Viller Masoni
Dall'età napoleonica all'Unità d'Italia
Correggio, identità e storia di una città

Il periodo napoleonico

Sebbene il Settecento sia, a Correggio come altrove, epoca di mutamenti talvolta di rilievo, non si può dire che il secolo si chiuda all'insegna del rinnovamento e del dinamismo politico e sociale. La borghesia ha lentamente superato il ceto nobiliare nel possesso di terre e fabbricati: nel 1790 possiede ormai il 60% delle terre e l'80% delle partite catastali. Ma proprio per questo caratterizzarsi, anche nei propri strati bassi, come classe di proprietari terrieri, e non di imprenditori e commercianti, la borghesia correggese tende ad assumere quella mentalità conservatrice e immobilista che la contraddistingue per tutto l'Ottocento e oltre. L'amministrazione della città rimane, inoltre, saldamente in mano agli esponenti della nobiltà. Non meraviglia quindi se, a differenza di quanto avviene a Reggio o a Modena, non assistiamo alla nascita nell'ambito del ceto borghese di gruppi o di formazioni di ispirazione democratica, pronti a farsi portavoce di istanze rinnovatrici. Reggio è una delle città italiane che accoglie con maggior entusiasmo e tempestività il vento liberatorio proveniente dalla Francia. Nella notte fra il 25 e il 26 agosto 1796 viene piantato "l'albero della libertà" e in settembre la neonata Repubblica reggiana comincia ad emanare i suoi primi provvedimenti, cercando altresì di estendere i propri confini.
Correggio di fronte ai nuovi avvenimenti temporeggia, in attesa di vedere ciò che farà Scandiano, una delle roccaforti dei "duchisti" - la città è restia a lasciarsi convincere dalle nuove idee, pronta piuttosto a farsi illudere dai proclami della Reggenza di Modena, secondo cui il Duca pagherà di tasca propria il contributo impostogli per l'armistizio da Napoleone e diminuirà la bolletta per la macina: ne è prova il "solenne TeDeum [celebrato] in riconoscenza della Sovrana generosità".
A Correggio si provvede pertanto ad allargare le fosse e a rinforzare le mura, nel timore che i Reggiani decidano di rompere gli indugi e imporre con la forza la loro autorità, come nel frattempo hanno fatto con Scandiano, Bagnolo e Rubiera: Reggio non ha mai comandato su Correggio e l'orgoglio municipale impone che questo non avvenga nemmeno adesso. Ma gli eventi precipitano: il 4 ottobre 1796 Napoleone rompe l'armistizio col Ducato estense e il giorno successivo la sue truppe occupano Modena. Anche Correggio rimane ovviamente coinvolta dai fatti: nei giorni seguenti è tutto un susseguirsi di truppe francesi che arrivano, si fermano per poche ore e poi ripartono. L'8 ottobre, finalmente, appaiono per le vie cittadine i primi democratici correggesi, che come prima cosa si premurano di piantare anche qui, sotto l'orologio in piazza, l'"albero della libertà". Il loro entusiasmo è però frustrato il giorno dopo dal generale Sandac giunto a capo di truppe francesi, il quale li rimprovera per aver innalzato l'albero e cancellato le insegne ducali dagli edifici pubblici senza essere stati precedentemente autorizzati dalle autorità francesi.
Ancora più forte è la sua ira per l'assistenza fornita nei giorni precedenti a un gruppo di soldati austriaci in ritirata: per questa ragione viene comminata alla città una forte multa, che le autorità locali provvedono a versare imponendola alla Comunità ebraica, ai Francescani e al Collegio.
Il 15 ottobre Correggio è visitata da Napoleone in persona; vi sosta sia all'andata che al ritorno di una puntata a Guastalla e a Novellara. Naturalmente l'emozione - se non proprio l'entusiasmo - della popolazione è grande; notevole l'agitazione non solo dei pochi correggesi di vedute liberali, ma anche delle autorità locali come il governatore Landriani e i municipali G. Battista Contarelli e Michele Bolognesi (di nomina e fede "duchista").
