed assegnava ad Alessandro solo la proprietà di alcuni beni feudali: tutta la valle di Campegine con frutti e pertinenze dalla morte del Cardinale, i beni di Camporanieri, Mezzano e Medesano, metà di Rossena, Rossenella e Gombio, il palazzo di Correggio con stalle e orto, le possessioni di Correggio e quella dei Pradoni, il palazzo di Fabbrico e le pertinenze, tutti i livelli di Fabbrico, i denari e i beni mobili del Cardinale, metà dei frutti, delle pensioni e dei redditi di Correggio e di Fabbrico, dall'anno successivo alla morte del Cardinale. Alfonso di Ferrara fu incaricato di dar esecuzione al lodo (5). Il 3 marzo 1580 l'imperatore investiva Alessandro, Camillo e Fabrizio "de feudis, castris, villis, locis". Morto Giberto (1580, 22 maggio), l'impera-
tore Rodolfo prendeva sotto la sua protezione Alessandro, i suoi castelli e si suoi beni (1580, 29 settembre).
E' probabile che questi atti generassero nuova ansietà in Fabrizio, che, nell'aprile dell'81, è a Milano, nel marzo-aprile dell'82 a Vienna, non sappiamo se per chiarire le intenzioni dell'Imperatore o per protestare contro il lodo del Duca di Ferrara (6) . Nel frattempo, il fratello Camillo imprime alle trattative una svolta, stipulando con la Spagna alcuni capitoli (7) che affidavano ad un corpo spagnolo la difesa di Correggio.
La presenza del presidio spagnolo a sud del Po turbò Roma e Ferrara, Parma e Mantova e pose Correggio all'attenzione degli stati italiani.
La situazione interna, poi, aveva risentito sfavorevolmente delle controversie tra i membri del Casato. Fin dal 1575 (5 maggio) Fabrizio informava Ferrara:
"Peralcune gride fatte pubblicare dai miei fratelli et da me sopra l'armi a beneficio e quiete comune de nostri vassalli, questo popolo di Correggio si sollevò et tumultuariamente se ne andò al Palazzo del Podestà, da che sarebbe facilmente successo qualche disordine se gli huomini più maturi non lo havessero ritenuto"(8).
Nei contrasti tra cugini di questi anni riaffioravano i due opposti indirizzi di politica estera: quello filofrancese e quello favorevole a SpagnaImpero, esplosi clamorosamente durante la guerra della Lega; con questa differenza, che allora Giberto, Camillo e Fabrizio avevano caldeggiato l'alleanza franco -estense-papale contro Gerolamo, fautore di Spagna-Impero, ed ora, invece, mentre Alessandro, deviando dall'indirizzo paterno e favorito da Parma, fa pensare a influenze francesi, i cugini erano aperti fautori del partito opposto. Ma Camillo e Fabrizio, introducendo un presidio spagnolo, tolsero al rivale ogni possibilità di manovra; l'intolleranza e la forza usate provocarono ritorsioni di pari intensità. Fin dal 1581 il Podestà di Correggio, per ordine di Camillo e Fabrizio, confiscò i beni di Alessandro; era una mossa cui il viaggio di Fabrizio a Vienna dava un certo significato; queste trattative e la concomitante convenzione con la Spagna, avviata da Camillo, diedero ad Alessandro il senso dell'accerchiamento ed egli cercò di spezzarlo con l'incendio e la strage.
Nel luglio 1584, con l'aiuto dell'esule Ottavio Avogadro, ordinò una serie di uccisioni e di distruzioni; queste colpirono il Casino presso Correggio, i raccolti e le case; furono risparmiate quelle dei lavoratori parziari di Fabrizio e dei seguaci; il danno fu stimato 100 mila scudi.
Fabrizio scriveva al Duca di Ferrara:
"V.S. Ill.ma havrà inteso gli incendi il sacco e gli amazzamenti fatti nel paese nostro da Alessandro da Correggio, con l'aiuto del conte Ottavio Avogadro, senza alcuna causa e in tempo che non solo con parola ma si trattava strettissimamente la concordia tra noi per il Vescovo di Reggio qui, che anco due o tre giorni avanti gli haveva allargato la strada a la conclusione de la buona amicizia, col contentarsi che noi ponessimo il commissario a Rossena" (9).
