Riccardo Finzi
Il Correggio - vita ed opere
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984

La famiglia
La Patria
I Maestri
La cultura
I viaggi
Vita privata
Morte e sepoltura
Girolama Merlini
Vertenze giudiziarie
Il Caposcuola
I cinque periodi della sua arte
I dipinti
Gli affreschi della Camera di S. Paolo .
Gli affreschi in S. Giovanni ed in Duomo
Il Correggio ritrattista
Arte e tecnica
Sua immagine fisica
Il temperamento
Il Correggio in patria
La critica d'arte

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LA FAMIGLIA

Antonio Allegri nasceva in Correggio intorno al 1489, da Pellegrino e Bernardina Piazzoli degli Aromani. La famiglia Allegri discendeva forse da un Allegro, cittadino libero, che nell'anno 1329 prestava giuramento di vassallaggio ai Signori di Correggio.
Altri vogliono che il capostipite del pittore sia da ricercarsi al tempo della Contessa Matilde, o da un Allegri di nome Pietro, patrizio reggiano vissuto nel sec. XIII.
Certo è che il sicuro capostipite della casata è Giacomo Allegri, nonno di Pellegrino, vivente nel 1446, come appare da un rogito di quell'anno.
La famiglia Allegri apparteneva alla piccola borghesia. Pellegrino negoziava panni e tessuti in genere. Non si conosce se avesse bottega stabile; forse passava di casa in casa come ambulante.
Nei rogiti, il nome di Pellegrino è preceduto dall'appellativo di Maestro, titolo non disprezzabile che veniva dato ai membri della minuta e piccola borghesia.
La madre di Antonio, Bernardina, apparteneva pur essa a famiglia borghese, ma di una borghesia più elevata e di ciò fa prova, fra l'altro' il fatto che gli Aromani possedevano un sepolcro in S. Francesco, al pari delle famiglie più cospicue di Correggio.
La casa natia del Correggio, in Via Borgovecchio, era modestissima, e con fronte pure sull'attuale via Conciapelli. Appariva lunga m. 17 circa e larga m. 3,50, composta di due sole stanze abitabili: una al pianterreno (adibita a cucina, pranzo e camera da letto); una al primo piano (camera da letto).
Gli altri vani erano costituiti da un androncino al pianterreno, da una terrazza coperta al I` piano e da una legnaia nel sottotetto. E' solo nel 1529 che l'abitazione viene ampliata mercè l'acquisto, da tale Tizani, di una casa contigua avente due vani, prospiciente su via Conciapelli.
Antonio, negli anni di sua giovinezza, dormiva al pianterreno, nella camera-cucina prospiciente sul " terraglio " di via Conciapelli. Ivi difatti, nel 1514, venne stipulato il contratto per la pala d'altare denominata Madonna del San Francesco, dipinta poi nello stesso anno per la chiesa omonima di Correggio.
A Pellegrino Allegri non mancavano certo i mezzi per sostenere la famiglia. Dallo spoglio dei registri rusticali dell'epoca, appare che lo stesso Pellegrino possedeva circa 45 ettari di terreno: proprietà certo non disprezzabile, benchè la produzione dei terreni in quell'epoca fosse molto inferiore di quella d'oggi.
E' quindi errata l'asserzione del Vasari, che parla di un pittore poverissimo ed errate sono pure le asserzioni di altri scrittori, magnificanti ricchezze e nobiltà di sangue della famiglia.
Antonio Allegri non conobbe certo le ristrettezze finanziarie. I suoi dipinti, data l'epoca e le consuetudini, gli vennero pagati molto bene. Dalla Madonna del San Francesco ricavò cento ducati d'oro - il valore di una piccola e modesta casa in Correggio - e l'Allegri, a quel tempo, aveva solo 25 anni.
Trattandosi della cupola del Duomo di Parma, nel foglietto autografo con cui il pittore iniziava il preventivo di spesa, è detto: Non si potrà con l'honore et del loco et nostro fare per manco 4 ducati 1200 de oro. La stessa mano cancellava poi la cifra e la sostituiva con mille.
Si osservi quell'inciso del loco et nostro, che vale assai per comprendere come il pittore fosse consapevole della grande opera che si accingeva a comporre.
La capacità d'acquisto di 1000 ducati d'oro, a quel tempo, era fortissima: molto superiore a quella di 10 milioni di lire odierne.
Non si può dire con questo che la cupola fosse pagata. L'opera di un genio non è convertibile in moneta; ma credo ugualmente ci
semplice narrazione valga a sfatare la leggenda antica di un pittore inconscio delle proprie qualità personali, gabellato dai committenti. Antonio. benchè modesto per natura, conosceva il proprio valore e veniva apprezzato come prodigio sino dalle sue prime opere e nella sua stessa patria.

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LA PATRIA

Al tempo della nascita di Antonio; Correggio era una Signoria, anzi una Contea, vassalla dell'Impero, ma con diritto assoluto di governo. Aveva leggi proprie, amministrazione, giustizia e truppe, similmente a più grandi stati di quei tempi.
La corte Correggesca era splendida, se non per ricchezze, per nobiltà ed attività politica e letteraria.
Mentre Napoli, Firenze, Milano, Venezia e Roma accentravano la vita politica, artistica ed umanistica delle loro regioni, l'Emilia splendeva tutta quanta di gemme luminose.
Ogni piccolo centro vantava la sua corte. Ecco infatti, oltre che gli Estensi a Ferrara, un ramo dei Gonzaga a Novellara, i Torelli a Guastalla e Montechiarugolo, i Pio a Carpi, i Pico alla Mirandola, i Rangoni a Castelvetro, i Boiardi a Scandiano, i Rossi a Parma, i Sanvitale a Fontanellato, i Pallavicino a Busseto e a Cortemaggiore. E se le. Casate della Mirandola e di Scandiano primeggiarono nelle lettere con Giovanni Pico e Matteo Maria Boiardo, la Casa di Corteggio in quel tempo brillava per Niccolò detto il Postumo, umanista celebrato, quanto nobilissimo cavaliere.
Inoltre, quando l'Allegri era men che ventenne, Veronica Gambara iniziava col marito la Signoria di Correggio e tutti sanno che, eccettuata la sola Isabella d'Este, la Gambara fu la più eletta figura di donna vissuta in quel tempo in Emilia.
Lodovico Ariosto, nel chiudere il suo poema immortale, salutava le donne belle ed insigni della sua terra e ricordava soprattutto le dame di Correggio (Orlando Furioso, 46: 3):
Oh di che belle e saggie donne io veggio oh di che cavalieri il lito adorno! Oh di che amici a che in eterno deggio per la letizia ch'han del mio ritorno! Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio veggo dal molo in su l'estremo corno; Veronica da Gambara è con loro sì grata a Febo e al santo aonio coro.
Beatrice da Correggio, figlia di Niccolò Postumo e di Cassandra Colleoni, è la " Mamma " citata dall'Ariosto. Ginevra era una Rangoni, sposa a Gian Galeazzo, fratello di Beatrice.
La Casa di Correggio era imparentata cogli Scaligeri, coi Pio, coi Carrara, coi Boiardo, cogli Estensi, coi Rangoni, coi Pico per non citare altri nomi e dall'esame dei documenti del tempo, appare un vivo scambio di idee ed impressioni con le Corti vicine, abbraccianti erudizione, arte e soprattutto appassionati commenti al fiorire delle correnti umanistiche.

