Valter Pratissoli
Dalla dominazione estense alla fine dell'antico regime: istituzioni, cultura e società
Correggio, identità e storia di una città

Il problema storico

Il tema qui trattato investe una problematica sulla quale gli storici che si sono occupati, con maggior impegno, di Correggio hanno spesso sorvolato. Ci si riferisce innanzitutto all'opera fondamentale del Finzi, ma anche a ciò che è stato scritto dal Rombaldi: entrambi, avendo seguito percorsi spesso riassuntivi o trasversali, non hanno approfondito certe caratteristiche che fanno del Seicento correggese, ma soprattutto del Settecento, un'epoca di grande interesse. Resta pertanto tuttora da compiere un lavoro di raccolta ed elaborazione delle fonti che possa consentire di tracciare un quadro più ricco, vario ed esauriente su un tempo storico spesso conosciuto più per sentito dire, quasi dato per scontato, che realmente sviscerato ed esaminato nei suoi molteplici aspetti. Questo sommario tentativo possa valere come stimolo e come auspicio.

Il dominio estense tra consensi e resistenze

Nel momento in cui si attua il trapasso dal principato di Correggio, decaduto per le ragioni già ben note, alla nuova signoria estense (1635), sotto il duca di Modena, la memoria dei passati signori e la fedeltà allo sfortunato principe Siro rappresentano un punto di riferimento cui fanno capo numerosi gruppi famigliari della vecchia nobiltà creata dai Da Correggio. Il secondo Seicento a Correggio non è facilmente focalizzabile, perché mancano strutture culturali e pubbliche solide (al di là dell'apparente immutabilità istituzionale), mancano figure di spicco: nessun esponente della nobiltà locale riesce (e forse neppure vuole) ad emergere in modo netto. Coloro che si metteranno più in evidenza (gli Augustoni o Sebastiano Carletti, correggese d'adozione) lo faranno da fedeli servitori dei duchi di Modena.
Comunque la fedeltà ai da Correggio fomenta, nel territorio del principato, la creazione di un partito o fazione che, sostenuto da rappresentanti delle famiglie Merli e Donati, arriva persino a progettare un tentativo di congiura (ancora peraltro oscuro) che si rivelerà fallimentare, se non penoso e patetico. Benché il duca di Modena avesse inizialmente lasciato una certa autonomia formale al neo-acquisito principato, nonchè rispettato i privilegi e immunità della nobiltà e del clero, gradatamente arriva ad aggravare di tasse e balzelli queste classi sociali che erano abituate alla politica di esenzione mantenuta dai da Correggio. Per sovrappiù il clero locale conservava ben viva la memoria dei Da Correggio, perché intrinsecamente associata al culto di S. Quirino (la leggenda voleva che fosse stato appunto Corrado da Correggio, nel IX secolo, a trasportare da Roma le reliquie del santo).
Al di là dei motivi legati alla tradizione o al rimpianto del passato sono le ragioni più concretamente economiche, l'intenso drenaggio fiscale, ad alienare dal nuovo padrone le simpatie dei sudditi del principato di Correggio.
D'altro canto, pericoli di congiure a parte, gli Estensi necessitavano di una legittimazione dall'alto. Fin dal 1635, anno in cui acquisirono il principato dalla Spagna, essi ricercarono l'investitura imperiale fino al termine del secolo e non ne furono mai del tutto sicuri, almeno finché durò in vita un qualche discendente dei da Correggio.
Sicuramente, dagli anni quaranta in avanti, c'è tutta una produzione di pamphlets, di libelli e manifesti in difesa dei principi di Correggio che lamentano la loro sventurata ed ingiusta fine: essi si pongono l'obiettivo di porre in discussione (anche se debolmente, senza appoggi politici influenti, senza denari) l'investitura al duca di Modena.
L'ultimo opuscolo di questa serie fu composto e stampato, probabilmente a Vienna, nel 1693; il Ristretto del fatto e delle ragioni che ha don Giberto d'Austria di Correggio principe del S.R.I, figlio primogenito del principe don Maurizio, figlio del fu principe Siro, sopra il detto principato. In esso troviamo molti passi che ricordano il lacrimevole epilogo della dinastia Correggesca e la ripercussione emotiva sulla popolazione locale; viene messa in luce la condotta truffaldina dell'Estense in rapporto alla buona fede dei da Correggio. Ma la cosa più grave, dal punto di vista dell'opinione pubblica, è una sorta di damnatio memoriae che in Correggio subiscono tutte quelle strutture e testimonianze (Palazzo dei Principi in testa) che si riferivano ai deposti signori.
Tutto inutile; come tutti sanno, i da Correggio non verranno mai più risarciti, né indennizzati, né tanto meno reintegrati nello stato.
Intanto, a cavallo tra Sei e Settecento, ecco fiorire una nuova generazione di intellettuali, in bilico tra il vecchio e il nuovo, che preparerà il terreno per la diffusione delle idee e delle strutture del secolo dei lumi attraverso l'istituzione (come più avanti vedremo) dell'Accademia dei Teopneusti.

