Viller Masoni
Attività e istituzioni culturali dal Rinascimento al fascismo
Correggio, identità e storia di una città

Sullo stesso argomento vedi anche "Correggio - Cinque secoli di politica culturale " di V. Masoni

Cronologia

Dalla vita di corte alla nascita delle istituzioni culturali pubbliche

Attività culturale ed artistica alla corte dei da Correggio

Correggio fece parte a pieno titolo del "mondo delle Corti padane che tra Quattro e Cinquecento raggiunse il massimo del suo sviluppo, ma anche il suo punto terminale: il SUO apogeo e il suo declino" M. Berengo). Fu un inondo speciale, senza un centro egemone, di conglobazione, e perciò con una storia molto più frantumata e particolaristica rispetto ad altre regioni: soprattutto in questo versante delle Signorie si formò l'ideologia del piccolo Stato coordinato al grande Stato" M Berengo).
Questo è un primo punto importante: la coscienza/presunzione di Correggio di essere Una capitale e eli avere il diritto/dovere di preservare e pretendere una dignità, una considerazione, una autonomia adeguate, "presunzione" che non verrà completamente meno neppure quando la decadenza dei (la Correggio porterà la loro Signoria ad essere incorporata in tino Stato più potente.
In questi centri si creavano vere e proprie Corti che, fra l'altro comportarono disponibilità di cariche, Una più vantaggiosa spartizione dei benefici ecclesiastici, la creazione di posti lavoro per svolgere una vera e propria opera di propaganda. Di ciò il Signore aveva grandemente bisogno per fini interni ed esterni: 1'esigenza di fare una politica culturale è certo più forte negli Stati dinastici che non nelle repubbliche" M. Berengo).
E fare politica culturale significava necessariamente chiamare, utilizzare e creare giuristi e notai, burocrati ed ecclesiastici, artisti e artigiani, medici e professori, in una parola, intellettuali. 1n quello che è stato chiamato il tempo di Ludovico Ariosto e che copre quasi l'arco di un secolo, il problema del rapporto intellettuali-società si' impone con forza tutta particolare" (P. Rossi).
Non è quindi Un caso che negli anni compresi fra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento nell'area padana, soprattutto emiliana, "avvennero mutamenti importanti nella vita economica e sociale e furono anche pronunciate in molti campi della cultura (dalla filosofia alla medicina, dalla politica all'architettura, dalla poesia alla musica, alla pittura) parole decisive destinate a risuonare a lungo nella cultura di tutta Europa" (P. Rossi).
Ecco un secondo punto importante: in queste piccole capitali si svolse una vita culturale più che significativa, che permise a importanti idee e uomini di circolare in "provincia", ma che permise anche a questa "provincia" di produrre idee e uomini altrettanto importanti.
Negli anni dell'Umanesimo e del Rinascimento i da Correggio ebbero esponenti come Manfredo 11, Nicolò Postumo, Veronica Gambara, il Cardinale Girolamo; la loro corte ospitò personaggi come Carlo V, Ariosto, Bembo, Molza, Bernardo Tasso- essi ebbero rapporti con Andrea Mantegna, Pietro Aretino, Biagio Rossetti e diversi altri artisti, letterati, spiriti colti, esponenti dei più prestigiosi casati del Nord-Italia; in quegli anni nacquero e operarono a Correggio, almeno in alcune fasi della loro vita, Antonio Allegri, Rinaldo Corso, Claudio Merulo e altri valenti artisti e intellettuali.
Se la città ebbe rapporti con intellettuali di punta della produzione culturale dei tempo questo non può non significare il possesso di una ragguardevole preparazione culturale e di una raffinata sensibilità da parte dei "padroni di casa".
D'altra parte, per non correre il rischio di cadere in un facile e pericoloso municipalismo, vanno tenute presenti alcune considerazioni di ordine generale. In quell'epoca un comportamento come quello tenuto dai da Correggio era la regola, non l'eccezione: era una necessità motivata non solo da un sentire morale e culturale, ma anche da ragioni di carattere sociale e politico. Quando, intorno al 1475, il pittore spagnolo Pedro Berruguete ritrasse Federico di Montefeltro mentre, assieme al figlio Guidubaldo e vestito di una vistosa armatura, legge un libro, non fece altro che esprimere in modo assai efficace ciò che cominciava a essere una delle idee-forza del Rinascimento: la visione del Signore, dell'aristocratico come uomo universale, primeggiante sia nelle lettere che nelle armi.
Fra i tanti casi analoghi quello di Federico di Montefeltro è forse il più esemplificativo: nel giro di pochi anni nel Palazzo ducale di Urbino egli formò una biblioteca e una raccolta di dipinti e di oggetti d'arte senza eguali per quell'epoca. Non solo: in quella stessa corte, circa quarant'anni dopo, Baldassar Castiglione iniziò e ambientò quello che può essere considerato non solo il suo capolavoro letterario, ma il simbolo stesso della società aristocratica del Rinascimento: Il Cortegiano.
Ancora: Peter Burke - uno studioso che negli ultimi anni ha aperto nuove strade alla collaborazione fra storia e sociologia proprio occupandosi del rapporto fra cultura e società nell'Italia rinascimentale e barocca - ha ben mostrato come in quell'epoca lussi, fasti, feste, regali e cose simili rispondessero ad una precisa funzione sociale: tradurre la ricchezza in status e potere, sia nel rapporto fra gli individui che in quello fra gli Stati. Non si trattava quindi di atteggiamenti stravaganti, ora moralmente deprecabili, ora di buon gusto, ma di comportamenti assolutamente razionali: sarebbe stato anzi irrazionale il comportamento di quel Casato che avesse rinunciato a questo tipo di manifestazioni o di lussi aspettandosi ugualmente di preservare la reputazione della propria Signoria o della propria famiglia.
Nondimeno Correggio, già dal sec. XVI, fu molto più città di altri centri urbani della sua dimensione o anche più grandi e importanti dal punto di vista demografico o economico. Fra i fattori che giustificano questo giudizio (A. Guenzi) vi sono proprio la qualità e la capacità di tenuta che, nell'insieme, il suo sistema di istituzioni culturali dimostrò rispetto alle sollecitazioni, alle crisi e alle trasformazioni che si sono manifestate nel corso dei tempo. In definitiva, Correggio ha saputo svolgere nella propria storia un ruolo superiore alle sue dimensioni urbane, demografiche ed economiche; uno dei terreni in cui ha espresso questa capacità è stato quello delle politiche e delle istituzioni culturali.
Nella seconda metà del Quattrocento, il conte Manfredo Il incrementò notevolmente lo sviluppo urbanistico della città delineandone l'attuale aspetto: eresse baluardi, rafforzò lemurae vi apri quattro porte, eresse un ospedale e un ospizio, ricostruì ex novo vicino alla torre preesistente la chiesa di S. Francesco.
A tanto fervore edilizio, come osserva A. Ghidiglia Quintavalle, "doveva corrispondere fin da allora l'opera di pittori, scultori, orafi, intagliatori in legno, artigiani del ferro e arazzieri". Si ha notizia infatti di un gruppo di pittori, componenti la "Brigata de'pittori de Correza", che a cavallo dei secc. XV e XVI operava a Correggio e anche in piccole città vicine. Questa squadra era composta da Antonio Bartolotti (che nel 1500 era in Correggio Caposcuola dell'Arte dei pittori), Lorenzo Allegri (zio di Antonio), Quirino Allegri (cugino di Antonio) e da altri quattordici pittori.
Tra i giovani che aiutavano il Bartolotti vi era anche Antonio Allegri, che probabilmente allora operava spesso a Correggio. Si ha pure notizia di una scuola di arazzeria, introdotta in città nel sec. XV per volontà dei Conti dal fiammingo Rainaldo Duro, che ebbe vita fino al sec. XVI.
Fra gli ultimi anni del Quattrocento e il primo ventennio del Cinquecento vennero realizzate alcune costruzioni assai importanti, che segnarono anche sul piano urbanistico ed architettonico il trionfo dei nuovi ideali della Rinascenza a Correggio.
Si tratta del Palazzo di Nicolò Postumo (1496 ca.), del Palazzo di Francesca di Brandeburgo, poi Palazzo dei Principi (finito nel 1508), e della nuova Basilica di S. Quirino (iniziata nel 1513). Nei primi due ci fu sicuramente l'intervento diretto o l'ispirazione di Nicolò che poté avvalersi della straordinaria consulenza di Biagio Rossetti. Attorno a questi due palazzi ruotò la vita di corte e, in particolar modo, quella vivace attività culturale (spettacoli, feste, ricevimenti, ma anche riunioni dotte) i cui promotori furono principalmente Nicolò e Veronica Gambara.
Questi palazzi, quello dei Principi in particolare, diventarono anche sedi privilegiate di un collezionismo d'arte che proprio lo sviluppo delle Signorie risvegliò e trasformò da erudito in edonistico.
Anche qui gli influssi ed i legami con le più potenti Corti limitrofe ebbero certo il loro peso. Fra le più tipiche collezioni rinascimentali vanno annoverate quelle dei Gonzaga di Mantova e di Sabbioneta e degli Estensi a Ferrara. Non è certo un caso che uno dei primi pezzi della raccolta d'arte dei da Correggio fosse il Redentore, commissionato ad Andrea Mantegna nel 1493.
A questo si aggiunsero, nel corso di oltre un secolo, numerose altre opere d'arte ed arredi preziosi, come rivela parzialmente un inventario del 16o6.
Alcune di queste opere sono giunte fino a noi - ad esempio il citato Redentore, una tavola di Domenico Panetti raffigurante la Madonna col Bambino e i SS. Rocco e Sebastiano, una collezione di arazzi fiamminghi del XVI secolo - scampate fortunosamente alla dispersione dei beni del Casato avvenuta al tempo di Siro.
Non va poi dimenticato che numerose altre opere furono realizzate, nel corso dei secc. XVI e seguenti, per ornare chiese e conventi.
Né mancarono i musicisti. Uno studioso locale del secolo scorso (G. B. Fantuzzi) ipotizza "una prima occasionalità di asseverare la preesistenza di una scuola Musicale in Correggio" in considerazione del fatto che le feste e gli spettacoli promossi dai Conti prevedevano "interpolazioni di analoghe sinfonie con proprietà di caratteristici strumenti", perciò era necessario che esistesse a Correggio un "insegnamento Musicale abbastanza idoneo e numeroso". Del resto è improbabile che Claudio Merulo potesse essere chiamato a vent'anni a Brescia, quale organista della Cattedrale, senza che avesse già una adeguata preparazione maturata anche nella sua città. Dove, peraltro, in quel periodo risiedevano musicisti come il francese Menon, il Prevosto Girolamo Donati e altri ancora.
Ma la corte non fu solo punto di riferimento per artisti e musicisti. Un posto importante vi ebbero anche letterati e filosofi che, convocati in primo luogo da Veronica Gambara, dettero vita a riunioni dotte dalle quali, fin dal 1520, prese corpo un'Accademia.
Fu la prima di numerose altre che sorsero fino all'inizio del sec. XVII, promosse da studiosi locali (ad esempio quella dei Filogariti fondata da Rinaldo Corso) o dai successivi Conti (ad esempio quella degli Spensierati favorita da Camillo). Questo, fra l'altro, dovette favorire il formarsi di piccole biblioteche private, contemporaneamente a quella, più corposa, che in quegli anni si stava formando nel Convento di S. Domenico e che poi sarebbe confluita nella prima "Pubblica Libraria" alla fine del Settecento.