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I MAESTRI

Quali Maestri ebbe il Correggio?
Narra li Pongileoni che l'Allegri fu iniziato alla pittura da uno zio paterno, Lorenzo, ed ebbe per compagno di studi il cuginetto Quirino.
La fama di Lorenzo Allegri, come pittore, non è però molto buona. Ma per fornire al giovinetto i primi elementi, la competenza dello zio era certo sufficiente. E' pure ammesso dal Pongileoni che Antonio, contemporaneamente allo studio della pittura, si istruisse nella letteratura sotto la guida di Giovanni Berni, piacentino e nella eloquenza e poesia per gli insegnamenti di Battista Marastoni, modenese.
Lo stesso biografo vuole ancora che l'Allegri avesse a maestro di pittura pure il correggese Antonio Bartolotti, mediocre artista che, coi suoi allievi, molto dipinse a Correggio, dedicandosi anche all'affresco.
Ma tutti costoro ben poco potevano insegnare al Correggio. All'età di 14 anni Antonio si recò a Modena, alla scuola di Francesco Bianchi Ferrari, dipintore perfetto e homo da bene, come afferma il Lancillotto e dovette frequentare la scuola - seppure saltuariamente - per due o tre anni. Questa opinione è oggi accettata da molti, pure se non da tutti.
Nella sua prima giovinezza, Antonio dovette poi accostarsi ad una figura di grande rilievo: il medico Giambattista Lombardi, forse lo stesso che il pittore effigiò nel Ritratto del Medico.
Il Lombardi studiò filosofia e medicina a Bologna, dove poi ottenne la cattedra di logica. Per la fama del suo ingegno e della sua dottrina, fu conteso a Bologna dall'Università di Ferrara, dove insegnò per cinque anni filosofia e medicina.
Il Lombardi si stabilì definitivamente a Correggio nel 1496, ivi chiamato con insistenza da Niccolò Postumo, di cui divenne medico e consigliere. li nostro medico ebbe rapporti con l'Allegri, che ne dipinse le sembianze. Il Lombardi può avere impartito al giovane pittore, se non proprio profonde lezioni di anatomia, poichè i critici moderni non tengono in molta stima la capacità dei medici di quell'epoca, almeno quelle sue cognizioni d'indole generale che per i suoi tempi dovevano pur essere considerevoli.
Ma il Correggio ebbe veri Maestri?
Salvo i primi rudimenti appresi nella natia città ed in Modena, vi sarebbe da pensare proprio di no. Certamente egli vide varie opere di ottimi pittori e ne ricevette impressioni ed influenze.
Nella prima parte della vita del Correggio, il Mantegna influì più di tutti e di tutto sulla sensibilità del giovane Allegri. E ciò pure se il Correggio non ebbe agio di conoscere di persona quel grande Maestro. Certo è che quando nell'anno 1511 il Correggio si trasferì a Mantova per sfuggire alla peste, il Mantegna era morto già da cinque anni. Ma dal Mantegna, il Correggio trasse ben di più che impressioni coloristiche, bensì la sapienza e l'ardimento della prospettiva.
Più tardi il Correggio rimarrà influenzato dalla forza plastica del chiaroscuro delle opere Leonardesche e soprattutto dalla spiritualità che traspare dalle opere di quel Grande.
Ecco i veri Maestri del Correggio: Mantegna ed indi Leonardo, pure se il pittore non potè conoscerli di persona e non ebbe agio di conoscerne che poche opere.
Ma un terzo grande Maestro sorresse il pennello del Correggio: la realtà.
Realtà viva ch'egli scorgeva ovunque intorno a sè e che scaturiva da ogni gesto, ogni sguardo, ogni sentimento della sua diletta famiglia.
Tre sono le fonti della sua arte: Mantegna, per la sapienza della forma; Leonardo per la spiritualità; la Realtà, per la vita ch'egli sapeva cogliere.

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LA CULTURA

Su di un altro punto riesce interessante soffermarsi: la cultura generale del pittore.
Invero le carte autografe del Correggio sono scritte abbastanza correttamente.
Che l'Allegri fosse colto in storia sacra e civile, lo dicono i suoi dipinti, che denotano un pensiero sicuro ed una buona interpretazione dei soggetti.
In Parma il Correggio doveva goder fama di competente anche in materia edile. Difatti mentre il nostro Antonio lavorava attorno all'affresco del Duomo, nella cupola della chiesa della Steccata, ch'era in costruzione, si manifestò una crepa che parve paurosa.
Quei Canonici per trovare un rimedio sicuro si rivolsero a vari competenti e fra questi anche al Correggio, che dette il suo parere.
Ma, quasi certamente, la sua maggior cultura comincia a formarsi a Parma all'epoca della Camera di S. Paolo, cioè nel 1519-1520, al contatto non solo della badessa Giovanna da Piacenza e di altri, quanto particolarmente dell'erudito parmigiano Giorgio Anselmi. Infatti il dotto Ireneo Affò nel suo Ragionamento sopra una stanza dipinta dal celeberrimo Antonio Allegri da Correggio nel Monistero di S. Paolo (Parma, 1794) richiama alla memoria Giorgio Anselmi letterato e poeta eccellente, che tener doveva nel Monistero di S. Paolo molta familiarità per una sua figlia ivi consacrata
nel 1518 a servir Dio sotto il legame de' sacri voti.
Come vedremo più innanzi il Correggio dovette tradurre in figura e simboli quanto appreso nei dotti conversari parmensi e solamente così può spiegarsi il significato allegorico delle figure dei suoi affreschi, figure come legate l'una all'altra da un discorso, o comunque da continuità di pensiero.
Certo è poi che, in seguito, la sua cultura dovette farsi profonda e precisa, indubbiamente per la collaborazione dei dotti umanisti, religiosi e laici del suo tempo. Ma una cultura elaborata poi secondo un intendimento ed una regìa particolari e geniali.

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I VIAGGI

I viaggi che il Correggio compie, sono rivolti particolarmente a Parma, che diviene ben presto la sua vera città.
Altri luoghi in cui certamente operò, furono Reggio e Modena. A Reggio egli si sofferma almeno per stipulare accordi col Pratoneri per la Notte e col magnifico Alberto Panciroli per un dipinto che non riuscì ad iniziare.
A Modena il Correggio compie la sua prima educazione artistica alla scuola del Bianchi-Ferrari, come già si è detto, e con quella città deve aver tenuti rapporti saltuari per la grande pala del S. Sebastiano ed altri lavori.
A Mantova egli si recò nel 1511 ed ivi, come si è detto, ricevette l'impronta Mantegnesca dei suoi primi lavori.
Un lungo soggiorno a Bologna, per lo studio delle opere del Francia e del Costa, è poco probabile. Ma è pensabile che l'Allegri si sia recato nella capitale emiliana almeno una volta, prima del 1515, perchè i suoi lavori giovanili echeggiano, nel colore, di influssi delle opere dei due pittori.
D'altra parte - per tacere di Parma - Mantova, Bologna, Modena e Reggio sono vicine alla natia città dell'Allegri; e il pittore potè visitarle servendosi dei mezzi dei tempo, mezzi che erano rappresentati, in gran parte, dalle proprie gambe.
I critici contemporanei suppongono che egli abbia affrontato il viaggio di Milano, perchè la sua opera risente, specialmente in determinati lavori - e non solo nel chiaroscuro - dell'impronta leonardesca.
Anche questo è probabile, soprattutto perchè era possibile, a quel tempo, giungere alla metropoli lombarda abbastanza velocemente con i servizi cosidetti postali.
Si è anche sostenuto da alcuni, sino a tutto il secolo XVIII, che il Correggio abbia compiuto il viaggio di Roma.
Ciò in gran parte per una lettera del Bonfacio scritta da Roma a Paolo Manuzio, in cui è' detto: Il Correggio è ammalato, vi si raccomanda. Ma la lettera è del 1539, quando l'Allegri era morto da cinque anni, ed allude ad un altro pittore: Antonio Bernieri, anch'egli nativo di Correggio.
La battaglia dei critici circa il soggiorno dell'Allegri a Roma, riaccesasi in questo secolo, è finalmente vinta dal Longhi che pone il viaggio del pittore nella città eterna fra la metà di marzo del 1518 e il gennaio 1919. E tale vittoria è suffragata da felici osservazioni in merito alla Camera di S. Paolo, dipinta - secondo lo stesso Longhi - in un tempo immediatamente successivo al gran viaggio romano, perchè il primo frutto del viaggio, subito dopo il ritorno, fu il recupero della vera classicità, la purezza quasi di novella Grecia della Camera di S. Paolo (R. Longhi).
Già parlammo dei Grandi Maestri che influenzarono il genio dell'Allegri. I suoi viaggi ci fanno scorgere anche molti altri influssi. Ma il genio si serve di ogni stimolo esterno per provocare una rispondenza dell'anima e della mente, talvolta imprevedibili. E il Correggio, fornito di ogni necessaria conoscenza, nel periodo di sua maturità ricreò la propria pittura dandole tale impronta da renderla inconfondibile.

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VITA PRIVATA

La vita privata del Correggio si svolse nell'ombra e senza rilievi.
Nel gennaio o febbraio del 1520, all'età di circa 31 anni, il pittore sposava la dolce giovinetta ancora sedicenne Girolama Merlini, di cui immortalava il viso nelle tante Madonne ed anche in figure profane.
Dolcissimo viso dagli occhi luminosi e profondi, che ha riscontro nelle fattezze di molte giovinette emiliane.
Il pittore fu, in breve volgere di anni, padre di quattro figli: Pomponio, Francesca Letizia, Caterina Lucrezia ed Anna Geria.
Caterina ed Anna morivano ancora bimbe, precedendo la loro madre, che si spegneva nel 1529, a soli 26 anni di età.
Antonio, completata la maggior cupola di Parma, ritornava in patria con Pomponio e Letizia ed ivi soffocava nel lavoro il dolore per la perdita della moglie diletta e di due figlie.
Nel pieno delle sue forze, quarantacinquenne, il 5 marzo 1534, egli stesso si spegneva d'ignoto male.
Non si conoscono altre donne nella sua vita, altri amori che quelli per la moglie ed i figli, altre gioie oltre i semplici affetti familiari.
Il pittore non amò la vita mondana. E' vero che l'Allegri appare come testimone negli Atti del suo Signore, il Conte Manfredo e della sua gran Signora, la Contessa Veronica; ma non è presente alle cerimonie di corte, alle feste, ai ricevimenti dell'Imperatore Carlo V che si svolsero a Correggio e non è mai presente ai convegni nella villa della Gambara, a cui intervennero Lodovico Ariosto ed altri poeti, i più illustri Signori del suo tempo e le più belle e colte dame.
Col mondo, l'Allegri si comporta da misantropo. Ma in verità non ha tempo per il mondo, in quanto il mondo vero, il suo mondo, egli lo porta in sè, nel cuore e nella mente.

