Riccardo Finzi
Giberto V
Correggio nella storia e nei suoi figli, Arca Libreria Editrice, 1984

Vedi anche "Giberto il Difensore" di O. Rombaldi

Di Giberto V (terzo di tal nome secondo Rinaldo Corso, che ne illustrò la vita) non si conosce nè il luogo nè l'anno di nascita.
Il padre Guido V ebbe per vari anni potere in Mantova, insieme al proprio zio, Matteo IV, ch'era podestà di quel luogo. La madre Mabilia, sposa di Guido, era figlia di Giberto della Gente.
La sua entrata nell'arengo politico-militare, data dal 24 luglio 1303 in cui riesce a pacificare le diverse famiglie parmigiane e a richiamare nella città quei fuorusciti che per vari motivi ne erano stati espulsi, o ne erano fuggiti.
Il giorno dopo, mentre Giberto trovasi a passeggiare sotto il portico di S. Vitale, in Parma (come leggesi in " Antichità Correggesche ", i cui editori traggono la narrazione dal Corso) il popolo si raccoglie, freneticamente lo acclama e lo porta in trionfo al Palazzo della Comunità. Si suona subito per radunare il Consiglio e Giberto è eletto e giurato Signore e perpetuo difensore della città ed in segno di investitura gli è consegnato lo stendardo pubblico ed il Carroccio chiamato Biancardo.
D'allora le cronache chiamarono Giberto "il Difensore". Riunite tutte le forze della città, con la sola esclusione dei Rossi, che erano usciti dalle
mura, Giberto attende a procurarsi domini all'esterno.
In Piacenza un figlio di Alberto Scoto insorge contro il padre ed il fratello. Il ribelle si allea con Milano, Pavia, Lodi, Novara, il Signor di Monferrato ed altri. La lega muove all'assalto di Piacenza, unitamente a quei dì Cremona.
Giberto manda in aiuto di Alberto Scoto il fratello Matteo VI con duecento uomini d'armi ed altra gente ch'era pronta in Parma.
La lega è costretta a ritirarsi, anche per gli aiuti ad Alberto recati da Nicolò Fogliani. Ma in Piacenza, dopo la vittoria, scoppia ugualmente la rivolta. Alberto e Francesco Scoto si rifugiano in Parma, nel monastero di S. Giovanni, mentre Giberto fa eleggere Podestà e Governatore di Piacenza suo zio Gherardo IV ed occupare dai Parmigiani i più elevati uffici di quello stato.
Intanto i Rossi, collegati col Marchese Azzo d'Este, minacciano Giberto. Il Difensore previene i suoi nemici e occupa Reggio, Carpi, Modena ed altri luoghi.
Reggio elegge a podestà Matteo, fratello di Giberto e Modena richiama in patria quei fuorusciti ch'erano favorevoli al correggese.
Approfittando della lontananza del Difensore, non restano inoperosi i Rossi, i Lupi e gli Scorzi, che tolgono al parmigiano il Castello di Soragna. Giberto, a tal sentore, marcia su Soragna, la occupa ed indi rientra vittoriosamente in Parma.
E' questo il maggior periodo di potenza del correggese. Reggio lo crea nobile di quella città e gli dona i castelli di Campagnola e di Fabbrico, che i suoi discendenti signoreggeranno poi per più di tre secoli; mentre Guastalla lo proclama Signore di quella terra.
Nel gennaio del 1306, e nello stesso giorno, Giberto manda sposa una figlia ad Alboino della Scala, Signor di Verona, un'altra al figlio del Signor di Mantova, ed una nipote ad un nobile
veronese. Ma tale magnificenza farà più accorti e pericolosi i potenti nemici del Difensore.
Nel 1308 scoppia la rivolta contro di lui e Giberto esce dalla città, per presentarsi pochi giorni dopo sotto le sue mura con numerosi armati. Vinti in breve i nemici, è confermato nel dominio di Parma.
Nel 1311 l'Imperatore Enrico VII, giunto a Milano per cingere la corona, chiama il Difensore ad assistere alla cerimonia. Giberto accoglie l'invito e dona ad Enrico la corona Sveva che Giberto IV, suo avo, aveva tolta a Federico Il. Indi aiuta Enrico a recuperar Brescia, ribellatasi all'imperatore, Poi - sempre secondo quanto dicono le cronache locali - accortosi del malanimo del Monarca, che secolui voleva condurlo a Genova, ritorna a Parma e ne caccia il Vicario Imperiale che vi si era insediato, riprende ogni potere su Guastalla ed accetta la Signoria di Borgo S. Donnino (Fidenza), offertagli da quei cittadini che avevano cacciato essi pure il Vicario Imperiale.
In verità il malanimo dell'imperatore doveva considerarsi fuori luogo. Giberto, sempre oscillante fra guelfì e ghibellini, doveva infine essersi reso conto che Enrico aveva poche possibilità di effettuare un sicuro dominio sui territori d'Italia. Allora, fulmineamente, diserta il campo e muove contro l'imperatore.
Enrico fulmina il correggese con editto di fellonia, ma Giberto non se ne cura. Si reca a Reggio e, quale Governatore, conquista per la città il Castello di Sesso.