Che tutto fosse ridotto a termini di pacificazione è dubbio; al contrario, i fatti accaduti fanno pensare che la situazione fosse ritenuta così difficile e gli animi tanto esasperati da costringere una parte alla rivolta .
Andò così distrutto il Casino:
"Giunsero ieri mattina, alla possessione del Casino di Correggio, circa 300 uomini, parte a cavallo, parte a piedi; parte dei quali, avendo tagliato un pioppo, postolo sul naviglio, passarono nel cortile di detta possessione e in un subito entrarono in casa e cominciarono a rubare e svaligiare ciò che vi era, tollendo tutti li mobili, anelli d'oro, cavalli, drappi di lino ( ... ). Accesero il fuoco nella casa e fenile a cavaione et abbruciarono ogni cosa e mentre ciò facevano, un'altra parte accese fuoco nel casino di detto Signore, che tutto è abbruciato et hanno tutto ruinato il giardino, tagliando ogni cosa" (10).
Il 20 luglio, il priore e gli anziani di Correggio ricorrevano al Duca Alfonso,
"per farli sapere le continue minacce che li vengono fatte da un incendio universale di questo stato di Correggio da quelli medesimi che ai di passati abbruciorono et saccheggiarono con molt'altre crudeltà una gran parte di questo paese" (11).
Ma l'appello era rivolto a chi aveva molta parte di responsabilità nell'accaduto. Alfonso era ricorso all'Avogadro per regolare a suo modo le cose di Correggio che ben conosceva, ma l'eccesso gli aveva sollevato contro la comune riprovazione e un'accusa precisa al Governo di Milano. L'Avogadro da tempo incuteva paura alle città padane; nel giugno dell'83, con la "grassa compagnia della Montagna di Bologna" aveva sparso incendi e terrore nel Veronese. La banda aveva ricetto nel Ferrarese e il Duca non faceva nulla per allontanarla; da Mantova si scriveva: 46 Finchè il conte Ottavio avrà ricetto nel Ferrarese S.A. crede che non si ha per fare previsione che vaglia, perchè è il capo di tutti". All'imprese criminose si annetteva un indeterminato alone ideologico, di protesta tra guelfi e ghibellini o, in termini attuali, tra Francia e Spagna. Nel settembre '84 dopo i fatti di Correggio, Alfonso cercò di smorzare le accuse dando ordine al suo Commissario delle Milizie di dire al Duca di Mantova che "S.A. ha sempre abborrito i malviventi ed ha con ogni diligenza procurato di opprimerli per beneficio del suo paese e di quello dei vicini", e portava come esempio l'aver lui stesso bandito dal suo stato altri malviventi poichè desiderava di "vicinar bene con tutti" (12).
L'Avogadro era giunto a Correggio chiamato da Alessandro. Da Castiglione per Canetole e Magnanega si era portato a Casalmaggiore e di qui a Coenzo, luogo di Alessandro;
"lasciata la compagnia, che era di 180-200 uomini, va con dieci a Parma. Ercole Poltroniero con una grassa compagnia è andato a trovar il conte Ottavio, la quale cosa, intesa dalli Signori di Correggio, ha reso loro molto sospetto e sono entrati in dubbio che non sia fatta tal mossa per danno loro e perciò hanno ingrossato di gente e fattone sapere ai loro amici" (13).
A Parma si era altrettanto convinti della complicità di Alfonso e quella corte aveva fatto vive rimostranze a Milano, onde Ferrara incaricava il suo agente in Parma di dire al Farnese che
"siccome ella non ha fomentato mai nè fomenterebbe simil sorta di genti, così ha fatto accertare più volte di questa verità et il Sig. Duca di Terranova et ogni altro in tutti i luoghi dove è occorso, et può benissimo considerare l'A. di Parma che, se in S.A. fosse stato alcuna inclinazione che i Signori e il paese di Correggio venissero danneggiati, a lei non sarebbero mancate altre strade senza adoperare farinelli e vi haverebbe acconsentito quando ne fu ricercata con quella istanza et in quella guisa che sa l'A. di Parma" (14).
