Il museo Civico di Correggio, storia e ordinamento - A.Ghidini

La sede

Bruno Zevi, nei suoi studi su Biagio Rossetti, aveva riconosciuto nel Palazzo dei Principi in Correggio una diretta influenza rossettiana e pur rilevando il mancato reperimento di fonti documentarie aveva suggerito l'ipotesi che il disegno generale, di mano del maestro, fosse stato eseguito da un allievo. I palazzi dei da Correggio erano disposti in asse frontale sul lato di oriente dell'antica "piazza Castello" e su questa linea era stato edificato per ultimo il palazzo che più tardi sarebbe stato denominato "dei Principi". Ulteriori studi sulla sua posizione urbanistica verso il borgo abitato in funzione di un razionale disegno di trasformazione della città medioevale e sui suoi caratteri architettonici e plastici, pubblicati rispettivamente da Giuseppe Adani e da Franca Manenti Valli nel volume monografico sul palazzo, hanno portato altre significative probanze al riconoscimento dell'autografia rossettiana. Committente, sul finire del XV secolo, fu Francesca di Brandeburgo, vedova del conte Borso da Correggio e nipote della marchesa di Mantova Barbara di Hohenzollern, anche se si è portati a ritenere che nella vicenda del suo progetto e della sua edificazione non sia stato estraneo Nicolò da Correggio, letterato, diplomatico, condottiero, consigliere dei duchi Estensi, per i suoi rapporti di amicizia col Rossetti alla corte ferrarese. E questa la stagione del particolarismo statuale emiliano romagnolo in cui le signorie minori, come i da Correggio, cercano di salvaguardare un autonomo ambito di governo, non subordinato ma piuttosto raccordato ai ducati maggiori di Ferrara e di Milano, per rivendicare quei margini d'azione e d'indipendenza che ne rafforzino la fisionomia del loro assetto come stato signorile. Il palazzo si trasforma in sede della corte correggese dopo la morte di Francesca assumendo poi la denominazione che lo connota nel 1616, quando la contea di Correggio fu elevata a principato e Siro ottenne il titolo di principe per sé e i suoi successori. Ma la posizione geografico-strategica del piccolo stato innescò un quadro di mire, di insidie e di pressioni da parte di Spagna, impero e stati circonvicini. Le vicende della fine del principato sono tristemente note. Approfittando di irregolarità nella gestione della zecca il principe Siro subì un processo che alla fine si concluse con la proclamazione della sua decadenza (1631). Fu in quel periodo che le soldatesche alemanne misero a sacco il suo palazzo appiccandogli fuoco "in più parti". Un cronista del XVII secolo, Maiolino Bisaccioni, ci offre un racconto attendibile della spoliazione e della dispersione dei patrimoni conservati nel palazzo e dei danni che subi. Nel 1634 la Spagna subentrò nel possesso del principato correggese trasferendolo poi verso la fine dell'anno seguente al duca di Modena Francesco I, che insediò nel palazzo i suoi Governatori, quali organi periferici dell'amministrazione estense.

Ancora nel 1786 risultava che nell'edificio, compreso fra i beni della Camera Ducale di Modena, un appartamento era riservato ai Governatori, uno al Provveditore ducale, un altro alla Cancelleria ed un ultimo alla Dogana. Nel corso del XIX secolo esso perdette ogni prerogativa pubblica e venne lasciato all'abbandono e al progressivo degrado. Una documentazione fotografica risalente agli anni fra il 1873 e il 1887 denuncia in maniera evidente la rovina e l'incuria in cui si trovava. Dal 1887 al 1919 fu utilizzato per usi differenti e impropri, alcune sale vennero tramezzate e destinate a famiglie bisognose. Nel 1919 la Soprintendenza ai Monumenti iniziò i più urgenti lavori di consolidamento e restauro e finalmente nel 1925 l'Amministrazione comunale affidò all'ingegnere bolognese Guido Zucchini il progetto di recupero dell'intero palazzo. Il suo assetto, che si sviluppa su quattro lati, evidenzia le modificazioni subite soprattutto nel XVIII secolo. Nella facciata in cotto a vista si assommano diversi valori architettonici, plastici, decorativi, chiara espressione dell'influenza stilistica ferrarese.

L'elemento più prezioso è il portale che, lievemente incastonato nella superficie secondo un preciso proporzionamento architettonico, coniuga il raffinato repertorio della sua decorazione in chiave pittorica. Il maestro del portale è da identificare nell'area culturale dei Lombardo. Nell'atrio di ingresso si affacciano due porte che immettono simmetricamente nelle due ali del fabbricato attraverso una successione di sale contigue con volte ribassate e peducci di pietra alle pareti di risalto decorativo. La sala dei Putti è decorata da un fregio con corteo di Amorini che riecheggia motivi correggeschi della camera di San Paolo. Nella sala adiacente emergono i lacerti di un fregio del XVI secolo con scritte recanti i fasti della casata. Sul cortile porticato si svolgono i quattro lati dell'edificio, rispettivamente con cinque campate i due lati minori (est-ovest) e con sette i due maggiori (nordsud). La differenza architettonica della superficie muraria, delle finestre e delle colonne che si riscontra, in parte, nei lati maggiori, e in tutto il lato orientale, aveva tradizionalmente portato a ritenere che il palazzo avesse una configurazione planimetrica a C con apertura a levante su un giardino. Oltre a questa, sono state avanzate le ipotesi di una sua edificazione originaria pressoché completa (per gli aspetti di continuità delle volte a crociera che coprono i quattro lati del portico poggiando all'interno sugli stessi capitelli) e quella di un assetto tipologico ad U aperto (ultimamente riproposta da F. Manenti Valli sulla base di ulteriori approfondimenti metrico-proporzionali). Almeno per quanto riguarda i due lati maggiori, i recenti lavori di consolidamento hanno rivelato, sotto le alterazioni settecentesche, l'integrale estensione originaria.

Non bisogna tuttavia dimenticare che nella Pianta della città di Correggio, dipinta in assonometria verso la fine del terzo decennio del Seicento e dedicata al principe Siro, il palazzo risulta completo anche nel lato orientale. Si deve allora ipotizzare il completamento della sua edificazione in un periodo successivo compreso fra la prima metà del XVI secolo e il 1630? La questione rimane aperta ad ulteriori ricerche. Sul lato ovest e sui prospetti nord-sud, fino alla quarta campata, le ghiere in cotto degli archi poggiano su capitelli in pietra di intaglio finissimo e di inventiva decorativa. Nell'invaso del cortile sono poste due vere da pozzo di cui quella originaria del palazzo, scolpita in forme ancora gotiche, è situata nell'angolo est. L'altra, collocata simmetricamente nell'angolo opposto, proviene dalla piazza delle Erbe e reca lo stemma e la sigla del conte Giberto X da Correggio.