L'anno seguente i cremonesi lo acclamano Signore. Giberto domina la città per un anno ed indi spontaneamente vi rinunzia.
Passato decisamente ai Guelfi, accetta da Re Roberto di Napoli la nomina a Capitan Generale dì Parma, Cremona e di tutta la parte guelfa di Lombardia.
Assai considerato dai Signori vicini per la sua moderazione, pacifica come arbitro Cari Grande della Scala e Iacopo Carrara, Signor di Padova. Indi, nel 1315, tratta la pace coi Ghibellini e riammette in Parma i fuorusciti, perdonando anche ai Rossi, che accoglie fraternamente.
Dopo la pace, Casalmaggiore si dà a Giberto e Cremona lo acclama Signore perpetuo. Mentre quest'ultima città è assalita dai Signori di Mantova, Verona e Milano e sol difesa da Giberto, in Parma scoppia una rivolta contro il Difensore, alimentata dai suoi implacabili nemici ed anche da qualche amico e da stretti congiunti.
Giberto perde così Parma e nel tempo stesso anche Cremona, che aveva fatto pace coi suoi nemici ed in cui erano entrati i fuorusciti per opera di tradimento.
Mentre tutti giudicano che Giberto sia militarmente e politicamente finito, il correggese raccoglie uomini da vari luoghi e dal suo piccolo feudo di Correggio e Castelnuovo. Con un esercito di 800 cavalli e 2000 fanti, notevole per quei tempi e composto di napoletani, senesi, fiorentini, padovani, bolognesi e correggesi, entra in campagna contro i suoi nemici, prende Martorano, Celoredo, Casaltone, Sorbolo, Coenzo, Cavriago, Montecchio e penetra a viva forza in Parma, cacciandone i nemici, che fa in parte decapitare.
Si è detto che in questa campagna la longanimità di Giberto sembra spenta, perchè il suo esercito distrugge, incendia ed uccide con grande furore. Ma si può obiettare, con sicurezza, che fu proprio il suo strano esercito, composto di soldati di ventura, a provocare tanti terribili guai, sfuggendo all'autorità di Giberto.
Dopo il grande successo militare della riconquista di Parma, Giberto viene eletto dal Malaspina e dal Flisco, Governatore di Pontremoli. Pacifica le due famiglie alla presenza di Re Roberto, in Genova, indi passa a Bologna, ove i Guelfi di Toscana e Romagna lo creano lor Capitano Generale, conservando egli l'egual carica per la Lombardia.
Inteso a difendere strenuamente i guelfi, soccorre Brescia contro gli imperiali che tenevano la campagna: li batte ed entra in città. Poi, coll'aiuto dei Cavalcabò, dei fuorusciti cremonesi e dei bresciani, assalta Cremona e la prende, malgrado la strenua resistenza di Ponzone Ponzoni.
Più tardi corre alla difesa di Genova, che i Ghibellini ed i Visconti assediano, e libera la città.
Il 25 luglio del 1316, lo stesso giorno in cui 13 anni prima veniva acclamato Difensore di Parma, una sollevazione di quest'ultima città contro Giberto, lo costringe a rifugiarsi nell'avito feudo di Castelnuovosotto.
Facevano parte della sollevazione Gianquirico Sanvitale, suo genero; Rolando Rossi, figlie di suo cognato; Obizzo da Enzola, marito di una sua figlia; Paolo Aldighieri, da lui mandato podestà a Brescia; Bonaccolso de' Ruggeri, suo cognato; ed altri ancora, già amici e seguaci.
Giberto aveva sognato invano di far di Parma la capitale di un regno avente il suo territorio sul corso medio del fiume Po.
Quella corona egli l'aveva ambita sotto gli auspici della Cattedra di Pietro.
Ma ogni sua conquista doveva manifestarsi effimera perch'egli non seppe curare l'organizzazione d'uno stato - o non ebbe possibilità di farlo - indispensabile base giuridico-amministrativa per unificare i vari comuni assogettati.
Ancora in luglio, cinque anni dopo e cioè il 26 luglio 1326, Giberto muore nel suo tranquillo ritiro di Castelnuovo.
Parteciparono alle esequie i più grandi Signori del suo tempo. Le sue ceneri furono dipoi trasportate a Correggio da Giberto VIII e inumate nella Chiesa di S. Francesco.
Dalle sue quattro mogli - una Malaspina, una da Camino, una da Langosco di Pavia ed una Rossi, sorella dei suoi più acerrimi nemici - ebbe vari figli fra cui Simone, Guido, Azzo e Giovanni.
Di Azzo si parlerà nella seguente memoria.
Le cronache del tempo dipingono Giberto come generoso, sinceramente amante della concordia e facile al perdono. Certo si è ch'egli visse e operò in tempi ferocissimi e che assai poco è da fidarsi dei facili lodatori. Egli operò come i grandi capi fondatori di Signorie; ma fu meno fortunato di loro.
La figura di Giberto è oltremodo interessante alla luce della storia e meriterebbe di venire ampiamente descritta e commentata per l'importanza che l'opera del correggese ebbe in quei buissimi tempi.