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MORTE E SEPOLTURA

Antonio Allegri venne sepolto il 6 marzo 1534 nel Convento di S. Francesco di Correggio, in una cappella a forma di camera di uso dei Confratelli del Santissimo, cappella che faceva angolo con la chiesa e a cui si accedeva dalla strada pubblica, e più tardi dal chiostro (o portico) esterno di detto convento. Nella cappella dovevano essere già sepolti i membri di famiglia della madre del pittore, Bernardina Piazzoli degli Aromani.
Ebbe poveri funerali e una " vacchetta ", tenuta dai frati del convento, ricorda con parole comuni l'avvenimento.
Per la sepoltura furono richiesti 13 soldi ed 8 denari, somma corrispondente a quel tempo al valore di quattro polli.
La bara fu collocata ai piedi di un altare e sulla sepoltura fu posto un coperchio di legno in cui venne incisa la scritta: Antonius de Allegris Pictor.
Più tardi quell'altare prendeva il nome della Madonna di Reggio, a motivo di una icone, ivi posta, effigiante tale Madonna.
Nell'anno 1641, allo scopo di costruire le cappelle laterali della chiesa, i frati demolivano in parte tale camera e l'aprivano in chiesa, ove tutt'ora esiste sotto la denominazione di cappella della Beata Vergine Addolorata.
I resti del corpo del pittore e di altri suoi familiari venivano trasportati nel chiostro interno a poca distanza dalla prima sepoltura, nel vicino angolo di detto chiostro, nel luogo ove fu dipinto di poi contro il muro una immagine effigiante il miracolo di S. Antonio denominato Miracolo del marmo spezzato dal bicchiere,
In corrispondenza della seconda sepoltura, nello stesso secolo, il sacerdote Girolamo Conti faceva porre una lapide in marmo ricordante ed elogiante il maestro, lapide che fu trasportata più tardi sotto il portico esterno, ove tutt'ora si legge.
Nell'anno 1786 Ercole III, Duca di Modena, ordinava la esumazione del cranio dell'Allegri e gli incaricati della ricerca trovato un cranio - identificato poi per quello di una donna in età avanzata - lo presentavano per quello del pittore.
Il 10 marzo 1934 i presunti resti mortali del pittore di altri membri di sua famiglia vennero tolti dal luogo che studi dello scrivente presentavano per quello della seconda sepoltura dell'Allegri. Molto più tardi e cioè nel 1951-52 i resti venivano inviati in esame - per la loro identificazione - all'Istituto di Antropologia dell'Università di Bologna, ove, ancora senza esito, tutt'ora si trovano.

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GIROLAMA MERLINI

Quando, al principio del 1520, l'Allegri sposò Girolama Merlini del territorio di Correggio, il pittore aveva già varcato la trentina. Per quei tempi, la sua doveva considerarsi un'età già matura, perchè era norma per un uomo, sposarsi prima dei 25 anni. Al contrario di lui, la sposa era assai giovane, essendo nata il 29 marzo 1503.
Girolama era rimasta orfana di padre a meno di un anno di età, poichè Bartolomeo Merlini de Braghetis, di professione armigero del Marchese di Mantova, era morto sul campo nel novembre dello stesso 1503.
Ben poco si conosce del matrimonio - che potè esser frutto di una improvvisa folgorazione - all'infuori della discreta dote costituita al marito e del titolo di Signora che le vien dato nell'atto dotale.
Prima dei matrimonio un testamento fatto da Girolama l'8 giugno 1518, lascia molto perplessi. La ragazza, a soli 15 anni, costituisce credi dei suoi beni lo zio paterno Giovanni e la moglie di lui, Lucia.
Perchè Girolama fa testamento? Quando mai i ragazzi usano testare? A questi interrogativi se ne potrebbero aggiungere altri su cui è meglio non soffermarsi.
Ora, osserviamo attentamente Girolama: poichè di lei non si possiede un solo ritratto, ma diversi e, si può dire, tanti, nelle vesti di Madonna e addirittura senza vesti. E ritratti non di poco conto, poichè dipinti da quel grande artista che fu il Correggio.
Si comincia dalla Madonna della Scala, dipinta nel 1522-23 e si sale grado grado con L'Adorazione custodita agli Uffizi, la Madonna del Latte, la Madonna della cesta ed altri dipinti.
La disadorna e casta bellezza di quel volto si afferma però decisamente in quattro capolavori dell'arte sacra, quali: la Madonna del S. Sebastiano, la Madonna della Natività, nel dipinto denominato La Notte, la Madonna del S. Girolamo e la Madonna della Scodella.
Il viso di Girolama appare appuntito al mento, un po' affilato, illuminato da un mesto sorriso. L'attaccatura dei capelli, posta assai in alto, lascia scoperta una fronte troppo spaziosa. Tutto l'insieme ed il velo di malinconia sempre calato sui suoi occhi danno l'impressione d'una creatura di salute delicata e conscia d'esser predestinata a morir giovane. Infatti Girolama muore a soli 25 o 26 anni di età di una sconosciuta malattia, che però potrebbe anche essere la peste che infieriva in Parma nel 1529.
A quindici anni di età la giovinetta Girolama, se non malata, doveva essere delicata di salute ed avere un gran desiderio di morire, con quel nostalgico sogno di cielo che coglie talora i ragazzi soprattutto quando il loro fisico mostra una deficiente vitalità.
Questo desiderio di morire, mutato in sensazione di prossima morte, potrebbe essere stata l'unica causa del testamento. E proprio questo aspetto fragile, questo nostalgico rimpianto di un paradiso perduto deve aver fatto breccia nell'animo del pittore.
Antonio, anche prima del 1520, aveva volto lo sguardo su tipi simili e doveva pensarvi spesso, come alla ricerca di un tipo di donna ideale vagheggiato. Infatti basta osservare la Madonna col Bimbo e S. Giovannino del Castello Sforzesco e la Madonna Campori dipinti circa nel 1515, per esserne persuasi. Per questo si è qui accennato ad una possibile " folgorazione ".
L'aspetto fisico di Girolama dovette ossessionare il pittore anche nell'età matura. Tanto che, abituato a quell'immagine - e come se fosse da essa ancora attratto - alla morte della moglie anzichè prendere una nuova modella, preferisce dare un calore affatto nuovo di sensualità alla stessa immagine.
Ed ecco, tre anni dopo che Girolama è scesa nella tomba, risplendere ancora quel volto e rivelarsi per la prima volta quelle carni nude, in Danae ed Io, nel brivido dell'unione terrena.

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LE VERTENZE GIUDIZIARIE

Un aspetto completamente diverso da quello della spiritualità, o comunque da quello dell'evasione dalle miserie terrene, si presenta esaminando le cause civili in cui il pittore fu coinvolto.
E' vero che dietro ogni guadagno od eredità di Antonio stava il padre Pellegrino - l'accorto e vigile amministratore dei beni propri e di quelli del figlio -; ma in qualche caso il Correggio potè agire per proprio conto e con una certa impulsività. Come ad esempio avviene il 18 settembre 1521, allorchè il Correggio, però sempre assistito dal padre, con un atto pubblico revoca il
proprio procuratore Francesco degli Affarosi e ne nomina un altro. Ma andiamo per ordine.
L'anziano zio materno del pittore, Francesco Ormani, sposa la parmigiana Oliva Chierici che gli costituisce la propria dote il 18 gennaio 1519; indi il I' febbraio dello stesso anno e cioè a soli 13 giorni di distanza dall'atto dotale, l'Ormani dona i propri beni disponibili al nipote Antonio per compensarlo di servizi ricevuti.
Ma i beni goduti dall'Ormani non dovevano essere in tutto suoi, se vengono in parte rivendicati da un altro nipote, figlio di un fratello del donatore.
Due anni dopo, nel 1521, l'Ormani muore ed ha inizio una lite che dura sei anni e che viene placata con un lodo salomonico del Conte Manfredo da Correggio, assegnante una parte dei beni all'uno, e parte all'altro dei contendenti.
Il torto era del Correggio, che avrebbe potuto accordarsi alle prime richieste dell'Ormani, senza aspettare di perdere circa metà dell'eredità sei anni dopo e con l'aggiunta di noie e considerevoli spese di causa.
Il punto più interessante di tutta la vertenza sta però nella revoca dell'Affarosi, suo procuratore: perchè non si revoca il mandato al proprio avvocato se non per gravi motivi. Invece i motivi addotti si riducono ad una generica dichiarazione di sospetto e diffidenza, senza prove nè maggiori delucidazioni.
Si può pensare invece che il Correggio, forse stimolato dal proprio padre, volesse aver ragione ad ogni costo, anche contro il parere dell'Affarosi tendente a chiarirgli i lati negativi della causa.
Qualcosa di simile avviene in una lite per i beni della moglie Girolama, lite iniziatasi nel 1523 e terminata nel 1528, con la cessione a favore di Genesio Mazzoli di una parte delle facoltà della stessa Girolama e della di lei cugina Lucia. Ma in questo caso entra in lite Giovanni Merlini, zio di Girolama, e non sappiamo quale peso abbia avuto l'Allegri nel condurre la vicenda.
Certo che il Correggio, spinto dal proprio padre, dovette amare molto ì beni della terra, mostrando talvolta anche una certa taccagneria.