Un'identità storica

A dispetto della politica estense, il senso dell'essere correggesi, di appartenere al territorio dell'antico principato, non si disperse nel tempo. Esso, anzi, viene ribadito tanto più fortemente quanto più tale sentimento rischia d'essere soffocato. In un testo del 1802, le Ragioni che militano a favore della comune di Correggio, dipartimento del Crostolo, per essere conservata comune di prima classe, compilato dall'avvocato correggese Isidoro Vari, vengono elencate le qualità che fanno del Correggese un territorio inconfondibile e peculiare.
Quando il Vari scrive, Correggio si trovava (per effetto della legge 24 luglio 1802) ad essere smembrato tra le diverse ville, ad esempio Campagnola o Fabbrico, rimaste per secoli territorio del principato. Si era ormai venuto a creare un moto di autonomia che, capitanato dai maggiorenti dei succitati paeselli, mirava ad una netta indipendenza giuridica ed economica da Correggio-città.
Nella sua operetta, Vari si chiede dove siano le persone istruite nelle ville e, senza di esse, come possano procedere celermente gli affari: pertanto Correggio deve conservare la sua importanza come centro e momento unificatore di un territorio venutosi strutturando, nel corso dei secoli, in modo netto e preciso. Rincarando la dose, Vari si dilunga poi in un excursus storico-istituzionale; sul come si sia venuta a creare quella Correggio, a lui contemporanea, ben delineata anche nella nota pianta del 1816 e che rispecchia, quasi integralmente, la realtà urbanistica di fine Settecento. Le cose che, a detta del Vari, facevano di Correggio una piccola capitale consistevano nell'aver avuto nei tempi antichi istituzioni proprie in ambito politico-amministrativo (leggi, Statuti, zecca, archivio pubblico, "corpo di conservatori" che amministravano il paese, "luogotenente", governatori), culturale (Ginnasio, Collegio degli Scolopi, biblioteca pubblica, teatro), assistenziale "Stabilimenti di pubblica beneficenza": ospedale degli infermi, degli esposti, monte di pietà, monte del grano). Infine la gerarchia ecclesiastica e, naturalmente, tanti uomini illustri.
Da questo elenco emerge un dato abbastanza chiaro: Correggio è riuscita a costruire nei secoli trascorsi, ma soprattutto durante il Settecento, tutto un tessuto di opere pubbliche tuttora in gran parte vive e operanti, che ad essa conferiscono un preciso profilo.

La città rinnovata

La pianta del 1816 evidenzia assai bene come si era venuta costituendo la cinta muraria (parte medievale circolare e parte bastionata e rettilinea cinquecentesca). Al suo interno troviamo importantissimi edifici, sedi di istituzioni religiose o pubbliche: il complesso della chiesa e convento di S. Chiara (l'edificio più illustre del XVII secolo) e l'adiacente ex chiesa carmelitana, divenuta sede del monte frumentario. Su quest'ultimo si faceva affidamento nei periodi di penuria economica, sempre caratterizzati dal triste fenomeno dell'incetta e dell'accaparramento dei grani (emblematica la situazione alla fine del Seicento). Soltanto nel corso del Settecento, per tutelare gli interessi della collettività di fronte agli speculatori, verrà creata la "Congregazione dell'annona".
Altri edifici rilevanti sono il Collegio Ducale (trasformazione dell'ex convento domenicano), la Locanda della Posta ("osteria camerale", gestita cioè per conto del duca), il teatro. Invece i luoghi d'incontro sono situati nella "piazza nobile" (l'attuale corso Cavour), dove avviene il passeggio pubblico o il mercato bestiame, trasferito più tardi, anche per decoro, fuori Porta Reggio.
Tra questo sedimento di opere pubbliche ed edifici religiosi si notano diversi palazzi privati tra i quali emerge il bellissimo palazzo Contarelli, abitazione di questa importantissima famiglia. Già fattori del principe Siro, un loro discendente, Francesco Contarelli, diverrà nel Settecento sovrintendente delle proprietà del duca di Modena nello stato ferrarese passato al Papa. Il figlio, Giovanni Battista, ricoprirà importanti funzioni pubbliche. Riformerà la biblioteca legata al Collegio, collaborerà alla stesura dei nuovi ordinamenti del 1789, otterrà poi dal Dicastero il compito di sovrintendente agli studi in Correggio: intellettuale di punta, avrà contatti coi maggiori esponenti dei mondo culturale di Reggio, Modena e Mantova.