Nell'arredo del porticato figura un superbo leone funerario in pietra d'Istria, pezzo frammentario di un monumentale complesso tombale romano rinvenuto nel territorio correggese e risalente al III-IV secolo dopo Cristo. Al piano nobile si accede salendo lo scalone principale del lato sud. La sala del camino, con soffitto a lacunari dipinti e dorati e il sottostante fregio allegorico del Nettuno affrescato nel 1508, richiama il clima culturale e figurativo della corte correggese assai bene inserita nel circuito delle corti padane. Purtroppo il grande salone centrale, in epoca estense, ha dovuto subire il definitivo smantellamento dei lacunari, degli emblemi e delle decorazioni che esaltavano le imprese e i fasti della casata correggesca di cui occorreva cancellare la memoria storica. Il salone risulta attualmente tagliato in senso longitudinale da una parete, inserita in seguito alle trasformazioni operate nei secoli successivi. I saloni del secondo piano sono il risultato del ribassamento dei solai e delle modificazioni attuate nel XVIII secolo. Dal 1967 il Comune ha avviato per stralci un progetto globale di restauro e consolidamento dell'edificio che l'ha trasformato in un "cantiere" permanente, finalizzato al suo totale recupero e alla riorganizzazione ex novo dei consistenti patrimoni culturali collegati alla sua storia (biblioteca, archivi storici, depositi artistici con l'integrazione in anni recenti del servizio di documentazione audiovisiva). Era così venuto a scontornarsi un modello locale di centro culturale o centro integrato di servizi sorretto da una visione interdisciplinare della comunicazione (il libro accanto al documento, alla foto, al disco, alla videocassetta, ai beni artistici) prevedendo naturalmente che le peculiarità di ciascun medium dovessero tradursi non in un'ammucchiata indistinta ma in un'organizzazione tecnico-gestionale autonoma e differenziata sul piano della fruizione pubblica. La realizzazione del museo, in definitiva, è stata la parte finale di un percorso indirizzato al recupero globale dell'edificio e dei depositi artistici cittadini.