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IL CAPOSCUOLA

Il Rinascimento, in Italia, trova attraverso la pittura una via veramente regale per affermarsi, fruendo dei maggiori geni annoverati dall'umanità: Leonardo, Raffaello, Tiziano e Michelangelo.
Ciascuno dei grandi caposcuola nominati è il portatore di un ideale e non solo di un ideale pittorico.
il Correggio, in Emilia, esaurita la missione delle scuole precedenti, che pur vantavano i nomi del Mantegna, del Bianchi Ferrari e del Francia cerca e trova una nuova, verità nelle immagini che scorge, secondo i colori della sua terra e l'indole dei suoi abitanti. Al Correggio spetta soprattutto d'aver trovata una letizia che sorge da una terra ammantata dal verde dei suoi campi colle dolci frutta, il suo vino, le sue belle e fresche donne,
i suoi pargoli rosei e paffuti. E' un ideale che rifugge da pensieri di costrizione e di morte e che caratterizza sia la terra d'Emilia che l'anima del suo pittore.
Ma se questa rimane sostanzialmente la verità, il Correggio, spinto innanzi da un anelito di superiore ricerca, finisce per cimentarsi in tutte le vie; da quella della classicità a quella dell'epica religiosa, per terminare nella visione pagana della vita.
Questa apparente mutevolezza sta a caratterizzare la sua continua ascesa nel campo del pensiero e dello spirito.

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I CINQUE PERIODI DELLA SUA ARTE

L'opera del Correggio è compresa in cinque grandi periodi: così come la comprende Adolfo Venturi nel suo " Correggio ".
Il primo d'essi si svolge dalla nascita del pittore all'anno 1515. E' il tempo in cui avviene
la sua educazione, della sosta modenese come di quella mantovana e forse dei suoi brevi viaggi a Bologna ed anche a Milano. E' un periodo di formazione in cui egli riceve gli influssi del Mantegna, ma anche quelli - se pure in minor misura - del Francia, del Costa e del Dossi: il periodo in cui sta maturando il significato delle ombre leonardesche. Questo periodo culmina e termina con la grande pala della Madonna del S. Francesco, di composizione classica, con reminiscenze Mantegnesche, in cui il Correggio già mostra la sua valentia.
Il secondo periodo inizia dall'ultimazione di quella tavola. il Correggio si lancia alla ricerca di nuove verità, varcando con impeto le soglie degli insegnamenti ricevuti, specialmente per quanto riguarda le forme. Le figure ora si contorcono come in una S, come nella Madonna Campori di Modena o nel S. Antonio Abate di Napoli o s'incurvano in se stesse come nella Madonna col Bambino detta la Zingarella; oppure sono composte secondo linee sghembe come nel Riposo nella fuga in Egitto degli Uffizi o nella Madonna d'Albinea, in cui si notano l'uno e l'altro concetto.
L'arte del Correggio attraversa una profonda crisi - come giustamente osserva il Longhi nella sua opera sulla Camera di S. Paolo. Ma poi il pittore sembra riprendersi in una composizione corretta ed austera: il Ritratto di Dama dell'Ermitage di Leningrado, dipinto nel 1518. Per superare se stesso egli ricorre al viaggio romano, che il Longhi fissa fra la metà di marzo del '18 ed il gennaio del '19. A Roma il pittore è come scoprisse un nuovo mondo, dalle suggestioni che provengono da ossessionanti ricordi di classicità e paganità che si perdono nel tempo.
E quando il Correggio è a Parma, nel 1519 e nel 1520, ecco dischiuso alla sua arte il terzo grande periodo, che termina con la composizione decorativa della Camera di S. Paolo ove le cognizioni ed i ricordi mantegneschi e della classicità romana, servono. da supporto alla smagliante avventura dei putti, ed alle scene mitologiche.
Segue il quarto periodo della sua vita, il più fulgido, quello che gli darà maggior gloria nel mondo: il periodo del soggiorno parmense al tempo della decorazione delle grandi cupole (1520-1530) e della composizione dei suoi maggiori dipinti, su tavola e tela, quali la Madonna della Scodella, il Giorno e la Notte.
Sono i dieci anni della maggiore sua potenza nel campo pittorico, come del compimento della sua opera nel campo familiare, a cui seguono le
"ombre " dell'ultimo periodo trascorso in patria dal 1530 al 1534, con l'esaltazione del piacere fisico ed il rimpianto della sposa perduta, ombre
e rimpianto manifestati attraverso la composizione delle immagini degli Amori di Giove.

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I DIPINTI

Di altri dipinti è il caso di accennare. La Adorazione' conservata agli Uffizi è un'opera purissima di intima soavità. 1 colori sono smaglianti come smaltati, e ricordano l'arte coloristica dei Bianchi-Ferrari. Il Noli me tangere della Galleria del Prado, ha qualche punto in comune coll'Adorazione, per la finitezza del disegno e la coloristica smagliante: la più appassionata delle Sante rivolge il viso ardente al Cristo risorto, con languore e smarrimento, sì da farci pensare ad un'estasi. Di fronte a lei, Gesù fissa lo sguardo sulla Santa e colla mano alzata sembra voglia elevarne lo spirito alla Divinità.
Il Cristo deposto della Galleria Parmense, esprime un profondo dolore, specialmente attraverso la testa del Cristo morto, che è di una bellezza inimitabile.
Nel Martirio dei quattro Santi, in cui il pittore sembra non voler effigiare per intero dei ceffi brutali, i volti di S. Placido e S. Flavia esprimono il fremito del dolore composto e sublimato dalla Fede. Dei due carnefici, l'uno volge il dorso; l'altro china il capo, in modo da non lasciarsi scorgere in viso che poco e solo di scorcio.
La Madonna della Scodella ci conduce ad un quadretto di dolcezze familiari. Nel dipinto è forse effigiata parte della famiglia del pittore: Girolama e Pomponio. E probabilmente lo stesso Antonio tiene il posto di Giuseppe.
La Madonna del S. Girolamo è il capolavoro del pittore: gemma inimitabile, ammirata da tutto il mondo. Il dipinto, attraverso una gioconda festa di luci, ci rappresenta un sogno di paradiso. E' l'esaltazione della maternità, il tripudio della bellezza.
La Notte, il celebre quadro di Dresda di cui Reggio ne conserva solo la copia, è da tutti conosciuto e ad esso hanno attinto altri pittori per le loro composizioni. per chi lo guarda, costituisce costante meraviglia l'effetto ottenuto dalla luce che scaturisce dal pargolo ed illumina la Vergine, i pastori e gli Angeli,
La Madonna dei S. Giorgio è l'ultima pala di soggetto sacro. In essa già si intravvede il barocco. L'effetto religioso è assai scarso. il Correggio è quivi ad una svolta della sua vita. In lui sembra risvegliarsi una potente sensualità. Egli dipinge man mano la Scuola d'amore, Antiope, Leda, lo, Danae, chiudendo con Ganimede rapito dall'aquila la serie degli Amori di Giove.
Il più signorile di tutti i suoi dipinti è Danae. Ancora una volta fulgoreggia il volto di Girolama Merlini, ch'era già scesa nella tomba e il nudo, nella sua apparente impudicizia, all'osservatore attento si rivela purissimo. L'Angelo mistico questa volta si trasforma in amore, in paraninfo, e Danae sorride lievemente.
L'Io è però il più potente dei suoi lavori o almeno quello che segna lo stato d'animo dell'artista, rimasto solo dopo la morte della sua compagna. Lei è nell'ombra, lui nella carne; ma se si rovescia la verità e la donna appare sulla terra in erotico abbandono, rimane nell'ombra, fra le nubi, a baciare la sua sposa lo stesso pittore, con labbra che non son labbra e che tanto vorrebbero esserlo.

