Gli arazzi del Palazzo dei Principi - Nello Forti Grazzini

Primo panno Secondo panno Terzo panno Quarto panno Quinto panno

La cospicua raccolta di arazzi visibile presso il Palazzo dei Principi di Correggio costituisce un insieme artistico di grande interesse, una tappa essenziale per chi voglia ricostruire la storia dell'importazione degli arazzi di Bruxelles in Italia. Il restauro cui i manufatti sono stati sottoposti negli ultimi decenni, svolto con sistematicità (e in fase di ultimazione), ha portato, oltre al recupero di una piena leggibilità delle scene e dell'originario vigore cromatico dei filati, alla riunificazione di soggetti che due secoli fa erano stati tagliati. Ne è uscita valorizzata la preziosa collezione, della quale è definitivamente stabilita la consistenza numerica: comprende dunque non dodici, come si credeva in passato, ma Dove arazzi, articolabili su tre serie - cinque soggetti formano la serie dei Giardini, tre quella delle Cacce, un panno isolato raffigura una Festa popolare -, cui si aggiungono sei frammenti di bordure, in parte riferibili alle serie esistenti.
Tutti i pezzi sono lavorati con filati di lana e seta, su orditi di finezza variabile: nei Giardini, più fini, si contano otto fili di ordito per cm e, rispettivamente, sette e sei fili di ordito per cm nelle Cacce e nella Festa popolare. Malgrado siano state tutte private delle bordure, a causa di un deprecabile riadattamento attuato nel tardo Settecento, e a parte qualche lacuna chiaramente visibile, le scene appaiono integre e in buono stato. Si tratta, per tutti i pezzi, di immagini decorative di matrice fiamminga tardocinquecentesca, con figurette ambientate entro ampi paesaggi che, concepiti sulla base di punti di vista rialzati, occupano buona parte delle campiture, lasciando posto ai cieli soltanto nelle estreme fasce superiori.
Nei Giardini i paesaggi sono organizzati sulla base di rigorosi tracciati prospettici; nelle Cacce e nella Festa gli scenari risultano più mossi. In ogni caso, sono le vedute a costituire il soggetto primario delle figurazioni, malgrado non manchino mai figure vivacemente atteggiate che, con la loro presenza e con i loro atti, giustificano il dispiegarsi degli scenari naturali. I personaggi illustrati, in piccola scala, hanno un ruolo puramente descrittivo nelle Cacce e nella Festa, mentre quelli dei Giardini, per lo meno taluni disposti a ridosso dei primi piani, celano qualche dotta allusione mitografica: ne deriva, in questi ultimi, un tono più colto e "letterario", sinora non rilevato dagli studiosi.
Per quanto l'asportazione delle bordure abbia comportato la perdita delle marche della città di produzione e dei monogrammi degli arazzieri eventualmente inscritti nelle cimose, è certo che tutti gli arazzi furono tessuti a Bruxelles, probabilmente entro l'ultimo quindicennio del XVI secolo. L'origine brussellese e la cronologia, confermate dai raffronti che più sotto proporremo, sono preventivamente accertate dalla gamma cromatica delle trame tessili, in particolare dalla realizzazione dei paesaggi tramite l'impiego di una limitata ma efficace gamma di verdi ravvivata da accensioni luministiche color oro e variata dal parco uso di altri colori - il rosso, il rosa, il blu, il marrone, il bruno, il panna - per caratterizzare i dettagli dei prosceni, i costumi delle figure, gli animali. Questa cromia, in connessione coi particolari impianti compositivi, costituisce una vera e propria "firma" di una manifattura brussellese nel periodo che s'intercala tra la fase delle monumentali serie narrative e classicheggianti a figura, del primo e del pieno Cinquecento, e quella delle roboanti serie rinnovate in senso barocco, sull'esempio di Rubens, dal secondo decennio del XVII secolo. Infatti anche la vena paesistica dominante negli arazzi di Correggio, e il diminuito "peso" figurativo assegnato alle comparse umane dedite al giardinaggio, alle avventure venatorie, alle ricreazioni all'aperto, rientrano agevolmente in un filone ben rappresentativo degli arazzi prodotti a Bruxelles tra l'ultimo quarto del XVI secolo e il primo quarto del secolo successivo: arazzi intesi come media essenzialmente decorativi, privi di pesanti implicazioni erudite; gai specchi della vita quotidiana; rasserenanti veicoli di ricreazione per gli occhi e per le menti di un pubblico aristocratico di aspirazioni neofeudali, che assegnava ai paramenti intessuti il compito di celebrare uno stile di vita fondato sul privilegio di sangue e di casta.
