| Gabriele Fabbrici |
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| Nicolò da Correggio | |
| Museo in linea, rubrica de "Il Correggio", n. 6/98 |
Principe del Rinascimento e figura emblematica del suo tempo il signore di Correggio ha lasciato un ricordo indelebile nelle cronache, non solamente della sua città
Alla metà del Quattrocento i da Correggio, dismesse le ambizioni egemoniche su Parma e sul medio corso del Po, dominavano su un piccolo territorio che, seppure inserito nello Stato Estense, riusciva a mantenere una sua indipendenza grazie a un accorto e spregiudicato gioco diplomatico. Appoggiandosi o contrastando di volta in volta, Venezia, Milano, Mantova e Ferrara, i da Correggio sopravvivevano alle insidie dei tempi.
Sul principio del 1450 (probabilmente fra il 18 febbraio e il primo aprile), cinque mesi dopo la morte del padre Nicolò I da Correggio (di cui prese il nome), nasceva Nicolò
detto perciò "Postumo". Essendo figlio di Beatrice d'Este (poi risposatasi in seconde nozze con Tristano Sforza) e quindi nipote del Marchese di Ferrara, il piccolo Nicolò, che nel 1452 era stato creato cavaliere dall'imperatore Federico III, venne educato alla corte estense dallo zio Borso d'Este, il che gli garantì una certa intimità con gli estensi. A diciott'anni, nel 1468, Nicolò divenne condomino dello Stato di Correggio con gli zii Manfredo e Antonio.
Le gravi tensioni interne ed esterne che minacciavano la sopravvivenza stessa dello Stato di Correggio e la morte di Borso d'Este (1471), lo indussero ad assumere la sua prima condotta militare per Venezia. Sposatosi il 16 marzo 1472 con Cassandra Colleoni, figlia di Bartolomeo il grande condottiero della Repubblica di Venezia (da cui ebbe Eleonora -un ritratto della quale si conserva presso il Museo Civico di Correggio- Beatrice, Giangaleazzo e Isotta), rimase al servizio di Venezia come condottiero per alcuni anni, salvo poi ricoprire analogo ruolo per il Duca di Milano (1475).
Nonostante i suoi tentativi (forse sarebbe meglio dire i suoi maneggi) per rientrare in possesso delle terre che già erano state della sua famiglia (in particolare Castelnuovo Sotto e Brescello), le speranze andarono deluse e lo Stato correggese rimase per sempre privato di quei feudi passati ad Ercole I d'Este.
Tra il 1479 e il 1483, al servizio ora di Ferrara ora di Milano, Nicolò
partecipò con alterne fortune personali a numerose guerre e battaglie. Fatto prigioniero una prima volta a Poggio Imperiale nel 1479, nel 1482 venne nuovamente catturato a Ficarolo, presso Ferrara, dai veneziani. Solo nel settembre 1483, grazie ad uno scambio di prigionieri, potè rientrare in patria. Gli anni che seguirono furono di relativa pace e Nicolò si spostò più volte fra Correggio, Milano e Ferrara. Entrato nel 1491 al servizio di Ludovico il Moro, duca di Milano, e stabilitosi nel capoluogo lombardo, nel 1494 venne incaricato da questi di supportare, grazie alla fama e al prestigio personale di cui godeva oltralpe, un'ambasceria milanese presso la corte di Carlo VIII re di Francia: fu questo di certo l'incarico diplomatico più importante e impegnativo esplicato dal da Correggio, ma i rapporti con il Moro, raffreddatisi dopo la morte della madre di Nicolò, Beatrice, avvenimento che aveva indotto il Duca a revocargli il possesso di alcuni feudi, si interruppero definitivamente nel 1499.
Contemporaneamente, si riavvicinò alla corte di Ferrara, con la quale non aveva mai rescisso i profondissimi legami personali e affettivi. Nel 1501, segno che aveva ormai riacquisito il suo ruolo al fianco del duca Ercole I d'Este, partecipò al corteo che accompagnò Lucrezia Borgia (che ne apprezzava grandemente le rime) a Ferrara, sposa di Alfonso I d'Este.
Nicolò
pochi anni dopo fu testimone e in parte protagonista della tragedia che sconvolse la corte estense tra il 1505 e il 1507: la congiura (o supposta tale, secondo taluni storici) di don Ferrante e don Giulio d'Este contro il fratellastro Alfonso, nella quali alcuni hanno visto l'abile orchestrazione del cardinale Ippolito d'Este, loro fratello.
