Odoardo Rombaldi
Zecca e bancarotta
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979

Al centro del processo contro Siro fu l'affare della zecca (1): Siro fu colpito e perduto per aver esercitato con frode uno degli attributi della sovranità, il diritto di batter moneta, concesso, nel 1559, dall'Impero ai da Correggio in riconoscimento dei meriti acquistati nella guerra allora conclusa.
Quando la zecca cominciasse la propria attività ignoriamo; è tuttavia singolare che la prima notizia su di essa riguardi una frode che vi si era commessa; il 28 settembre 1569, da Bologna, si scriveva;
"In Correggio si battono monete simili ai bianchi bolognesi, col leone e la testa di un santo che sembra il Papa; variano da quelle di Bologna nelle lettere e nella piccola correggia che è nella bandiera del leone; sono inferiori alle bolognesi di 5 quattrini; si avvertiscano la Comunità di cessare di screditare le bolognesi" (2).
Il primo contratto di appalto conservato è del 5 luglio 1571; con esso Giberto da Correggio concedeva la zecca a Giovanni Antonio Signoretti di Reggio, con decorrenza 4 giugno 1569, per cinque anni, e lo autorizzava a coniare quarti, bianchi, giuli, e lo scudo d'oro (3). L probabile che la irregolarità denunziata da Bologna avvenisse già sotto la condotta del Signoretti - se si può escludere che vi fosse stata una precedente condotta, non documentata; che egli ne fosse consapevole non sappiamo ma è caratteristico di queste condotte (fonte allora di imbrogli ed ora di incertezza) la pratica di subappaltare: fin dal 25 febbraio 1570 è nel giro della zecca Giulio Frassetti, cui Bernardino di Alessandro Signoretti faceva mandato; che il Frassetti succedesse al Signoretti nella zecca il 13 febbraio 1572 (4) prima che questi decadesse dall'appalto, può insinuare qualche dubbio sulla correttezza della gestione del Signoretti, il quale dal luglio 1570, aveva collaboratore un Niccolò Magnavacchi, con cui poi rompeva e iniziava una vertenza.
Sulla integrità della condotta del Frassetti fa dubitare il fatto che nel 1576 a Ferrara si bandivano gli scudi di Guastalla e quelli di Correggio perchè calanti di 5-6 bolognini. Nel 1581 (7 aprile) la zecca veniva appaltata a Marco Antonio Ferrandi di Brescia, per tre anni (5); sotto di lui continuano le falsificazioni: nel 1585 si bandisco-
no gli scudi di Correggio (e si cerca anche di avvelenare il Ferrandi); nell'86 questi ottiene la conferma dell'appalto per altri tre anni, a far tempo dal I' agosto 1585 (6) . Egli ricorre alla collaborazione di altri; di qui nuovi illeciti; nel 1591 Isac Sacerdoti, imprigionato come falsificatore di sesini, sotto la tortura confessa; nel 1596, per ordine imperiale, il Ferrandi è messo in prigione; nel 1600 egli viene ucciso nel suo casino di Capri; frattanto a Ferrara si bandiscono i talleri di Correggio.
