Riccardo Finzi
Nicolò Postumo
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984

Vedi anche "Nicolò" di O. Rombaldi

Questo illustre figlio della Casa di Correggio fece parlare di sè come erudito e letterato, nonchè per la sua grande distinzione ed il tatto diplomatico.
La sua vita è molto interessante perchè quasi intieramente trascorsa fra le Corti di Ferrara, Milano e Mantova.
Nacque Niccolò sul principio del 1450 da Niccolò I e Beatrice d'Este, figlia di Niccolò III, Marchese di Ferrara. Fu denominato " il Postumo", poichè il padre morì giovanissimo, cinque mesi prima della nascita del bimbo.
Dopo l'immatura scomparsa del padre, essendosi Beatrice trasferita a Milano - perchè risposata con Tristano, figlio naturale di Francesco Sforza - il piccolo Niccolò venne educato in Ferrara dallo zio materno Borso d'Este.
La sua educazione fu diligentissima e fra i valenti maestri ch'egli ebbe, si annovera Pier Candido Decembrio.
A diciotto anni, il Postumo assume l'amministrazione dei suoi beni e a diciannove fa parte dell'illustre schiera di Principi e Ambasciatori che si recano ad incontrare l'Imperatore Federico, di ritorno da Roma.
Circa nello stesso tempo si occupa del pericolo d'invasione delle terre appartenenti ai da Correggio, per opera dello Sforza, e segue Borso - il gran pacificatore - a Parma, per accordarsi coi Signori di Milano. Sempre a fianco di Borso è a Roma, nel 1471, in occasione della conferma dell'investitura di Ferrara, concessa all'Estense.
L'anno appresso, all'età di 22 anni, Niccolò sposa Cassandra, a quel tempo quattordicenne, figlia del generale della Repubblica Veneta, Bartolomeo Colleoni.
Dal matrimonio, che fu felicissimo, nacquero Eleonora, Beatrice - nota anche col nome di Mamma - Giangaleazzo e Isotta. Quest'ultima si fece monaca Agostiniana a tredici anni, col nome
Morto Borso, suo protettore, Niccolò accetta di passare al servizio della Repubblica Venera come Condottiero d'armi e nello stesso anno abbandona la Repubblica per passare al servizio del Duca di Milano. Nel 1477 accompagna a Napoli la Duchessa Eleonora, moglie del Duca Ercole d'Este, figlia di Re Ferdinando. Indi briga per riottenere vari castelli caduti in possesso dei Signori di Milano e riaffermare in Parma la sua influenza, memore di Giberto V e di Azzo II.
Ma gli intrighi dei correggesi, operati nella stessa Parma contro la Duchessa Bona, indispongono quest'ultima, che fa assediare e demolire la corre di Scurano, appartenente ai correggesi. Di più, malgrado Niccolò si recasse a Milano per difendere i suoi diritti e quelli della sua casata, i beni dei da Correggio, già in possesso dei milanesi e che comprendevano Brescello, Bazzano, Castelnuovo Sotto e la stessa Scurano, vengono concessi ad Ercole d'Este. Con che i da Correggio perdettero quei feudi per sempre.
Ercole, per ricompensare il Postumo, lo nominava suo condottiero d'armi. Magro compenso in verità. Tanto più che nel 1479, combattendo per Ercole sotto le mura di Firenze - nella guerra avvenuta a seguito della congiura detta dei Pazzi - viene fatto prigioniero il 7 settembre, nello scontro di Poggio Imperiale.
Niccolò cade nelle mani del Duca di Calabria, che però lo tratta come ospite di riguardo. Il Postumo viene liberato non molto tempo dopo.
Cambiano i tempi e nel 1481 il nuovo Duca di Milano, Lodovico il Moro, accorda a Niccoio, insieme alla madre di lui, Beatrice, la Contea di Castellazzo nell'Alessandrino, e lo crea Condottiero d'Armi e Consigliere Ducale, autorizzando il Postumo ad aggiungere al nome del suo casato, quello dei Visconti. Difatti, d'allora, Niccolò inquarta nel suo stemma il biscione visconteo.