Le istituzioni.. tra conservazione e cauto riformismo

Se lo sguardo scorre sulle istituzioni civili nella Correggio del secondo Settecento, dopo la riforma del 1776, si nota che la città è amministrata da tre funzionari: il priore, il provvisore e l'anziano, coadiuvati da tre notai. Tutti costoro appartengono al ceto nobile e sono in grado, quindi, di condizionare potenzialmente il senso degli affari a loro vantaggio. Un gioco tuttavia che non riesce loro che in misura minima, poiché la strategia messa in atto dai duchi, Francesco III prima ed Ercole III poi, è tutta volta ad accentrare il potere reale nella capitale.
L'autonomia di Correggio diviene sempre più soltanto formale. Anche per il più piccolo centesimo si deve passare per Modena: tutto dev'essere approvato da Modena e nulla si fa senza l'assenso dei "supremi magistrati". Nonostante ciò gli amministratori locali cercano di muoversi nel miglior modo possibile; si alternano anno dopo anno e quelli che sono in carica designano i loro successori.
Nel 1776, con la nuova riforma istituzionale, viene eletto priore Girolamo Colleoni. Fresco di nomina, egli scrive al grande Ireneo Affò (col quale mantiene un'intensa corrispondenza) mettendo a nudo le difficoltà e le scarse basi culturali della nobiltà locale che cercava d'essere rappresentativa: "il priore può poco compromettersi nell'aiuto dei colleghi perché questi ordinariamente non sanno neppure leggere". Priori, provvisori ed anziani s'occupano della vita economica come anche di problemi pratici (un po' un misto delle funzioni esercitate oggi dai vari assessorati: igiene pubblica, lavori pubblici, polizia urbana). Se il compito dell'anziano è senz'altro minore, ha tuttavia importanza, perché sovrintende alla "congregazione della sanità", mentre il provvisore è "giudice della piazza", vigila sui turbamenti dei prezzi e sull'applicazione dei calmieri, sui generi di prima necessità quale giudice sulle "vettovaglie"; infine, presiedendo la "congregazione d'acque e strade", s'occupa della manutenzione di cavi, argini, strade, espurgo di fossi e, naturalmente, di regolamenti edilizi.
Esemplare, in questo senso, è la Notificazione in materia di vettovaglie, pulizia e ornato del 1790. Leggendola in controluce essa rivela problemi e disagi, non molto dissimili dagli attuali.
Nel 1789 viene istituito un "Consiglio generale" composto da tre avvocati, sei provvisori e tutti i capi delle famiglie nobili, che tuttavia non verrà quasi mai convocato. Il vero organo amministrativo è, invece, il "Consiglio ordinario", composto da un priore, un provvisore, un coadiutore e nove cittadini, chiamati "conservatori". Anche cosi, di veramente nuovo, rispetto alla riforma del 1776, non v'è nulla; soltanto la "Congregazione dell'annona", saldamente in mano ai nobili. Del resto ciò è perfettamente in linea con le direttive del governo estense, che, con l'obiettivo di accentrare tutto su Modena, stava esautorando completamente le autonomie locali e creando, lentamente ma inesorabilmente, uno stato assoluto.
Con un passo indietro si cercherà ora di inquadrare il rapporto che lo Stato, divenuto "assistenziale" dopo il varo della politica giurisdizionalista, instaura con le istituzioni ecclesistiche. Nel 1765 viene eliminato il "Conservatorio delle orfane" e l'ospizio; nel 1768 i Carmelitani, nel '71 i Cappuccini, nel 1782 la Confraternita di S. Maria, nell''82-'83 i Domenicani e le Domenicane.
Tutti i beni ad essi appartenuti vengono incamerati, parte dalla Congregazione generale delle Opere Pie di Modena, parte dalla Congregazione di Correggio. Si è a lungo discusso su un incremento della proprietà privata negli ultimi decenni del Settecento per effetto delle soppressioni: in realtà a beneficiarne sono altre istituzioni ed è soprattutto lo Stato a ereditare proprietà e beni degli enti soppressi. Per far fronte al vuoto venutosi man mano a creare con la fine delle congregazioni religiose, assistenziali e ospedaliere, la Deputazione delle Opere Pie di Correggio aveva, fin dal 1772, elaborato un piano di riforma, suggerito assai probabilmente da G. B. Contarelli.