E chiaro dunque che i nostri nove panni non furono tessuti a Correggio, dove pure nell'ultimo quarantennio del XV secolo era stata attiva una piccola manifattura: Rinaldo Duro, l'arazziere chiamato da Antonio e riconfermato da Nicolò da Correggio come responsabile dell'arazzeria locale, cui taluni studiosi - il Bigi in testa - vollero in passato assegnare le serie del Palazzo dei Principi, era scomparso da un secolo, assieme alla sua manifattura, quando i nostri manufatti furono realizzati. Furono invece eseguiti e acquistati nelle Fiandre, come avvertì per primo il Pettorelli e come hanno riconfermato, dal 1936, tutti gli studiosi. Il legame con Correggio può essere ravvisato unicamente in chiave di committenza e di destinazione se, com'è probabile ma non definitivamente provato, gli arazzi furono acquistati da uno dei signori di Correggio proprio per ornare il Palazzo dei Principi. Secondo il Pettorelli, l'acquirente sarebbe stato Gerolamo da Correggi o: ma questi, che pure non disdegnava siffatti manufatti, tanto da includere nel suo guardaroba delle "tapezzerie di Fiandra di panno affigurate dell'historia di Abraam et Isaae", scomparve troppo presto, nel 1572, per avere avuto una parte nell'importazione dei nostri arazzi, il cui stile rimanda ad anni posteriori. Più verosimile è l'ipotesi, del Finzi e del Ghidini, che il compratore fosse il suo immediato successore, il conte Camillo da Correggio, reggente dello staterello padano sino al 1605: volendo emulare i fasti dei suoi predecessori quattrocenteschi, o prendendo spunto dalle grandi raccolte di arazzi visibili allora presso le vicine corti degli Estensi o dei Gonzaga, Camillo si sarebbe procurato panni istoriati da apparare nei saloni del suo palazzo, ordinandoli a una manifattura di Bruxelles o acquistandoli presso il grande mercato coperto di Anversa, il Tapissierspand, dov'erano poste all'incanto le tappezzerie brussellesi.
Un inventario degli arredi del Palazzo dei Principi reso noto dal Rombaldi, che fu redatto nel 1606, dunque subito dopo la morte di Camillo e l'ascesa al trono del suo successore, Siro (l'ultimo signore di Correggio), documenta la presenza in loco di ventiquattro (o quarantadue) arazzi, di cui i nove attuali rappresenterebbero la porzione superstite. In quegli anni appunto, come annotò il Pungileoni, i visitatori, oltre ai dipinti del Correggio e alle argenterie, ammiravano le "tappezzerie" disposte nella residenza di Siro. Alla detronizzazione di quest'ultimo, nel 1631, il palazzo fu sottoposto a razzie e in parte dato alle fiamme ma taluni arredi, fra cui "alcune tappezzerie", scamparono alla rovina nella chiesa di San Quirino e furono poi poste nell'aula del Consiglio degli Anziani. 2 soltanto un'ipotesi, ma verosimile, che tra quelle tappezzerie fossero compresi i nove panni attuali: essa implica naturalmente che nel secolo e mezzo successivo, quando Correggio cadde sotto il dominio estense, nessuno dei duchi di Modena fosse tentato d'incamerare gli arazzi di Correggio nell'ampio guardaroba estense. Scampati dunque all'espatrio, nel 1786 gli arazzi superstiti, come dimostra un documento reso noto da Ghidini, furono "adattati", tramite tagli delle bordure e delle scene, alle dimensioni necessarie per arredare taluni locali del Municipio (il che spiega lo stato incompleto dei panni), dove rimasero finché, una cinquantina d'anni fa, ne furono tolti per essere riposti nel Palazzo dei Principi.
