Odoardo Rombaldi | |
Gerolamo da Correggio | |
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979 |
Vedi anche "Girolamo I" di R. Finzi
Vedi anche il ritratto conservato nel Museo di Correggio
La politica ispano-imperiale di Veronica e dei figli fu messa a dura prova dalla Lega sacra, che accese opposti disegni in Gerolamo e nei nipoti Giberto, Camillo e Fabrizio figli di Manfredo. Gerolamo (1), nato nel 1511, compiuti gli studi in Bologna sotto la protezione dello zio Uberto, governatore della città, è avviato alla diplomazia (nel 1532 accompagna Alessandro de Medici a Mantova presso Carlo V) e alla carriera ecclesiastica insieme. Presi gli ordini minori (1538) e investito dell'Abbazia di Campagnola cedutagli dallo zio, nel 1542 è inviato da Paolo III al re di Francia per favorire la concordia tra questi e Carlo V, necessaria all'apertura del Concilio, indi a Carlo V per la lotta contro i protestanti. Nel 1556 (maggio) va in Spagna per ottenere ad Ottavio Farnese la restituzione di Piacenza occupata dagli Spagnoli.
Nella guerra combattuta tra Chiesa, Francia e Ferrara contro Spagna e Impero (Lega sacra) Ercole II, capitano generale e luogotenente generale del re di Francia, arma Modena, Reggio, Rubiera e Carpi contro la Spagna che oppone a queste un baluardo formato da Guastalla, Novellara, Fabbrico, Correggio e S. Martino , protette le due ultime, da presidi spagnoli. Il disegno strategico di Ercole, rivolto alla distruzione di questo baluardo, pone la conquista di Correggio al primo posto; infatti, espugnata S. Martino e occupata Fabbrico (gennaio) porta le sue truppe sotto Correggio. Giberto, Camillo e Fabrizio, cedendo alla superiorità nemica, stipulano (6 febbraio) con Ercole un patto di neutralità (2) ; essi si impegnano di pagare 50 mila scudi d'oro, garantiti dalla consegna di venti ostaggi e da due degli stessi Signori; ottengono il salvacondotto per le truppe spagnole e promettono di non accogliere altre forze militari in Correggio. Ma prima che le condizioni siano adempiute, Girolamo, a capo di rinforzi spagnoli raccolti nel Parmigiano, entra in Correggio e impone ai consorti l'alleanza con la Spagna e la guerra contro la lega. Ercole, che dispone anche di truppe francesi, estende le operazioni agli altri caposaldi: Novellara, Rolo, Luzzara, poi concentra i suoi sforzi contro Correggio, affidando il comando delle truppe assedianti al figlio Alfonso e a Cornelio Bentivoglio, che distruggono il circondario della città. Frattanto Ercole porta la guerra contro Guastalla. Alla fine del '57 il Duca non dispera di poter aver Correggio; Correggio, "situata - si dirà - nelle viscere dei stati di Modena", in fondo era lo scopo per cui si era mosso; le istruzioni, inviate il 18 dicembre del 1557, lo dimostrano (3).
La frattura prodottasi tra i da Correggio, durante la guerra, per la diversa valutazione politica non sarà più saldata, e la preminenza acquistata da Gerolamo nello stato, non più abbandonata, anzi, accresciuta, turberà i rapporti tra i membri della famiglia.
Dopo la pace, Gerolamo raccoglie i frutti della fedeltà alla Spagna - Impero; dall'imperatore Ferdinando egli ottiene, oltre alla restituzione dei paesi occupati, l'investitura del feudo col diritto di batter moneta e la promozione di Correggio a città (17 maggio 1557) (4). L'elezione al cardinalato (1561) se, da un lato, lo innalza ancor più sui nipoti, dall'altro lo obbliga a lunghe assenze, a Roma o ad Ancona, che mette in stato di difesa contro i Turchi, o al governo della Marca, di cui diventa comandante generale.