Le classi sociali

Forse più che di classi sociali vere e proprie, occorrerebbe parlare di sistemi famigliari per ceti sociali, dato che la famiglia (e l'insieme delle famiglie legate per imparentamento) rimane il perno intorno al quale ruota tanto agire sociale.
La nobiltà è dunque l'insieme delle famiglie nobili. Essa controlla il potere perché concentra nelle proprie mani la ricchezza e perché gode di innumerevoli privilegi fiscali (esenzioni) e giuridici (nessun nobile poteva essere arrestato in caso di debiti). Nel 1775 viene creato l'"Albo d'oro" della nobiltà locale: tra le famiglie ascritte, quelle di primo grado vantano tradizioni secolari; nel secondo gruppo ci sono quelle famiglie divenute nobili per diritto statutario (coloro che avevano ricoperto alcune delle pubbliche magistrature o per aver fatto parte del "Consiglio dei signori venti", l'antica rappresentanza creata dal cardinale Girolamo da Correggio e riconfermata da Siro).
Prima delle soppressioni la proprietà privata si ripartisce tra nobiltà, congregazioni religiose ed enti assistenziali. Tale situazione evolve sul finire del secolo e già nel catasto Ricci del 1790 non si trovano più nobili in testa alla lista dei possidenti, come negli estimi degli anni precedenti, ma tale Luigi Bonini, ricco borghese di Rio. Da ciò si coglie l'inizio della decadenza della vecchia nobiltà. Probabilmente la causa sta nella conduzione "in economia" dei fondi nobiliari, nell'arretratezza delle tecniche, nella mancata razionalizzazione dell'agricoltura e certamente in un diffuso lassismo imprenditoriale. La decadenza del ceto cittadino non coinvolge soltanto l'aristocrazia inerte, ma anche la classe degli artigiani, di cui si dirà più oltre.
Il clero, da sempre classe privilegiata, si sente minacciato dal diffondersi delle idee illuministe e razionaliste tra le persone colte. Quello regolare, poi, viene travolto dalla politica giurisdizionalista.
V'è anche chi cerca di resistere, per quanto senza successo: è il caso delle monache correggesi di S. Chiara. Costrette a ritirarsi a Spilamberto in seguito alla soppressione del loro convento, esse tentano di commuovere le autorità (e dietro la loro supplica-protesta si sente la mano delle famiglie d'origine), ma è lo stesso governatore di Correggio, Gaudenzio Valotti, a minacciare gravi sanzioni a chi si rifiuti di ottemperare alle disposizioni ducali.
Se per il clero è un momento di difficoltà, per i contadini continuano le angherie e i secolari travagli: gli Statuti di Correggio (riconfermati nel 1675 dal duca di Modena e aboliti nel 1771 coll'introduzione del nuovo Codice Estense) avevano sempre tenacemente difeso la proprietà privata e ribadito lo strapotere dei padroni sui contadini. Questi ultimi non potevano liberamente fare quasi nulla, perché, essendo affittuari, mezzadri, o "al terzo", erano obbligati a soddisfare il proprietario che poteva rifiutare loro l'affittanza. Quindi, per le condizioni economiche precarie, la scarsa resa agricola, le tecniche culturali arretrate, il contadino raramente riusciva ad estinguere il debito contratto e -rimaneva perennemente "servo della gleba".
Anche nel Settecento continua lo sfruttamento della campagna ad opera della città. Dato che i loro prodotti servono a soddisfare il fabbisogno dei ceti urbani, i contadini debbono essere controllati e si giunge ad imporre loro di non abbandonare le vie maestre nel recarsi ai mercati cittadini. Molta gente cerca dunque di inurbarsi e di ottenere la cittadinanza di Correggio, poiché l'approvvigionamento in città riesce più facile con l'aumentare delle opportunità.
Gli artigiani, un ceto tuttora poco conosciuto, erano organizzati in corporazioni la cui vita e struttura era regolata da statuti e presieduta da un massaro. Vi era anche un massaro della comunità oltre ai massari delle varie arti; dopo le riforme del '76 sarà creata la figura del "Sovrintendente alle arti", col compito di controllare il funzionamento di queste categorie.
Il ceto artigiano non cessava di lamentarsi per essere gravato da una vetusta incombenza, l'offerta della cera al patrono S. Quirino. Questa tradizione risalente al secolo XV, era divenuta per le difficoltà della categoria, un intollerabile balzello, tanto più che finiva, a detta delle stesse arti, per arricchire un'istituzione, la collegiata di S. Quirino, "provveduta d'uno de' più pingui benefici". In nome della "ragione" e della "carità" gli artigiani, in una supplica del 1771, chiedono l'esenzione dell'offerta rivelando altresì l'estrema povertà della categoria rispetto alla maggior floridezza dei secoli passati e, tutto sommato, la loro scarsa incidenza economica. Ma anche questa richiesta, com'era accaduto ad una precedente ai tempi di Siro, non ottiene alcuna soddisfazione.