Il nucleo più ampio e suggestivo della raccolta è costituito dai cinque Giardini, concepiti come spettacolari scenari paesistico-prospettici. Raffigurano tipici parchi nobiliari del tardo Cinquecento, formati da geometriche aiuole, talora cinte da balaustre o incentrate su alberi isolati, e arricchiti da pergolati sorretti da erme e cariatidi, da statue, da fontane, da corsi d'acqua, da padiglioni classicheggianti. La natura artificiale di questi brani paesistici vincolati dalle regole della geometria e della simmetria risalta a contrasto con i prosceni incolti, ove sono disposti piccoli animali, e con i pittoreschi fondali collinari cosparsi di alberelli, case, rovine antiche. Oltre a sottolineare il contrasto tra la natura coltivata e quella incolta, il cartonista degli arazzi si è rifatto a una tipica concezione dell'arte del giardinaggio dell'epoca, ravvisando nel parco non soltanto un luogo ameno e tranquillo, ma un locus letterario e umanistico, uno spazio mentale, una sorta di Eden mitologico. Trasposte nella sfera del mito, le visioni dei giardini alludono probabilmente a una vagheggiata età dell'oro, teatro dell'incontro tra la natura feconda e un'umanità felice. Ma gli stessi miti raffigurati, preludendo talora ad esiti drammatici, insinuano nella visione un senso di precarietà, di fragilità: l'età dell'oro è un sogno e come tale destinato a infrangersi.
Le piccole figure dei Giardini non vestono abiti cinquecenteschi ma sono abbigliate all'antica. Tra le aiuole si muovono giardiniere, soldati, coppie colte in amabili conversari. Ma in ciascun arazzo una o più figure poste sul primo piano richiamano precisi episodi mitologici; i miti non sono compiutamente narrati, ma appena accennati: le allusioni sono però sufficienti ad arricchire le vedute di un surplus contenutistico, ad introdurre cioè, con mano leggera, un livello semantico erudito da proporre, come giocoso rebus iconologico, allo spettatore degli arazzi. Cosa accomuna tutte le citazioni? La derivazione da un'unica fonte letteraria, le Metamorfosi di Ovidio, un testo caro alla cultura rinascimentale e quanto mai adatto a fornire exempla mitologici del rapporto tra l'uomo e la natura.
Dunque gli arazzi non raffigurano soltanto Giardini, ma Giardini con figure ovidiane e in tal modo si ricollegano a importanti precedenti nell'ambito della storia dell'arazzo cinquecentesco. Pensiamo alle Metamorfosi tessute a Ferrara nel 154345 da Giovanni Karcher, da modelli di Battista Dossi, Camillo Filippi e Bernardino Bellone: uno dei soggetti superstiti, il panno detto dei Giardini (Parigi, Louvre), accosta figure metamorfiche ovidiane sul primo piano a una veduta con giardini, nello sfondo, riconosciuta come il ritratto del parco di una scomparsa "delizia" estense. E nelle Storie di Vertumno e Pomona, una celebre serie di arazzi brussellesi, nota in più redazioni reperibili a Madrid e a Vienna, disegnata verso il 1540-45 da Jan Cornelisz Vermeyen con la collaborazione di Cornelis de Bos o di Pieter Coecke van Aelst, la favola ovidiana si snoda sui primi piani, davanti a vaghe vedute di giardino ritmate dalle aperture di un sorprendente pergolato sorretto da erme all'antica. Ma alle figure di quest'ultima serie è conferita una monumentale evidenza: gli arazzi cioè propongono una storia ovidiana ambientata davanti a sfondi di giardino e non, come nella serie a Correggio, vedute di giardino con comparse ovidiane. Tra le Storie di Vertumno e Pomona e i nostri Giardini c'è dunque uno iato, che indica anche un trapasso culturale e cronologico dal pieno al tardo Cinquecento. Colma questo iato una Storia di Pomona tessuta a Bruxelles, più o meno coeva rispetto alla serie del Palazzo dei Principi, nota tramite due soggetti conservati a Genova, Museo di Palazzo Bianco, una replica nel Museo di Minneapolis e due panni appartenenti a una diversa redazione in collezioni private: in questa serie, recentemente studiata da Piero Boccardo e da Candace Adelson, le dimensioni delle figure poste sui primi piani sono infatti intermedie tra quelle del Vertumno e Pomona e dei nostri Giardini, ma i parchi degli sfondi sono ampi e prospetticamente organizzati, al pari di quelli illustrati a Correggio.