Le frodi che hanno accompagnato fin qui l'attività della zecca sono piccoli incidenti se confrontate con quelle perpetrate nel nuovo secolo. Nel 1603 il conte Camillo appalta la zecca a due ebrei: Abram Iaghel e David Ricchi, per 10 anni, e la conferma nel 1604, con questi capitoli: facoltà di battere monete d'oro e d'argento in esclusiva; sovvenzione di 10 mila ducatoni, da restituire alla scadenza del contratto; onoranza semestrale di scudi 600 di L. 7; le monete d'oro e d'argento dovranno avere il valore del ducatone e della dobla di Milano; "fattura e calo conforme alla Zecca di Parrna"; facoltà di batter leoni, quarti di scudo alla bontà solita, al valore di soldi 70 e 35, camillini e monete di soldi 12, sesini della solita bontà; facoltà di battere ungari della bontà e valore di quelli di Modena, scudi alla bontà e peso di quelli di Savoia; non mancano le garanzie: "detti zecchieri possano colare oro e argento a loro bene placito, dando però in nota il peso di quello avranno colato al saggiatore; possano far lavorare le monete fino che saranno da stamparsi, che allora chiameranno l'assistente per darli le stampe, e battute che saranno, non si possano levar dalla Zecca senza licenza dei soprastanti, siccome è voluto dalla Zecca di Parma"; in caso di bisogno i conduttori riceveranno altri 2 mila ducatoni, da restituire in altrettante monete; si dovevano battere camillini per almeno 600 scudi. Le carte sono in regola, ma non tutto quel che si faceva era messo in carta (7) . Nel 1606 l'appalto da David è esteso ad Abram Ricchi, cui si prescrivono le solite buone regole: non stampare monete senza licenza, pena 500 scudi l'una. Il contratto è confermato nel 1609 (8 marzo) e subappaltato il 9 gennaio 1612; ciò favorì attività illecite se Siro ordinò a Iacob e Isac Ricchi di non ingerirsi nell'attività esercitata da David. Ciò a nulla valse; nel 1613, questi batteva monete calanti di 3 soldi sicchè fu necessario procedere contro di lui e i suoi complici.
Ci avviciniamo agli anni in cui più stringente si fa per Siro il bisogno di denaro per l'investitura del feudo, anche per soddisfare le aumentate pretese della Camera imperiale. Che il novello principe dell'Impero ricorresse alla falsa moneta sarà autorevolmente affermato, con prove certo non molto appariscenti ma neppure inconsistenti. Di fatto, dal 1616 l'attività della zecca entra in una fase convulsa e confusa.
Nel 1616 Siro concede la zecca a Magno Lippo milanese, nomina saggiatore Sigismondo Lini e soprastanti Francesco Landini e Antonio Arrivabene (25 maggio); fin da questo momento il Lippo si sarebbe avvalso dell'opera di Marco Antonio Ghiselli bolognese e Camillo Pareschi ma, altresi, di Pietro Pestalozza, di suo figlio Ottavio e di Francesco Beseghino di Verona, questi tre ultimi già a noi noti per esser stati arrestati e consegnati all'Inquisitore; tra questi personaggi sarebbero nate discordie e peggio; i Pestalozza e il Beseghino accuseranno il Ghiselli e il Pareschi di averli denunziati al S. Officio, e si diranno pronti a vendicarsi e a "spendere scudi a migliaia per farli uccidere e che il Lippo sarebbe per poco zecchiero". E' probabile che tutti costoro fossero uniti dall'identico scopo di batter falsa moneta e che, vistisi scoperti, i maggiori responsabili denunciassero gli spacciatori materiali.
Nel 1617 (4 gennaio) la zecca viene ceduta al Ghiselli e al Pareschi per tre anni (dal I' marzo) (8) ma solo per coprire l'attività di Lippo; essi infatti convengono di stampare in tre mesi 10 mila scudi di Mantova con metallo fornito dal Lippo stesso; ma anche in questo caso sarebbero state commesse frodi; gli zecchieri perdono l'appalto e il Lippo confesserà di aver appreso dal Beseghino che la zecca era stata levata al Ghiselli e al Pareschi "per aver fatto doppie false e speso denari che non erano liberati".
Nel 1619 principale conduttore della Zecca è il Lippo; costui ha licenza, da Siro, di agire contro Giovanni Renouilles, lorenese, che dall'aprile gli era succeduto nella conduzione (9), per aver esercitato attività illecita; il processo confermerà l'accusa del Lippo; il francese avrebbe stampato per conto di Giulio Mirandola da Modena monete calanti in grandissima quantità, avviate ad Ancona e di qui esportate in Levante.