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GLI AFFRESCHI DELLA CAMERA DI S. PAOLO

Gli affreschi della Camera di S. Paolo sono giudicati ancora misteriosi in quanto a significato.
Il dipinto si compone di 16 ovali che racchiudono uno o due putti, ovali separati da festoni di fogliame verde. Sotto ciascun ovato il pittore effigiò, a chiaroscuro, delle figure mitologiche.
Sul camino centrale è affrescata una figura femminile, a rappresentare la stessa Badessa Giovanna da Piacenza, sotto le spoglie di Diana cacciatrice.
I dipinti sono assai curati come esecuzione e particolarmente interessanti per la coloristica delle carni dei putti.
In quanto al significato dell'opera, Arnaldo Barilli interpretò la composizione legando fra loro sia le scene degli ovati che quelle delle lunette.
Negli ovati, secondo il Barilli, il pittore avrebbe voluto rappresentare simbolicamente la vita sociale attraverso le quattro età ovidiane. Nelle lunette, invece, l'allusione sarebbe rivolta alla vita individuale dell'uomo, nel suo procedere dalla nascita alla morte. L'interpretazione del Barilli non ha però persuaso gli studiosi.
Per una esatta interpretazione del significato degli affreschi è forse da appellarsi alla sorte che Giovanna da Piacenza credette subire e che accettò, se pure orgogliosamente, secondo i canoni di una filosofia pagana e comunque non cristiana. E' questa l'ipotesi affacciata da Erwin Panowsky in The Iconography of Correggio's Camera di San Paolo (1961): ipotesi che si concreta nel ravvisare gli affreschi del settore orientale della Camera espressione e sintesi dello speculum naturale; quelli del settore nord ed occidentale, espressione di specalum morale e gli ultimi del settore sud, relativi allo speculum doctrinale.
Le immagini che appaiono negli affreschi sono dunque pari a simboli di un pensiero assillante la mente di Giovanna ed in cui l'irrequieta Badessa si era rifugiata; facendosene scudo: un pensiero che può riassumersi nei motti latini a lei cari. Ignem gladio ne fodias - Iovis omnia plena - Omma virtuti pervia - Dii bene vortant - Sic erat in fatis. Alla luce del primo di quei motti, Giovanna lottò per la sua libertà; a quella del secondo e del terzo, seppe mantenersi virtuosa; e, soprattutto per l'ultimo di quei motti, la Badessa sembrò accettare l'ingiustizia della necessaria rinuncia alle gioie mondane.
il Correggio, nella Camera di S. Paolo, dovette quindi partecipare, da artista, al pensiero della Badessa o di chi l'ispirò, e tradurre quei simboli in dipinti. Nuovo e importante cimento che rivela come il pittore fosse pronto a raccogliere il significato ermetico espresso dalla mitologia.

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GLI AFFRESCHI, A PARMA, IN S. GIOVANNI E IN DUOMO

La cupola della Chiesa di S. Giovanni Evangelista - dipinta fra il 1520 ed il 1524 e con larghi intervalli di tempo fra le due date - rappresenta gli Apostoli fra le nubi, disposti a cerchio. S. Giovanni Evangelista giace però sotto di loro, in terra. Al centro, nell'aria e discendente verso la terra, sta il Cristo. Il senso del dipinto è quello de L'annunzio della morte a S. Giovanni Evangelista.
Gesù discende dal cielo e mostra a S. Giovanni gli Apostoli che hanno preso posto fra le nubi. Il Redentore sembra dire al Santo, con le stesse parole che la " Leggenda Aurea " riporta: Vieni, o mio amato, perchè è giunto il momento che Tu ti assida alla mia mensa coi Tuoi fratelli. Ed il Santo, fisso gli occhi a Gesù, aprendo le palme in segno di remissione, sembra rispondere: La mia lunga giornata è finita, Signore. A Te rimetto la mia anima.
L'effetto dell'affresco è grandioso e singolarmente suggestivo. Il Maestro appare quivi padrone dell'anatomia e della prospettiva. 1 soggetti sono liberati da ogni dura compostezza, e nella maschia vigoria dell'aspetto, gli Apostoli richiamano alla mente le titaniche figure michelangiolesche. Il sapiente restauro, recentemente operato, ha rivelato una smagliante sinfonia di colori e riportate in luce figure di minore importanza. E soprattutto per opera della Ghidiglia Quintavalle, che ha, sapientemente diretto il restauro, oggi appare nella chiesa tutta la grandiosità del genio del Correggio: un genio che ha saputo legare la cupola al tamburo, ai pennacchi, ai sottarchi, al presbiterio, all'abside ed alla lunetta del transetto in cui appare S. Giovanni giovane, intrecciando così un racconto a cui partecipano il Redentore, la Vergine, gli Apostoli, gli Evangelisti, Dottori della Chiesa e personaggi biblici.
Una recente scoperta di altre figure, dipinte nella chiesa dal Correggio, completa ora la visione di quell'opera gigantesca.
Ma un altro supremo cimento aspettava il pittore coll'affresco della cupola del Duomo, eseguito dal 1526 al 1530.
Quivi il Correggio ha valicato le barriere del tempo e dello spazio, vinta la materia, spinto il suo pensiero nel fulgore del Paradiso.
Il Norregard, studioso del Correggio e suo grande ammiratore, scorge nell'affresco della Cupola la proiezione del 23' Canto del Paradiso di Dante, l'"Assunzione della Vergine in cielo", come l'Alighieri l'ideò nel suo poema immortale. Ma il Correggio ha invece voluto svolgere un tema più ampio, di cui l'Assunzione è parte. La Glorificazione dei cinque protettori di Parma: la Vergine, S. Ilario, S. Giovanni Battista, S. Tommaso e San Bernardo. E poichè il tempio è dedicato a Maria Assunta, così il Correggio è riuscito a glorificare i quattro Santi e la Vergine, cogliendo quest'ultima nella sua ascesa al Paradiso.
Dai quattro protettori di Parma, dipinti nei pennacchi, alle figure dei sott'archi, agli Apostoli che attorno alla balaustrata esprimono la meraviglia e la fede; dal messo di Gesù, che discende dal cielo a guidare Maria, agli Angeli osannanti fra canti, suoni e danze, assistiamo all'ascesa trionfale della Vergine, con le braccia aperte, verso una nube d'oro, verso la luce sovrumana del Paradiso.
La Purissima, che tiene in grembo un putto a difesa del Verginal chiostro, si accinge a passare fra Adamo ed Eva, i peccatori, dopo aver redenta l'umanità dal fallo originale.
L'affresco del Correggio è insuperabile per audacia, tecnica, profondità di concezione e pensiero, quanto per purezza di stile.
E' il più portentoso affresco che mai sia stato dipinto. Un celebrato poeta tedesco, di fronte a tanto miracolo di fede, pensiero e bellezza, così cantava:
D'aver visto l'Italia niun si vanti,
nè l'idee più sublimi
d'aver attinto estimi,
nè i segreti e gli incanti
d'arte più alti - intendere si glori
mai - se il tuo Maggior tempio,
o Parma, ignori.