Vediamo dunque quali sono i temi umanistici dei Giardini (enumerando gli arazzi secondo l'ordine di apparizione degli episodi mitologici nelle Metamorfosi ovidiane).

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Un dato essenziale per ricostruire l'origine dei Giardini è stato messo in campo dalla Ghidiglia Quintavalle, che per prima ha rilevato l'esistenza di una replica del Giardino con Giove e Callisto presso il castello di Kronborg a Elsinore (Danimarca), unico panno superstite d'una serie nella quale dovevano verosimilmente ricomparire anche gli altri soggetti del cielo del Palazzo dei Principi. E poiché, di regola, i cartoni di una serie erano proprietà dell'arazziere, che poteva riprodurli più volte, il tessitore del panno a Elsinore fu lo stesso degli arazzi di Correggio: e il primo, completo ancora della sua bordura originaria, reca nella cimosa la marca 'T - scudetto - B" de città di Bruxelles e il monogramma "CM" di un arazziere, Cornelius Mattens, attivo nella capitale delle Fiandre (secondo quanto riporta il Góbel) tra il 1580 e il 1640. Sono note altre opere dello stesso arazziere, spesso realizzate in collaborazione con Henri Mattens. L'assenza di notizie biografiche non consente di ancorare a una circoscritta fase della sua attività l'esecuzione dei Giardini: acquisiamo soltanto, per ora, il termine 1580 come limite post quem per la loro fattura.
La bordura dell'arazzo a Elsinore, diversa da quella rivelata in parte dai frammenti di Correggio, è caratterizzata dalla presenza di personificazioni della Fede, della Carità e della Speranza nel fregio inferiore, della Castità e della Giustizia in quello superiore. Negli angoli superiori vi sono le eroine bibliche: Ruth a sinistra e Giuditta a destra; negli angoli inferiori gli episodi biblici di Susanna e i vecchioni a sinistra e di Betsabea al bagno a destra. Uguali bordure si rinvengono in altre opere siglate da Cornelius Mattens - una Storia di Scipione nel Museo Municipale di Regensburg e quattro Scene di storia antica presso il castello di Monselice -, ma anche nelle già citate Storie di Pomona del Museo di Palazzo Bianco a Genova, opera però di un altro anonimo tessitore di Bruxelles, le quali in tal modo nuovamente si ricollegano, sia pure in modo mediato, tramite la bordura, con i nostri Giardini.
Una bordura pressoché identica si rinviene però anche in un arazzo con Giardino passato in vendita presso Christie's, Londra, l'8 luglio 1982 (n. 11), corredato dalla marca di Bruxelles ma privo del monogramma dell'arazziere. Si rivela una tessera fondamentale della nostra analisi, in quanto non vi è dubbio che il cartone utilizzato per realizzarlo fosse parte del gruppo dei modelli da cui furono tratti i Giardini di Correggio e Elsinore. Anche in questo caso la veduta del parco, incentrata sull'arco di accesso a un viale coperto da un tunnel di pergolati (un motivo analogo si ritrova in un arazzo con Giardino ed edifici del Patrimonio Nacional di Spagna, n. A 361-12181, siglato dal brussellese Jan Mattens), è definita da rigorose ortogonali prospettiche, e vi sono piccoli animali tra la verzura del proscenio e colline nello sfondo. Anche in questo caso un personaggio in primo piano, all'imboccatura del giardino, allude a un mito narrato nelle Metamorfosi di Ovidio: una figura femminile inginocchiata, che volge di scatto la testa verso il calcagno morso da un serpentello. E' Euridice, la fanciulla amata da Orfeo, uccisa dal morso di un aspide (Metamorfosi, X, 8-10) mentre, in compagnia delle Naiadi, vagava attraverso i prati. E' probabile che anche questo arazzo venisse tessuto da Cornelius Mattens e, poiché non è parte della serie di Correggio, per via della diversità della bordura, né fa gruppo col panno a Elsinore, essendo di maggiore altezza, rivela l'esistenza di una terza "edizione" dei Giardini. Al cielo, evidentemente, arrise una notevole fortuna e l'arazziere ne fece varie repliche. In una di queste era inclusa una riedizione, non firmata, del Giardino con Cefalo e Procri, che, già parte del museo della famiglia Guidi di Faenza, fu battuta all'asta di Roma, in piazza Borghese 10, il 21-27 aprile 1902, n. 426 (erroneamente attribuita alla manifattura di Beauvais e intitolata Rinaldo e Armida).