Antecedenti e formazione delle raccolte

I pezzi superstiti del ricco paramento di arazzi fiamminghi di manifattura tardocinquecentesca che ornava il Palazzo dei Principi, ultima sede della corte correggesca, fortunosamente salvatisi da requisizioni, saccheggi e dispersioni dopo la proclamazione giudiziale di decadenza del principe Siro, rappresentano il primitivo nucleo di formazione e aggregazione della raccolta civica di opere d'arte. Essi riemergono sulla scena pubblica dopo un letargo ultrasecolare in occasione dei lavori di sistemazione della nuova sede della residenza municipale lasciata libera dagli Scolopi che, nel 1783, si erano trasferiti nell'ex convento di San Domenico per aprirvi il Collegio Ducale. Il resoconto della spesa per la "Fabbrica" della residenza, praticamente un adattamento di preesistenti edifici accorpati, al 23 agosto 1786 riporta fra i lavori di "colorito ed ornato" la nota delle indorature per cornici degli arazzi messi a velatura" e fra le "mobiglie diverse" specifica: "arazzi loro cornici ed opere in adattarle nelle camere e portiere di damasco e scranini". Non si era andati troppo per il sottile e questo adattamento alle sale aveva comportato non solo il taglio in due pezzi di alcuni arazzi ma anche l'amputazione e la perdita quasi integrale delle bordure oltre ai ritagli per riparare lembi mancanti. Ne erano stati ricavati 18 pezzi: 6 della serie cacce, 5 della serie giardini, 1 festa popolare, 4 bordure e 2 frammenti. Fino a quell'epoca la comunità cittadina non aveva mai potuto disporre di una sede propria e si era radunata presso una sala della confraternita di Santa Maria della Misericordia. L'avvenimento rivestiva grande importanza per Correggio e aveva comportato la ricerca di un appropriato decoro che il Consiglio di Economia del ducato estense si era affrettato peraltro a stigmatizzare come "spese voluttuose e superflue sconvenienti alla gravità di un Pubblico". C'è piuttosto da aggiungere che le esigenze del decoro erano state coniugate a un certo recupero delle memorie legate alla storia cittadina. E' questo il filo conduttore che affiora dapprima in maniera attenuata per dipanarsi e definirsi, col prosieguo dei lavori, nei decenni successivi fin verso la fine del XIX secolo. In quella circostanza erano stati anche formati e posati nell'atrio gli antichi campioni dei materiali per le fabbriche e le unità di misura in vigore all'epoca del principato, un tempo conservati nel palazzo pretorio. Un secondo nucleo di opere viene ad aggregarsi nel 1813 su istanza della Commissione d'istruzione comunale che aveva invitato il podestà a promuovere un appello per la raccolta dei ritratti dei correggesi illustri nelle armi, scienze, lettere ed arti, quale "omaggio di venerazione alla memoria di quei grandi", caldeggiandone la sistemazione in uno stabilimento di proprietà pubblica accessibile a chiunque, "quasi un santuario consacrato alla virtù". E quindi la residenza civica viene ritenuta come la sede deputata ad ospitare il "santuario" che ne avrebbe accresciuto l'immagine. E' questo un fatto che riflette una mentalità abbastanza diffusa nell'Italia dell'Ottocento ancorata al recupero di una identità e di un lustro municipalistici. Già nel 1775, prima ancora della pubblicazione della Biblioteca Modenese del Tiraboschi, Correggio era la sola città del ducato estense che possedesse un catalogo di notizie biografiche di illustri personaggi locali, sia pure circoscritto agli scrittori. Era stato compilato da Girolamo Colleoni e raccoglieva una sessantina di biografie. Successivamente il medico e storiografo Ernesto Setti aveva intrapreso la sua vasta silloge manoscritta Biografie di illustri correggesi, conservata presso la Biblioteca Comunale di Correggio, suddivisa in quattro grossi tomi e comprendente duecento biografie, in fase di ultimazione appunto nel secondo decennio dell'Ottocento. In questa temperie il podestà aveva raccolto la proposta della Commissione d'istruzione diramando l'appello in nome del "decoro della patria" a diciotto famiglie e sollecitando la consegna dei quadri nel giro di un mese. Tra le altre, erano state interpellate le famiglie Bolognesi, Contarelli, Cattania, Grillenzoni, Guzzoni, Merli, Rossi-Foglia, Zuccardi, oltre all'avvocato Maggiera. Se non tutte, le famiglie correggesi interpellate avevano dato prova di un "animus donandi", riscontrabile nel discreto numero di ritratti dei secoli XVI e XVII presenti nelle raccolte. Si tratta di un nucleo di opere, salvo qualche eccezione, di prevalente interesse storico-iconografico, raccolto come testimonianza visibile delle glorie locali, con lievi incrementi negli anni successivi. La raccolta era anche finalizzata a salvaguardare e a prevenire la dispersione delle memorie storiche. Un altro filone di acquisizioni era stato indirizzato verso la produzione di quegli incisori correggesi le cui abilità disegnative e tecniche avevano travalicato l'ambito locale: Giuseppe Asioli, Samuele Jesi e, più tardi, Delfino Delfini e Francesco Redenti. Certe opere erano pervenute in dono (nel 1819 Giuseppe Asioli aveva donato quattro incisioni, nel 1833 era stata la Congregazione di Carità a cedere alcuni disegni e stampe), certe altre vennero acquistate nel corso degli anni, come ad esempio Apollo e Dafne e il Cenacolo (da Raffaello) di Samuele Jesi. Nell'ottobre del 1859 Ferdinando Asioli, primo sindaco di Correggio, professore alle Belle Arti di Modena, musicista, manifestò il desiderio di una sistemazione e riordino delle raccolte della Galleria Comunale, compresa la produzione degli incisori correggesi che era sparsa nelle stanze del Municipio. Ma un ulteriore centro di interesse era andato polarizzandosi intorno a progetti d'acquisto di copie o di incisioni eseguite sulle opere del Correggio nel desiderio di colmare in qualche modo un vuoto irriducibile, segnato dalle dispersioni del patrimonio del principe Siro e dalle razzie dei duchi di Modena Francesco I ed Ercole III. In città non era restata nient'altro che la copia del Riposo nella fuga in Egitto, dipinta da Giovanni Boulanger su commissione del duca Francesco 1 per trafugare l'originale imbrogliando i correggesi. C'era stato un precedente nel 1782. La Camera Ducale aveva concesso il suo benestare all'acquisto di alcune stampe eseguite dall'incisore Ravenet, professore presso l'Accademia di Belle Arti in Parma. Ma come documentare l'opera del Correggio? Il problema non era di facile soluzione e aveva orientato la comunità, nel 1830, all'acquisto di un'ampia collezione di ottantatré copie di dipinti dell'Allegri eseguiti nel primo Ottocento, esistenti in Parma presso Ercole Scarabelli come documenta una nota conservata nell'Archivio di Memorie Patrie. La vendita era stata fatta dal modenese Domenico Garuti per 900 franchi. Antonio Guzzini ne aveva approfittato per tracciare una piccola storia manoscritta dei quadri originali con dedica al podestà Rossi Foglia "al cui patrio zelo si deve l'acquisto delle suddette copie che sono di sommo ornamento alla Patria dell'immortale Pittore". L'acquisto, in seguito considerato "improvvido" per la mediocre qualità accademica dei dipinti, non era del tutto privo di interesse almeno sotto l'aspetto della documentazione del modulo interpretativo, allora corrente in ambito provinciale, nell'esecuzione dal Correggio. Verso la fine degli anni cinquanta, la Galleria Comunale, con Ferdinando Asioli, acquisì il corpus incisorio di Paolo Toschi e della sua scuola sull'opera Allegriana, con prosecuzione degli incrementi presso l'editore dopo il 1860. Si formò una raccolta di oltre quaranta tavole. L'ordinata distribuzione delle opere nel palazzo comunale richiedeva spazi maggiori e si scontrava con l'esigenza di sistemazione degli uffici amministrativi e della Giusdicenza. Sullo scorcio del 1849 l'architetto Francesco Forti aveva presentato un progetto di recupero di locali al piano d'onore e al piano superiore, ma la situazione dieci anni dopo, come si è accennato, era an cora bisognevole di interventi di rio rdino e di adeguament o di altri spazi per sistemarvi le incisioni del Toschi. L'occasione di un nuovo piano di ristrutturazione della Galleria e di sistemazione del patrimonio storico-artistico si presentò nel 1880 in concomitanza con l'inaugurazione del monumento al Correggio eseguito dallo scultore Vincenzo Vela.

La Galleria Comunale e la situazione delle raccolte dal 1880 al 1919

Questo omaggio al grande pittore realizzava finalmente un sogno accarezzato dai correggesi per quasi tre secoli inducendoli per la circostanza al riassetto e al decoro dell'edificio comunale con riguardo alla situazione delle raccolte. Il Progetto complessivo di ristrutturazione, approvato con atti diversi fra il 1879-80, prevedeva, oltre al restauro delle tre sale del lato occidentale al piano d'onore, in cui avevano trovato collocazione gli arazzi e le incisioni del Toschi, il recupero di un quarto ambiente da destinare alle copie dei quadri dell'Allegri che erano state trasferite nei locali della Scuola di disegno (per lasciare il posto alle incisioni). Non risulta nessuna indicazione sulla collocazione dei ritratti degli uomini illustri e di altri dipinti così come della piccola raccolta di incisioni degli artisti correggesi. Piuttosto era stato disposto un trasferimento di iscrizioni rammemoranti i correggesi illustri (per rimpiazzare i ritratti?) dall'anticamera del sindaco al vestibolo soprastante lo scalone. Conferiva notevole pregio all'intero progetto l'intervento del pittore Andrea Capretti per le decorazioni della sala del Consiglio e della saletta attigua (destinata agli arazzi) in stile Cinquecento a chiaroscuro, per l'affresco della volta dell'altra sala degli arazzi con ornati alla raffaellesca nonché per la leggera ornamentazione sempre a chiaroscuro dell'atrio, scalone e vestibolo.