Il pubblico teatro

Se la nascita di un teatro pubblico a Correggio risale alla seconda metà del Seicento, molto anteriore fu invece il sorgere e lo svilupparsi di un'attività teatrale.
Essa, rispecchiando quel più generale fenomeno italiano di riscoperta e rielaborazione dei classici che si svolse come riflesso di una cultura aristocratica ed elitaria a partire dalla fine del sec. XIV, si espresse all'interno della vita di corte.
Negli ultimi quindici-vent'anni dei Quattrocento il problema concreto della realizzazione scenica di testi antichi, o comunque ispirati ai classici, fu efficacemente affrontato a Ferrara, nel corso di feste offerte dal Duca Ercole I. Proprio in una di queste occasioni, nel 1487, fu rappresentata la Fabula di Caefalo di Nicolò Postumo, vera figura di organizzatore culturale ante-litteram, che faceva da trait d'union fra le punte avanzate della cultura del tempo e la corte di Correggio.
Egli nei suoi brevi soggiorni a Correggio si occupò anche dell'organizzazione di giochi e spettacoli, come quel "duello" che si tenne davanti al Palazzo dei Signori il 18 luglio 1490 (simili spettacoli non furono episodici, sebbene meno regolari del "Gioco dell'Anello").
Non fu certo casuale che l'edificio in cui venne allestito il pubblico teatro della città nel sec. XVII (peraltro localizzato nell'area dell'attuale Teatro comunale) fosse proprio il Palazzo di Nicolò, che sorgeva a fianco del Palazzo dei Principi.
Durante il Cinquecento l'attività teatrale continuò a vivere nell'ambiente di corte e si ha notizia di alcuni spettacoli rappresentativi tanto del filone erudito quanto dell'incipiente genere popolare (quella commedia dell'arte che avrebbe avuto la sua maggiore diffusione nel Seicento).
Prima del crollo del Principato, la corte riuscì almeno in un paio di occasioni a dar vita a grandi rappresentazioni sceniche. La prima è costituita dalle feste organizzate nel 1615 in occasione dell'investitura di Siro a Principe. La piazza della città venne trasformata in un enorme teatro per tornei, concerti e giochi, mentre in un bosco vicino fu rappresentata una commedia di Guidobaldo Bonarelli, intitolata Filo di Siro. La seconda occasione si ebbe nel 1621. Sempre per iniziativa di Siro venne rappresentato nel cortile-giardino del Palazzo dei Principi Il Pastor Fido di Giovan Battista Guarini: l'opera che assieme all'Aminta del Tasso fu il risultato artistico più alto del "dramma pastorale", il genere che fra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento tenne banco in tutte le Corti d'Europa.
Il tramonto dello Stato autonomo dei da Correggio portò necessariamente a cambiamenti anche in questo campo. Seguendo un processo comune a tutto il Nord-Italia si passò dal teatro di Corte, fortemente elitario, al teatro pubblico, nel quale invece affluivano diversi strati sociali della popolazione. Questo fenomeno si estrinsecò soprattutto attraverso "il rapido moltiplicarsi di edifici teatrali autonomi, secondo una tipologia che rimase immutata per oltre due secoli, e che si diffuse dapprima in Italia, poi in tutta Europa, e che proprio per le sue origini resterà conosciuta come teatro a111taliand' (S. M. Bondoni).
Caratteristica saliente di questo nuovo tipo di teatro era la compresenza di spazi di fruizione alternativi: i palchi per le famiglie nobili e la platea per gli strati sociali subalterni, soprattutto la borghesia. Il palco "garantiva il rispetto della differenza tra le classi e dava a ciascun ambiente famigliare la sua cellula entro la quale svolgere i riti di grazia, cavalleria e rappresentanza" (G. Ricci).
Il pubblico si andò quindi diversificando, divenne in qualche misura pagante e finì col condizionare maggiormente il tipo di rappresentazioni, con una chiara preferenza per gli spettacoli di divertimento, di svago e di mondanità. Nel corso del Seicento il melodramma e la commedia dell'arte divennero assolutamente predominanti rispetto ai generi teatrali classici.
A Correggio i presupposti di un simile cambiamento "cominciarono a delinearsi nel gennaio 1642 allorché la Comunità accolse la proposta dei giovani di allestire una commedia per il carnevale ritenendola "cosa decorosa" e, di beneficio pubblico". Il Governatore gli concesse l'uso di una sala" (A. Ghidini).
Nel dicembre 1653 il Duca di Modena, accogliendo una richiesta di alcuni giovani correggesi, concesse l'uso di una sala dell'ex Palazzo di Nicolò per rappresentarvi commedie.
Nel 1660 il Consiglio della città decise la ristrutturazione del teatro, assumendosi la spesa del palcoscenico, del palco ducale e di quello della Comunità; inoltre esso assicuro a "tutti i Gentiluomini di Correggio" la partecipazione a questa impegnativa impresa, permettendo loro di fare costruire a proprie spese il rispettivo palco e concedendogliene poi la proprietà.
Le cose procedettero velocemente e ciò per la grande attesa che doveva esservi in città per questa prestigiosa realizzazione. Ne è prova il fatto che, poco dopo l'avvio dei lavori, si volle allestire per il carnevale ben due spettacoli: la "Fida Ninfa con li intramedi in Musica [ ... 1 del Tasso" e l'una commedia buffonesca". Il nuovo teatro pubblico ebbe così il battesimo del fuoco, nel 1661, quando era ancora in costruzione. Ma l'inaugurazione solenne si ebbe nel maggio dell'anno successivo, quando "venne a Correggio il Serenissimo D. Alfonso di Modena con tutta la corte per pigliare il giuramento di fedeltà da quel popolo havendo havuto la investitura di quel Stato dal Imperatore; e con questa occasione quei Signori di Correggio li recitarono due Commedie per darli trattenimento".
il teatro ospitava ben novantacinque palchi, distribuiti su cinque ordini, il palco ducale e la platea. Inizialmente "banche e sedili" della platea erano appannaggio degli stessi proprietari dei palchi (cioè le famiglie più in vista della città), finché la Comunità riuscì, non senza forti resistenze, a sbloccarli per renderli disponibili a un pubblico pagante.
Nel 1752 il teatro fu sottoposto a importanti lavori di rifacimento e di ampliamento che lo migliorarono sia sul piano estetico che su quello funzionale. Dopo la riapertura l'attività teatrale riprese a pieno ritmo.
Normalmente gli spettacoli, ripetuti in diverse repliche, erano uno o due ogni anno: la stagione principale, con rappresentazioni d'opera, si svolgeva fra la fine di ottobre e il mese di novembre, in occasione della Fiera di S. Luca. Tale concomitanza non era casuale: è noto che le fiere rappresentavano non solo un evento economico e commerciale, ma anche una delle maggiori occasioni di incontro sociale e di svago. A Correggio, come altrove, vi si svolgevano spettacoli pirotecnici e di burattini, tombolate e balli, giochi di abilità e altre attività a cui si rivolgevano soprattutto i ceti popolari, che convenivano numerosi in città anche dal contado e dai paesi limitrofi.
Accanto a questi divertimenti popolari, con la riapertura del teatro si cominciò ad organizzare anche spettacoli più pretenziosi a cui accedevano soprattutto i ceti aristocratici e abbienti.
A Correggio, quella di S. Luca, si trovò ad essere per oltre un secolo (dalla sua istituzione nel 1713 al ripristino della fiera di S. Quirino nel 1831) l'unica fiera annuale; inoltre essa giungeva alla conclusione di un "rito" economico e sociale importante come la vendemmia: era naturale, quindi, che diventasse l'avvenimento dell'anno, tanto sul piano economico che su quello culturale. La presenza del teatro ben si inserì in questo contesto; pertanto nel corso del Settecento e ancor più dell'Ottocento si consolidò la tradizione di avviare in simile occasione l'importante stagione lirica.
Oltre la fiera di S. Luca, anche il carnevale offriva l'occasione per organizzare spettacoli teatrali, soprattutto commedie e farse.
Per quanto riguarda il genere delle rappresentazioni, nella seconda metà del Settecento non mancarono i drammi; ben presto, però, l'opera buffa divenne il genere nettamente prevalente, con la rappresentazione di composizioni di G. Gazzaniga, N. Piccinni, G. Paisiello, D. Cimarosa, B. Asioli e altri.
Gli spettacoli potevano avvalersi quasi sempre di un forte nucleo di musicisti e cantanti locali, grazie alla notevole e antica tradizione della città che proprio verso la fine del XVIII secolo riprese grande vigore in virtù soprattutto dell'attività e del genio della famiglia Asioli.
L'organizzazione poggiava soprattutto sull'intraprendenza delle locali associazioni di dilettanti che provvedevano a produrre (oltre che a realizzare) le rappresentazioni, sperando poi di rifarsi delle spese attraverso la vendita dei biglietti.
Probabilmente i successi di pubblico furono numerosi; qualche volta però invidie di paese e bilanci in rosso turbarono le iniziative. Non mancarono le imprese di professionisti provenienti da fuori, ma solo nel secolo successivo divennero prevalenti. La Comunità non interveniva direttamente nella gestione del teatro. Essa ne assicurava l'agibilità e il funzionamento, ne regolamentava l'uso, ma il compito di organizzare, produrre e realizzare gli spettacoli era assunto dai privati. Questo emerge chiaramente da un Regolamento da osservarsi nel Teatro dell'Illustrissimo Pubblico di Correggio, emanato dal Provvisore probabilmente all'inizio del 1785, che prescriveva le condizioni a cui "qualunque impresario o Capo Rappresentanze", una volta avuto "il permesso del Governo" e presentata "supplica al Pubblico", doveva attenersi per ottenere l'agibilità del teatro.