Il successo della serie dipese certamente dal suo contenuto allo stesso tempo decorativo ed erudito, e dall'esuberanza delle figurazioni, ricche d'infiniti dettagli naturalistici ingabbiati però entro rigorosi scenari geometrici. Il pittore dei cartoni, sicuramente un fiammingo, non è identificabile, ma la sua cultura può essere precisata, rilevando in primo luogo la somiglianza formale delle sue figure con quelle delle Storie di Alessandro Magno, tre arazzi tessuti da Frans Geubels a Bruxelles verso il 1570-80 (Roma, collezione della RAI), dall'altro notando che trasse decisivi spunti dall'opera di un suo celebre conterraneo, Hans Vredeman de Vries, pittore e architetto, i cui modelli riprodotti a stampa furono ripresi, come s'è detto, nel Giardino con Minerva e le Muse e nel Giardino con Cefalo e Procri. Più in generale, l'ignoto cartonista ebbe presenti le stampe delle Hortorum viridiarumque elegantes et multiplicesfiormae ad architectonicae artis, cioè le vedute di giardini che, disegnate dal Vredeman de Vries, furono stampate dal Galle nel 1583-87: queste vedute di parchi geometrici, con pergolati, erme, fontane, assi prospettici convergenti verso pittoresche emergenze architettoniche offrirono lo spunto decisivo ai paesaggi degli arazzi, nei quali inoltre dichiarano un omaggio ai disegni architettonici del Vredeman de Vries i fantasiosi pergolati in forma di padiglioni, tempietti, tunnel, torri e perfino di palazzi. Vanno inoltre presi in considerazione in questo contesto due disegni, assegnati al Vredeman de Vries, che si connettono in modo strettissimo con i nostri panni, sia sul piano formale che per l'iconografia: due Vedute di giardino conservate a Parigi, Ecole des Beaux-Arts, nn. M 649-650, comprendenti anche figure, tra cui una giardiniera la cui posa ricorda la protagonista del Giardino con Euridice passato in vendita da Christie's.
La data di pubblicazione delle prime venti tavole delle Hortorum viridiarumque [ ... ] formae, il 1583, costituisce un buon termine cronologico post quem, per gli arazzi di Correggio e per gli altri pezzi collegati. Un altro termine di riferimento può essere costituito dal fatto, documentato, che nel 1607 gli arciduchi delle Fiandre, Alberto e Isabella, acquistarono a Bruxelles ventinove arazzi, tra cui una serie detta del Jardinage, forse una delle edizioni dei Giardini. A tale data, comunque, la serie del Palazzo dei Principi, se era compresa tra le tappezzerie di Siro inventariate nel 1606, era già stata tessuta.
Vedute di giardini allietati da fontane e pergolati compaiono anche negli sfondi dell'altra serie del Palazzo dei Principi, quella delle Cacce, formata da tre soggetti.
L'andamento inevitabilmente più concitato e drammatico e l'intervento di un diverso cartonista distinguono questo gruppo da quello dei sognanti Giardini. In realtà le due serie esprimono un gusto del tutto simile e, come si dimostrerà, furono probabilmente tessute nella stessa manifattura.