Nel 1619 la Zecca è in mano al Renouilles; Siro gli ordina che "non dovesse in modo alcuno battere nè far battere sorte alcuna di moneta finchè non fossero finiti di battere ducatoni, scudi, doble, che deve fare mastro Lippo".
Il 5 gennaio 1620 la zecca passa a due francesi: Nicole la Fertè e Rinaldo Toussaint, per tre anni a far tempo dal 21 ottobre del 1619 (10). Costoro convengono con Sebastiano Quadri milanese di battere monete per il valore di 10 mila doppie di Spagna; benchè il Lippo ne fosse garante, la coniazione non procede. Il fiscale patrimoniale, Francesco Carisi, sospetta che dalla casa del Lippo siano asportati beni e cose obbligate al Principe e ne ordina il sequestro; da un'ispezione risulta che la colpa non è del Lippo ma di altri; il milanese continua così a battere ducatoni, doble, talleri, e impedisce al Ronouilles di lavorare; la Fertè e Toussaint, a loro volta, sono assolti per non aver levato in ciascuno dei dieci giorni 10 mila monete come si era pattuito; il Lippo e il Quadri debbono rifar i danni; che l'attività clandestina, preclusiva a quella convenuta con pubblici atti, servisse al Principe è verosimile.
I prodotti della zecca sono intanto rifiutati in Germania: "i mercanti sono tacitati dando 6 monete in più per libbra". Il la Fertè e il Toussaint non sono estranei a truffe; essi si associano Agostino Rivarola, genovese (11), che nel 1622 assumerà la condotta della zecca (12), pagando un canone di 4 mila scudi l'anno il primo semestre e in ragione di mille poi, con l'obbligo di dare metà degli utili ricavati; egli poteva battere doppie, scudi d'oro a peso e bontà di Modena, ungari, ducatoni e, ovviamente, le monete basse. Le maggiori adulterazioni si sarebbero prodotte col Rivarola; dopo una pausa (1624-27) la zecca passò a Guglielmo Tesei (13), finchè l'attività venne proibita e soppressa.
La responsabilità diretta o indiretta delle complesse vicende risale indubbiamente a Siro, fu detto anzi, che fosse complicità. Una serie di gride emanate dal Governo di Milano documenta la vastità dei danni prodotti nella stessa economia di Correggio. Il 1635 (20 maggio) il Commissario e Podestà di Correggio denunzia un "grandissimo e intollerabile abuso in materia delle monete, per l'alterazione del valore intrinseco di esse, onde ne risultano molte male conseguenze et danni tanto in particolare quanto in generale".
L'episodio della zecca va visto nel complesso delle vicende del feudo; esso supera i limiti dell'illecito consueto o consentito e raggiunge un'ampiezza allarmante, non solo per volontà di alcuni zecchieri ma per le necessità dello Stato; uno stato che ricorre alla frode monetaria per sopravvivere denunzia con ciò la bancarotta; sulla zecca, in altri termini, si sarebbe trasferito il dissesto delle finanze del principe; le somme impostegli come riconoscimento della rinnovata investitura e della elevazione della contea a principato eccedevano le capacità finanziarie del signore e dei suoi sudditi; sotto il profilo finanziario non v'era possibilità, per Siro, di sopravvivere. Se egli avesse avuto l'animo del padre suo, avrebbe potuto, con condotte militari, far fronte ai nuovi e gravi bisogni dello stato; ma egli era un pusillanime maldestro, travolto dal malvolere dell'Impero, che della sua rovina porta certo parte di responsabilità
Sulle finanze del Principato e sul mancato loro adeguamento alle nuove esigenze scrisse osservazioni preziose Vincenzo Magnanini (14), che riproduciamo:
"Dall'esame dei catasti della Massaria Comunitativa, vigenti nei secoli XV, XVI e XVII, e relativi registri si scorge che la rendita annua del Comune di Correggio limitavasi alla sola imposta prediale, estesa a pochi terreni, e che, per essere considerata quale canone enfiteutico invariabile, non poteva essere aumentata a seconda delle necessità per provvedere ai sempre crescenti pubblici bisogni ordinari e straordinari ( ... ). La suddetta tassa prediale era di due specie, iscritta in due campioni, il civile e il rusticale; nel primo trovavansi iscritti i terreni gravati da imposte da cittadino, in regola del 5% sulla loro stima originaria, nell'altro erano registrate le terre gravate da colte da contadino in regola di un soldo per fiorino di valuta d'estimo. I possessori di questi ultimi dovevano inoltre prestare molteplici servizi personali d'interesse pubblico, parecchi dei quali erano stati commutati in sovrimposte obbligatorie a carico dei proprietari dei terreni stessi ed altri in sovrimposte straordinarie facoltative.