In questa tragica vicenda Nicolò da Correggio cercò, riuscendovi solo parzialmente, di riportare la pace nella famiglia ducale con abile opera di mediazione, ma il suo tentativo, dopo i primi successi, fu vanificato dagli intrighi del Cardinale Ippolito, ben deciso ad eliminare quei familiari che, ipoteticamente, avrebbero potuto ostacolarlo nei suoi progetti.
Gli ultimi tempi Nicolò li trascorse nella quiete del suo feudo avito, circondato dalla stima dei parenti e dei sudditi e dalla considerazione dei potenti vicini: Isabella d'Este, marchesa di Mantova, ne lodava apertamente le qualità letterarie, definendolo il più atilato de rime et cortesie erudito cavaliere et barone chene li tempi suoi se ritrovasse in Italia.
Nella notte tra il primo e il due febbraio 1508, dopo una lunga malattia che lo aveva tormentato per mesi, Nicolò si spegneva, e con lui scompariva una figura esemplare non solo nella storia di Correggio, ma anche della cultura del suo tempo.
Mecenate delle arti, protettore e ospite a Correggio di letterati, verseggiatore brillante e prolifico (anche se delle sue rime ne rimangono oggi solo un centinaio), nel gennaio 1487 fece rappresentare nel cortile grande del Palazzo Ducale di Ferrara, in occasione delle nozze di due rampolli di nobilissime famiglie ferraresi, la sua Fabula de Cefalo, volgarizzazione tratta dal VII libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Negli anni del soggiorno milanese, scrisse altre composizioni poetiche: la Psiche, la Silva e numerosi altri spettacoli teatrali (tra cui la Fabula de Ippolito Teseo e Florida) che purtroppo non ci sono pervenuti.
Nicolò da Correggio, dunque, è una figura emblematica del suo tempo e in sé riassume tutte le caratteristiche della cultura quattrocentesca, quasi un'incarnazione del perfetto cortigiano (in un certo senso anticipando, in questo, il protagonista dell'opera di Baldassare Castiglione).
Durante tutta la sua vita è impossibile separare con precisione l'attività politica, diplomatica e guerresca da quella più strettamente letteraria e culturale in senso lato. Proteso vivacemente ad assimilare ogni novità culturale con la quale entrava in contatto, come si è detto, Nicolò finisce con essere lui stesso ambasciatore di cultura, mediatore e diffusore di saperi da una corte all'altra: dapprima della letteratura di Lorenzo il Magnifico a Ferrara, poi della cultura ferrarese a Milano e a Mantova e, infine, da queste alla corte di Carlo VIII re di Francia.
Molte furono le opere a lui dedicate, esplicito riconoscimento di una fama precoce sì, ma diffusa e duratura. La sua morte fu accolta dal rimpianto comune di quanti lo avevano conosciuto o anche solo apprezzato per le sue qualità di umanista e fine letterato e segnò, in un certo senso, la conclusione di un mondo, quello cavalleresco, di cui Nicolò era stato l'epigono.
Davvero la sua morte segnò la fine di un'epoca.
Per saperne di più
A. ARATA, Nicolò da Correggio, Bologna 1934.
C. DIONISOTTI, Nuove rime di Nicolò da Correggio, in "Studi di filologia italiana", 17, 1959, pp. 135-188.
N. da CORREGGIO, Opere, a cura di Antonia Tissoni Benvenuti, Bari 1969.
P. FARENGA, Correggio, Nicolò da, in "Dizionario Biografico degli Italiani", 29, Roma 1983, pp. 466-474 (con amplissimo apparato bibliografico).
R. FINZI, Correggio nella storia e nei suoi figli, Reggio Emilia 1968 (rist. Correggio 1980), pp. 228-232.
A. GHIDINI, Stato, Città e Comunità fra XVI e XVII secolo, in Correggio identità e storia di una città, a cura di Viller Masoni, Parma 1994, pp. 81-82.
A. LUZIO, R. RENIER, Nicolò da Correggio, in "Giornale Storico della Letteratura Italiana", 1893, pp. 205-265 e 1894, pp. 65-119.
O. ROMBALDI, Correggio: città e principato, Modena 1979.
A. TISSONI BENVENUTI, Nicolò da Correggio e la cultura di corte nel Rinascimento padano, Correggio 1989
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