Gabriele Fabbrici
Il Mantegna a Bologna
Museo in linea, rubrica de "Il Correggio", n. 7/97

"Il Redentore" di Andrea Mantegna, conservato al museo Civico di Correggio, verrà esposto a Bologna da settembre a novembre
Acquisito dal Museo Civico, il capolavoro del Mantegna costituirà uno dei "pezzi eccellenti" della grande mostra Mistero ed immagine.
L'Eucaristia nell'arte dal XVI al XVIII secolo che si terrà nella chiesa abbaziale di San Salvatore a Bologna dal 20 settembre al 23 novembre prossimi.
Attraverso opere di grandi autori quali Reni, Lanfranco, Crespi, Carracci, Moretto da Brescia, Tiepolo, Luca Ferrari, Palma il Giovane, Moroni, Calvaert, solo per ricordarne alcuni tra i più noti, verranno ripercorse le tappe del mistero eucaristico.
"Il Redentore" in particolare, avrà l'onore di essere l'opera che apre la prima sezione della mostra, dedicata a 'Cristo Unico Salvatore', a riconferma ulteriore dell'eccezionalità dell'opera che costituisce, a buon titolo, uno dei più eclatanti gioielli del patrimonio storico-artistico correggese.
Nel 1916 il critico d'arte Gustavo Frizzoni segnalò sulla rivista "L'Arte" il ritrovamento di un piccolo quadro (cm. 55x43), raffigurante il Redentore.
Nonostante i danni apportati dai tempi e da maldestri restauri susseguitisi nel corso dei secoli l'opera gli era apparsa subito di altissima fattura, tanto da indurlo ad attribuire la tavola ad Andrea Mantegna, anche sulla scorta dell'interpretazione di una scritta apposta sulla cornice in basso, da lui interpretata come "dipinto da Andrea Mantegna per carità e donato come offerta il giorno 5 di gennaio 1493".
Nonostante pareri diversi, questa lettura viene oggi prevalentemente accettata dalla critica ed avvalora l'ipotesi che si tratti di un'opera concepita in funzione votiva.
Forse per la malattia o la morte di un familiare (ma l'ipotesi non pare ancora sufficientemente suffragata).
Profondamente convinto della paternità mantegnesca del dipinto, Frizzoni ne fece partecipe il mondo dell'arte con quell'articolo che ben presto richiamò l'attenzione degli studiosi.
Le notizie storiche di cui disponiamo ci consentono di ripercorrere a ritroso nel tempo le vicende del quadro.
Escludendo una presunta donazione da parte della famiglia Gonzaga di Mantova ai da Correggio, della quale non sussistono riscontri documentari di alcun genere, una consolidata tradizione locale vuole che il dipinto facesse parte della pinacoteca del principe Siro da Correggio e che alla sua caduta sia passato nelle collezione dei Contarelli, famiglia lui assai vicina.
E' verosimile, comunque, che "Il Redentore" sia entrato in possesso dei Contarelli almeno verso la metà del XVII secolo (figura tra i beni di Francesco Contarelli del 1697).
Da allora seguì le sorti della nobile famiglia correggese.
L'ultima discendente, Caterina, nominò sua erede la Congregazione di Carità di Correggio, cui pervennero tutti i beni della famiglia.
Danneggiato dal lungo uso devozionale e reso quasi illeggibile, finì tra gli "oggetti fuori d'uso" della Congregazione, la quale vendette il dipinto a due rigattieri di Correggio nel 1914.
Da questi fu ceduto a Carlo Foresti di Carpi che a sua volta lo vendette al marchese Matteo Campori di Modena, e da lui affidato alle cure del restauratore Moroni di Milano, presso il quale lo vide il Frizzoni.
La pubblicazione dell'articolo del critico suscitò una fiera disputa tra la Congregazione di Carità e il Campori, cui mise fine una sentenza del Tribunale di Modena che nel 1917 decretava il ritorno all'antico proprietario.
L'opera, una tempera su tela di cm. 55 x 43, raffigura il busto frontale del Redentore con la testa leggermente spostata verso destra, colpita da una luce proveniente da sinistra; è racchiusa da una cornice dipinta che in basso copre la mano destra appoggiata ad un libro.
Vi compaiono tre iscrizioni: la prima sul libro, la seconda è disposta verticalmente sulla cornice sinistra che inquadra la figura del Cristo, la terza infine è quella riportata in precedenza.
L'attribuzione al Mantegna è oggi unanimemente e concordemente accettata dagli studiosi e viene ulteriormente confermata dalla lettura stilista che mette in risalto i legami con la pittura veneziana di Giovanni Bellini (siamo quindi in una fase tarda del Mantegna) e di Vittore Carpaccio precisabili nel "dipingere in delicato chiaroscuro, libero da qualsiasi netto contorno", per i "colori attenuati" e per le "forme regolari (TODINI).