Il Collegio Ducale e la pubblica biblioteca

Nella prima parte del sec. XVIII si crearono anche a Correggio condizioni favorevoli a una generale ripresa della situazione economica e sociale. Ciò ebbe modo di riflettersi positivamente nel campo della cultura e dell'istruzione.
In un periodo caratterizzato da una relativa apertura dei monarchi verso le riforme e il progresso dei propri Stati, il Duca di Modena non si dimenticò di Correggio. Di questa città egli aveva potuto constatare la sostanziale fedeltà, ma anche un chiaro attaccamento alla propria dignità e dimensione di ex capitale. "Tra le richieste sociali la domanda di istruzione era diventata più forte nel sec. XVIII e così entrò fra gli elementi della politica ducale la ricerca di un consenso nella classe dirigente locale, attraverso l'appagamento qualificato dell'aspettativa sulle scuole" (M. G. Lasagni).
Un progressivo potenziamento delle strutture scolastiche portò infine, nell'ottobre 1783 per volontà di Ercole III, all'istituzione di un Collegio ducale; esso venne affidato ai Padri Scolopi che già da un sessantennio curavano l'istruzione della gioventù correggese.
Si trattò di un fatto importantissimo per lo sviluppo sociale e culturale di Correggio, che divenne sede di un centro scolastico secondo solo al Collegio S. Carlo di Modena. Si trattava di un istituto di istruzione superiore caratterizzato da un insegnamento di levatura scientifica e didattica di tutto rispetto, frequentato da un numero di giovani straordinario per quei tempi: oltre un centinaio.
Erano i figli della classe dirigente locale, ma anche alunni provenienti da altre località o addirittura da altri Stati. Inoltre l'uso delle "Accademie" (intrattenimenti musicali, teatrali, filosofici, morali che gli alunni tenevano alla fine dell'anno scolastico), introdotto dagli Scolopi e rivolto ad un pubblico di invitati, rappresentò un'ulteriore occasione di "promozione culturale".
In questo contesto si inserì anche la nascita di una biblioteca pub ica. L'atto formale della sua costituzione fu una lettera del Governatore di Correggio, conte Vincenzo Fabrizi, datata 27 giugno 1783, con la quale veniva comunicata 1a Sovrana Clementissima Concessione della Libraria dei Soppressi Domenicani a questo Pubblico sotto la custodia dei Padri Scolopi e colla presidenza dell'individuo Presidente a queste scuole. Dovendo questa Libraria essere una proprietà della Comunità preme assaissimo che la medesima in avvenire possa conservarla in tutta la sua estensione
La lettera del Fabrizi era diretta a Giambattista Contarelli che veniva incaricato di "voler stendere le sue riflessioni su questo affare". Premurosamente il Contarelli inviò la sua risposta un mese dopo, accludendovi le sue Riflessioni per sistemare la nuova pubblica biblioteca.
Si tratta di una specie di regolamento dal quale risulta chiara la volontà del Contarelli che il carattere pubblico di questa biblioteca venisse evidenziato in ogni modo, quasi enfatizzato. Questo è perfettamente in sintonia con un fenomeno che, com'è noto, proprio in quel periodo portò in molte città di una certa importanza alla pubblicizzazione i fondi librari provenienti da conventi soppressi.
L'azione servì a catalizzare altri fondi privati o pubblici e quindi a formare vere e proprie biblioteche pubbliche. Se non alla stessa causa concreta, è certamente attribuibile a uno stesso movimento politico culturale l'origine, ad esempio, di quasi tutte le maggiori biblioteche dell'Emilia-Romagna.
Le Riflessioni del Contarelli e altri documenti lasciano intendere, d'altra parte, la limitatezza di tale pubblicità. i libri dovevano essere conservati e custoditi con "religiosità" e non potevano essere dati in prestito, neppure agli insegnanti.
Questo "uso pubblico" doveva in realtà essere limitato ad una "consultazione in sede" da parte degli studenti e degli insegnanti del Collegio: un'utenza quindi ben circoscritta e assai limitata.
Inizialmente la dotazione libraria della biblioteca era formata da due fondi ben distinti: quello donato dal Duca di provenienza domenicana e quello che gli Scolopi avevano fino allora costituito nel corso della loro attività educativa a Correggio e a Mirandola. Ad essi ben presto, nel dicembre del 1783, se ne aggiunse un terzo: quello dei libri già dell'eredità Tirelli" che erano in precedenza depositati presso il Pubblico Archivio.
Complessivamente il patrimonio librario della biblioteca al momento della sua costituzione ammontava a circa 1670 opere (alcune delle quali in più volumi) comprendenti numerose edizioni dei secc. XV e XVI.