Il consorzio dei da Correggio, unito nella conservazione del patrimonio, era diviso nel governo del feudo. L'ambizione di comando non trovava un limite nella definizione delle ragioni dell'una o dell'altra parte. Beni feudali e allodiali non erano ben distinti tra loro. Si riteneva che Correggio, Fabbrico e Brescello fossero possedute non per concessione feudale, perchè mancava l'investitura imperiale ed erano separate dalle giurisdizioni degli altri principi, e, nel caso contrario, che quei castelli, non soggetti alle regole dei feudi, potessero considerarsi feudi impropri, alienabili anche agli estranei, una volta usciti dal patrimonio comune; la concessione imperiale, che pur vi era, doveva intendersi a titolo di donazione: anche la vendita di Brescello e Casalpò pareva confermare questa tesi.
Gerolamo, dopo il 1559, non intese cedere ai nipoti il potere e la preminenza acquistati negli anni di guerra. Assunto al massimo fastigio dalla nomina al cardinalato (1560), autentico rappresentante dell'assolutismo principesco, sia pure in uno stato di ridotte proporzioni qual era Correggio, insofferente di controlli nella gestione del potere, nel 1561 propose ai nipoti la divisione dello stato confermandosi "risolutissimo di venire a questa divisione" e ancora "risolutissimo in effetti di conoscere et governare solo il mio."
"Mi par bene - scriveva - che questa divisione non dovria far tanto rumore, dovendosi, col fin della vita mia, ( ... ) riunire quello stato, stando noi securi che di me non più resta successione che l'impedisca ( ... ). Et perchè voi, sig. Camillo, havete più d'una volta detto a me et ad altri, ch'io sono ingordo, et che non mi contento del mio, ( ... ) mi son deliberato dichiararvi con questo ch'io mi contento del mio e ch'io non voglio alcuna cosa del Vostro" (5).
Fin dal 1559, Gerolamo non aveva dato segno di nepotismo. Nel suo primo testamento, fatto il I' febbraio di quell'anno, lasciava ad Alessandro, che intendeva legittimare, la sua casa posta nel castello di Correggio, con gli orti di dentro e pertinenze, ma gli faceva obbligo di cederla entro due anni ai consorti al prezzo di due mila scudi, somma che egli avrebbe dovuto destinare all'acquisto di una nuova casa. Con questa condizione, riconosceva la premirienza dei consorti sul figlio non ancora legittimato. li Cardinale lasciava ad Alessandro i beni mobili, le possessioni intorno a Correggio: Casino, Serraglio, con boschi e giardini. tre possessioni a Cà de frati (Boschetta, Bergamasca, Griliera), quattro a Fabbrico (Gelmina, Fenil delle Doghe, Pascolo), Camporanieri, la Valle di Campegine, una casa in Parma, con divieto di alienare, salvi il caso di prigionia o quello di estrema necessità, con l'obbligo di dotar le figlie fino a 6 mila scudi; lasciava il resto ai consorti: Giberto, Camillo e Fabrizio. Ancora nel 1564 (30 dicembre) Massimiliano Il investiva del feudo Gerolamo, Giberto, Camillo e Fabrizio.
Ma, nel 1567 (17 aprile), il Cardinale chiedeva di legittimare il figlio. Nel 1571 (21 aprile) con altro suo testamento, nominava Alessandro suo erede universale, precisando esser sua intenzione di non aver alcun altro, all'infuori dello stesso Alessandro, erede nei beni anche feudali: "neminem alium praeter ipsum Alexandrum in omnibus suis bonis etiam feudalibus haeredem habere." Nello stesso 1571 (4 agosto) l'Impero legittimava Alessandro anche nei beni feudali.
All'intelligenza della storia di Correggio, più degli eventi esterni, abbondantemente registrati dai biografi del Cardinale, interessa il contributo dato da questi alla evoluzione della vita della città. Sotto questo aspetto hanno particolare importanza i Capitoli che egli le concesse tra il 1559 e il 1572 anno della sua morte (6).
La mancanza degli Statuti comunali di Correggio impedisce di farci un'idea precisa del corpo comunitativo, del numero, dell'estrazione e quindi della rappresentatività e dei poteri dei singoli suoi componenti e dell'organo nel suo complesso. D'altra parte, poichè i nuovi Capitoli, dell'ordinamento precedente richiamano una sola volta e incidentalmente il Consiglio generale, è probabile che il nuovo ordinamento rappresentasse una innovazione. I Capitoli fanno evolvere l'ordinamento civico in senso nettamente conservatore. Che Gerolamo, "quale di presente governa questo Stato con partecipazione delli Illustrissimi Signori Suoi Consorti", chieda il consenso dei cittadini, eletti dal Consiglio (cap. V) è di per sè poco significativo; è invece indicativo che questo Consiglio, debba scegliere gli "huomini virtuosi " (i moderni boni homines ) tra i cittadini di Correggio, escludendo gli uomini del forese, entrassero questi, o meno, nel generale Consiglio.