Bonaparte esorta i correggesi a darsi "un Consiglio generale coll'invito dei capi di casa della religione dominante tanto della Città quanto della Campagna". Ordina "che la Municipalità si facesse di artisti [artigiani], di operai, possidenti, ma gente savia, vecchia, possidente e di razza fredda, e non di soli nobili, i quali con la loro cabala non facevano ed avevano fatto altro che opprimere i popoli". A conferma di tale concetto ingiunge di bruciare il Libro d'Oro della nobiltà locale. Tale rogo è prontamente effettuato l'indomani con grande solennità.
Nei giorni successivi ì cittadini provvedono a nominare i propri rappresentanti. ~ prima la volta degli uomini fra i 18 e i 50 anni, convocati il 20 ottobre per formare la locale Guardia Civica e il giorno seguente per eleggere i propri capitani. Viene felicemente risolta la questione sull'opportunità o meno di eleggere solo possidenti: i cittadini "sono stati nominati da Bonaparte tutti uguali", si sostiene, e si opta per allargare la base dei candidati. Quando però vengono eletti Jacopo Corradi, già comandante degli Urbani, e il conte Michele Bolognesi, il piccolo gruppo dei democratici è ovviamente insoddisfatto: mugugna e protesta, ma in breve viene messo in fuga a scappellotti e calci.
Il 23 ottobre, nel salone del Palazzo governatoriale (il Palazzo dei Principi), i capifamiglia si riuniscono per eleggere la nuova Municipalità, che risulta composta da 16 persone, fra cui anche due mercanti, un sarto e un calzolaio. Presidente viene nominato il Canonico Arciprete Quirino Forti, che nel discorso di ringraziamento - racconta un cronista dell'epoca - si esprime "contro coloro che male intendono le parole di libertà e uguaglianza. Siamo fatti liberi dal Sovrano, ma non dalle leggi né di Dio né del mondo, tutti l'un l'altro rispettarci dovevamo, non offendere le altrui proprietà, portar rispetto al Ceto Ecclesiastico, Religioso ed a tutti finalmente".
Sugli avvenimenti di questo fatidico ottobre 1796 e dei mesi successivi esiste una notevole ricchezza di notizie, offerte soprattutto dai diari di Pietro Vellani e altri cronachisti dell'epoca (che peraltro palesano antipatia e avversione per le nuove idee libertarie e democratiche). Queste narrazioni rendono efficacemente le dimensioni e i limiti dell'impatto che l'arrivo dei Francesi determina realmente sul piano politico e sociale a Correggio. vero che si rompe il monopoli
Aristocratico nell'amministrazione della città, come testimonia l'iniziale presenza nella nuova Municipalità di qualche artigiano e commerciante. Tuttavia è evidente che i veri democratici correggesi sono assai pochi e mancano inoltre di adeguata personalità politica, cosicché le nuove autorità risultano in gran parte impersonate da elementi decisamente moderati o conservatori, per i quali il timore del nuovo è probabilmente più forte dell'insofferenza verso il vecchio.
Qualche mese dopo ha luogo un episodio che ben esprime come l'accettazione di certi principi di uguaglianza politica, sociale e religiosa sanciti dalla Costituzione della Repubblica Cispadana (approvata anche a Correggio da assemblee popolari) non siano in realtà assolutamente assimilati dalle autorità e dalla popolazione locale, ancora profondamente immerse nelle vecchie istituzioni e tradizioni culturali. Ci si riferisce ad un episodio di intolleranza religiosa che vede la popolazione cattolica correggese scatenata in una sorta di caccia all'ebreo durante le celebrazioni pasquali del 1797. Abituata a veder confinata nel ghetto la comunità israelita durante l'intera settimana di Passione, la popolazione reagisce violentemente alla "sfacciataggine" di alcuni ebrei che, forti dei nuovi diritti d'emancipazione e di uguaglianza, violano la segregazione e assistono ~ qualche testimone dell'epoca sostiene con gesti ingiuriosi - alle processioni cattoliche. Caccia all'ebreo e tumulti si protraggono per giorni e non scemano neppure di fronte all'arrivo di un contingente di soldati francesi, inviato da Modena per fronteggiare gli eventi e garantire l'incolumità degli ebrei. Deve intervenire personalmente il generale Tournon, comandante della piazza di Reggio, perché, dopo quasi due settimane di incidenti, seppure non particolarmente cruenti, la situazione si normalizzi sulla base di una soluzione di compromesso.