Gli archivi

Si ha notizia che nel sec. XIII, a causa di un incendio provocato da lotte intestine, andò interamente distrutto il pubblico Archivio di Reggio e che in quella occasione i protocolli dei notai di Correggio, che là venivano solitamente trasportati, andarono completamente perduti.
Nel 1476 i Signori di Correggio imposero ai notai della loro Contea di non accedere più al Collegio Notarile di Reggio e di non attenersi neppure ai suoi precetti regolamentari. Trascorsero quasi ottant'anni prima che il Cardinale Girolamo, nel 1554, provvedesse ad erigere a Correggio un Collegio Notarile, con facoltà di autoregolamentarsi e di conferire l'abilitazione all'esercizio del notariato nello Stato.
Si venne pian piano delineando il disegno dei Conti di Correggio di rendere autonomi i propri notai dai Collegi delle città limitrofe. Emerse anche la necessità di arrivare a trovare una soluzione efficace e definitiva al problema della conservazione degli atti che, probabilmente, dopo la proibizione di avere rapporti con l'Archivio di Reggio, venivano trattenuti dai singoli notai. Questo doveva comportare qualche dubbio sulla loro autenticità e permanente integrità (perciò la proibizione di aggiungere postille) e soprattutto il grosso pericolo della loro perdita allorquando, con la morte del notaio, essi passavano agli eredi. Fu probabilmente per risolvere questi problemi, dai quali in definitiva dipendeva la sicurezza sia degli interessi pubblici che delle sostanze private, che Gian Siro nel 1611 decise la creazione di un Archivio Pubblico in una stanza del suo Palazzo.
Per tutto il Seicento e gran parte del Settecento l'Archivio mantenne la stessa collocazione e funzionò in modo corretto, curando continuamente sia l'acquisizione degli atti che il loro ordinamento. Nel 1785 esso venne trasferito nel Palazzo Municipale. Qui rimase, assolvendo più o meno efficacemente alle sue funzioni, fino alla sua soppressione, avvenuta all'indomani dell'emanazione di una legge, nel 1875, che manteneva in vita solo Archivi distrettuali e circondariali. Da allora l'Archivio Notarile di Correggio assunse un ruolo puramente storico-documentario e, fino a pochi anni fa, subì una sorte di progressivo abbandono e disordine.
Prima del Settecento gli archivi furono considerati patrimonio esclusivo dell'Amministrazione produttrice, in molti casi anzi patrimonio "segreto" - cioè privato - del Signore, che lo conservava gelosamente quale prova dei suoi privilegi, delle sue proprietà, dei suoi diritti; solo eccezionalmente i documenti in esso conservati potevano essere consultati per fini diversi da quelli amministrativi e comunque solo da persone che godevano della fiducia e dell'autorizzazione del Signore.
Nel secolo dei lumi e delle riforme il valore dei beni archivistici andò assumendo una connotazione diversa: gli archivi storici si spogliarono della loro esclusiva valenza amministrativa e si fece più pressante l'istanza di consultazione dei medesimi per ragioni culturali.
Questo si manifestò nell'ambito di un nuovo atteggiamento verso la storiografia di cui furono grandi interpreti studiosi come il Muratori e il Tiraboschi.
La passione per la ricerca erudita che connotò il Settecento comportò, purtroppo, anche l'adozione di un metodo di riordinamento - quello per materie - che finì per portare a un pregiudizievole smembramento dei fondi documentari e fece mettere assieme fittizie raccolte di atti, suddivisi per argomenti, che potevano sì soddisfare il gusto del tempo, ma di fatto compromettevano la ricerca successiva nelle sue infinite sfaccettature.
Anche l'origine dell'Archivio di Memorie Patrie di Correggio si colloca in questo fenomeno. Si sa che alcuni studiosi locali ebbero la possibilità, già nel XXIII secolo, di accedere ed estrarre dagli Archivi della città documenti di carattere storico, in alcuni casi addirittura di portarseli a domicilio per i loro studi. La cosa è certa, ad esempio, per Michele Antonioli. Tant'è che dopo la sua morte le autorità locali si posero il problema di recuperare a casa sua i molti documenti provenienti dagli Archivi pubblici. In quegli anni, e siamo nel secondo decennio dell'Ottocento, si cominciò in modo esplicito e ufficiale a creare una raccolta dei documenti di importanza storica per la città: si chiamò dapprima "Archivio Archeologico", poi "Archivio Patrio" ed infine "Archivio di Memorie Patrie".
Così le autorità cittadine autorizzarono eruditi locali ad estrapolare dall'Archivio Comunale e anche dalla parte più antica dell'Archivio Notarile quei documenti che venivano ritenuti di maggiore interesse per la storia di Correggio e ad unirli ad altre estrapolazioni fatte nei decenni precedenti (in molti casi andate poi disperse presso diversi uffici o privati).