Primo carattere dei Capitoli è dunque l'affermato principio della preminenza dell'ordine dei cittadini su tutto il Dominio; questo carattere trova conferma nel riconoscimento dell'esclusiva sua competenza sulla "utilità e quiete del Dominio". Tra i doveri primari dei consiglieri è la conservazione della "Santa Fede Cattolica", la fedeltà ai Signori, la ricerca della pubblica quiete e del pubblico bene, e il segreto d'ufficio (cap. 2')
Il consiglio comprendeva venti membri: 4 dottori di legge o artisti, 4 notai, 8 cittadini "che non faccino mercanzie con fondaco aperto", 4 mercanti non esclusi gli artefici. Secondo carattere dei Capitoli è che, dopo aver escluso i rustici, limitano la rappresentanza del popolo lavoratore a meno di un quinto: "Et quattro mercanti, fra quali Mercanti non siano anco esclusi gli artefici di qualsivoglia sorte, quando paresse al Consiglio alli debiti tempi di eleggere". La condizione, dunque, per entrare in Consiglio era la cittadinanza correggese e l'aver compiuto i 25 anni; il Consiglio non poteva contare che un solo membro della stessa famiglia (cap. 3').
Al funzionamento del Consiglio presiedono 20 cittadini scelti da Gerolamo, secondo la "volontà di tutto il popolo di Correggio"; è un principio nettamente aristocratico, questo, che esclude ogni altra fonte del potere che non sia quella del Signore, avendo qui la volontà del popolo il significato di mera accettazione. Dei venti uomini si formavano quattro liste, contenenti ciascuna cinque cittadini: un dottore, un notaio, due cittadini, un mercante; da esse se ne doveva estrarre una per ciascuno dei quattro anni futuri, a S. Pietro.
Dei cinque, il dottore, il notaio e il mercante erano gli anziani, tra i due cittadini si sorteggiava un quarto anziano, mentre il quinto della lista era il Provveditore della Piazza; i cinque eletti formavano i Priori del Consiglio e stavano in carica un anno; al termine uscivano dall'ufficio e anche dal Consiglio. Ma, prima della scadenza, essi, con tutto il consiglio, ne eleggevano altri cinque; dei vecchi decaduti, però, doveva restare il Legista o l'Artista. I quattro che si dovevano eleggere, proposti dal Priore di Dottori, dal Priore dei Notari, dal Priore dei Cittadini e dal Priore dei Mercanti, erano votati dal consiglio ed eletti a maggioranza dei due terzi. Ogni anno si rinnovava il Consiglio per un quarto; al termini dei quarto anno tutti i consiglieri proposti da Gerolamo erano via via scaduti, fino al completo rinnovo del Consiglio stesso.
La complessità del congegno rivela nel suo inventore una visione astratta o filosofica della rappresentanza civica, e la volontà di escludere dal Consiglio non solo le forze reali della città ma il confronto e anche lo scontro degli opposti interessi. Il consiglio eleggeva i pubblici ufficiali e gli esecutori: il Dugarolo, l'Aguzzino; sindacava l'operato del podestà, aveva la cura e la tutela dei minori, degli orfani e delle vedove, esercitava la bassa giustizia fino a 50 lire, aveva poteri d'iniziativa e di controllo sulle opere pubbliche, sulla polizia e l'annona, potestà di stendere regolamenti, di appianare controversie.
L'importanza dei Capitoli è notevole; a parte la applicazione, attesta la piena dipendenza dei cittadini dalla volontà del Signore e l'inquadramento delle professioni negli ordini.
A Gerolamo risale un primo regolamento di polizia e di igiene urbana, dettato da Rinaldo Corso. A Correggio elevata a città (1559) il Signore cercò di conferire il prestigio e il decoro convenienti ma anche quella preminenza e quel distacco dal territorio circostante che l'incipiente assolutismo ormai autorizzava.