Opere pubbliche e vita culturale nel secolo dei lumi

Gaudenzio Valotti, uno dei governatori di Correggio più amati, viene ricordato, attraverso una raccolta encomiastica (di cui si faceva sciupio nel Settecento) quale fautore della "ragione" in politica e promotore di una serie di opere pubbliche (edilizia di risanamento, bonifiche, edifici assistenziali) concretatasi, tra il 1776 e il 1783, nell'ampliamento e apertura dell'ospedale di S. Sebastiano. Sempre nel 1783 si inaugura il nuovo cimitero, organizzato sulla base di criteri igienisti e quasi di ,,uguaglianza" di fronte alla morte; ancora nello stesso anno viene aperto il Civico Collegio Ducale.
I riflessi della cultura dei lumi si colgono anche attraverso la corrispondenza che i vari Muratori, Spallanzani, Paradisi, Tiraboschi, ebbero con membri della famiglia Contarelli (e le loro lettere, conservate nell'archivio, testimoniano delle strette relazioni di questi correggesi con alcuni dei personaggi più colti dell'epoca).
Il 1776 è un anno per molti aspetti assai significativo: in esso vede la luce la Notizia degli scrittori più celebri che hanno illustrato la patria loro di Correggio, opera di Girolamo Colleoni. Essa esce clandestinamente, stampata di contrabbando a Guastalla, fuori del ducato (perché l'autore non aveva i mezzi per stamparla regolarmente a Modena) con il generoso e sollecito contributo di Ireneo Affò: nella Notizia..., per la prima volta, sono razionalmente e "scientificamente" passati in rassegna i principali scrittori correggesi, secondo uno schema che resterà immutato, coi dovuti aggiornamenti, anche nella ben più nota e solida opera del Tiraboschi, la Biblioteca Modenese, dove il lavoro del Colleoni sarà largamente citato e utilizzato. Lo stesso Tiraboschi scenderà apertamente in campo per difendere il Colleoni dalle accuse dei suoi detrattori, appartenenti al partito ultra conservatore e filo-clericale (il cosiddetto "partito gesuitico") da sempre ostile alla politica giurisdizionalista di cui il Colleoni, funzionario ducale, era invece convinto assertore. In una lettera all'Affò, scriveva: "ella non potrebbe figurarsi di quanto giovamento mi sia stata la lettera del signor abate Tiraboschi. Si era già scatenato, contro la mia operetta, il livore di molti; ma siccome sono questi del partito gesuitico, perciò al sentire l'oracolo tiraboschiano, si è subito mutato linguaggio, dando un evidente segno, questi coglioni, che lo spirito loro non può essere dominato che dal partito, non già dalla vera e soda critica".