Le finalità dichiarate erano quelle del decoro dell'edificio municipale, della conservazione del patrimonio storico-artistico e, in genere, delle memorie patrie. In quella circostanza l'atrio si era arricchito di materiale lapideo e di stemmi della signoria correggesca. Era stata inoltre opportunamente acquistata una Pianta della città di Correggio, dipinta ad olio su tela in assonometria verso il 1630, di notevole interesse storico. Al termine dei lavori le raccolte risultarono allestite in conformità al progetto, come è del resto documentato nell'opuscoletto Guida del Palazzo Comunale pubblicato nel 1880, in quattro sale: la galleria delle incisioni con quarantadue tavole del Toschi e della sua scuola, la galleria dei quadri con cinquantadue copie dai dipinti del Correggio, una prima sala degli arazzi con la serie giardini e una seconda sala con la serie cacce e due candelliere. L'arredo di ogni ambiente era stato predisposto con gusto particolare: divani, poltrone, sedie, rideau e portiere in stoffa gialla nella galleria delle incisioni, in stoffa rossa nella prima sala degli arazzi e nocciola nella seconda. Per l'illuminazione degli ambienti erano state collocate lumiere dorate e bronzate a tre luci fornite dalla ditta Pandiani di Milano. Si trattò di un intervento di pura conservazione tenuto conto della tassativa disposizione della Giunta di aprire al pubblico le sale solo nelle circostanze solenni. In definitiva venne esaltata quella configurazione di "santuario" che nel 1813 si pensava invece di rendere accessibile a chiunque e in particolare alla gioventù. D'altra parte una convivenza stretta con l'Amministrazione e gli uffici risultava alla fine penalizzante e insicura per la Galleria che tra l'altro non disponeva di alcun conservatore o incaricato. Passata la festa dell'inaugurazione del monumento, tutto ritornò alla solita quotidianità. Le conseguenze possono essere valutate vent'anni dopo sulla scorta di un inventario dei mobili ed arredi di ragione comunale", compilato nel 1899, che elenca sommariamente i diversi oggetti presenti in ogni sala o ufficio del Municipio.

La situazione piuttosto confusa che emerge rivela non poche sorprese e permette di integrare le informazioni sull'entità e la conservazione del patrimonio storico-artistico che risultava così distribuito: Nell'anticamera e nel gabinetto del sindaco: il dipinto Pianta della città di Correggio del XVII secolo proveniente da casa Berni, due cornici rettangolari contenenti arazzi, il Ritratto di Luigi Asioli ad olio su tela (copia di Luigi Reggianini dell'autoritratto del pittore), il dipinto di Giovanni Giaroli Cena in Emmaus, un quadro ad olio su tela con cornice di legno intagliato con "effige del Correggio" (identificabile nel Ritratto di Antonio Allegri detto il Correggio di Benedetto dal Buono). Nella sala delle Incisioni: 50 incisioni con cornice dorata e vetro rappresentanti gli affreschi del Correggio (certamente l'opera del Toschi e della sua scuola), l'autoritratto di Margherita Albana Mignaty, un quadretto ad olio su tavola senza cornice ed altro quadretto con cornice dorata, quattro acquarelli, un disegno a penna e altri due studi eseguiti sul portale del Palazzo dei Principi e sulle decorazioni già esistenti nella Rocchetta. Infine un numero imprecisato di riproduzioni di affreschi del Correggio su cartoni. Nella la sala degli Arazzi: 8 arazzi di diverse forme e dimensioni con cornici di legno dorato. Nella seconda sala degli Arazzi: 8 arazzi di diverse forme e dimensioni con cornici di legno dorato, un busto in marmo di Francesco IV, un busto in bronzo di Dante Alighieri e il bozzetto del monumento al Correggio di Vincenzo Vela, 3 piccole statue in bronzo. Nella sala del Consiglio: busto in gesso dell'Allegri con piedistallo. Nell'ufficio di Segreteria (P e T stanza): olio su tela rappresentante Veronica Gambara (ma Ritratto di gentildonna degli inizi del XVII secolo di ignoto fiammingo), 3 studi di nudo di Adeodato Malatesta, un disegno a penna ("in riva al mare"), un piccolo quadro con cornice e vetro. Nell'ufficio di Stato Civile: 2 quadretti rappresentanti rispettivamente la Visitazione (certamente il bozzetto di Girolamo Donnini per il quadro omonimo) e il Correggio a Parma, 4 quadri rappresentanti San Girolamo, il monumento al Correggio, il monumento a Dante Alighieri, Vittorio Emanuele II ed uno schizzo a penna. Nell'ufficio Protocollo: un piccolo quadro ricamato in seta. 8 quadretti con cornici e vetri. Cassa comunale: 4 quadri ad olio su tela con cornici di legno dorato (copie dal Correggio). Ragioneria comunale: 7 quadri di varie dimensioni (copie dal Correggio). Ufficio degli Scrivani: 7 quadri ad olio su tela con cornice dorata (copie dal Correggio) e un ritratto del Correggio del XVIII secolo. Ufficio tecnico: 8 quadri ad olio su tela con cornice dorata e una pianta dell'antico Principato di Correggio. Uffici dei Consorzi e Cavi: 5 quadri ad olio con cornice dorata (copie dal Correggio). Ufficio del Giudice Conciliatore: incisione raffigurante Papa Leone X di Samuele Jesi, Pianta di Correggio antica, 11 incisioni con cornice e vetro. Sala delle Udienze: 2 quadri ad olio. Anticamera dell'Archivio notarile: una Madonna con cornice di noce. Archivio comunale vecchio: 27 fucili antichi e 2 pistole, 28 sciabole e squadroni antichi, 20 alabarde antiche con banderuole e, inoltre, carabine, revolver, pistola. Camera ad uso sgombro: 60 quadri ad olio con cornice dorata (copie dal Correggio), 51 quadri ad olio di diverse forme, la maggior parte con cornici di legno dorato, 28 piccoli quadri con cornici e vetro di diverse dimensioni, 3 specchiere ed una caminiera a specchio con cornici dorate di stile antico, 4 grandi tempere su tela raffiguranti le Stagioni dipinte da un ignoto "pesarese" e custodite in rotolo. Nella Biblioteca Classica (con sede nell'ex convento di San Francesco): una sfera armillare e una sfera planetaria. Pur nella sua genericità e lacunosità, questo inventario rappresenta comunque una traccia interessante per la documentazione e l'identificazione di alcuni nuclei ed è anche la spia delle modificazioni alle quali era andata soggetta la conservazione del patrimonio civico a partire dal 1879-80. Quanto meno, al confronto con i decenni precedenti, riflette in maniera palese l'attenuarsi dei primitivi entusiasmi indirizzati al recupero delle memorie storico-artistiche ed ai tentativi di adeguamento degli spazi per la loro sistemazione. Una sala era stata smantellata, molte opere erano sparse nei vari uffici comunali e un consistente numero di dipinti, non identificati (un nucleo doveva essere la raccolta dei ritratti dei correggesi illustri), era stato relegato nelle soffitte. La conseguenza di questo stato di fatto fu l'innesco di un dibattito tra le forze politiche cittadine che, iniziato alla fine del secolo, si trascinò lungo i primi due decenni del Novecento. Perno principale del dibattito, avviato e alimentato dai radicali sul loro giornale 1l Risveglio Democratico" e rintuzzato con strategia dilatoria dell'amministrazione liberal-moderata facente capo all'on. Vittorio Cottafavi, fu la proposta di allestire una galleria nel Palazzo dei Principi per trasferirvi i depositi artistici conservati in Municipio tra disordine e abbandono. Veniva proposto in prima istanza il problema dell'individuazione di una sede adeguata mentre per altro verso cominciava ad affiorare la connessione con gli aspetti di tutela del patrimonio. Tuttavia la questione non poteva essere risolta con una decisione subitanea da parte dell'Amministrazione, almeno per quanto riguardava il Palazzo dei Principi, a quel tempo in condizioni di notevole degrado e ricettacolo, dal 1887 al 1919, delle sistemazioni e degli usi più impropri. Gradatamente la Giunta arrivò ad assorbire tali proposte e nel secondo decennio del Novecento fece propria l'idea di costituire una pinacoteca nel Palazzo dei Principi anche se l'opinione cittadina non era stata sufficientemente sensibilizzata e addirittura la maggioranza consiliare aveva espresso parere contrario. Si stava in ogni modo chiudendo un lungo capitolo nella vicenda delle raccolte pubbliche, iniziato nel penultimo decennio del XVIII secolo, ed erano maturati i tempi di una nuova percezione dei problemi. A partire dal 1919-20 la prosecuzione della vicenda segnò un deciso mutamento dello scenario che dal Palazzo Comunale si spostò nel Palazzo dei Principi con una trama episodica di rinnovati tentativi di ordinamento del patrimonio storico-artistico. Dal Palazzo Comunale al Palazzo dei Principi: un museo "virtuale"

