Odoardo Rombaldi
Nicolò
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979

Vedi anche "Nicolò Postumo" di R. Finzi

Nato da Beatrice, figlia di Niccolò III, sorella di Borso e di Ercole, passata a nuove nozze con Tristano Sforza, Niccolò (1450-1508) allevato ed educato a Ferrara, vi assorbì tutti gli umori di una cultura raffinata e di una vita geniale. Non ancora ventenne, si trovò al centro di una situazione famigliare e politica delicatissima; le ambizioni degli stati confinanti avevano provocato profonde lacerazioni all'interno del consorzio parentale ed egli era chiamato a sanarle per poi tessere una politica che salvaguardasse l'esistenza dello stato. Egli si inserì come elemento moderatore tra lo zio Antonio, che avendo sposato Ginevra di Galasso Pio, visti i cognati duramente colpiti da Borso, contro questi aveva congiurato, e Manfredo che aveva istruito il processo contro il fratello, il quale privato dei beni feudali, aveva ottenuto la protezione del Duca di Milano, divenendone consigliere e cavaliere aurato. Nel 1470 è a Parma con Borso colà recatosi per incontrarvi Galeazzo Maria Sforza (1).
Sperimentati i pericoli mortali che alla sua Casa potevano venire da Milano, cercò di render più salda la sua posizione acquistando, dopo la protezione di Ferrara, quella di Mantova. Poi, pienamente consapevole che la conservazione dello stato di Correggio era legata alla politica italiana, facendo perno su Ferrara sì studiò di acquistare l'appoggio delle principali potenze, prima tra tutte quello di Venezia, tradizionale antagonista di Milano. In questa prospettiva va visto il suo matrimonio con Cassandra, figlia di Bartolomeo Colleoni, al quale ricorse per farsi nominare condottiero d'armi della Repubblica. Ne derivò (1475) l'invito del Doge a Niccolò, Borso e Giberto a entrare nell'alleanza tra Venezia, Milano e Firenze, cui aderiva anche Ferrara. Carattere precipuo all'azione di Niccolò fu la versatilità, che altro non era che la facoltà di adattarsi al cangiarsi delle situazioni o, altrimenti detto, l'istinto della sopravvivenza politica. Terminata la condotta veneziana, egli passò al servizio di Galeazzo Maria Sforza (1475). Milano era sempre il centro da cui dipendeva la sopravvivenza del feudo di Correggio. Niccolò non fu estraneo agli eventi che agitarono la vita di Parma dal 1477. Morto Galeazzo Maria, la Duchessa cercò di sedare i tumulti provocati in quella città dalle fazioni. Tra i personaggi incaricati di mediare tra le parti era Tristano Sforza, padrigno di Niccolò. Il fallimento della congiura del Sanseverino, che con l'aiuto delle fazioni mirava a farsi signore di Parma, portò al bando dei capi, di cui gran parte si rifugiò in Correggio. Da queste oscure trame nè Niccolò nè i cugini trassero frutto. Brescello e Castel novo erano perdute per sempre. Tuttavia nel 1481, Niccolò ebbe da Galeazzo Maria la contea di Castellazzo (Alessandria), il cognome di Visconti e il titolo di consigliere e condotticro d'armi. La nuova condotta fu stipulata con l'espressa clausola che non sospendesse quella stipulata con Ferrara. A favore di questa, infatti, e dei congiunti Estensi, assaliti da Venezia, egli si battè nella guerra di Ferrara e (1482) scontò una lunga e molesta prigionia.
Dopo la pace (1484) accettò di nuovo una condotta d'armi dalla Repubblica. Niccolò realizzò così un equilibrio tra le opposte forze che agivano sullo stato, mediando anche le differenze che lo separavano dai cugini. Prove di questa paziente diplomazia sono la presenza in Correggio degli oratori di Venezia e di Milano (1492) per comporre una vertenza d'acque tra Mantova e Mirandola, e quella di Ludovico il Moro. L'amicizia di costui si raffreddò e Niccolò perdette il feudo di Castellazzo; si ritirò a Correggio, indi a Ferrara. Qui continuò la sua mediazione, dopo la congiura che aveva opposto Ferrante e Giulio ad Alfonso d'Este.


1 A.S.MO. -A.S.E. Controversia, cit. b. 74, Lettera di Borso e risposta dello Sforza, 16 settembre 1470. Su Niccolò, v. TIRABOSCHI, Biblioteca Modenese, Il p. 103 e ss.