Prima e dopo l'Unità

La biblioteca

Abbiamo visto che l'origine della biblioteca pubblica a Correggio fu collegata all'istituzione del Collegio ducale nel 1783- Questo fatto condizionò fortemente la vita successiva della biblioteca, che per circa ottant'anni ancora sarebbe rimasta lì collocata e strettamente legata alle sorti e agli sviluppi di questa importante istituzione scolastica.
Come nel 1810, quando gli Scolopi dovettero andarsene da Correggio e il Collegio venne chiuso: le scuole furono fortemente ridimensionate e la biblioteca sopravvisse a livelli minimi.
Nel 1819 il Collegio venne di nuovo aperto e affidato ai Reverendi Oblati. L'anno successivo esso venne trasformato in Seminario per l'istruzione letteraria e filosofica dei chierici con un diretto coinvolgimento del Vescovo di Reggio.
Nel Rogito di Convenzione fra i RR. Oblati e 1711. ma Comunità, pubblicato il 15 marzo 1823, si stabilivano le condizioni per l'affidamento delle Scuole pubbliche, del Collegio e dei relativi fondi e beni ai nuovi conduttori, nonché i doveri di questi ultimi. Il punto 11 si occupava della biblioteca: "La Libreria pubblica esistente nel suddetto Collegio resta affidata alla Direzione e custodia dei Reverendi S.ri
Sacerdoti Oblati, i quali promettono di conservare, mantenere e restituire tutte le opere, libri e mobili in essa contenuti [...] e con obligo inoltre pei Reverendi SA Sacerdoti Oblati di tener aperta la suddetta Libreria a pubblico comodo tre giorni per ogni settimana e precisamente tre ore per ogni giorno".
Un inventario redatto nel gennaio 1822 registrava 1.867 opere, per un totale di 3.731 volumi,
Il nuovo assetto del Collegio e delle Scuole pubbliche poteva lasciare pensare ad un rilancio anche della biblioteca, di nuovo ancorata ad una realtà scolastica qualificata. In realtà il Seminario-Collegio precipitò ben presto in una situazione di crisi pressoché permanente. Di questa situazione ovviamente risentì anche la biblioteca, che nel giro di quindici anni piombò in un vero e proprio stato catalettico nel quale sarebbe rimasta poi per oltre un trentennio,
L'annessione di Correggio al Regno d'Italia vide gli amministratori locali pieni di buoni propositi verso la biblioteca, ma la realtà negli anni successivi sarebbe stata assai meno entusiasmante.
D'altra parte a Correggio, come nel resto d'Italia, qual era e quanto era numeroso il pubblico che avrebbe potuto rivolgersi alle biblioteche e quindi avrebbe avuto interesse ad un loro rapido e moderno sviluppo?
Nel 1861 l'analfabetismo raggiungeva, sul piano nazionale, la percentuale del 74%. A questa situazione corrispondeva un sistema scolastico "di base" che era disatteso almeno dal 50% della popolazione infantile (percentuale che si sarebbe ridotta al 25% solo nel periodo giolittiano). Solamente lo 0,8% della popolazione dagli 11 ai 18 anni risultava iscritta alla scuola media e pochissimi erano poi coloro che frequentavano le scuole superiori e l'Università.
In sostanza "è probabile che l'arca degli istruiti coincidesse, in larga misura, con la consistenza numerica della classe dominante" e che ciò fosse tutt'altro che casuale; è da ritenere anzi che "per evitare la pericolosità della coscienza delle proprie condizioni, che ai ceti subalterni un alto livello di cultura poteva garantire, le classi agiate ed il governo nazionale non sentirono la necessità, né tanto meno l'urgenza, di intervenire efficacemente per sanare una situazione che fondamentalmente tornava comodo mantenere come condizione di conveniente immobilismo sociale e politico" (G. Lazzari).
Per un verso l'assenza di un pubblico di lettori e perciò di potenziali frequentatori di biblioteche, per l'altro fl carattere aristocratico conservatore dei ceti più colti, finirono per condizionare fortemente anche la concezione stessa delle biblioteche, che furono viste "come musei bibliografici più che come strumenti vivi di elaborazione culturale" (G. Barone, A. Petrucci).
A Correggio, nei primi anni successivi all'Unità, l'istruzione primaria era fornita da tredici plessi di scuola elementare; ad essi si affiancavano scuole pubbliche gratuite per le fanciulle dirette dalle Monache Cappuccine (frequentate da più di 70 alunne), nonché l'Istituto Contarelli, retto dalla Congregazione di Carità, che ospitava una trentina di fanciulle e ragazze orfane. L'istruzione media e superiore era invece garantita in loco dal Ginnasio-Liceo operante presso il Collegio. Nel 1865 una commissione incaricata dal Consiglio Comunale di riordinare la biblioteca, ancora collocata presso il Collegio, redasse un inventario dei libri. Ne scaturii che circa il 30% delle opere censite nel 1822 era scomparso, il che non andava certo a onore dei responsabili del Collegio-Seminario.
Questo fatto probabilmente pesò non poco nella scelta, che venne compiuta nel 1868, di trasferire la biblioteca nell'ex convento di S. Francesco. Questo, assieme alla Chiesa, era stato nel frattempo assegnato al Comune in applicazione della legge del 1866 sulla soppressione delle Corporazioni religiose.
Nel luglio 1869, su proposta della Prefettura, fu decisa l'istituzione di una "Biblioteca popolare circolante". Per diversi mesi non se ne fece niente, finché, nella primavera dell'anno seguente, spronato anche da un primo invio (peraltro assai modesto) di libri da parte della Prefettura, il Consiglio Comunale riprese in mano la questione e decise di dar vita a due biblioteche: "quella Comunale, per gli amatori degli studi classici e per la gioventù numerosa accorrente a questo Ginnasio-Liceo, e la Biblioteca Circolante Popolare". Il bibliotecario sarebbe stato unico per entrambe.
Il 5 giugno 1870, in occasione della festa dello Statuto, le due biblioteche vennero solennemente inaugurate. Il Sindaco ne suo discorso si preoccupò di ricordare la diversa loro origine e, soprattutto, la diversa loro destinazione. Quella classica era rivolta alla "eletta parte di voi, che dedicaste la mente e il cuore a forti e gravi studi". L'altra era invece stata allestita "a singolare beneficio di quella classe di cittadini la quale nobilitata dalla santità del lavoro, tende pur sempre a fortificare lo spirito e il cuore, coll'alimento di sane letture".
Giova ricordare che le biblioteche popolari si erano diffuse in Italia soprattutto nel decennio precedente, sull'esempio della prima esperienza realizzata a Prato nel 1861 da Antonio Bruni. Il movimento delle biblioteche popolari attecchì solo in alcune zone del paese, assumendo spesso connotazioni diverse, e fu caratterizzato dalla contraddizione di proporsi di elevare le miserevoli condizioni del popolo incolto e, insieme, di diffondere nel popolo stesso i valori della tradizione borghese. In questo modo una sincera fede democratica finì col confondersi con una sorta di colonizzazione culturale. Il limite maggiore di tale iniziativa, tuttavia, fu che la sua promozione e diffusione avvennero dapprima per esclusiva iniziativa di privati cittadini e, più tardi, di associazioni culturali, politiche o religiose..
Lo Stato fu sostanzialmente assente; ad esso, pertanto, va attribuita la vera responsabilità del mancato sviluppo in Italia di un'adeguata struttura bibliotecaria nell'ambito di un organico e moderno sistema educativo pubblico.
La provincia di Reggio rappresentò quasi un'eccezione, soprattutto grazie alla convinta e decisa iniziativa del Prefetto Giacinto Scelsi. Sotto la sua spinta nel corso del 1870 vennero istituite venti biblioteche popolari circolanti, di cui quattro a Reggio e sedici in provincia: si pensi che nel biennio 1870-71 in tutta Italia ne vennero complessivamente fondate duecentodiciannove.
Esse si aggiunsero alle cinque classiche preesistenti, dislocate a Reggio, Guastalla, Novellara, Scandiano e Correggio (quest'ultima con circa seimila volumi).
Quest'esperimento ottenne nei primi tempi un buon risultato di pubblico. A ciò non erano certo indifferenti gli enormi progressi che erano stati registrati nell'ultimo decennio in campo scolastico. Nell'anno scolastico 1868-69 gli alunni che frequentavano in Provincia la scuola primaria erano 15.283 (rispetto ai 2.963 dell'anno scolastico 1859-60): il 6,34% dell'intera popolazione, la più alta percentuale fra le provincie dell'Emilia Romagna.
L'avvio promettente delle biblioteche correggesi fu presto interrotto da un fatto "naturale": la morte del bibliotecario. Questi problemi erano legati al valore onorifico attribuito a tale figura. In qualche raro caso il bibliotecario, che era nominato dal Consiglio Comunale, prendeva sul serio il suo incarico e lo svolgeva con un certo impegno per qualche anno. Molto più spesso, l'incaricato rassegnava dopo qualche tempo le dimissioni, spaventato dal lavoro da svolgere per consentire il funzionamento della biblioteca anche a livelli minimi. Accadeva anche che esso si dimettesse ancor prima di ricevere le consegne dal suo predecessore. Le conseguenze più immediate di tanta precarietà erano che la biblioteca rimaneva chiusa per lunghi periodi, non venivano fatti acquisti e men che meno ordinati i fondi librari.
Nel 1881 si riapri, dopo oltre un decennio di quasi assoluto silenzio e disinteresse, un certo dibattito pubblico sulla situazione e sul destino delle biblioteche correggesi.
Fu per merito de' Il Caporale di Settimana, un periodico che era espressione della parte minoritaria della borghesia locale, quella più laica e liberale. Il settimanale anche nei tre anni successivi tornò più volte sull'argomento per fare proposte di miglioramento dei servizio e sollecitare l'Amministrazione comunale a dedicare maggiore attenzione e risorse alle biblioteche, ottenendo - per la verità - ben scarsi risultati.
Un'indagine nazionale sulle biblioteche condotta nel 1889 rivela che la biblioteca classica di Correggio possedeva 5.249 volumi a stampa, 8 incunaboli, 1 manoscritto, 7 atlanti e 1 periodico; era servita da due "impiegati" non stipendiati, restava aperta due giorni la settimana e aveva mediamente 36 lettori all'anno.
Per avere un dato sulla biblioteca circolante correggese dobbiamo aspettare il 190 1: essa risultava dotata di 2.471 volumi e il numero medio annuale dei lettori ammontava a 1.343.
Qualche voce di timido dissenso rispetto a questa mediocre situazione si levò, ma venne semplicemente ignorata. Mancava da parte dell'Amministrazione Comunale clerico-moderata anche il più piccolo progetto nei confronti delle sue biblioteche, o meglio le era assolutamente indifferente che esse erogassero o no un servizio minimamente efficace.
E' difficile resistere alla tentazione di attribuire a questo disinteresse anche un significato politico, di più generale indifferenza, o addirittura di ostilità, verso una crescita culturale della popolazione, in particolare degli strati medio-bassi. Ciò appare ancor più evidente se lo si confronta con la cura che, ad esempio, l'Amministrazione socialista di Reggio rivolgeva alla biblioteca municipale nell'ambito degli sforzi condotti nel campo dell'istruzione. Questi sforzi non erano limitati al tradizionale campo dell'infanzia, ma estesi anche a quegli adulti, ancora numerosi, che l'analfabetismo relegava ai margini della società privandoli, fra l'altro, dell'arma del voto.
Va tuttavia osservato che a Correggio un sostanziale disinteresse per le biblioteche venne manifestato anche dall'opposizione, sia quella democratica che quella socialista.