Nella primavera 1799 le armate austro-russe, al comando del Generale Suvorov, dilagano nella pianura padana volgendo in fuga le truppe francesi. In maggio un primo contingente di austriaci arriva anche a Correggio, accolto con entusiasmo dalla popolazione e dalle autorità locali. Per qualche giorno, tuttavia, il fronte è in continuo movimento e si avvicendano abbastanza rapidamente truppe dell'uno e dell'altro schieramento, con un momentaneo successo finale degli austro-russi a fine giugno.
1 sentimenti antifrancesi e antirivoluzionari possono finalmente manifestarsi pienamente. Non è del resto un fenomeno solo correggese: la vittoria della coalizione antifrancese non avrebbe potuto essere così rapida se non fosse stata agevolata dall'interno. Nelle campagne italiane si sviluppa un'insorgenza, quando non una vera e propria guerriglia, antifrancese, a carattere popolare e contadino. In questo accanimento popolare contro francesi, giacobini ed ebrei vi è anche la disperazione e la rabbia di chi ancora una volta è stato deluso e si sfoga come può e contro chi può: nonostante i paternalistici blandimenti dei monarchi e le promesse di radicali cambiamenti dei giacobini, nel complesso il secolo dei lumi e della rivoluzione è passato senza portare sostanziali mutamenti per le masse popolari e contadine.
A Correggio l'ondata di reazione non si manifesta certo con la ferocia dei sanfedisti napoletani, visto che non c'è granché di rivoluzionario da rimuovere. Si provvede all'immediato ripristino delle antiche tradizioni e istituzioni: soppressa la Guardia Civica, viene ristabilito il Corpo degli Urbani; le fazioni religiose abolite vengono riprese; si ripristina la vecchia Comunità con a capo G. Battista Contarelli e si svolgono grandi festeggiamenti il cui costo è imposto agli ebrei, anche come ritorsione per gli avvenimenti di due anni prima. Si attua una blanda persecuzione contro i democratici più in vista e si procede ad una completa epurazione dagli incarichi pubblici delle "persone sospette di affezione alla passata Democrazia" e, soprattutto, di quelle che "avessero avuto a promuoverla".
Il 14 giugno 1800 i Francesi vincono a Marengo e riprende corpo la Repubblica Cisalpina. Anche a Correggio torna l'ora degli esponenti democratici che, con l'aiuto dei loro compagni reggiani, assumono il controllo della situazione, non mancando di vendicarsi delle umiliazioni, delle paure e dei soprusi patiti l'anno precedente: alcuni malcapitati aristocratici o filo-imperiali vengono scherniti e anche bastonati.
Si ripristinano le precedenti istituzioni. Particolare attenzione si dedica alla ricostruzione della Guardia Civica, comandata ora solo da esponenti democratici. Viene creata anche la nuova Municipalità, pur essa composta quasi esclusivamente da elementi democratici: coloro che non lo sono, come ad esempio Pietro Saccozzi e Jacopo Corradi, sono rapidamente costretti a dimettersi. Qualche aristocratico viene anche momentaneamente arrestato.
Repentini cambiamenti di governo, carcerazioni, proscrizioni, timore di rappresaglie: una situazione di forte precarietà sociale e politica caratterizza l'ingresso di Correggio nel secolo XIX. A questo si aggiunge la grande crisi economica che, in particolare nel biennio 1800-1801, fa sentire pesantemente i suoi effetti sulla popolazione: sono i risultati degli anni di scontri militari tra i francesi e i loro nemici, con il conseguente costo pagato dalla popolazione in termini di perdite umane e materiali per il mantenimento degli eserciti di volta in volta occupanti. A peggiorare ulteriormente la situazione contribuisce una severa siccità che riduce il raccolto dei campi e accresce la mortalità del bestiame.
Tutto questo riduce i proprietari all'impotenza e i poveri alla fame. La farina dapprima cresce considerevolmente di prezzo e poi scompare quasi del tutto; stessa sorte tocca ai fagioli e ad altri generi di prima necessità. Si arriva a vendere l'acqua di cottura delle castagne. La carestia colpisce gran parte della popolazione: "oltre li noti poveri si vedon persone insolite, dimagrite e smunte, a chieder la carità, costrette dalla fame". La mortalità è alta, specialmente fra gli anziani e le persone più deboli: "a motivo dei morti e dei fuggitivi, la campagna è calata un terzo di popolazione". Nonostante l'emergenza non viene meno la pressione fiscale del governo centrale di Milano, la cui politica finanziaria e tributaria continua ad essere subordinata alle esigenze militari della Francia.