Alfonso, smentendo alle corti di Mantova e di Parma ogni sua responsabilità, non modificò in nulla la condotta del governo di Milano né quella di Fabrizio da Correggio. Il primo aveva presentato
"un processo fatto per i danni dati dal Sig. Conte Ottavio Avogadro l'anno passato su quello di Correggio e in esso processo è contra a sudditi di V.A. e chiarisce li homini che hanno condotto il bestiame e altre robe vendute nel Stato Suo con quelli stessi che hanno comprato, soggiungendo ancora che la M.tà del Re Cattolico l'ha fatto intendere per suddetti gentilomini che per giustizia debba fare soddisfare a detti suoi sudditi li danni dati a quelli di Correggio, come ancora far castigare quelli che sono nominati in suddetto processo e che S. Maestà non può mancare di proteggere quelli che sono sotto la protezione sua" (15).
In perfetta coerenza, Fabrizio, scriverà nel 1587, al padre confessore di Alfonso (16) :
"( ... ) Però saprà che, sendomi stato abrugiato già passano doi anni le possessione et i racolti et depredata una quantità di bestiami da una moltitudine di banditi che havevano ricetto su lo stato del Sr. Duca, et sul medesimo stato portarno i furti, et che in somma vennero col tacito consenso et con la coniventia di S.A., et perchè V.P.tà Rev.ma sa molto meglio di me che sono obbligati a restitutione non solo quello che fanno ma quello ancora che permettono et che potendo impedire non impediscono, et che ciascuno è obbligato in solidum alla restituzione, nè potendo io esser soddisfatto da quelli che hanno fatto il male per esser gente che non hanno nè roba nè coscienza, mì son voltato verso la clemenza, et così ricorro a V.P.tà come quella che l'ha in governo et è il suo giudice in quello caso, a ciò che le metta in considerazione il carico che tien sopra l'anima sua et disingannarlo che non può salvarsi, et la medesima instancia faccio acciò mi restituisca la sua prima gratia come prossimo e fratello che mi è in Cristo, acciò che, ricevendo S.A. et io il suo Sacratissimo Corpo nella Comunione comunichiamo insieme col vinculo della carità necessario oriminamente per poter ricevere questo santissimo Sacramento et di tutto ciò ne faccio instanza a V.P.tà, R.ma, caricandogli la conscienza propria acciò, posposto ogni rispetto humano, faccia con S.A.quello officio nel modo che ricerca il servizio di Dio, N. S.re, et la salute dell'anima, e la supplico esser servita poi a darmene aviso perchè quando S.A., come spero, risolverà di fiberarsi di quest'obbligo, manderò o verrò a darle informatione necessaria et li farò conoscere che io sono servitore devotissimo et ch'io studio più la sua gratia ch'ogni altro interesse che sarà il fine con che di buon core a V. P.tà R.ma bacio le mani et prego Dio N. S.re che le conceda ogni maggior felicità
Di Favrico, lì XXV di Marzo 1587 Fabrizio.
Frattanto, Alessandro, contro la confisca dei suoi beni, aveva presentato ricorso all'Imperatore; il quale, nel 1585, annullava la sentenza del Podestà di Correggio e ordinava che Alessandro fosse reintegrato nei suoi diritti. Camillo e Fabrizio non obbedirono; ciò provocò un altro intervento dell'Imperatore, il quale confermò la sua sentenza e dispose che ad Alessandro fossero pagati i censi gravanti sui beni allivellati dal Cardinale e da questi passati al figlio.
Nel 1585 la successione al feudo di Correggio era tuttavia lontana dalla sua soluzione. Dei figli di Manfredo, Giberto da Claudia Rangoni non aveva avuto discendenza maschile, Camillo da Maria di Collalto due maschi, Manfredo (1575) e Giberto, Fabrizio era senza prole. Nel 1586, tra il Duca di Mantova e Camillo fu formato un piano. per la successione così concepito: il feudo di Correggio doveva passare al Duca di Mantova; questi ne avrebbe investito i Signori da Correggio e i loro discendenti maschi nati da legittimo matrimonio, escludendo la legittimazione per conseguens matrimonium; mancando la linea dei Signori da Correggio, il feudo sarebbe tornato al Duca di Mantova; questi, oltre ai 100 mila scudi, pagati all'atto del primo passaggio, avrebbe corrisposto una pensione di 50 m. scudi a ciascuna delle figlie di Camillo; al figlio naturale di Camillo si doveva procurare un feudo nel Monferrato, dell'entrata di 2 mila scudi; Fabrizio avrebbe ricevuto un entrata fissa da determinarsi (17) . Altre trattative erano avviate col Granduca di Toscana (1586).