Il museo

Fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, sulla base culturale dell'enciclopedismo, in varie città italiane sorsero numerosi musei, destinati alla conservazione di modelli da proporre alla conoscenza e quindi da classificare con chiarezza.
A Correggio mancavano le condizioni materiali e politiche per consentire la creazione di un vero e proprio museo. Tuttavia un passato illustre ed esigenze educative attuali (nel 1843 venne istituita una Scuola comunale di disegno) premevano perché qualcosa si facesse. La conseguenza fu che alcune sale del Municipio vennero destinate anche allo scopo, che andò via via precisandosi, di accogliere una Galleria d'arte. Il culmine di questo processo si ebbe nel 1880, quando un'ala del Palazzo municipale fu destinata al "decoroso ufficio di conservare gli antichi arazzi, le incisioni del Toschi e Raimondi ed in genere le memorie patrie", ricavandone alcune sale da aprire "al pubblico solo nelle solenni circostanze".
Una Guida del Palazzo comunale di Correggio, pubblicata proprio nel 1880, descrive l'entità e la disposizione delle raccolte d'arte presenti allora in Municipio. Nei due vestiboli (al piano terra e al primo piano) e lungo lo scalone d'onore furono raccolte diverse iscrizioni lapidarie o epigrafi. Vennero inoltre allestite la Galleria delle incisioni (che ospitava la quarantina di incisioni dei Toschi e della sua scuola), la Galleria dei quadri ad olio (nella quale vi erano le copie dei quadri dell'Allegri), le due Sale degli arazzi (che allora si riteneva fossero opera della scuola di Rainaldo Duro), la Sala del Consiglio (con alcuni busti).
Come si vede la preoccupazione maggiore era quella di documentare e rendere omaggio, in qualche modo, all'opera del Correggio. Per questa stessa ragione il 1880 fu un anno memorabile, caratterizzato da un grande fervore culturale e mondano che ebbe al suo centro la posa di un monumento ad Antonio Allegri, opera dello scultore ticinese Vincenzo Vela. L'inaugurazione ebbe luogo il 17 ottobre 1880 e ad essa fu collegato un programma di manifestazioni fra cui spiccava una serie di rappresentazioni dell'Aida in teatro. Il tutto si svolse all'insegna dell'euforia generale, con dovizia di cerimonie, pubblicazioni e articoli elogiativi. Si trattò di un episodio indubbiamente rilevante, che diede uno scossone alla statica vita culturale della città, consentendole per un attimo di rivivere con orgoglioso protagonismo i fasti dell'antica capitale principesca. L'eccessivo entusiasmo municipalistico finì però col prendere la mano agli amministratori, che impegnarono finanziariamente il Comune più di quanto potesse permettersi.
Negli anni successivi si cominciò a formulare l'ipotesi di trovare una
sede autonoma ove allestire in modo adeguato il patrimonio artistico di proprietà comunale. Vi fu chi propose di utilizzare a tal fine l'ex casa del Correggio, acquistata dal Comune proprio nel 1880. Finalmente, nel 1897, Arnaldo Ghidoni avanzò l'idea di destinare a questo scopo il Palazzo dei Principi, in particolare la sala del soffitto a cassettoni a quel tempo sede della Scuola di musica. La proposta cadde nel vuoto, in primo luogo perché l'ipotesi stessa di un recupero e di una destinazione ad uso culturale di quel maestoso edificio era lontanissima dalla mente degli amministratori dell'epoca.
Qual era stata, infatti, la sua sorte nell'ultimo secolo, da quando cioè aveva cessato di essere sede del Governatore? Si era trattato di un ben misero destino che lo aveva condotto a un grave degrado sul piano architettonico e all'emarginazione dalla vita culturale e politica della città: il Palazzo era stato considerato semplicemente un grande contenitore da destinare agli usi più diversi e meno congrui alle sue caratteristiche.
Negli anni seguenti più volte rispuntò - in Consiglio Comunale o sui periodici locali - la proposta di creare una raccolta degli oggetti artistici e dei cimeli di proprietà comunale e di destinarvi come sede qualche locale del Palazzo dei Principi. L'ipotesi non riuscì a decollare: il fatto è che i ritardi e la limitatezza di vedute degli amministratori correggesi erano in linea con i comportamenti dello Stato, che solo nel 1902, a quarant'anni dall'Unità, era riuscito a darsi una legge, peraltro scadente, per 1a tutela e la conservazione dei monumenti e degli oggetti aventi pregio d'arte e di antichità". Nel 1907, poi, furono costituite le Sovrintendenze che si rivelarono subito organi di controllo anziché di promozione e segnarono la supremazia del centralismo, del riferimento continuo ad autorità superiori, della collocazione in sede tecnica di problemi che in realtà erano d'ordine politico-culturale. Ciò ebbe come conseguenza una sorta di delega-espropriazione dalla periferia al centro, con lo spostamento del dibattito e dell'intervento concreto dalle sedi locali, municipali, alle istituzioni di controllo statale. A livello locale diventò perciò inevitabile (e anche comodo) assumere un atteggiamento di trepida attesa per il benevolo intervento dall'alto, cercando al più di muovere le pedine giuste per ottenerlo.

Il teatro

Fra la fine del XVIII e il primo trentennio del XIX secolo a Correggio la vita musicale e teatrale fu piuttosto vivace. il genere preferito continuò a rimanere il melodramma (e in particolare l'opera buffa e semiseria), ma si ospitarono anche spettacoli di prosa, accademie, balli e feste.
In questo periodo un ruolo determinante venne svolto dalla famiglia Asioli, una vera e propria fucina di musicisti e artisti di notevole talento. Il capofamiglia Quirino, i figli Bonifazio, Giovanni, Luigi, le figlie Maria, Rosa e Angela non solo si cimentarono, pur con esiti diversi, come compositori, esecutori e cantanti di classe sulle scene del teatro comunale; essi costituirono anche un costante punto di riferimento culturale per l'organizzazione degli spettacoli. Svolsero inoltre una intensa attività didattica che formò quei musicisti che, per alcuni decenni, costituirono il nerbo delle orchestre necessarie a rappresentare le opere in teatro.
Il punto di riferimento istituzionale fu dapprima l'insegnamento musicale che si teneva presso il Collegio Ducale, al quale si applicarono sia Bonifazio che Giovanni. Vi furono anche iniziative spontanee, come la nascita del complesso bandistico che sfilò per la prima volta per le vie cittadine nell'agosto 1797, sotto la guida di Luigi Asioli.
Giovanissimi, i due Asioli più dotati, Bonifazio e Luigi, lasciarono Correggio per continuare in Italia e all'estero la loro carriera ed assurgere, almeno il primo, a fama europea.
Oltre che alle loro significative puntate a Correggio, il testimone fu lasciato al fratello Giovanni che continuò a lavorare presso la Scuola di musica cittadina. Nel 1814, a causa del cambiamento di regime, Bonifazio venne dimesso dal Conservatorio di Milano e fece ritorno a Correggio. Qui rimase fino alla sua morte dedicandosi con grande fervore alla composizione e all'insegnamento. La sua casa fu trasformata in un piccolo conservatorio che egli condusse con l'aiuto del fratello Giovanni.
Nei primi anni del XIX secolo le stagioni dei Teatro Comunale erano ancora dominate da autori della scuola napoletana o che ad essa si ispiravano: Paisiello, Cimarosa, Piccinni ed altri.
Dal 1819, per oltre un decennio, padrone incontrastate delle scene correggesi furono le opere semiserie di Gioacchino Rossini, intercalate da opere di qualche prestigioso epigono della scuola napoletana. t probabile che ispiratore di questa linea musicale fosse proprio Bonifazio Asioli, fervente ammiratore di Rossini nonché direttore di alcuni allestimenti che delle sue opere si fecero nel teatro correggese.
Dopo la morte di Bonifazio (1832) anche a Correggio il genere buffo venne sopraffatto dal melodramma romantico. Assieme all'opera seria si andarono affermando le nuove caratterizzazioni drammatiche e vibranti, affidate alle voci di interpreti prestigiosi. Non è un caso che in quegli anni alle varie Società di dilettanti locali si andò sostituendo la figura dell'impresario, in prevalenza forestiero.
Il vecchio edificio teatrale, in piedi dal 1660, cominciava però a scricchiolare. Alcuni lavori di restauro erano stati effettuati all'inizio dell'Ottocento, ma alla metà del secolo doveva essere ormai diventato inagibile. La decisione di riedificare il teatro venne presa dal Consiglio Comunale nel 1849.
La costruzione iniziò un anno dopo e si concluse all'inizio dell'autunno del 1852.
Il nuovo teatro si presentava con una sala a ferro di cavallo (modello ormai affermatosi in tutta Italia all'inizio dei secolo), un vasto palcoscenico, sessanta palchi distribuiti su tre ordini, un palco d'onore e un ordine di loggioni. Le spese furono notevolissime: circa 42.000 lire (di cui quasi un terzo a carico della Comunità e il restante a carico dei sessanta palchettisti), una somma più o meno equivalente all'intero bilancio annuale del Comune.
D'altra parte questo era il momento del teatro in Italia: la borghesia in rapida ascesa vedeva in esso un'istituzione altamente rappresentativa e uno strumento ideologico in cui si riconosceva. Pure la cristallizzazione delle tipologie costruttive trovava giustificazione in questo: anche per la borghesia la struttura gerarchica del teatro all'italiana costituiva una
garanzia di distinzione e di rappresentatività, com'era stata nel passato per l'aristocrazia. Alle discriminazioni di blasone si sostituivano ora quelle di censo, ma rimaneva il valore simbolico della struttura, che non a caso manteneva anche il privilegio del palco d'onore. Il persistere dei palchetti favoriva il perpetuarsi di un singolare cerimoniale: soprattutto in provincia l'andare a teatro costituiva essenzialmente un'occasione di mondanità.
A riprova di ciò vanno ricordati l'enfasi data all'inaugurazione (avvenuta nell'ottobre 1852 alla presenza dei duca Francesco V), le spese e la determinazione espresse nell'abbellire e rendere più accogliente l'edificio (la facciata, le decorazioni della sala e dei palchi, il Casino cittadino, ecc.), gli sforzi anche finanziari per avere qualificate stagioni d'opera.
Quegli anni furono caratterizzati dall'arrivo sulle scene correggesi delle opere di Donizetti, Bellini e soprattutto di Verdi, segno questo che anche nella pacifica e devota Correggio si andavano diffondendo quei sentimenti di unità nazionale di cui il melodramma verdiano si faceva portavoce. Ciò è confermato dal fatto che nel 1856 venne rappresentata con grande successo Lea, opera a sfondo patriottico di Ferdinando Asioli, che in questo modo rinverdiva le grandi tradizioni musicali della sua famiglia innestandovi un motivo di impegno politico e civile.
Nel settembre 1889 il teatro (che nove anni prima era stato intitolato a Bonifazio Asioli) fu devastato da un incendio notturno che non provocò vittime, ma gravissimi danni materiali. L'edificio restò chiuso per ben nove anni e questo clamoroso e ingiustificato ritardo nella riapertura fu oggetto di aspre polemiche.
Ancora più accese furono le critiche all'Amministrazione comunale all'indomani di un secondo incendio avvenuto nel gennaio 1909. Questa volta i danni materiali furono irrilevanti, ma furono pesanti quelli umani: due morti e decine di feriti. L'incidente capitò nel corso di una proiezione cinematografica: per un errore degli operatori si sviluppò un piccolo incendio che provocò il panico negli spettatori, spingendoli a una disordinata e disastrosa fuga verso l'esterno.
Le minoranze consigliari rivolsero forti critiche all'uso improprio cui era stato destinato il teatro e alla mancanza di qualsiasi norma di sicurezza, soprattutto per i loggioni.
Il fatto è che già da qualche anno, con l'ingresso in Consiglio comunale di rappresentanti dei partiti d'opposizione, l'atmosfera si era fatta più calda su questi temi, anche a prescindere dagli incendi. I socialisti, in particolare, giudicavano l'attività teatrale ancora destinata ad una élite, che se voleva godere di tale divertimento doveva provvedervi con mezzi propri, senza l'aiuto del Comune: non si trattava dunque di un'opposizione agli spettacoli teatrali, quanto al loro finanziamento pubblico. Si criticavano Ie famiglie ricche e benestanti", proprietarie della maggior parte dei palchi, perché erano spesso assenti agli spettacoli e preferivano tenerli chiusi anziché renderli disponibili a famiglie operaie o piccolo-borghesi.
Nel primo ventennio del Novecento il teatro era venuto perdendo il carattere di ritrovo esclusivo e mondano dei ceti alti (fra l'altro era stato chiuso anche il "Casino cittadino"), mentre sempre più rappresentava un'attrazione per le classi medie e popolari, anche grazie a una programmazione imperniata quasi esclusivamente sull'opera lirica e su spettacoli leggeri. Il problema, che sarebbe rimasto irrisolto ancora per decenni, concerneva i palchettisti, che monopolizzavano la maggior parte degli spazi disponibili ed avevano un atteggiamento quasi completamente passivo.