Le complicazioni burocratiche derivanti dai servizi personali, dalle successioni, dalle vendite e permute e da altri contratti portanti trasferimento di proprietà anche tra persone di varie classi sociali e in forestieri, la facoltà di sgravare terreni in tutto o in parte dei tributi reali per trasferirli su altre terre esenti o gravate da imposte, il potere affrancarli col pagamento di un determinato capitale, e la forma stessa, infine, dei campioni redatti non secondo l'ordine dell'ubicazione delle terre ma secondo quello delle abitazioni civili dei loro possessori, portò col tempo una inesplicabile e irreparabile diminuzione nel complessivo reddito ordinario dell'imposta comunale. Per sopperire alle urgenze e servizi straordinari si dovette quindi ricorrere a sovrimposte sulle tasse indirette governative e, qualche rara volta, alle tasse di famiglia, mai però a sovrimposte prediali dacchè i dottori di Bologna e di Padova, richiesti di voto dai Signori di Correggio sulla facoltà di aumentare la prediale o di allargarla ai predi esenti o di perequarla, opinarono non potersi ciò fare senza il consenso imperiale e nel caso di bisogni pubblici permanenti. Le sovrimposte straordinarie, non essendo basate sulla giustizia distributiva, davano occasione al malcontento dei più gravati contro le classi privilegiate nobili e clero e proprietari di terre non censite.
Il comune di Correggio, impoverito di rendite da un cattivo sistema tributario e da una peggiore amministrazione, dovette, nell'indicato periodo di tempo, trascurare o provvedere in modo insufficiente ai pubblici servizi di annona, dell'istruzione pubblica, della sicurezza e dell'igiene e ciò mentre la sua popolazione era oppressa dalla grave crisi annonaria, conseguenza dell'intrapresa guerra per la successione di Mantova e gli scarsi raccolti agricoli della Valle Padana".


1 Q. BIGI, Della Zecca di Correggio, in Atti e Memorie delle R.R. Deputazioni di St. Patria per le Prov. Mod. e Parm., V, Modena 1870, p. 109 e ss.
2 A.S.RE, Zecca di Correggio, ad annum.
3 A.N.C. Negrisoli, 1 luglio 1571
4 A.N.C. Negrisoli, 9 marzo 1572
5 A.N.C. A. Rognoni, 8 aprile 1581
6 A.N.C. A. Rognoni, 7 agosto 1586
7 A.N.C. G. Catania, 31 luglio 1603; Camellini, 8 marzo 1604
8 A.N.C. A. Panighi, 4 gennaio 1617
9 A.N.C. M. Botti, 22 aprile 1619
10 A.N.C. F. Carisi, 21 ottobre 1619
11 A.N.C. F. Carisi, i aprile 1620
12 A.N.C. F. Carisi, 5 dicembre 1622
13 A.N.C. F. Torricella, 21 aprile 1627
14 V. MAGNANINI, Sulle cause che produssero la caduta del Principato di Correggio, in Atti e Mem. R. Deput. St. Patria, S. III, v. VI Modena 1890 p. XXXV e ss.