Nel 1919 la Soprintendenza ai Monumenti, come si è detto a proposito della sede, aveva avviato nel Palazzo dei Principi (dichiarato monumento nazionale fin dal 1887) i primi urgenti lavori di consolidamento e restauro e il pittore Enrico Bertolini, insegnante di storia dell'arte nelle scuole pubbliche, era riuscito a raccogliere e ad ordinare, secondo quanto scrive nell'introduzione al suo opuscoletto-catalogo Le opere artistiche del Principato di Correggio, buona parte delle raccolte di proprietà comunale nella sala del soffitto a cassettoni e in quella attigua. Egli aveva di fatto iniziato volontariamente il lavoro di raccolta intorno al 1919, ma l'incarico di conservare ed esporre al pubblico le raccolte a scopo di studio gli venne formalizzato solo nel 1920 dal commissario prefettizio. Per una valutazione complessiva del suo tentativo non è marginale rilevare che esso si situa e attraversa un breve arco di repentini cambiamenti di uomini e di politiche nell'Amministrazione correggese. Partito sulla linea del dibattito fra radicali e liberal-moderati, Bertolini si era trovato ad operare con un commissario prefettizio per proseguire con l'amministrazione socialista, subentrata nelle elezioni del 1920. Nel 1921 c'era stato un altro commissario fino all'insediamento dell'amministrazione fascista nel dicembre del 1922, a sua volta dimissionaria nel 1924. Era subentrato ancora un commissario prefettizio fino al gennaio del 1926 prima della ricostituzione dell'amministrazione fascista, scioltasi nell'aprile del 1927 per il subingresso del podestà.