L'istituzione accademica

L'Accademia dei Teopneusti (letteralmente 1spirati da Dio") sorge a lato dell'istituzione scolastica degli Scolopi, giunti a Correggio nel 1722 e alloggiati nei locali dell'ex confraternita di S. Giuseppe. Essa viene ufficialmente fondata nel 1724 per opera di uno scolopio, padre Vincenzo di S. Filippo Neri. La prima produzione dell'accademia (che ottiene l'affiliazione all'Arcadia di Roma) è volta ad ottenere il consenso e l'approvazione dei sovrani, come dimostrano le raccolte di scritti a carattere encomiastico (rime o orazioni per la "recuperata salute" del duca e cosi via).
Intorno all'Accademia dei Teopneusti si coagula immediatamente il ceto intellettuale di Correggio: le sedute degli accademici si riuniscono in momenti prestabiliti (Carnevale, Venerdi Santo, Immacolata Concezione) per dibattere, di volta in volta, argomenti di carattere giocoso o serio-religioso che, nella seconda fase di vita dell'accademia (anni'70), cederanno il passo alla preponderanza di tematiche letterarie e poi scientifiche. Grazie ai Teopneusti, pur nella loro provincialità e ristrettezza di vedute, cominceranno a penetrare anche a Correggio le idee illuministe, ma pur sempre le più moderate, le meno pericolose.
Soci onorari saranno i più celebri letterati dell'epoca, perché la poesia - soprattutto - è nel Settecento il grande filtro attraverso il quale ogni argomento viene diluito e divulgato; in campo scientifico alcuni accademici (Giovanni Baraldi, medico ed epidemiologo, Ernesto Setti medico e storiografo, Alfonso Gianotti letterato appassionato di elettricismo e palloni aerostatici in corrispondenza con Galvani e Spallanzani) porteranno anche in provincia il riverbero di quella cultura che si andava frattanto manifestando nelle grandi università di Pavia, Modena, Bologna e Ferrara.

Scuola e cultura

Il Collegio di Correggio produceva ogni anno i resoconti dei saggi finali, con un taglio a soggetto, denominati "accademie". Tra questi, il saggio del 1795 reca per titolo L'Educazione, accademia di belle lettere ed arti, offerta al duca Ercole 111 dai Convittori. Nella presentazione e nelle varie sezioni, vengono esposte le idee sull'educazione che gli Scolopi propagandavano (tra loro, a Pisa, c'era anche il correggese Carlo Antonioli, fratello dello storico Michele, che scriverà un trattato di pedagogia di contenuto moderato, in polemica con le teorie più rivoluzionarie, sforzandosi di conciliare educazione religiosa e idee libertarie). Alla fine del nostro saggio troviamo l'elenco degli insegnanti in servizio presso il Collegio: le materie tradizionali (scienze, lettere, filosofia, matematica, lingua latina, grammatica, retorica, storia, geografia, antiquaria e araldica) sono gestite dagli Scolopi, le altre sono invece affidate ai laici.
L'avvocato Carlo Baccarini da Campagnola insegna "istituzioni civili" (diritto), l'architetto Filippo Cattania insegna "architettura e prospettiva"; docente di lingua francese, nonché maestro di ballo e scherma, è Felice de Cunibert, originario di Lione.
Le lezioni di cembalo sono tenute da Giovanni Asioli, coadiuvato da Luigi Asioli; per quelle di violino e violoncello c'è Crispino Gambari, che si rivelerà in seguito essere il capo del partito filo-francese esistente in Correggio. L'ammirazione per la Francia costituisce poi un notevole fatto di costume che coinvolge la cultura, la moda e la politica. Secondo quanto scrive Luigi Landriani, governatore di Correggio, nel 1794, a G. B. Contarelli: "abbiamo una quantità di giacobini in questa rispettabile città di Correggio che fa paura a chiunque professi il carattere di galantuomo"; anche le signore e signorine sono "contagiate" da questa smania per i francesi e spasimano per la loro venuta ma, prosegue il Landriani, troveranno pane per i loro denti: "ecco il frutto della guerra, ecco il seguito dell'invasione dei barbari.
Oltre ad essere istituzione culturale, il Collegio costituiva per la città, priva di manifatture (la produzione della seta ormai scomparsa) e con le "arti" decadute, anche una importante fonte di reddito. intorno al Collegio e per esso lavoravano, infatti, numerose persone adibite a diverse mansioni.