L'evoluzione politica e sociale assume in quegli anni un carattere marcatamente moderato. Nel 1805, all'indomani della proclamazione di Napoleone a imperatore, la Repubblica italiana (in cui era confluita, nel 1802, anche la Cisalpina) diviene Regno d'Italia. Gli entusiasmi e le speranze giacobine sono ormai spenti.
Napoleone non promette più agli italiani libertà, uguaglianza e rivoluzione, ma stabilità ed efficienza, di cui ha bisogno per trarre i massimi vantaggi politici, economici e militari a favore della Francia che si presenta sempre più come una potenza colonizzatrice. Per far questo egli favorisce le forze moderate, stemperando l'iniziale politica di riforme.
Questo nuovo clima si avverte probabilmente anche in periferia: è significativo che a Correggio nel 1802 torni ai vertici della città Pietro Saccozzi, un moderato che aveva dovuto cedere il passo agli esponenti più sinceramente democratici dopo il ritorno dei francesi nella primavera del 1800: lo stesso Saccozzi che nell'ottobre 1814 riconsegnerà con entusiasmo le chiavi della città a Francesco IV.
Gli esponenti democratici correggesi, pochi e di personalità scarsamente rilevante, vengono completamente emarginati.
Oltre al denaro, lo Stato chiede anche uomini, per alimentare gli eserciti napoleonici impegnati in continue campagne militari. Viene così istituita la coscrizione obbligatoria, una novità certamente impopolare. Si ha un esempio eclatante di tale avversione anche a Correggio nell'ottobre 1804, quando alla Municipalità viene ordinato di spedire a Reggio più di ottanta giovani per la Guardia Nazionale. 1 convocati si ribellano violentemente e assaltano con pietre e bastoni il locale corpo di guardia; deve intervenire il Podestà per convincerli a tornarsene a casa.
Oltre agli aspetti negativi della dominazione napoleonica in Italia, sui correggesi pesa anche il fatto che la loro città, inserita all'interno della ripartizione amministrativa di uno Stato centralista ben più ampio del Ducato di Modena, viene a perdere una serie di privilegi e l'identità che era faticosamente riuscita a conservare sotto la dominazione estense. Sono significative di questo clima le proteste della Comunità per lo smembramento dell'antica unità del Principato. Dopo alcune variazioni conseguenti a una legislazione in continuo mutamento, Correggio diviene comune di II classe e capoluogo del il cantone del Il distretto del Dipartimento del Crostolo, mentre le sue ambizioni erano di diventare comune di 1 classe e capoluogo di distretto. A Correggio sono sottoposti alcuni comuni di III classe: S. Tommaso della Fossa, Campagnola, Fabbrico, Rio Saliceto, Prato (con Lemizzone), Budrio (con S. Prospero) e Canolo (con Fosdondo). Assumono quindi una relativa autonomia anche località che prima facevano parte integrante del territorio correggese.
Nel 1810 si apre un altro contenzioso: in seguito al Decreto di Compiégne che sopprime tutte le congregazioni religiose, gli Scolopi debbono andarsene da Correggio e abbandonare la gestione del Collegio Ducale che conducevano - con buoni esiti - dalla sua apertura. Il Collegio viene chiuso, anche se le Scuole continuano con altri maestri, e inizia un duro braccio di ferro fra la Comunità e il Governo sul destino del patrimonio degli Scolopi. La disputa ha una posta assai concreta e importante per la città: potere ancora contare su quei beni e quelle rendite che erano state assegnate "dalla munificenza degli Estensi Sovrani al solo oggetto di supplir alle spese della pubblica istruzione".
In altri termini significa poter conservare quelle istituzioni educative di alto livello che "sgraziati avvenimenti" hanno fortemente compromesso. La vertenza è alla fine infruttuosa per Correggio, cosicché nel 1811 le Scuole Comunali debbono essere fortemente ridimensionate.