Questo bailamme mutatore non era certo favorevole al conseguimento degli appoggi necessari a realizzare un servizio, chiaro nelle linee e negli sviluppi probabilmente solo al suo promotore. Era logico dedurre che negli ultimi anelli della catena di avvicendamenti politici ci sarebbero state delle virate rispetto al progetto iniziale. In ogni caso il lavoro disinteressato e tenace di ricomposizione del patrimonio pezzo per pezzo, effettuato anche con interventi presso i privati, l'opera paziente di ripulitura, intelaiatura e incorniciatura portò al sospirato traguardo di una presenza autonoma nel palazzo, purtroppo solo virtuale, di un piccolo museo. "Sistemato a puntino come possono affermare persone autorevoli che lo visitarono", secondo l'affermazione del suo organizzatore, di esso oggi ci è rimasta una foto a testimoniare la sensibilità con cui era stato ordinato. Ancora nell'introduzione il Bertolini, ripercorrendone con pungente disillusione la sfortunata vicenda, ci tenne tra l'altro a rendere noto che "se le opere oggi vi sono, e non mi si tacci di poca modestia, vi sono perché io stesso le salvai dalla cupidigia di chi faceva di esse impunemente e apertamente mercato". La raccolta che aveva ordinato era formata dagli arazzi fiamminghi, dai ritratti di interesse storico e da altri dipinti, dalle copie delle opere del Correggio, dalle incisioni del Toschi e della sua scuola, da sculture ed oggetti. Sorretto unicamente dalla sua visione delle cose e dalla necessità di dare un "sicuro asilo" alle opere d'arte ancora disperse, sul finire del 1922 aveva manifestato il suo disappunto per non essere ancora riuscito ad ottenere i pezzi di maggiore importanza. Una parte degli arazzi era rimasta nelle sale del sindaco e soprattutto nessuna risposta era stata data alle richieste reiterate rivolte alla Congregazione di Carità per ottenere in deposito i due dipinti Il Redentore di Andrea Mantegna e la tavoletta Madonna col Bambino e i santi Rocco e Sebastiano, tradizionalmente attribuita al Francia poi al Chiodarolo (ma assegnata da Augusta Ghidiglia Quintavalle e da Longhi nel 1959 al ferrarese Domenico Panetti). A ragion veduta l'urgenza della salvaguardia e della fruizione pubblica dei due dipinti, compresi nell'eredità Contarelli, si era imposta all'attenzione della città dopo che Il Redentore, venduto per una somma irrisoria e finito a Modena nelle raccolte Campori, era stato riconosciuto dal Frizzoni nel 1916 come opera del Mantegna. L'Ente lo aveva prontamente rivendicato riuscendo a rientrarne in possesso al termine di un processo nel 1917. Se prima le tergiversazioni della Congregazione in ordine al deposito erano state motivate da ragioni di sicurezza degli ambienti, successivamente le posizioni dilatorie, se non renitenti, possono essere verosimilmente spiegate a causa dei rapporti, a quel tempo piuttosto contrastati, tra il fascismo e i cattolici di Correggio, dove nel 1921 era subentrato come parroco don Pietro Tesauri, grande animatore delle forze popolari e inviso ai fascisti. Bertolini nel 1923 aveva anche indotto il sindaco a chiedere in deposito il cofanetto quattrocentesco degli Embriachi, compreso nel tesoro della basilica di San Quirino, ottenendone un consenso condizionato a certe garanzie. Tuttavia, in quell'anno, Francesco Cafarri, segretario della Congregazione e storico delle locali istituzioni di assistenza e beneficenza, aveva sommariamente stroncato in poche righe il tentativo di Bertolini nel finale del suo Compendio di storia civile della città dall'anno 950 al 1923 con la motivazione dello scarso coefficiente artistico del patrimonio conservato che non giustificava l'apertura di un museo, consigliando di riportare tutto in Municipio. Era dunque affiorata, con le difficoltà di natura politico-amministrativa, una serie di umori di ordine estetico e tecnico in un caglio di posizioni rinunciatarie e riduttive. L'antitesi con una più moderna nozione del bene culturale sostenuta dal Bertolini, ancorata all'ambito del contesto storico-locale e non solo alla conservazione e alla tutela delle opere di chiara eccellenza artistica, era davvero netta. Nel luglio del 1923 la Congregazione aveva trasmesso la propria volontà "non aliena a trasferire i quadri" a condizione che il Comune li assicurasse adeguatamente contro il furto e l'incendio. L'Amministrazione comunale però soprassedette e Bertolini, pur di non rinunciare al progetto, si offri come "custode" delle sale. Nel 1925 si approfittò dei lavori di restauro del palazzo, commissionati all'ingegner Zucchini, per smobilitare il piccolo museo. Gli arazzi e i quadri migliori, come scrive Bertolini, furono riportati in Municipio e le opere restanti al secondo piano del Palazzo dei Principi. Nelle sale del piano nobile era stata nel frattempo trasferita la biblioteca comunale, che venne riordinata a partire dal 1926. Nel 1929, quando il podestà, a cose fatte, soppresse un museo che non era mai stato aperto, esso non esisteva più, nemmeno virtualmente, da quattro anni. La sua parabola progettuale si era conclusa all'alba del 1925. Si preferì, pragmaticamente, dare spazio alla biblioteca e sistemare nella sala di lettura (la sala del soffitto a cassettoni) la parte più consistente del patrimonio artistico sotto un'unica direzione. La soluzione, pur rapportata alle condizioni del momento, comportò per molti anni conseguenze non trascurabili. Il decretato assorbimento, da una parte, bloccò la possibilità di autonoma organizzazione e di sviluppo del museo, dall'altra, determinò un mescolamento che avrebbe conferito all'istituzione bibliografica la caratterizzazione impropria di "biblioteca- museo", come in passato ho avuto occasione di rilevare. Allo scadere del 1929 Riccardo Finzi, direttore della biblioteca, prese in consegna "la suppellettile artistica" (così definita nell'atto), eccezion fatta per la raccolta di arazzi che rimase in Municipio. Nonostante la differenza di impostazione e di vedute, seguitò con altrettanto impegno quell'opera di raccolta del patrimonio storico-artistico (accanto al patrimonio librario) che aveva contrassegnato il lavoro di Bertolini. Nel 1934 si fece promotore di una convenzione, stipulata nel 1936 tra il Comune e la Congregazione di Carità, ottenendo in deposito "a titolo di prestito gratuito" Il Redentore del Mantegna e la tavola del Panetti.

Durante la seconda guerra mondiale le raccolte non subirono danni o sottrazioni anche perché una parte di esse, gli arazzi in particolare, venne trasferita e murata in luogo sicuro. Il Mantegna e il Panetti emigrarono temporaneamente a Modena dove la Soprintendenza alle Gallerie provvide alla loro salvaguardia, in attuazione di un programma di protezione antiaerea, ritornando a guerra finita alle Opere Pie. Un Inventario dei beni mobili, compilato dal Finzi nel 1953, documenta che in biblioteca erano stati collocati centottantotto pezzi delle raccolte storico-artistiche, di cui il nucleo maggiore si trovava concentrato nella sala di lettura (ma quattro arazzi erano rimasti in Municipio). Le altre opere erano distribuite nella "sala lunga", nella "sala corta", nella direzione, nel vestibolo, nella sala conferenze, nel deposito riviste. Per l'avvio di una riorganizzazione e rifunzionalizzazione ex novo dei consistenti patrimoni culturali legati al palazzo (biblioteca, archivi storici, depositi artistici), cristallizzati nelle sistemazioni degli anni venti, si sarebbe dovuto aspettare lo scadere del sessanta.

La riorganizzazione degli istituti culturali e l'utilizzo di un grande edificio storico per i servizi contemporanei dei beni.

Il cantiere del Museo Già nel 1962 l'Amministrazione comunale aveva approvato a tale scopo un "progetto di consolidamento e restauro del Palazzo dei Principi" che decollò a partire dal 1966-67 con i primi più urgenti lavori di consolidamento. Fu in quella situazione che una nuova concezione del bene culturale portò a riflessioni ulteriori e più approfondite. Si stava acquisendo la consapevolezza che rivitalizzare un monumento significava superare una semplice dimensione formale ed estetica affrontando contemporaneamente (a differenza di quanto era avvenuto ai tempi del pur importante restauro Zucchini) il problema della interrelazione fra conservazione, godimento ed uso, in una visione della conservazione inscindibile da quella di una dinamica funzionale. Chi scrive propose un rovesciamento della precedente impostazione progettuale del 1962 con riguardo alle sistemazioni sia della biblioteca sia del museo che fu prontamente recepito dall'Assessorato alla Cultura. Le modifiche si sostanziavano in un trasferimento della biblioteca dal piano nobile (ala ovest) all'ala est del palazzo, dove non vi erano ostacoli di natura conservativa che impedissero di dare una risposta alle moderne esigenze di un servizio di pubblica lettura. Parallelamente si sarebbe aperta la prospettiva di un'autonoma riorganizzazione del servizio museale nelle sale cinquecentesche del piano nobile e cioè in uno spazio più consono ed armonico alla ricomposizione del patrimonio storico-artistico nel segno di un legame organico fra preesistenza architettonica e museo, di una ricontestualizzazione di diversi pezzi (gli arazzi). Il riordino degli archivi storici verso la fine degli anni sessanta e, successivamente, l'apertura della biblioteca nel 1971 e della fonoteca nel 1973, come primo tassello del servizio di documentazione audiovisiva, l'avvio degli interventi di conservazione e restauro dei beni artistici e di progetti-stralcio per la realizzazione del museo, l'apertura della videoteca nel 1989 l'automazione del prestito librario nel 1994, hanno definito i percorsi più significativi intrapresi.