Nel 1482, in occasione della guerra promossa dalla Repubblica di Venezia " contro il Ducato di Ferrara, Niccolò corre alla difesa degli Estensi. In breve la guerra si svolge a tutto favore di Venezia, che, dopo aver conquistato Adria e Comacchio, giunge sotto il Castello di Ficarolo, a poche decine di chilometri da Ferrara.
Il condottiero Niccolò, coi suoi 32 uomini d'armi (tanti ne comandava il Postumo, ed oggi lo chiameremmo tenente, anzichè condottiero) combatte eroicamente nella difesa della città, che, il 30 giugno, cade in mano degli assalitori. Indi prosegue la lotta e, nel novembre, vien fatto prigioniero dai veneziani.
Aspra è la prigionia, durata sino al 17 settembre 1483, e nel suo carcere sono tante pulici e cimici e pontiche che non se gli può muovere. Ritornato in patria per scambio di prigionieri, prima della fine della guerra, Niccolò si dedica alle gioie familiari, per poi passare alla Corte di Milano.
Nel 1490 Lodovico il Moro gli fissa una annua pensione, perchè tenevasi caro un personaggio così abile negli affari, quanto elegante cavaliere e valente rimatore.
Nel 1494 Niccolò è in Francia, presso la Corte di Carlo VIII. Certo egli dovette essere nel disbrigo degli affari una figura secondaria in sottordine a Giacomo Trotti e al Sanseverino, i cui maneggi erano agevolati dal prestigio che il Da Correggio godeva presso la Corte per la sua eleganza, la sua cultura, la maestria nelle armi, senza contare la sua qualità di Principe e le relazioni di parentela coi Duchi di Ferrara e Milano (Così Alda Arata nella sua opera sul Postumo).
Ritorna in patria l'anno stesso e, insieme alle Corti dello Sforza e dell'Estense, partecipa alle feste in onore del Re di Francia, ch'era venuto in Italia.
Si oscura l'orizzonte politico: alla pace succede la guerra e Niccolò milita sotto le bandiere di Lodovico il Moro, pur senza prendere parte alla battaglia del Taro.
Nel 1497 gli muore la madre, Beatrice, e il Duca di Milano ne approfitta per togliere a Niccolò la Contea di Castellazzo. Il Postumo tronca allora ogni relazione col Duca e lascia definitivamente Milano, per ritornare a Correggio, ove risiede sino al febbraio del 1499.
Assiste, senza parteciparvi, al tramonto di Lodovico, stringe maggiormente i rapporti col Duca Ercole d'Este e, nel 1501, viene annoverato nel regale corteggio che accompagna Lucrezia Borgia a Ferrara, sposa al Principe Alfonso.
Lucrezia apprezza le rime di Niccolò, come le aveva apprezzate la magnifica Isabella Gonzaga ed allora che Isabella è gelosa delle attenzioni che tutti mostrano nei confronti dell'interessante cognata, anche il cinquantenne Niccolò si prende i rabbuffi.
Nel 1503 e nell'anno successivo Alfonso d'Este si reca con la moglie Lucrezia a Correggio, ove si trattiene più giorni. Da quest'ultimo anno sino alla sua morte, avvenuta il I' febbraio 1508, Niccolò è particolarmente accarezzato dalle Corti di Ferrara e di Mantova per le sue doti di accorto consigliere e soprattutto di pacificatore, in quei tristi tempi di gelosie e di congiure di principi.
Di squisito natural buon senso, di vasta cultura, di indole retta fatta sagace ed esperta dai casi di una vita intensamente vissuta in mezzo alle lotte, Niccolò da Correggio poteva a buon diritto esser considerato uno dei più avveduti uomini nella difficile arte di governare uno stato. Cosi scrive Alda Arata nella sua opera sul Nostro. E più oltre, a proposito di uno scritto dello stesso.: Questa lettera ci dice chiaramente come Niccolò avesse, oltre una invidiabile vivacità e brio singolare, una rara abilità inventiva in " fatto di foggie, di motti. di scene e balli figurati detti "Morescbe" atti a variare in modo mirabile le feste che era chiamato a dirigere.
Niccolò fu abilissimo nelle armi come nelle feste e nel giostrare e si segnalò nel 1478 nella giostra di Ferrara, di cui ebbe la palma, e nelle altre consimili del '91 a Milano e del '92 a Pavia.