Istituzioni apolitiche culturali durante il ventennio

Anche a Correggio, dopo il 1921, il fascismo ebbe modo di stendere la sua rete oppressiva che coinvolse progressivamente anche le istituzioni e le politiche culturali. Converrà innanzitutto ripercorrere i fatti salienti per svolgere poi alcune considerazioni più generali. Nei primi anni Venti le biblioteche e l'Archivio di Memorie patrie vennero trasferiti nel Palazzo dei Principi, in fase di restauro; a partire dal 1926 cominciarono ad essere riordinati in spazi abbastanza ampi e adeguati e poterono contare sulle attenzioni di Riccardo Finzi, bibliotecario a metà tempo, che - escludendo la parentesi bellica - sarebbe rimasto legato alla biblioteca per un cinquantennio, pur con incarichi diversi. La sua alacrità nel proseguire il riordino dei fondi librari, i maggiori spazi a disposizione, la volontà dell'Amministrazione comunale di realizzare un proposito trascinato per anni e la crescente fiducia del Regime nelle potenzialità propagandistiche di una diffusa rete di biblioteche furono i concomitanti fattori, locali e nazionali, che sospinsero in porto il progetto di un deciso potenziamento della biblioteca. Il 28 ottobre 1930 essa venne riaperta al pubblico con una solenne cerimonia e l'invito ai correggesi ad accorrervi: "vi accosterete alle pure fonti della intellettualità, che portarono l'Italia nostra al primato nel Mondo, e che il Fascismo onora con religiosa devozione". Sarebbero bastati pochi mesi per svelare nei fatti la misera e illiberale realtà che si nascondeva dietro questi esercizi retorici. Ben presto cominciarono a calare i finanziamenti e a ridursi l'orario d'apertura, mentre crebbero l'ottusità dei comportamenti regolamentari e soprattutto la censura e la bonifica operata sui fondi librari. L'entrata in vigore delle leggi razziali comportò l'allontanamento del Finzi dal suo incarico e la guerra diede il colpo finale a un declino già notevolmente avanzato.
Gli anni Venti videro naufragare anche il progetto di creare un museo nel Palazzo dei Principi. Ad esso lavorò con dedizione e competenza l'insegnante e artista Enrico Bertolini che riuscì a raccogliere, dapprima col consenso delle autorità comunali, le più importanti opere d'arte esistenti a Correggio in alcune sale del Palazzo. 1 lavori di restauro di quest'ultimo, fra il 1925 e il '27, anziché rafforzare il progetto, offrendogli una definitiva sede idonea, furono l'occasione per smobilitare il museo - dapprima provvisoriamente, poi, nell'ottobre del 1929, definitivamente - ancor prima che ne fosse completato l'allestimento. Bertolini se ne lamentò pubblicamente: era convinto dell'utilità di una pinacoteca-museo, non solo come luogo di ricovero ed esposizione delle maggiori opere d'arte esistenti in città, ma anche
come punto di riferimento per la salvaguardia e la conoscenza di tutto il patrimonio storico-artistico e monumentale correggese. In questa prospettiva assumevano importanza non solo i capolavori, ma anche le opere e i cimeli di valore storico e iconografico.
Quella di Bertolini era però una visione solitaria, isolata rispetto a posizioni chiuse in un'ottica retriva e selettiva del bene culturale e del museo (inteso come raccolta di grandi opere da contemplare con religiosa devozione o da utilizzare per inculcare il "culto del bello"). Basato su tali presupposti un piccolo museo locale a Correggio poteva provocare solamente orgoglio municipalistico o derisione. Si verificò la seconda ipotesi e le opere furono di nuovo sparpagliate; solo una parte rimase a mo'di arredamento della sala di lettura di quella che si andava configurando anche visivamente come una "biblioteca-museo".
Gli anni successivi alla grande guerra videro una buona ripresa dell'attività del teatro "Asioli", con la tradizionale proposizione di stagioni liriche in occasione della Fiera di S. Luca. Intanto anche il "Mariani", un cinema-teatro privato aperto nel 1914, funzionava quasi tutto l'anno soprattutto con spettacoli cinematografici, operette e varietà.
Il menu proposto dall'"Asioli" era costituito dai classici del melodramma italiano, con Verdi e Puccini come piatti forti. Si ebbe qualche novità soprattutto nelle modalità di organizzazione delle stagioni teatrali, specialmente dopo che un decreto-legge del 1928 consentì ai Comuni proprietari di teatri di applicare ai palchettisti un contributo sugli spettacoli. Ciononostante il suo funzionamento comportava una discreta spesa per il Comune cosicché, nel 1942, il Podestà lo concesse in affitto ad un privato, non essendo il Comune in grado di realizzare gli importanti lavori di manutenzione che sarebbero occorsi per garantirne un sicuro funzionamento. Di fatto I'"Asioli" venne trasformato in cinematografo, senza che peraltro i nuovi gestori compissero i lavori di restauro cui erano tenuti; anzi un uso dissennato provocò ulteriori gravi danneggiamenti. La maggiore istituzione culturale della città, che per secoli aveva dato prestigio a Correggio, veniva così condannata ad un misero destino. Era il tramonto non solo di un importante servizio culturale e di un monumentale edificio, ma di un simbolo in cui si era da sempre identificato l'orgoglio e il primato dei ceti dirigenti della città. Sarebbero dovuti passare trent'anni prima che 1%Asioli" potesse ritornare a piena vita, per volontà di una nuova classe dirigente e con una gestione pubblica confacente al nuovo clima sociale, culturale e politico.
In conclusione è difficile negare che nel primo periodo del ventennio fascista vi sia stato un passo avanti nelle vicende delle istituzioni culturali correggesi. Se per alcune di esse rappresentò una fase di stagnazione (teatro "Asioli" e Scuole di belle arti), per altre consentì la realizzazione almeno parziale dei buoni propositi a lungo sbandierati, ma sempre rinviati, negli anni precedenti. Questo processo portò ad un certo equilibrio fra le due maggiori istituzioni: teatro e biblioteca. Ciò avvenne per un ridimensionamento (soprattutto di status e di funzioni sociali) del primo e per una contestuale crescita (strutturale e di "utilità" politica) della seconda. il restauro dei Palazzo dei Principi (protrattosi, con interventi successivi, dal 1919 al 1927) fu di per sé un fatto positivo; la sua parziale destinazione a fini culturali consentì poi, anche se in modi inadeguati, di trovare una sede più confacente al museo, alla biblioteca e agli archivi. L'unificazione di queste istituzioni nel Palazzo dei Principi fu un fatto significativo, anche se non ancora dovuto alla maturazione di una nuova concezione dei beni culturali.
Le opere d'arte della città poterono essere riunite ed organizzate in un piccolo quanto effimero museo: per molte di esse si trattò di un reinserimento nel loro ambiente originario. Lo stesso dicasi per l'Archivio Notarile, che ormai aveva assunto un valore esclusivamente storico-documentario. La biblioteca, a cui venne per la prima volta associato l'Archivio di Memorie Patrie, smise di essere un ammuffito e polveroso deposito di libri vecchi ed antichi per diventare un vero e proprio servizio pubblico. Non si trattò comunque di una rottura in senso innovativo rispetto al passato, ma di un adeguamento a nuove esigenze politiche e sociali. I risultati furono tuttavia scarsi perché limitate furono queste nuove finalità politiche e sociali. Esse si proposero non di rinnovare la società, non di ammodernare la cultura, bensì di comprimerle all'interno di un disegno di dominio politico, economico e istituzionale assai rigido e antidemocratico.
La cultura e le sue strutture organizzative furono essenzialmente concepite e utilizzate come strumenti di diffusione del conformismo e della mediocrità culturale. Per tutte queste ragioni, che ebbero origine e dimensione nazionali prima che locali, le realizzazioni in campo culturale finirono per essere asfittiche e neppure funzionali ai fini che vennero loro assegnati (oltretutto con dotazioni finanziarie ben scarse). Una parte peri lungo la strada (museo e scuola di musica) e un'altra, di salute già minata, morì in guerra (biblioteca, archivi, teatro e scuola di disegno): una guerra pur essa voluta dal regime.