Se niente esiste che vada definitivamente perduto e se è vera, come in effetti è, la riflessione aforistica che "nell'avvenire c'è il passato", un'ulteriore conferma nel caso specifico l'ha offerta il lungo lavoro di riorganizzazione dei patrimoni legati al palazzo e alla sua storia (biblioteca, archivi storici, museo, centro di documentazione audiovisiva) coll'aprire nuove prospettive di accesso e di incentivazione alla loro fruizione. La galleria delle esposizioni temporanee e le sale per le attività culturali hanno svolto una funzione determinante a corredo del centro di servizi. Gli Istituti culturali (come tali denominati per la prima volta nel 1969 in occasione della mostra Il mondo dei naifs) erano ormai avviati verso il loro graduale completamento. Un primo progetto che segnò la fase di avvio nella realizzazione del museo venne approvato nel 1977 subendo alcuni aggiustamenti nel lungo iter dei lavori che iniziarono per stralci nel 1980. Essi comportarono il recupero sia di locali e percorsi da adibire al servizio museale sia di altri spazi contigui, come il corpo centrale anteriore del palazzo al secondo piano, che permise la sistemazione, nel salone con capriate a vista, dei fondi delle antiche biblioteche domenicana e scolopiana e della libreria di don Carlo Cattania. La documentazione del progetto e il resoconto dei lavori effettuati furono portati a conoscenza del pubblico tra la fine del 1983 e gli inizi del 1984 con la realizzazione della mostra Il cantiere del Museo, corredata dalla pubblicazione di un catalogo (con presentazione di M. Rossi e le relazioni di A. Ferretti e A. Ghidini).

Il capitolo restauri aveva registrato un primo congruo intervento del Comune, con l'appoggio della Soprintendenza alle Gallerie di Modena e Reggio, nel 1959, in occasione del quarto centenario della elevazione di Correggio a città. Era stato honifieato un nucleo di opere importanti (comprendente i dipinti del Mantegna, Panetti, Mattia Preti, Madonnina, Domenico Setti, quest'ultimo di pertinenza della basilica di San Quirino) che Augusta Ghidiglia Quintavalle illustrò nell'opuscolo pubblicato in quella circostanza. A partire dal 1971 fu avviato un altro piano di restauri che interessò agli inizi il solo paramento degli arazzi, il cui paziente recupero, protrattosi per diversi anni con l'intervento della Regione Emilia-Romagna, è giunto oggi a conclusione. Esso ha portato anche alla ricongiunzione e alla reintegrazione degli arazzi che erano stati tagliati in due pezzi riconducendo il loro numero a nove oltre ai frammenti. La progressiva opera di bonifica venne parallelamente estesa al soffitto a cassettoni e al sottostante fregio del Nettuno e, dal 1975, a numerosi dipinti comprese alcune opere in grave stato di degrado provenienti da chiese di proprietà comunale. Soprattutto a motivo degli impegni finanziari convogliati sul recupero dell'edificio e sui servizi, c'è da registrare in quegli anni, salvo casi sporadici, una carenza nella politica degli acquisti. Fra gli incrementi più significativi va segnalato l'acquisto della raccolta di monete della zecca del numismatico Mario Farina a seguito della Mostra dei cimeli e della zecca della città di Correggio, allestita nel settembre 1960 nell'ambito delle manifestazioni per il quarto centenario della città. La collezione comprende cinquantuno esemplari coniati fra il 1569 e il 1630 oltre due tessere-gettoni. Anche la raccolta archeologica, rappresentata da frammenti di superficie di epoca preromana, romana e medioevale, raccolti e consegnati da attenti ricercatori locali, costituisce un interessante se pur sommario approccio alla conoscenza degli insediamenti antichi del territorio correggese. Fra le acquisizioni di opere dell'Ottocento va ricordata la donazione di alcuni dipinti di Luigi Asioli (1817~1877) da parte dei discendenti dell'illustre famiglia e l'acquisto recente di un busto marmoreo, attribuito a Pompeo Marchesi, raffigurante Antonio Allegri, presente a Correggio in una raccolta privata fino al 1928 e recuperato ad un'asta dal Circolo filatelico numismatico "M. Farina".

Fra quelle del Novecento, il legato del pittore Raimondo Giovanetti (1898-1978) ha arricchito le raccolte di una ventina di opere fra tele e disegni. Nel 1988 fu affidato un quarto stralcio di lavori all'architetto F. Valli e all'ing. G. Manenti, per l'allestimento museale nelle sale del piano nobile. Il museo e i suoi percorsi Il progetto culturale del museo, predisposto dallo scrivente, ha inteso soprattutto sottolineare il legame con il territorio attraverso le testimonianze storico-artistiche confluite o prodotte nella piccola capitale padana. Il filo conduttore della cultura locale e il tentativo di ricontestualizzazione costituiscono delle tessere importanti per scontornare, attraverso la distribuzione delle opere, 1a simbiosi fra luogo e storia" di cui parla Andrea Emiliani. Dove il contributo a una verifica dell'identità locale, insufflato da "memorie e risonanze", diventa un itinerario di riscoperta delle proprie radici e quindi del sentimento di appartenenza alla propria città. Il progetto propone una visione interdisciplinare della comunicazione culturale recependo funzioni e indirizzi riconducibili al recupero, alla conservazione, alla tutela dei beni storicocartistici e alla loro divulgazione didattica. In sostanza un servizio aperto come "aula didattica decentrata".