La nascita di Giovan Siro (1590) e poi di Cosimo da Francesca Mellini rendeva possibile la continuazione della linea di Camillo ma poneva problemi gravi di legittimazione, simili a quelli sollevati dalla legittimazione di Alessandro e, per di più, creava profondi dissensi tra i condomini.
Mantova cercò di guadagnare dalla contesa tutti i vantaggi possibili e ottenne da Alessandro e da Fabrizio la cessione dei loro beni. Camillo restò solo a difendere la continuazione della casa. Inevitabile l'intervento dell'Impero. Il Consiglio Aulico si occupò della causa vertente tra il Duca di Mantova erede di Fabrizio, e della vedova di costui, Virginia Vitelli, da un lato, e Camillo dall'altra, respinse (2 maggio) l'istanza del Duca di Mantova a ricevere la delegazione a risolvere in Italia la vertenza per i beni feudali, concedendola solo per quelli allodiali (18).
Cominciava così il confronto diretto di Camillo prima e Gian Siro poi con l'Impero, signore e arbitro della vita del feudo.


1 Su Alessandro fu scritto: "Il cugino (di Fabrizio) è il Signor Alessandro, ( ... ) il quale, avvenga sia stato legittimato, non può succedere nello stato, ma si, per il contrario, gli due fratelli Camillo e Fabrizio e i suoi figlioli succedono a li beni del Signor Alessandro; così è stato deliberato dalla Maestà dell'Imperatore. I due fratelli hanno d'entrata all'anno da 15 mila scudi, sono separati, e Fabrizio ha bene circa 8 mila, il Signor Alessandro è ricco di 7 mila scudi ( ... ); non ha moglie nè pensiero di toglierla per esser infermo del mal francese, del quale ora si fa curare a Roma ( ... ); recandosi desidera di travagliare alla guerra come è solito per il passato". Archivio storico presso la Biblioteca Maldotti, Guastalla.
2 A.S.MO. Carteggi di Principi e Signori, b. 1146 b., 1574, 3 ottobre
3 A.S.MO. Carteggi di Principi e Signori, Correggio 1147
4 Il 16 novembre 1577 Alessandro aveva sottoscritto questo impegno: "Io, Alessandro di Correggio mi contento nella lite ch'io tengo coi Signori di Correggio di accettar il terzo partito accordo propostomi dai Relatori di S.A., salvo che, dove per quello mi si assegna Gombio e sue ville, in luogo suo m'abbia da rimaner metà di tutta la giuridizione di Rossena e sua montagna, fermo il detto terzo partito." A.S.MO. Carteggio Principi e Signori, 1147.
5 A.S.MO. A.S.E. Casa e Stato, controversie, cit. b. 68
6 In effetti, il Consiglio di Segnatura del Duca di Ferrara aveva condannato i conti di Correggio a pagare ad Alessandro 4 mila scudi; mancato il pagamento, il procuratore di Alessandro si era presentato, con lettere del Consiglio stesso, al Commissario di Rossena chiedendo di essere immesso ed associato nel possesso dei beni allodiali di Camillo e Fabrizio. Il commissario prendeva il possesso del mulino di Ciano, di due osterie e di un terreno (1582, 15 maggio), quindi, di metà dei censi dei livellari, dei proventi della giuridizione e dei beni feudali di Rossena.