La caccia, svago aristocratico per eccellenza in età medievale e moderna, è uno dei temi più diffusi nell'arte dell'arazzo di tutti i tempi: basti soltanto ricordare, attorno al 1430, i quattro immani paramenti delle Cacce del Devonshire tessuti ad Arras (Londra, Victoria & Albert Museum), o, verso il 1530, le straordinarie dodici Cacce di Massimiliano tessute a Bruxelles (Parigi, Louvre), i cui modelli, è il caso di riconfermarlo, furono approntati da Bernard van Orley. Conformandosi a un modulo tardocinquecentesco, le Cacce di Correggio sono concepite come quadri paesistici raffiguranti boschi ai margini di ville o villaggi visibili negli sfondi; nelle ampie radure, ove cresce un'abbondante vegetazione di sottobosco, sono ambientate le scene venatorie, cui prendono parte decine di figure a piedi o a cavallo, ora fissate nella concitazione della caccia, ora mentre accorrono dove sono avvistate le prede o mentre si svagano in una pausa della battuta.
Al centro dell'arazzo con la Caccia ai lupi (cm 215 x 230) - scambiata talora per una caccia al cinghiale - è raffigurato un feroce combattimento tra i cani e i lupi, questi ultimi infilzati da cacciatori armati di lunghe picche; in secondo piano altre prede vengono spinte verso un passaggio dov'è appostato un uomo armato di fucile. Sul proscenio un cacciatore, un vero e proprio dandy, sembra muoversi con studiata lentezza come per mostrare la sua impeccabile tenuta: il cappello con la piuma, il gilet rigato da cui escono le maniche della camicia rossa, i pantaloni stretti sul ginocchio; la gola è chiusa nel colletto di trine, secondo i dettami della moda alla fine del XVI secolo. Di dimensioni maggiori è il panno della Caccia all'orso (cm 210 x 300) che illustra, nelle sue diverse fasi, la pericolosa battuta. Sul proscenio sono raffigurati cacciatori dotati di corni, picche, forche: corrono a dare manforte ai compagni in lotta con un feroce plantigrado, al centro della scena, che è riuscito ad atterrare un assalitore e gli è sopra con le unghie e i denti. Nello sfondo vediamo altri orsi in fuga, inseguiti da uomini e cani; a destra, un orso, dopo aver ferito un uomo, è immobilizzato dalle forche dei cacciatori. L'intenzione, evidentemente, non è di uccidere, bensì di catturare gli animali, forse per addomesticarli o rinchiuderli nei serragli.
Nessun rischio presenta per i cacciatori la Caccia alle anatre e agli aironi (cm 236 x 366) dispiegata sul terzo arazzo: le prime vengono uccise a colpi di schioppo mentre galleggiano placide sulle acque di una palude, i secondi vengono assaliti in volo dai falconi lanciati. L'assenza dei pericoli è sottolineata dal festino sulla destra, cui prendono parte anche dame giunte in carrozza o uscite da un attiguo parco. 1 cacciatori bevono vino e, allietati dalla musica di un liuto, corteggiano le compagne di scampagnata.
Altri arazzi del tardo Cinquecento, tutti eseguiti nelle Fiandre, a Bruxelles o in altri centri, raffigurano il tema della caccia nella forma di un gaio spettacolo inscenato da numerose piccole figure disperse entro ampi paesaggi boschivi. Si possono citare le Cacce Vidoni, opera di un anonimo tessitore di Bruxelles, suddivise tra il Museo di Palazzo Venezia a Roma e il castello di Laarne presso Gand, e vari pezzi ad esse collegati, tra cui la Caccia alla volpe con amanti e piccolo Cupido in collezione privata milanese, resa nota da E. Spina Barelli; o una Caccia all'orso dei Fine Arts Museum di San Francisco, o una Caccia al bufalo del Museo di Palazzo Venezia a Roma, o una Caccia alla volpe del Museo Civico di Torino, o una Caccia al cervo e alle anatre passata in vendita presso Christie's, Londra, il 29 maggio 1986 (n. 186). Entro questa variegata "famiglia" di arazzi brussellesi rientra anche una Caccia coi falconi già presso l'Hótel de Ville di Bruxelles, celebre per via dello sfondo con la veduta del palazzo imperiale di Bruxelles distrutto da un incendio nel tardo Settecento; forse non è mai stato rilevato che di questo soggetto esiste una replica a Longleat House presso Bath (Inghilterra) e accoppiata con un altro panno della stessa serie, di soggetto venatorio: sono opera del brussellese