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il Correggio RITRATTISTA

il Correggio venne ritenuto un grande compositore di soggetti, ma non precisamente un ritrattista.
Di ritratti a lui attribuiti, alcuni anni fa se ne conoscevano poco più di un paio e cioè il Ritratto di Magistrato della raccolta Tyssen di Castagnola (Svizzera); un Ritratto Virile provvisto di folta barba, dei Castello Sforzesco; ed un altro Ritratto Virile, detto di Lord Lee, conservato a Londra. Quest'ultimo è ritenuto un autoritratto
I tre lavori non hanno sfondo paesaggistico, salvo il ritratto d'uomo dalla folta barba, dietro cui si scorge un fondo di " verzura ".
Si tratta di tre ritratti di commovente bellezza per l'evidenza della fedeltà delle figure. Il Ritratto di Magistrato poi, per le delicate sfumature del suo monocromato rossiccio, sorprende per potenza di effetto.
I tre dipinti sono di modesto formato. Il più grande di essi è delle dimensioni di cm. 60 x 45.
Ma una tela di dimensioni maggiori (103 per 87,5) che fa parte della Galleria di Leningrado, si è venuta in questi ultimi anni ad aggiungere ai lavori nominati.
Trattasi del Ritratto di Gentildonna, dipinto a Correggio - come vuole il Longhi - fra il 1517 ed il 1518, prima cioè del viaggio romano dell'artista.
Il dipinto è firmato Ant. Laet.' cioè " Antonius Laetus ", ed è forse il primo firmato dal suo autore con tal nome. Lo scopritore del dipinto, od almeno il critico d'arte divulgatore dell'opera, è Roberto Longhi, che nel suo studio Le fasi del Correggio giovane e l'esigenza del suo viaggio romano, descrive l'opera e la paragona ai tre maggiori ritratti rinascimentali che ornano l'umanità: la " Gioconda di Leonardo ", la " Donna Velata di Raffaello " e " Violante del Tiziano ".
Il dipinto è stato ritenuto come possibile ritratto della poetessa Veronica Gambara. Ma in verità trattasi del ritratto della Contessa Ginevra Rangone, rimasta vedova nel gennaio 1517, allorchè la Dama era sui trent'anni d'età. Di essa si parla più diffusamente nel capitolo dedicato alle Dame di Correggio.
La vedova tiene in mano la tazza di nepente, come pronta a bere il farmaco che le darò l'oblio del dolore per la perdita del primo marito. Essa è bella, dai capelli neri o castano scuri, dall'incarnato roseo. Le sopracciglie sono castane. L'occhio è scuro, con riflessi grigio-azzurri. L'acconciatura posta sul capo della dama è di seta, trattenuta
in alto da un fermaglio di perle. L'abito, dalle ampie maniche, è di colore avorio e con una bruna sopraveste francescana. Una disinvolta mossa della già scollata sua camicetta, lascia in bella vista le rosee e morbide forme del petto e di una spalla.
Tutta l'intonazione del ritratto è sul verde: un verde delicato che sembra provenire dal paesaggio degradante in vari toni, e dal cielo venato in giallo-rosa. Il colore del fogliame d'alloro è invece di un verde più scuro e fa da sfondo al capo della donna, dandone sicuro risalto.
Il paesaggio è tipicamente correggesco. Vi si scorgono i colori della campagna, con lo sfondo delle prime colline, secondo la calma luce di un primo mattino di maggio o di settembre.
Con quel ritratto il Correggio ha affrontato il suo compito al pari di quando si è accinto ad altre composizioni di notevole potenza. E basta questo dipinto a qualificare il pittore fra i Più grandi ritrattisti d'ogni tempo.
Ma anche come paesaggista il suo genio è singolare ed in taluni dei suoi dipinti, non solo il paesaggio si integra con le figure delle composizioni, ma talvolta sembra eguagliarle per importanza, come ad esempio nella " Natività " di Brera. Ed anche quando il paesaggio serve unicamente da complemento o da sfondo, esso si manifesta talora cupo come nella " Zingarella " di Napoli, idilliaco come nel " Noli me tangere ", lussureggiante come nella " Madonna della Scodella " e in tanti altri dipinti, un po' misterioso come nella " Notte ".
Anche se talvolta appaiono nei suoi lavori scorci architettonici e se le cornici ch'egli disegnò per i più importanti dei suoi dipinti, sono animati da un gusto squisito nelle proporzioni e nelle linee, più che un architetto sommario, il Correggio - nelle sue tele - si dimostrò pittore e le figure umane e divine in corpi umani che vivono nei suoi dipinti, si sposano soprattutto al regno vegetale coi suo verde manto dell'erba e quello del fogliame, essi pure sposati al color bruno dei tronchi.
E' invece negli affreschi che l'ambiente gli permette di diventare, più che architetto, un prodigioso scenografo. E come tale il Correggio vince la grezza materia e lo spazio e dà unità d'insieme e di propositi alle tante figure che sembrano muoversi libere nell'aria, in ascesa verso l'infinito.

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ARTE E TECNICA

Molti profani si sono chiesti spesso per quale motivo preciso il Correggio sia da considerarsi un insuperato pittore.
Se per il colore, il disegno, la prospettiva o l'ideazione. Per dare risposta a questa domanda, userò le stesse parole di Corrado Ricci (il Correggio) che, in una felice sintesi, vide nell'opera del nostro: " Novità di concezione, quand'Egli, primo Per tempo fra i pittori del mondo, abolì nelle cupole ogni scompartimento architettonico e le invase con una sola composizione figurativa. Nessuno, per l'innanzi, aveva osato tanto, nemmeno, nella volta della Cappella Sistina, Michelangelo, il quale i suoi terribili episodi dell'Antico Testamento incastonò in uno scompartimento Poderoso e scultoreo; nemmeno Raffaello che, nelle volte delle stanze Vaticane, cinse di riquadri, figure e storie. Novità di forme, perchè nessuno prima di lui, aveva affrontati e risoluti altrettanti problemi di scorci del corpo umano e risolto l'effetto prospettico di tante estremità, con centinaia di piedi volti in mille modi, di mani congiunte talora in grappoli.
Novità di mezzi esecutivi, perchè dal disegno calligrafico e dal colore serrato e smaltato ferrarese, Egli passò man mano all'indefinitezza dei contorni quasichè li penetrasse la luce, alla levità delle velature sovrapposte che gli consentirono di raggiungere gli estremi effetti del chiaroscuro, e perciò di cacciar l'aria nel groviglio delle forme umane. Virtù queste, per le quali egli è f orse da proclamare il maggiore dei pittori italiani, per le sue qualità d'ideare ad un tempo, disegno e colore, luce e rilievo, di vedere, in altre Parole, i suoi soggetti nascere, e concretarsi simultaneamente nell'idea e nell'aspetto; di antivederli nello spazio, liberi d'ogni inciampo, frenetici di moto e di gioia, meravigliosi di vita, di grazia e bellezza ".
Il restauro della cupola di S. Giovanni ha dato poi occasione alla Ghidiglia Quintavalle di scoprire i singolari rapporti fra le varie parti dell'opera, le acquisizioni di Leonardo, Giorgione e Tiziano per ciò che riguarda gli effetti prospettico illusionistici e quelle di Michelangelo per la plasticità.
In quanto alla tecnica: L'imprimitura del Correggio, sottile ed impastata di gesso finissimo, d'olio cotto e di vernice, non è per nulla diversa da quella d'altri accurati maestri del tempo, ne diversa è l'arricciatura del muro negli affreschi, bensì l'uso del pennello è d'una delicatezza estrema, nei grandi come nei piccoli lavori. Così il Ricci nei suoi studi sul Correggio. E Adolfo Venturi (il Correggio - 1926) aggiunge:
Una morbida sovrapposizione di toni disposti a velatura e così leggeri da lasciar trasparire ogni correzione; una fluida pennellata che, specie alle estremità, sostituisce il disegno; un'armonia costante di toni, d'oro e di rosa, sono i peculiari caratteri del suo colore, ove l'oro - non stride mai, ma vela di biondo il piedino che spunta, petalo di fiori, dall'oro vecchio della gonna della Maddalena nella pala di S. Girolamo, e investe di un pulviscolo impalpabile le rosee nudità di Danae.
Ed è certo che, in quanto alle cupole, il Correggio dipinse a buon fresco su di un intonaco piuttosto spesso e ricco di sabbia e compì ritocchi rifacimenti ed ogni altro completamento a tempera. Sull'opera compiuta, il pittore stese poi una velatura lieve e trasparente per conferire al dipinto una diffusa luminosità.