Il 13 luglio 1584, Camillo scriveva al Laderchi, ministro del Duca Alfonso:
"Per sentenza non è mai stato dato il possesso al Sig. Alessandro dell'esercizio della giurisdizione ma solo dei frutti e degli emolumenti, e parimenti vedrà che nella esecuzione gli è stato dato il possesso dei frutti ed emolumenti, con carico di pagare un commissario per la parte nostra e, nello stesso modo, sono stati subastati; ma, a lo incontro, gli agenti del Sig. Alessandro e del Cardinal da Gambara ci hanno spogliati anco dell'esercizio di detta giurisdizione, facendo far bandi pubblici, che niuno avesse ardire di obbedire ad altri che al Sig. Alessandro e suo commissario, eseguendo il bando con ogni rigore. Dal che potrà vedere con quanta ragione ci dogliamo dello spoglio fattoci e quanto giuridicamente potiamo o cerchiamo recuperare il nostro ".
7 Capitoli per il Presidio Spagnolo.
1) Che venendo il Presidio, fosse solo di una compagnia con il suo capitano d'infanteria.
2) Che havesse da guardare le porte e muraglie.
3) Che havesse a stare nelle case arme e quelle fossero pagate il fitto dal Re et provisto li utensili et legni et ogni altro necessario. 4) Che fosse pagato detto Presidio dal Re ogni mese.
5) Che non potesse il Re nè suoi ministri pretendere li fosse rimessa la spesa che faceva in detto Presidio, il tempo che starà in Correggio.
6) Che il Presidio fosse in difesa del Conte Camillo et de suoi discendenti, et lo dovesse difendere dalle insidie di chi che fosse, et lo mantenesse in stato lui et suoi discendenti in infinito, et che il Re havesse la protetione espressamente di detta casa di Camillo et suoi discendenti.
7) Che ogni qual volta il conte Camillo e suoi discendenti non volessero servirsi più di detto Presidio, ad ogni sua minima inquisitione, il Re e suoi ministri fossero obligati levarlo senza alcuna replica et pretensione di spesa.
8) Che venendo detto Presidio accompagnato da due Compagnie di cavalli et da un'altra Compagnia d'Infanteria, dovessero partire, dopo un certo tempo, subito che fosse stato assicurato il detto presidio.
9) Che il capitano et ufficiale dovessero riconoscere il conte Camillo per vero e legitimo signore di Correggio e apresso di lui stessero le chiavi e da lui dovessero levare il nome, nè si potesse mutare senza lui, nè aprire e serrare le porte senza la sua ordinatione.
10) Che non si dovessero ingerire in cosa alcuna nel governo politico nè criminale.
11) Che potesse introdurre le sue milizie nello stato di Correggio ad ogni sua requisizione.
12) Che non habbino ad ingerirsi nelle milizie e soldatesche del Stato, et possa esso Sig. Camillo et discendenti disponere a suo beneplacito, far mostre etc.
Biblioteca Palatina, Parma, manoscritti n. 1124; Notizie Istoriche di Correggio.
8 A.S.MO. Carteggio di Principi, cit., Correggio, 1147
9 A.S.MO. Carteggi di Principi, cit. Correggio, 1147
10 A.S.MO. - A.S.E., Casa e Stato, Controversia, b. 73. "Fu abbrugiato l'edificio del detto casino ovvero Palazzo et fu tagliata et guasta una gran quantità dei neranzi (aranci)".
11 A.S.MO., Rettori dello Stato, Correggio, b. 1.
12 A.S.MO. Carteggi Ambasciatori, Mantova, b. 5, 1583, 22 giugno, 3 novembre; 1584, 9 settembre.
13 A.S.MO. ib. 1584, 7 luglio
14 A.S.MO. Carteggi Ambasciatori, Parma, b. 2, 1585, 3 marzo
15 A.S.MO. ib. 1585, 12 luglio
16 A.S.MO. Carteggi di Principi, cit. Correggio 1147
17 A.S.MO. Carteggi Ambasciatori, Mantova, b. 6, 1586, 20 maggio
18 A.S.MO. ib. b. 8, 1584, 2 novembre. Vedi A.S.MN., Archivio Gonzaga, bb. 354-373. Fondo di grande importanza per Correggio perchè contiene copie di molti testamenti e di altri atti non altrimenti reperibili. Altre trattative avvennero col Principe di Stigliano, che offrì di acquistare tutti i beni di Alessandro per 100 mila scudi o contro permuta di altri beni posti nel Regno; con Genova, che offri 100 mila scudi per i beni e 110 mila per i1 diritto di successione al feudo.