L'articolazione dei percorsi è la seguente:
I - Sala dei depositi archeologici e delle raccolte numismatiche e medaglistiche, nella quale sono sistemati i reperti di epoca preromana, romana e medioevale rinvenuti nel territorio. Una vetrina è dedicata all'area del castello di Canolo. Sono inoltre esposte una raccolta di monete della zecca di Correggio e di medaglie legate ai personaggi della storia cittadina.
II - Sala del Mantegna: la sala del camino con soffitto a cassettoni accoglie Il Redentore di Andrea Mantegna di cui è in atto l'acquisizione dalle Opere Pie da parte del Comune. Il dipinto documenta il legame con la formazione del Correggio nutrita soprattutto di mantegnismo e di cultura ferrarese. Altre opere significative sono la Madonna del Rosario e I Misteri di Francesco Madonnina di ispirazione correggesca, e lavori di scultura di artisti padani del XV secolo.
III - Salone degli arazzi, in cui è esposto il paramento di arazzi fiamminghi fine Cinquecento, pervenuto alla corte di Correggio al tempo del conte Camillo, che ornava queste stesse sale. La collezione comprende nove pezzi (cinque della serie giardini, tre della serie cacce ed uno raffigurante una festa popolare) di provenienza della manifattura di Cornelius Mattens, ai quali si aggiungono quattro candelliere e due frammenti. Attraverso alcune pannellature sono creati appositi spazi per un gruppo di dipinti legati alla storia della città (la più antica pianta della città, iconografia dei Signori e il Ritratto di gentildonna). Essi costituiscono i documenti emergenti di una memoria storica intrinseca alla corte, al palazzo, ai suoi beni e alle sue vicende. Sono inoltre presenti opere di particolare finezza del XVI secolo fra cui l'Ecce Homo della Bottega del Moretto e San Giovanni Evangelista e angelo di Fermo Ghisoni.
IV - Sala dei dipinti del Seicento e del Settecento. Fra le opere esposte figurano dipinti di Mattia Preti (attribuzione), Baldassarre Aloisi detto il Galanino, Giulio Cesare Amidano, fra Stefano da Carpi, Girolamo Donnini.
V - Sala del Correggio. Vi figurerà la tavoletta Il volto di Cristo, un nuovo dipinto del Correggio (se la sottoscrizione promossa dal Comitato Fondazione 'Il Correggio", come ci si augura, andrà in porto). Sono qui raccolti lavori di Giovanni Boulanger, Benedetto Dal Buono, Pompeo Marchesi, Vincenzo Vela, copie ottocentesche ecc., legati o ispirati al correggismo. Attraverso pannellature mobili sono consultabili il corpus incisorio di Paolo Toschi e della sua scuola (camera di San Paolo, cupola di San Giovanni, cupola del duomo), di Francesco Rosaspina (camera di San Paolo) e i lavori di altri incisori. Allo scopo di fornire la più ampia informazione e documentazione iconografica sul Correggio e le sue opere, oggi ospitate in diversi musei in Italia e nel mondo, è stata realizzata come parte integrante della sala una Guida elettronica e cioè una banca dati di testi e immagini. L'obiettivo è anche quello di permettere una facile consultazione a seconda delle esigenze di studio o di informazione degli utenti. Tutti i dipinti e i disegni preparatori sono presentati con una scheda di commento affiancata all'immagine dell'opera. Per i cieli degli affreschi parmensi (camera di San Paolo, chiesa di San Giovanni, cupola del duomo) il sistema offre la possibilità di accedere a brevi filmati con commento audio oltre a schede di testo esplicative. La selezione dei contenuti informativi avviene su un monitor sensibile al tocco. Questa sala sarà anche un punto di riferimento per l'avvio del "Centro di documentazione allegriana" in raccordo con gli istituti universitari e i musei dove tali ricerche vengono portate avanti. La sala conclude i percorsi rinascimentali e costituisce lo snodo verso il piano superiore attraverso un collegamento verticale che immette nella Sala dell'Ottocento (VI), nella Galleria dei ritratti (VII), in un'Aula didattica (VIII), che saranno completate in successivi lotti di lavori insieme con la sistemazione delle opere degli artisti del Novecento. Il percorso comprende inoltre il Salone delle capriate con le antiche librerie della città e il Salone degli Archivi, da tempo allestiti, proponendosi di realizzare al secondo piano una comunicazione circolare tra fondi museali, bibliografici e archivistici. Alcune significative esposizioni hanno cercato di catalizzare l'interesse sul significato di un museo legato alla storia cittadina.

Nel 1984, nella sala del soffitto a cassettoni era stata allestita la mostra Antonio Allegri a Correggio grazie al prestito delle opere originali da parte delle Soprintendenze ai Beni Artistici e Storici di Parma e Modena. Nel 1989 è stata la volta di Due scuole a confronto. Il Correggio nelle incisioni di Paolo Toschi e Francesco Rosaspina. Nel 1993 è seguita, sempre nel Palazzo dei Principi, Il Museo per la città. Il patrimonio artistico correggese e il "Redentore" di Andrea Mantegna, che ha voluto costituire una sorta di simulazione anticipatoria dell'apertura del servizio. Da ultimo, nel 1994, Un volto di Cristo. Un dipinto ritrovato di Antonio Allegri detto il Correggio, per fornire un contributo all'assegnazione della tavoletta, esposta per la prima volta, al catalogo delle opere dell'artista. Le due esposizioni del 1993 e 1994 hanno inteso altresì suggerire il legame organico dei dipinti con il museo cittadino. Il Redentore è presente a Correggio dal 1493 ed è un'opera certamente conosciuta dall'Allegri che a Mantova, dove il Mantegna è operoso fino al 1506, compie le esperienze di maggior rilievo per la sua formazione. Il dipinto del Correggio è analogamente un quadro devozionale con la raffigurazione del Cristo e rappresenta per la città l'occasione storica di una riappropriazione culturale. In conclusione il Cristo del "nolite timere ego sum" (sono io non temete) accanto a un Christus patiens che sembrerebbe sommessamente suggerire l'inesistenza di croci che non si possano portare. In funzione di questo obiettivo nel gennaio 1995 è stata lanciata una campagna di sottoscrizione popolare (Amministrazione Comunale e Comitato Promotore Fondazione 1l Correggio") per l'acquisizione della tavola e la sua collocazione nel nuovo museo cittadino. Come linea evolutiva del museo, che si auspica possa essere realizzata in un prossimo futuro, abbiamo avanzato la proposta di un catalogo multimediale in linea dei beni storico artistici, librari, archivistici, audiovisuali, in maniera da ricomporre il mosaico dei depositi culturali e dei linguaggi in una prospettiva più avanzata di fruizione da parte della comunità.



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Piantina