Vita religiosa

Per evidenziare i mutamenti avvenuti nella vita religiosa, ci si limiterà a sottolineare due momenti emblematici. Il primo riguarda la creazione a comprotettore di Correggio di S. Luigi Gonzaga nel 1749. Suffragata da informazioni di seconda mano dello storico Arrivabene (con cui aveva a lungo polemizzato il Colleoni) che sosteneva una remota parentela tra il santo e i da Correggio, essa premeva soprattutto al "partito gesuitico" ancora molto influente in città.
L'altro episodio rivela l'incolmabile distacco tra il sentimento religioso proposto dagli ecclesiastici e quello sentito dai laici (anche moderati e conservatori). Si tratta della traslazione del corpo di Santa Clementina da Roma a Correggio nel 1792-94. Alla vigilia della cerimonia solenne il già noto Landriani, scrivendo sempre al Contarelli, adopera accenti ironici ed irriverenti, certo poco ortodossi. Egli parla de l'innocente, religiosissimo matrimonio di santa Clementina col bravo san Quirino" e aggiunge che domani si canterà, si suonerà, si mangerà, si starà allegramente". Ne risulta che non soddisfa più quindi una religiosità fatta di riti formali e pratiche devozionali lontane dalla realtà e buone solo per il popolino.
Il Settecento ha portato anche a forme di razionalizzazione del sentimento religioso; basti pensare che la lettura della Regolata devozione del Muratori viene raccomandata persino dai funzionari estensi applicatori della politica di soppressione degli enti ecclesiastici.
Anche nella vita religiosa troviamo la poesia che, come un grande velo, ammanta ogni espressione: in occasione di solennità, contraddistinte dalla presenza di rinomati predicatori, si pubblicano opuscoli di l'omaggi poetici" ad essi dedicati dai vari letterati correggesi o dagli accademici Teopneusti. In una raccolta datata 1793, per esempio, ricorrono i temi ormai scontati della cristianità minacciata, del rispetto delle chiese, della lotta contro la diffusione delle perniciose idee illuministe che già tanti lutti e rovine avevano provocato in Francia (da ricordare che nella vicina Reggio transitavano i preti "refrattari" fuggiti dalla Rivoluzione).

Ai margini della società: un miserabile assassino

Se la vita quotidiana dei nobili e dei ricchi può essere in buona parte ricostruita, quella dei poveri emerge soltanto sporadicamente in occasione di fatti eccezionali (l'estremo bisogno) o clamorosi (la violazione delle leggi o il crimine).
Nell'archivio giudiziario di Correggio si trovano gli atti relativi a un delitto commesso a Campagnola nel 1771. Luigi Rossi, detto "Brisabello", uccide a martellate un prete e la sua serva; per questo verrà mazzolato, decapitato, squartato e la sua testa esposta come monito all'entrata di Campagnola. Se non fosse incappato nei rigori della giustizia, di costui certo nulla mai si sarebbe saputo, né della vita che conduceva. Luigi Rossi è un calzolaio poverissimo che vive con la madre in una catapecchia squallida loro affittata nel borgo di Campagnola. in famiglia vi sono anche altri fratelli, anch'essi ciabattini, che contribuiscono al sostentamento; persino la madre è occupata in molteplici lavori stagionali (taglio della canapa, pastura dei filugelli per conto terzi, ecc.). Luigi non ha voglia di lavorare, preferisce andarsene in giro; in paese viene considerato la pecora nera (tutte le testimonianze concordano nel definirlo scioperato, scansafatiche, vanitoso, millantatore, in fama di ladro, scialaquatore - spende ciò che guadagna all'osteria e giocando a tresette i boccali di vino - debitore insolvente e persino miscredente - non teme la scomunica per il suo delitto sacrilego!).
Dovendosi sposare con una donna di Novellara detta la "Dragona", Luigi vuole fare bella figura col regalarle un anello e fazzoletti pregiati. Completamente al verde, decide di rapinare don Domenico Pignagnoli. Consumato il delitto (il prete reagisce e la servetta-nipote è una scomoda testimone), si fa vedere in giro con abiti nuovi e un cappello di velluto con mostrine d'argento. Commette poi una serie di errori e di imprudenze che attirano ancor più i sospetti della gente. Arrestato, incapace di difendersi e di crearsi un alibi, si ostina goffamente a negare l'evidenza.
Luigi Rossi è insomma un colpevole perfetto: oltre che dalla stupidità, egli viene incastrato dalla cattiva fama che si era creato in paese.