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| Il 1848 a Correggio | |
| Museo in linea, rubrica de "Il Correggio", n. 7/98 |
Il 1848 a Correggio
Mostre, convegni e saggi nei mesi scorsi ci hanno più volte ricordato che centocinquant'anni fa si consumò uno degli anni che più hanno segnato la storia d'Italia, vediamo come quell'anno fu vissuto a Correggio
Il 1848, in Italia ed in Europa, segnò l'inizio di quella guerra per l'indipendenza che, attraverso sussulti, assestamenti e lunghi momenti di stasi, avrebbe poi portato all'unità d'Italia.
I primi squilli di tromba si alzarono alla fine del marzo 1848, quando le truppe piemontesi al comando del re Carlo Alberto e con il tricolore in testa attraversarono il confine con la Lombardia.
Negli Stati Estensi, vista l'impossibilità di contare anche questa volta sull'aiuto austriaco, Francesco V (che era succeduto al padre sul trono di Modena nel 1846) si diede alla fuga. Fu il segnale per l'insurrezione anche nel ducato; dopo qualche giorno venne istituito un Governo provvisorio unificato per entrambe le provincie di Reggio e di Modena, col primo obiettivo di raccogliere armi e volontari per partecipare alla guerra in Lombardia a fianco di Carlo Alberto.
Sorprendentemente i correggesi, che avevano sempre mostrato un atteggiamento refrattario ai cambiamenti e di grande fedeltà agli Estensi, furono fra i primi a riconoscere il nuovo Governo provvisorio costituitosi; il 30 marzo si celebrò una Messa solenne durante la quale si esaltò la figura di Pio IX e venne benedetto il tricolore.
In secondo luogo, ben quarantanove volontari presero parte alla campagna di Lombardia; alcuni di loro, anzi, nel 1849 parteciparono anche alla sconfitta piemontese di Novara e alla difesa delle effimere Repubbliche di Roma e di Venezia; il loro comandante, il tenente Luigi Pongileoni, divenne aiutante del Capo Battaglione Fontana e ricevette una decorazione.
Va poi registrata una serie di episodi, a metà fra espressione politica e manifestazione di costume, significativi di un sia pur vago sentimento patriottico. Ad esempio, di fronte alle sanguinose sconfitte degli italiani, alcuni sacerdoti si unirono spontaneamente a gruppi di cittadini per pregare "misericordia e vendetta per tanto sangue innocente e preziosissimo".
Si riscontrarono anche isolate invettive all'indirizzo del Prevosto, don Pietro Rota, notoriamente ostile alle nuove idee liberali e patriottiche. Chi invece ebbe dei guai seri a causa dei mutamenti politici fu Agostino Saccozzi. Questi, infatti, dopo il 1831 aveva compiuto numerosi progressi nella carriera militare fino a diventare, nel 1846, comandante dell'esercito estense col grado di General Maggiore. Grande era perciò il suo prestigio e il suo potere a Correggio e qui venne a ripararsi nel 1848 dopo la fuga di Francesco V da Modena. L'8 aprile dello stesso anno venne arrestato con l'accusa di aver tenuto contatti segreti col Governatore austriaco di Mantova. Incarcerato a Reggio, attraversò momenti difficili e venne anche processato, ma dopo alcuni mesi fu prosciolto e rilasciato.
Si trattò, tuttavia, di episodi e movimenti superficiali. Nel profondo la realtà locale rimase piuttosto refrattaria ai clamori risorgimentali.
Non mancarono, anzi, episodi di esplicita ostilità verso il nuovo corso, anche da parte delle classi popolari: in agosto, ad esempio, alla notizia del ritorno di Francesco V, gruppi di contadini inneggianti al Sovrano cercarono di disarmare la Guardia Civica di Correggio.
Appaiono vere, ma senz'altro superficiali ed ingenerose, le argomentazioni con cui Tommaso Cattania, comandante della Guardia Civica, cercò di spiegare, in un rapporto del 1848, le scarse adesioni raccolte nelle campagne a favore dell'annessione al Piemonte: "ciò credo non essere cagionato da avversione ma piuttosto dalla pressochè generale ignoranza dei contadini sul tenore delle cose loro richieste e a quel timore che in tali nature ingenera la novità e l'esagerato pensiero della guerra".