Dimostrandosi di ottimo gusto, tenne al suo servizio come Segretario, per vari anni - forse dal 1478 al 1482 - il faceto Antonio Cammelli, detto " li Pistoia ", poeta satirico ancor oggi celebrato.
La morte, che lo colse all'età di 58 anni, avvenne dopo brevissima malattia; ma quando già la sua fibra era minata dalla pestilenza che l'aveva oppresso tre anni prima. Con gran corteggio di popolo la sua salma fu inumata in Correggio ed in quella chiesa di S. Domenico fuori le mura che raccolse più tardi pure le spoglie di Veronica Gambara.
Una rara medaglia scolpita nel bronzo dallo Sperandio circa nel 1480, ritrae di profilo il busto del Postumo. E' la sola immagine attendibile del nostro, che si conservi.
L'opera letteraria del Postumo si esplica in numerose liriche, poichè egli fu di facile ispirazione: liriche di cui non ne sono rimaste che poco più di un centinaio.
Alcune di esse, a forma di sonetto, sono di intonazione petrarchesca, altre sentono l'influsso di Matteo Maria Boiardo.
Tutte le sue composizioni vennero fatte pervenire, se non offerte, ad Isabella d'Este in Gonzaga, ch'era sua cugina, nonchè la più ammirata donna del suo tempo.
Vario è l'argomento delle liriche composte da Niccolò. Non mancano, naturalmente, l'argomento amoroso, il laudatorio e, qualche volta, anche il religioso, poichè Niccolò fu credente, pure se non tanto profondo nella sua fede.
Come ad esempio del suo modo di verseggiare, valga il seguente sonetto, dedicato alla figlia Eleonora a ricordo di quando Bianca Maria Sforza partiva da Corno per raggiungere in Germania lo sposo, Imperatore Massimiliano.
Oggi Lianora figlia, quinto giorno di decembre partì la tua regina con tanta Pompa e maestà divina che il ciel di suo splendor si fece adorno. Duchi e duchesse gli erano d'intorno, qual gli tocca la man, qual le s'inchina, questo lago pareva una marina, tenean da Como i legni sino a Torno. Lampade e trombe, piffari e instrumenti tanto strepito fanno in quel partire, ch'io credo ne temesson gli elementi. Qui a te me impose alcune cose a dire ch'io non ti scrivo, e vo' che ti contenti che 'l tutto io ti riserbi al mio venire.
Le sue liriche vennero raccolte in vari Codici ed il Rènier ne pubblicava diverse in un " Canzonieretto ".
Il 21 gennaio 1487 (altri vogliono il 22) in occasione delle nozze celebratesi in Ferrara fra due giovani di nobilissima famiglia, Niccolò faceva rappresentare nel cortile grande del Palazzo
Ducale Estense la favola da lui composta, " Il Cefalo ", tratta - con alcune varianti - dal libro VII delle metamorfosi di Ovidio ed avente per soggetto la gelosia di Procri ed Aurora per Cefalo.
Discordi sono i pareri sull'importanza nella storia della letteratura di questo " idillio ovidiano volgarizzato ".
Nel 1491, Niccolò dedicava ad Isabella il poemetto di " Psiche e Cupido ", in ottave, perchè esso servisse alli amanti a non lasciarsi ingannare da amore.
Detto poemetto è tratto dalla favola " L'asino d'oro " di Apuleio e a Niccolò spetta il merito di avere introdotto per il primo la favola apuleiana nella poesia narrativa.
Gli illustri Luzio e Rènier trattarono ampiamente di Niccolò; ed Alda Arata lo faceva maggiormente conoscere attraverso un'opera vasta e profonda.
Vittorio Rossi, nell'Enciclopedia Italiana, non gli è molto favorevole, poichè dice che come a qualsiasi facitore di versi, anche a Niccolò qualche sonetto o ottava, riescì non infelicemente, e prosegue col denominarlo poeta mediocre, così nelle liriche, come nel poemetto in ottave " Psiche " e nel dramma " Cefalo ".
Certamente Niccolò non fu all'altezza dei maggiori poeti; ma la sua figura è ugualmente molto interessante, onora la Casa di Correggio ed illumina a vivi colori le Corti in cui risiedette ed i fasti e nefasti del suo tempo.