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SUA IMMAGINE FISICA

il Correggio come persona fisica potè dirsi - sino all'anno 1930 - il grande sconosciuto.
Dai presunti ritratti, dai monumenti, dalle medaglie, appariva di volta in volta una immagine diversa, talora dipinta o incisa di pura fantasia.
Il primo ritratto che riproduce il volto che il Correggio dovette possedere, apparve nel 1647, inciso nella edizione bolognese del Dozza delle " Vite " del Vasari.
Il ritratto è opera di un ignoto xilografo ed appare trattato rozzamente. Vi figura un uomo baffuto, munito di un poderoso naso aquilino, dai capelli tagliati rasi, formanti semicerchio sulla fronte e rivelanti una particolare forma originaria della capigliatura ancor più che una incipiente calvizie ai lati della fronte stessa.
La positura del volto, di tre quarti, sembra ricavata da un autoritratto.
Poco più tardi l'incisore reggiano Bernardino Curti (1611-1679) interpretava la stessa immagine, riprendendola da quella citata, senza apporti sostanziali.
Il De Larmessin, nello stesso secolo, ingentiliva l'immagine del Curti, la forniva di più lunghi capelli, di un bell'abito di raso ed ideava, dietro di quella, una armonica visione architettonica.
Osservando e confrontando i tre ritratti, si scorge che essi sono collegati l'uno all'altro ed uno dall'altro derivati.
Nell'anno 1788 usciva un'altra incisione, curata dal Valperga, e tratta da un dipinto che si disse raffigurare certamente il Correggio e forse copia di un di lui autoritratto.
Il pittore ivi appare sempre di tre quarti, ben vestito, con un naso di minore accentuazione aquilina. I capelli e la barba appaiono ricciuti o almeno ondulati. La forma tonda dei capelli sulla fronte, si mostra con molta evidenza.
Altri ritratti, che è superfluo riportare, vennero ricavati dall'incisione del Valperga ed apparvero in seguito in varie edizioni delle " Vite " del Vasari.
In tutti questi ritratti l'età dell'effigiato appare incerta, dai trentacinque ai quarant'anni.
In una larga tela dipinta ad olio verso la metà del sec. XVIII da Benedetto Dalbono, ecco di nuovo il Correggio vestito in strana foggia orientale, multicolore. La testa del pittore è coperta da una cuffia che sembra un copricapo mussulmano. Nel dipinto il colore degli occhi e quello della barba rivelano una tinta castano scura che dà maggior risalto al colorito pallido del maestro. Il naso del pittore ritorna decisamente aquilino, dalle larghe e carnose pinne. Nel ritratto si scorgono il pollice e l'indice della mano destra: ambedue molto lunghi.
Ma questi ritratti, da soli, non costituiscono scientificamente alcuna prova.
Tanto più che, come si è detto, altri presunti ritratti dei maestro sono esistenti e tanti di essi riportano immagini completamente diverse.
Purtuttavia l'indagine susseguente conduce a ritenere " certe " le immagini che qui sono presentate.
La vera scoperta del volto del Correggio risale all'anno 1930, come già si è accennato.
In tale anno a Londra, in occasione della Mostra dei Capolavori Italiani, ivi apertasi, la direzione della Mostra riconobbe che il dipinto di uomo di Lord Lee - dal nome del proprietario dell'opera d'arte - non solo doveva ritenersi del Correggio, ma costituire l'autoritratto del pittore.
Ciò veniva indicato dalla positura, poichè la testa è girata, proprio come di chi si guarda direttamente nello specchio e si volge di fianco per dipingere il proprio viso.
Esaminiamo un poco questo ritratto. Appaiono subito il suo naso carnoso, dalle larghe pinne. E' un naso aquilino, perchè l'ombra dello stesso, che appare di fianco, rivela la sua ingobbatura.
I capelli, ricciuti, tagliati corti, posti a semicerchio sulla fronte, rivelano quella strana forma che sembra dovuta ad una abbondante scantonatura ai lati.
Si tratta di un volto roseo, ben colorito sui pomelli delle guancie, rivelanti una buona salute. Gli occhi sono castani; le sopracciglie, i baffi e la barba, si presentano di colore castano scuro. Barba e baffi si congiungono ai lati della bocca, lasciando quest'ultima abbastanza in ombra. Il padiglione auricolare è ampio e molto solcato.
La testa è tonda, non troppo grande, ma di bella forma, con rilievo orbitale abbastanza accentuato.
L'effigiato è vestito di una casacca di velluto bleu o azzurro scuro. li fondo del dipinto, monocromo, è verdastro tendente al giallo.
Evidentemente i vari ritratti prima esaminati hanno un preciso riferimento col dipinto detto di Lord Lee.
Ecco dunque scoperto l'uomo o almeno, di lui, una testa ed un volto, ritratti circa nel 1525, quando il Correggio viveva a Parma, in serenità, all'età di circa 36 anni.
Corrado Ricci che fu, a Parma, Direttore di quella Galleria d'Arte, suppose che il Correggio non potesse estraniarsi dal corteggio dei gravi personaggi ch'egli dipinse nella Cupola del Duomo, intorno all'Assunzione trionfante al cielo della Vergine Maria. Soprattutto una delle figure maschili gli apparve dipinta con intenti realistici.
Di essa si vede solo la testa, ove campeggiano un largo naso carnoso e due baffi perdentesi nella barba. L'occhio appare maggiormente incassato nell'osso orbitale, forse perchè l'immagine è presa di sotto in su. Ma i principali tratti fisionomici sono gli stessi.
L'immagine che venne detta composta " con intenti realistici " dovette venir dipinta a memoria, perchè là sull'aereo ponte eretto in Duomo, il Correggio non potè certo guardarsi comodamente nello specchio.
A quel tempo il pittore doveva avere fra i 37 ed i 39 anni perchè il dipinto della cupola venne iniziato nel 1527 ed un anno dopo l'affresco era già a buon punto.
Un altro presunto ritratto è poi additato da Giovanni Copertini nel S. Giuseppe della Madonna della scodella. L'opera venne commessa al Correggio nel 1524 e dallo stesso ultimata nel 1530. Ma è da supporsi che il dipinto fosse stato già composto nel 1528. In quell'anno il Correggio ha 39 anni. Sua moglie Girolama, che gli serve da modella, è nell'età di 25 anni, nata com'è nel 1503, ed il figlioletto Pomponio ha 7 anni, poichè quest'ultimo nacque nel 152l.
Il dipinto, raffigurante una sosta nella " Fuga in Egitto ", trae i personaggi dalla stessa famiglia del pittore.
Nel S. Giuseppe che raccoglie i datteri, il pittore non poteva raffigurare che se stesso onde completare il complesso familiare per quella che venne definita dal Copertini: " Una gita campestre della famiglia del Pittore ".
Nel dipinto il Correggio certo non posò nello specchio e si effigiò a memoria, idealizzandosi il viso.
Ma l'immagine realistica del Correggio, quella del dipinto di Lord Lee non è la sola ricavata dalle precise sembianze dell'Artista.
Esaminando l'opera pittorica del nostro, soffermiamoci alla prima delle sue grandi tavole. Siamo nel 1514-1515, allorchè il pittore ha circa 25 anni di età e spicca decisamente il volo, anche se dapprima il Correggio non osa, o non può, uscire nella composizione dagli schemi dei maestri che l'hanno preceduto.
Ecco la Vergine in trono, col Divin fanciullo in grembo, volgersi con gesto di protezione ai Santi Francesco ed Antonio.
Dall'altro lato stanno Santa Caterina ed Battista. Quest'ultimo, col volto rivolto a chi da il ritratto, addita con l'indice della mano destra il trono di Maria.
Belle mani, lunghe dita, un corpo giovane di buona statura, ben formato. Un volto ornato per l'occasione, di lunghi ed incolti capelli, quanto di baffi radi ed una barba meno rada.
La bocca è dischiusa, forse perchè in quell'attimo fuggente il Battista sta pronunciando le parole:
Ecce Agnus Dei!
L'attimo fuggente è stato fermato ed il viso reale del Battista riesce a ricordare l'immagine che già ci è nota.
Gli occhi appaiono un po' più tondi perchè volutamente tenuti spalancati, nella stessa orbita sopracciliare. Ecco il naso dalle larghe pinne carnose e con la curva aquilina che viene posta. evidenza dall'ombra.
E' lo stesso viso del dipinto di Lord Lee, ma un viso più giovane di dieci anni, dell'uomo che non ha ancora raggiunta la piena maturità.
Nella grande pala d'altare il pittore si cimentato nel suo primo autoritratto. Tempo di ansie, di ricerche, di inesausta fatica.
Ed è ancora il Battista, a ricordare i sogni di sua giovinezza, che il pittore intravvede in se stesso, allorchè intraprende il dipinto di uno dei pennacchi della cupola dei Duomo di Parma.
Impossibile evitare quell'immagine, perchè se la Vergine è la prima protettrice di Parma ed il Correggio la coglie nel suo volo trionfale al Paradiso, gli altri protettori della città, che reggono il gmnde anello su cui si posa la cupola, sono i Santi Ilario, Tommaso, Bernardo e Giovanni il Battista.
Quando il pittore. raffigura quest'ultimo, non compie un vero autoritratto come nel dipinto della pala di S. Francesco, ed in quello di Lord Lee, ma effigia se stesso a memoria.
Una ultima immagine che si allaccia a quelle esaminate è il Ritratto d'Uomo della Galleria di York (Inghilterra).
Trattasi dell'immagine di un pittore - evidenziata come tale dal suo particolare berrettino -; un pittore che tiene fra le mani un libro aperto, sulla cui facciata sta il monogramma AET-ULTRA, motto che può significare In aeternum et Ultra.
Il ritratto è stato attribuito alla scuola Parmense del primo trentennio del sec. XVI. Ma l'attribuzione non ha interesse. Bensì ha interesse il fatto che quel volto è lo stesso di quello di Lord Lee, un volto di qualche anno dopo, dallo sguardo immobile quanto smarrito e la mente fissa da un penoso ricordo che sembra provenirgli da una immane sciagura.
Si può quindi pensare che quel ritratto raffiguri l'Artista al tempo della scomparsa della moglie e dei due figlioletti Caterina Lucrezia ed Anna Geria, tempo che va dal 1528 al 1530. E si può ancora pensare che quell'invocazione " In eterno ed oltre", si riferisca ad una ardente promessa d'amore, nei confronti degli scomparsi, proiettata nel tempo infinito.
L'immagine del pittore, che poco più di trent'anni or sono era ancora incerta,, oggi si mostra evidente.
il Correggio apparve fisicamente, nel suo tempo, come un uomo di buona statura ' ben formato, dal naso aquilino, il colorito roseo e gli occhi castano scuri, come castano scuri, e quasi neri, furono la sua barba, i baffi ed i capelli Ed ebbe mani dalle dita lunghe e bellissime.