Frans Geubels e fanno gruppo con un arazzo gia noto di questo arazziere (una Caccia già a New York, collezione Dawson e G. Morgan Vanderbilt). Altri arazzi sullo stesso tema uscirono, entro il 1585, dalla manifattura del Geubels, come dimostra ' tra gli altri, la Caccia al cinghiale presso il Museo Civico di Torino. Tra i panni similari ma non di Bruxelles, assegnabili per lo più alle manifatture di Oudenaarde, citiamo soltanto quattro inedite Cacce reperibili nella sede di Mediobanca a Milano, tre Cacce presso il Museo d'Arte Sacra di Gandino, una Caccia alle anatre coifalconi presso il palazzo vescovile di Como, una Caccia al cervo della Abegg-Stiftung a Riggisberg (Berna) e una Caccia al toro del Victoria & Albert Museum a Londra. Tutte queste opere, in parte già richiamate dagli studiosi degli arazzi di Correggio, riecheggiano lo stile e gli impianti figurativi di questi ultimi; in qualche caso presentano perfino singole figure fissate in pose che ricompaiono nelle Cacce del Palazzo dei Principi, probabilmente per via di un trapasso di spunti da cartone a cartone, o per il riferirsi dei modelli a comuni prototipi. Indicano dunque come gli arazzi di Correggio s'inserissero in una diffusa tipologia, ma allo stesso tempo non offrono dati stringenti per ancorare il nostro gruppo a una precisa manifattura.
Appare dunque di particolare importanza, in questo contesto, una Caccia all'orso già in collezione Boccara a Parigi, esposta nel 1984 alla mostra Lesfastes de la tapisserie (n. 7), quindi ripubblicata nel 1988 da J. Boccara, che è invece una puntualissima replica, leggermente ampliata in alto e ristretta sui lati, dell'omonimo arazzo presso il Palazzo dei Principi. E ornata da una bordura a fiori, erme, puttini, interrotta da Virtù negli angoli superiori, da Marte e una Vittoria su carri negli angoli inferiori, da piccoli paesaggi e da un Cupido al centro del fregio superiore. La cimosa destra reca inseritto, in basso, il monogramma dell'arazziere: quello del brussellese Cornelius Mattens, che abbiamo già nominato come il probabile esecutore dei Giardini. Se ne deduce che lo stesso arazziere intervenne con buona probabilità anche nelle Cacce, i cui cartoni, giacenti presso la sua bottega, riutilizzò più di una volta.
Una controprova in tal senso ci è fornita da due frammenti di bordura conservati presso il Palazzo dei Principi, con Susanna e i vecchioni e David e Betsabea, tratti verosimilmente da una delle Cacce, in quanto presentano identiche gradazioni cromatiche. Queste due scenette bibliche si ritrovano più volte negli angoli inferiori degli arazzi tessuti da Cornelius Mattens (nei già citati Giardini a Elsinore e sul mercato, nelle Scene di storia romana a Monselice, nella Storia di Scipione a Regensburg), dunque riconfermano che proprio lui fu l'esecutore, oltreché dei Giardini, anche delle scene venatorie. Alla sua manifattura evidentemente si rivolse ripetutamente Camillo da Correggio, allorché decise di ornare con nuovi arazzi le pareti del Palazzo dei Principi; vi ordinò almeno due serie. 2 invece impossibile dire se il Mattens fu il suo fornitore esclusivo. Altri due frammenti di bordura conservati presso il Palazzo dei Principi, non riferibili né ai Giardini né alle Cacce, ma neppure alla Festa popolare, implicano l'esistenza di almeno un'altra serie andata perduta, il cui autore non può essere precisato. I due frammenti di bordura, ornati a scomparti, con figure, paesaggi e animali di significato allegorico, si rifanno a una tipologia alquanto diffusa presso le manifatture di Bruxelles nel pieno e nel tardo Cinquecento. Rappresentano: nella metà inferiore una suonatrice, forse una Musa o una personificazione della Musica; nella metà superiore piccoli paesaggi con figure e scenette con animali, in un caso un grande pesce (forse una balena) arenato su una spiaggia, nell'altro un leggendario animale, il basilisco, che immobilizza un uccello in volo per divorarlo. Quest'ultima scenetta riprende un'immagine tradizionale delle bordure brussellesi dove, ispirata - come rileva Tervarent - ai bestiari medievali, illustra il proverbio leti est causa voluptas (il piacere è causa di morte).