Benchè nella campagne correggesi povertà e miseria fossero assai diffuse (ben 1725 erano i mendicanti, il 13% dell'intera popolazione del Comune) e questo dipendesse in gran parte proprio dall'iniquità e dall'arretratezza politica, sociale e culturale che caratterizzavano la dominazione estense, gran parte della popolazione, anche quella posta agli ultimi gradini della scala sociale, era sostanzialmente devota, o quantomeno ligia, ai propri dominatori.
La miseria, in mancanza di una chiara coscienza sociale e politica, porta spesso a non vedere le cause vere delle proprie disgrazie, ma solo la mano che offre la carità.
Ebbene, Francesco IV negli anni precedenti era stato prodigo di interventi caritatevoli e paternalistici nei confronti della città che egli stesso aveva definito "la fedelissima".
Nel 1822 era stato costituito il Monte di farina (la farinera), che serviva come garanzia per la popolazione verso le frequenti carestie e le conseguenti speculazioni sul prezzo del pane, mentre nel 1845 venne istituito, con fondi privati del Duca, il Monte Annonario Perpetuo.
Nel 1835 era stato allestito una sorta di ospizio per gli anziani indigenti, ma più in generale all'assistenza pubblica provvedeva soprattutto la Congregazione di Carità, che poteva disporre di bilanci superiori a quelli del Comune.
In ogni caso dove non bastava la carota arrivava il bastone, e Francesco IV aveva già dimostrato di non avere nessuna remora a maneggiarlo pesantemente.
Continuità e conservazione erano favorite anche dalla struttura economica, basata quasi interamente sull'agricoltura: oltre l'80% della popolazione dipendeva direttamente dalla campagna e anche il resto era in gran parte legato alla campagna: trasformandone e commercializzandone i prodotti, fornendole utensili e strumenti di lavoro. Agricoltura che, peraltro, era condotta col più tradizionale dei sistemi: il podere a mezzadria. Non a caso lo stesso Francesco V ebbe modo di sostenere che tale sistema andava favorito, "considerando che la classe dei mezzadri è nel nostro Stato la più morale e nello stesso tempo la più affezionata al nostro governo, mentre invece il crescente proletariato delle campagne rende sempre più malsicure le proprietà".
Questa realtà era favorita anche dal fatto che a Correggio meno che altrove erano presenti ceti e attività imprenditoriali e commerciali in grado di contrastare tale situazione, forze che quindi potessero rappresentare anche un punto di riferimento (politico, economico, sociale e ideale) per le masse popolari: l'assenza (o la scarsa consistenza) di una borghesia produttiva era essa stessa un risultato della politica estense. A Correggio l'industria era praticamente assente e anche l'artigianato e il commercio erano marginali, limitati alla produzione di servizio e alla vendita al dettaglio.
A questa situazione di immobilismo economico, corrispondeva una tranquilla continuità (e fedeltà al Duca) sul versante politico-istituzionale, simboleggiata da quel Pietro Rossi Foglia che fu ininterrottamente Podestà dal 1814 al 1849, quando abbandonò tale carica per ragioni d'età.
Il ceto dirigente correggese era costituito da aristocratici e proprietari terrieri i quali, seppure nel corso dei decenni precedenti avessero aumentato il loro patrimonio proprio a spese dei nobili (oltre che della Chiesa), avevano la tendenza ad assimilarsi alla nobiltà più che a contrastarla.
Questo blocco sociale a Correggio primeggiava non solo sul piano economico, ma anche nella vita politica e culturale: ricopriva le cariche pubbliche, presiedeva all'organizzazione e all'amministrazione delle varie confraternite religiose, promuoveva e fruiva dell'iniziativa culturale e della formazione scolastica superiore.
A Correggio, quindi, il '48 non attivò, nè poteva essere altrimenti, nuove forze dirigenti e programmi sociali e politici innovativi.
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