Cronologia

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1484 ca. Viene completata la costruzione della Chiesa di S. Francesco.
1487 La Fabula di Caefalo di Nicolò Postumo viene rappresentata alla Corte di Ferrara.
1489 Nasce Antonio Allegri (m. 1534).
1493 Andrea Mantegna dipinge il Redentore.
1496 ca. Viene ultimato il Palazzo di Nicolò Postumo in Piazza Castello.
1504 Veronica Gambara (1485 -1550) conosce il Bembo e stringe con lui un'amicizia elevatissima.
1508 Muore Nicolò Postumo. Veronica Gambara giunge a Correggio come sposa del conte Giberto X. Viene ultimata la costruzione del Palazzo dei Principi.
1513 Comincia la costruzione della Basilica di S. Quirino.
1525 Nasce Rinaldo Corso (m. 1582), letterato, giurista, vescovo.
1532-1530 L'imperatore Carlo V visita Correggio, ricevuto nel "Casino delle Delizie".
1533 Nasce il musicista Claudio Merulo (m. 1604).
1561 Sul bastione nord-ovest della città viene eretto un importante convento per i Padri Domenicani.
1611 Il conte Siro istituisce l'Archivio notarile e vi destina una stanza dei suo Palazzo.
1615 In occasione dell'investitura di Siro a principe si svolgono grandi feste, con tornei, giochi, concerti e rappresentazioni teatrali.
1621 Nel cortile-giardino del Palazzo dei Principi viene rappresentato il Pastor Fido di G. B. Guarini.
1630 Il principe Siro viene dichiarato decaduto. il Palazzo dei Principi viene saccheggiato dai Lanzichenecchi e danneggiato da un incendio.
1635 Gli Estensi si impossessano di fatto del Principato di Correggio.
1648 Mattia Preti dipinge il San Bernardino che risana lo storpio per la chiesa di S. Francesco.
1653 Il Duca concede a un gruppo di giovani l'ex Palazzo di Nicolò per rappresentarvi commedie.
1662 Viene inaugurato, alla presenza del duca Alfonso IV d'Este, il Teatro realizzato nell'ex Palazzo di Nicolò.
1681 Nasce il pittore Girolamo Donnini (m. 1743).
1752 Il Teatro subisce importanti lavori di rifacimento e ampliamento.
1767 Nasce il musicista Giovanni Asioli (m. 1831).
1769 Nasce il musicista Bonifazio Asioli (m. 1832).
1778 Nasce il musicista Luigi Asioli (m. 1815).
1783 Nell'ex convento dei Domenicani viene istituito il Collegio Ducale, nel cui ambito operano anche una Biblioteca pubblica e una Scuola di musica.
1785 L'Archivio notarile viene trasferito nel Palazzo comunale.
1788 Nasce l'incisore Samuele Jesi (m. 1853).
1797 Per la prima volta sfila per le vie cittadine un complesso bandistico diretto da Luigi Asioli.
1810 Gli Scolopi debbono abbandonare Correggio e il Collegio Ducale viene chiuso.
1814 Bonifazio Asioli, dimesso dal Conservatorio di Milano, fa ritorno a Correggio.
1817 Nasce il pittore Luigi Asioli (m. 1877).
1819 Il Collegio viene riaperto e affidato ai Reverendi Oblati.
1827 ca. Si comincia a formare un Archivio di Memorie Patrie presso il Municipio.
1833 ca. Prende corpo il proposito di allestire in alcune sale del Municipio una Galleria d'arte.
1843 Viene istituita, con decreto ducale, una Scuola comunale di disegno.
1852 Il nuovo Teatro viene solennemente inaugurato alla presenza di Francesco V.
1868 La Biblioteca viene trasferita nell'ex convento di S. Francesco.
1870 Vengono inaugurate una "Biblioteca classica- e una "Biblioteca circolante popolare".
1871 L'Archivio di Memorie Patrie viene trasferito nell'ex convento di S. Francesco.
1873 Con la sistemazione della facciata e il completamento delle decorazioni interne il Teatro è finalmente terminato.
1875 L'Archivio notarile cessa di avere una funzione attiva.
1880 Alcune sale del Municipio ospitano una Galleria delle opere d'arte della città, aperta al pubblico nelle circostanze solenni. Viene inaugurato, con un ricco programma di cerimonie e di manifestazioni culturali, il monumento di V. Vela dedicato al Correggio. L'Amministrazione Comunale acquista la cosiddetta "Casa del Correggio". Il Teatro, dal 1863 dedicato ad Antonio Allegri, viene intitolato a Bonifazio Asioli.
1889 Un incendio danneggia gravemente il Teatro.
1897 Viene avanzata la proposta di raccogliere in alcune sale del Palazzo dei Principi gli oggetti d'arte di proprietà comunale.
1898 Riapre, dopo lunghi lavori di ricostruzione, il Teatro Asioli.
1909 Un incendio scoppiato in teatro durante una proiezione cinematografica provoca due morti e decine di feriti. Viene inaugurato un Teatro all'aperto denominato "Trianon".
1914 Inaugurazione dei Politeama "Teresa Mariani".
1919-1920 Vengono eseguiti lavori di restauro e consolidamento del Palazzo dei Principi.
1920 Enrico Bertolini (1884 -1958) viene incaricato di raccogliere nel piano nobile del Palazzo dei Principi quadri ed opere di interesse storico e artistico.
1925 Prende avvio un radicale restauro del Palazzo dei Principi che si protrae fino al 1927. Le Biblioteche vengono trasferite e disordinatamente ammassate nel Palazzo dei Principi.
1928 L'incarico di bibliotecario è affidato a Riccardo Finzi (1899 1979), che procede al riordino dei fondi librari e documentari.
1929 Al Bertolini viene revocato l'incarico di direttore provvisorio del Museo; le opere d'arte sono in parte destinate ad arredare la Biblioteca e in parte disperse fra diversi uffici ed enti.
1930 Inaugurazione della Biblioteca Civica, alla quale viene associato l'Archivio di Memorie Patrie.
1934 Solenni celebrazioni del IV centenario della morte del Correggio.
1936 L'Archivio notarile viene trasferito e disordinatamente ammassato nel Palazzo dei Principi. La Scuola di musica viene chiusa.
1942 Il Teatro "Asioli" è concesso in affitto ad un privato che lo adibisce principalmente a cinematografo.
1943 Il Palazzo dei Principi viene adibito a caserma. La Biblioteca e la Scuola di disegno cessano di funzionare.