Non resta ormai che menzionare, a conclusione di queste pagine, l'ultimo arazzetto conservato a Correggio, la Festa popolare (cm 135 x 204), concepito forse come un soprapporta. La scena è ambientata ai margini di un villaggio rurale fiammingo, immerso in una campagna lussureggiante. Un grande albero funge da asse dell'immagine e, coi due alberi simmetricamente disposti ai margini laterali, incornicia un dittico, con i bevitori raccolti attorno ad improvvisate tavolate, sulla destra, separati dal girotondo contadino raffigurato a sinistra. Della bordura, tagliata, sopravvive soltanto una fascetta ornata da una sequenza di minuti elementi decorativi astratti alternati a testine e a margherite e, in alto, un frammento di motto araldico, con due parole NON ... ALTA, il cui preciso significato sfugge; la chiave andrà probabilmente cercata tra le "imprese" di Camillo da Correggio.
La singolarità di questo panno, già rilevata dal Pettorelli, consiste in questo: che mentre una raffigurazione di genere e popolaresca sembrerebbe consona piuttosto ad un arazzo del genere "Teniers" del tardo Seicento o del primo Settecento, lo stile e i colori della Festa, il modo di raffigurare gli alberi e le capanne, le rigogliose pianticelle del proscenio, dichiarano invece la stessa cronologia dei Giardini e delle Cacce, verso la fine del XVI secolo. A conferma di questa datazione si può rilevare che la fascia decorativa dei margini si ritrova, quasi identica, su arazzi di Bruxelles del tardo XVI secolo, ad esempio nella Storia dei Romani e delle Sabine conservata al Metropolitan Museum of Art di New York e a Cleveland, The Cleveland Museum of Art, o nei Paesaggi con stemmi dei Contarini a Londra, Victoria & Albert Museum. Come spiegare l'anomalia iconografica?
In realtà, a prescindere dal fatto che le immagini di vita popolare erano assai diffuse al termine del Cinquecento nell'imagerie fiamminga, soprattutto nei dipinti e nelle stampe (non a torto è stato richiamato, nel tentativo di spiegare l'iconografia del panno, anche il nome di Pieter Bruegel il Vecchio per quanto il suo stile risulti inconciliabile, e non solo per qualità, rispetto all'arazzo), nell'ambito stesso dell'arte dell'arazzo il nostro pezzo non costituisce un unicum. Penso a una serie di Scene pastorali fabbricate a Bruxelles nei primissimi anni del XVII secolo, di cui sono noti due soggetti, uno presso il castello di Blois in Francia, l'altro passato in vendita presso Sotheby's, Londra, il 30 novembre 1984 (n. 246), in cui l'iconografia popolare si risolve analogamente in una visione illustrativa di spensierate kermesse rurali. E penso naturalmente all'antologia di scene pastoral-contadine raccolta nelle serie dette di Gombaut e Macée, disegnate nelle Fiandre verso il 1520-30, più volte tessute a Bruges, ma anche a Bruxelles e in altri centri, tra la fine del XVI secolo e l'inizio del secolo successivo, comprendenti anche un episodio della Danza decisamente connesso col nostro arazzo, per lo meno da un punto di vista iconografico. E' pur vero che nelle Storie di Gombaut e Macée un tenue filo allegorico lega i vari soggetti, che nel complesso illustrano il tema erudito delle "età dell'uomo", mentre nel panno di Correggio, come del resto anche in un coevo arazzo con Banchetto nuziale, verosimilmente coevo, conservato nel Museo di Minneapolis, pare assente un qualsivoglia intento didascalico. P dunque possibile che la Festa popolare testimoni il primo apparire del tema di genere fine a se stesso nell'arte dell'arazzo - ciò lo renderebbe un pezzo del massimo interesse -, per quanto sussista il dubbio che il referto sarebbe diverso se si fossero conservati altri soggetti della serie, più ampia, entro cui il panno a Correggio era certamente inserito. Avrebbero potuto rivelare uno sfondo letterario o allegorizzante, non intuibile sulla base del solo soggetto superstite.

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