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IL TEMPERAMENTO

il Correggio dovette possedere un felice temperamento.
Egli amava chiamarsi anzichè Allegri, Lieto, poneva nome Pomponio al suo primo figliolo, in omaggio all'Umanista Pomponio Leto e alla sua prima figlia poneva nome Francesca Letizia. Tanto più che quell'Allegro da cui deriva la sua casata poteva significare che nel suo antenato la gaiezza spiccava come caratteristica psichica, tramandata poi a taluno dei suoi discendenti.
E la felicità del suo temperamento, la sua serena gioia, traspare soprattutto dalle sue opere.
Non colori apocalittici, ma tinte tratte dalla natura, dalla calma e dorata luce Emiliana.
Egli pose negli sfondi, quasi sempre, la visione delle nostre colline; dipinse i nostri tramonti e le nostre aurore; amò il verde fresco delle nostre campagne.
Fu giocondo e lieto, come traspare dalla posizione dei putti, che occhieggiano nelle sue opere, smorfieggiano con grazia biricchina ovunque, nei quadri profani e nei sacri e persino nelle cupole, ove trionfa la solennità dell'apoteosi religiosa.
il Correggio comprese ed amò i bimbi e quasi mai si dimenticò di loro nei dipinti.
In quanto ai critici che videro nel Correggio una scarsa sensibilità religiosa, si può rispondere che se per scarsa sensibilità si intende l'abbandono d'ogni gioia che provenga dalla terra, certamente il Correggio non fu religioso. Ma egli invece, per ben altro senso comprese ed amò la Divinità: riconoscendone l'impronta nella creazione e a Dio, per la Sua creazione, rendendo gloria.
Per questo, nella manifestazione dei suoi sentimenti, ricorse alla esaltazione dei semplici beni terreni, dei beni veramente puri: la sposa diletta, i suoi fanciulli, il sole, i paesaggi della sua terra. E' quindi naturale il pensare che l'Allegri sia stato un uomo sano, amante della famiglia e dei piaceri, arguto e lieto di nome e di fatto.
E per questi semplici amori, il pittore amò raccogliersi in seno alla sua famiglia, schivo di rumori mondani.
Ma vi è un punto in cui taluni critici sembrano di ben altro parere. Ciò in quanto il Vasari, nelle sue " Vite " vuole che d Correggio fosse malinconico e Bernardino Ramazzini (in "De morbo artificum ") afferma che Antonio fu melancholicus seu stupidus. E questa affermazione è indubbiamente derivata dal Vasari.
Il significato delle parole del Ramazzini corrisponde ad assente, ancor più che a stupito.
Se noi osserviamo la tela di York, abbiamo un chiaro esempio di questa assenza attraverso lo sguardo dell'effigiato.
E che il pittore fosse malinconico rivela uno stato d'animo in tutto compatibile con l'esaltazione della gioia. Perchè questo dimostra che il Correggio ebbe periodi - anche assai lunghi - di viva eccitazione e di ardente entusiasmo, al tempo in cui sentiva pulsare in sè una divina natura, e giorni e mesi poveri di ispirazione e ricchi di tristezza, specialmente al suo ritorno a Correggio dopo le sciagure che l'avevano colpito.
Ma il punto importante è quello della sua " assenza ". Questa è una caratteristica che deve avere accompagnata tutta la sua vita, manifestandosi ogni qual volta il pittore aveva ad immergersi nella creazione delle sue opere. E specialmente durante lo sforzo di immaginazione dei suoi prodigiosi affreschi, la possibilità di antivedere le tante figure nel loro atteggiamento e moto vorticoso, si può spiegare solo attraverso una costante ed intensa concentrazione, perdurante tempo e tempo sino alla conclusione del disegno dell'opera. E qui la parola " disegno " è intesa in senso lato.
Si trae da questa conclusione che il Correggio, pur essendo d'animo fondamentalmente gaio ed amante d'ogni gioia della terra, nel corso del suo lavoro doveva rinchiudersi nei suoi pensieri e nelle sue visioni, rifiutandosi temporaneamente di uscirne, come sordo ad altri richiami.
Questa " assenza " - la cui caratteristica appare chiaramente pure attraverso lo studio della grafia del pittore - è da paragonarsi a quella mostrata da Dante in ben noti episodi ed all'altra, ancor più nota di Archimede allor che - presa la città dai romani senza che il matematico se ne accorgesse - fa si che lo stesso viene trafitto da un soldato che quel grande neppur vide, assorto com'era nella risoluzione di un suo problema.

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il Correggio IN PATRIA

il Correggio, in patria, trascorre gran parte della sua vita. Sì può anzi dire che, agli effetti dei suoi concittadini, è come se mai avesse lasciata la patria, perchè a Correggio risiedevano il padre Pellegrino ed i suoi parenti, ivi aveva i suoi beni e perchè il suo nome correva ogni tanto nelle aule giudiziarie a motivo delle sue liti.
Ma mentre intorno a lui, esteti, critici ed antiquari si sono occupati per quattro secoli a ricostruire e commentare, passo per passo la sua opera pittorica, in patria il pittore passò fra i suoi concittadini come semicelato dall'ombra. E ciò almeno per un secolo dalla sua morte.
La ricerca di qualsiasi più piccolo accenno alla sua vita privata e pubblica è stata compiuta solamente dopo più di duecento anni dalla scomparsa del pittore, particolarmente ad opera del Dott. Michele Antonioli, Conservatore dell'Archivio di Correggio, storiografo della sua città ed eccellente corrispondente di Girolamo Tiraboschi.
Fra gli avanzi dei già importante archivio di Correggio, che racchiudeva atti e memorie dal sorgere della Signoria al suo concludersì cioè circa dal 1100 al 1634 - emergono ovunque le trascrizioni e gli estratti compiuti dall'Antonioli, con la sua chiara e bizzarra piccola grafia.
Benchè l'Antonioli sì fosse impegnato di pubblicare la " Vita " del Correggio, mai l'opera vide la luce e, tre anni dopo la morte dello storico - che visse dal 1736 al 1814 - ha invece inizio la pubblicazione delle " Memorie Istoriche " del suo conterraneo Padre Luigi Pungileoni, opera inorganica ma copiosa e preziosa fonte di notizie che troppo richiama alla mente il materiale che l'Antonioli dovette raccogliere. E deve onestamente venir riconosciuto che, senza la paziente ricerca compiuta durante cinquant'anni da Michele Antonioli, sull'uomo Antonio Allegri e suoi familiari, oggi si conoscerebbe ben poco, all'infuori delle note relative ad alcuni contratti e pagamenti delle sue opere ed ai battesimi dei suoi figli avvenuti in Parma.
Il pittore godette la stima di Veronica Gambara. Ma da essa, così pronta a scriver versi e così immedesimata nel trionfo artistico e letterario del suo tempo, nulla trapela e solo in una lettera scritta dalla Poetessa alla grande Isabella d'Este, si legge che Il nostro Messer Antonio Allegri aveva dipinto una bellissima Maddalena, aggiungendo in quest'opera ha espresso tutto il sublime dell'arte della quale è un gran maestro.
Eppure, benchè il pittore non potesse venire ignorato nella sua patria - e prova ne sia il fatto che sino dall'anno 1514 la pala della Madonna del S. Francesco gli venne commessa con lauta mercede - egli venne ignorato come uomo. E sì che in Correggio, piccola capitale di un piccolissimo stato, le dicerie e le maldicenze erano tante da non potersi immaginare.
Di lui le cronache locali non parlano. Accennano appena alla rapina di quadri da lui dipinti per la sua città e a due stanze affrescate dallo stesso nel Casino di Veronica per dare più accogliente asilo a Carlo V Imperatore.
Ma degli stessi affreschi, distrutti dai corteggesi 27 anni dopo per motivo bellico, non ci è rimasto nè un disegno, nè una qualunque memoria illustrativa.
Vi è quindi da pensare che l'Allegri, al tempo in cui visse, sia sfuggito, in patria, al pieno riconoscimento del suo valore.
E' vero che il pittore fu schivo di vita mondana ed amò appartarsi per poter vivere in se stesso le proprie visioni d'arte. Ma è anche vero che i
suoi concittadini non compresero che la loro stessa terra abbia potuto dare alla luce un genio inimitabile.

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LA CRITICA D'ARTE

La critica d'arte relativa al Correggio è immensa in quanto al gran volume degli scritti. Essa si snoda dalla biografia Vasariana e dalle fonti fornite dal Donesmondi, dal Tiraboschi, Affò, Pongileoni, Bigi, per finire al vivente Popham.
Le colonne della critica attiva e feconda hanno però inizio col Mengs (1780) che propone scientificamente il tema del viaggio romano del pittore e col Meyer (1871) che compie l'esame storiografico di tutta l'opera pittorica del nostro. La critica indagatrice e costruttiva prosegue sempre più s.-rrata ad opera del Ricci (1896) del Thode (1898) del Venturi (1926) del Longhi (1956) della Ghidiglia Quintavalle (1962) e di Giovanni Copertini che ripercorse con amore ogni passo del cammino del Pittore, terminando la sua opera nel 1966.