Anche Correggio, tuttavia, deve aver risentito beneficamente dei vantaggi che la presenza francese apporta all'Italia settentrionale. Una dominazione che, oltre a perseguire i propri interessi coloniali, costruisce uno Stato moderno, caratterizzato da una rigorosa e onesta finanza, dalla equa ripartizione dei tributi, dall'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, dalla certezza del diritto, da un vasto ed efficace programma di opere pubbliche, dalla sconfitta politica delle vecchie classi feudali (che vedono seccamente ridimensionato il loro ruolo dirigente), dalla creazione di un mercato unico fra le diverse regioni settentrionali (grazie all'abolizione delle barriere doganali), dalla formazione di uomini di governo, ufficiali e amministratori capaci e di idee liberali.
Anche a Correggio - non tanto negli anni convulsi delle Repubbliche, quanto in quelli più tranquilli e politicamente moderati del Regno d'Italia - maturano probabilmente in una parte del ceto proprietario nuovi orientamenti ideologici.
Parimenti al resto dell'Emilia, anche Correggio risulta meno danneggiata sul piano economico di altre zone del Nord Italia; se le poche industrie (soprattutto tessili) esistenti negli ex ducati sono fortemente danneggiate dalla più forte concorrenza della Francia (a Correggio, ad esempio, subisce una grave crisi la lavorazione del truciolo), in questi territori esiste però una forte tradizione e vocazione agricola, che si accentua e si affina ulteriormente compensando largamente le perdite del settore manifatturiero, anche grazie all'esportazione di prodotti agricoli e di bestiame facilitata dalla maggiore circolazione delle merci.
La fine del regime napoleonico non lascia comunque rimpianti in alcuna classe sociale. Da un lato le innovazioni, le riforme, la vendita dei beni ecclesiastici e gli altri interventi di politica economica e finanziaria sono andati a favore dei ceti abbienti e proprietari e ben poco hanno mutato le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, che risentono invece in modo più immediato e duraturo delle conseguenze negative (guerre, carestie, ecc.) della dominazione francese. D'altra parte, neanche quei ceti possidenti che pure il nuovo regime ha contribuito a creare o quantomeno a consolidare, sono grati a chi li sottopone a continui tributi, per soddisfare un fiscalismo sì eccessivo ed esasperante, ma anche proporzionale alle ricchezze dei contribuenti.
Sta di fatto che il 12 ottobre 1814, quando il Duca Francesco IV d'Austria-Este, insediato dal Congresso di Vienna alla guida del Ducato di Modena e Reggio, accompagnato dalla sua Corte, giunge a Correggio per ricevere l'omaggio della città, vi trova un'accoglienza trionfale. La città è parata a festa come non mai.
Molti dei più entusiasti protagonisti di questi ossequiosi festeggiamenti avevano ricoperto importanti ruoli pubblici durante la dominazione francese. Fra i pochi che mantengono un comportamento di dignitosa coerenza vi sono i fratelli Bonifazio, Luigi e Giovanni Asioli che, benché in città e nonostante le sollecitazioni delle autorità locali a omaggiare il Sovrano, se ne restano chiusi in casa.
Il Podestà Pietro Saccozzi è certamente sincero quando, consegnando le chiavi della città a Francesco IV, pronuncia queste parole: 1 vostri sudditi di Correggio nei tempi scorsi hanno saputo adattarsi alle circostanze ed ubbidire alla forza, ma non hanno mai creduto di dover presentare le chiavi della città che al legittimo lor Sovrano".

Dalla Restaurazione alla prima guerra d'indipendenza

La sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna aprono la strada ad un processo di forte restaurazione politica e sociale in Europa. Una delle 11rilegittimate" monarchie che più si distingue nel connotare in senso reazionario e immobilistico questo nuovo periodo storico è quella degli Estensi. Francesco IV è sollecito ad abrogare quasi tutta la legislazione prodotta durante l'età napoleonica, facendo però tesoro di quanto la dominazione francese ha lasciato di utile per una più decisa politica centralizzatrice e fiscale. Grandi passi a ritroso vengono compiuti nell'amministrazione della giustizia, ove si abolisce il pubblico dibattimento nei processi e si ripristina il procedimento segreto e scritto. Nel marzo 1821 viene poi istituito il Tribunale Statario, organo speciale di giustizia per la repressione dei ribelli e dei colpevoli di lesa maestà.
L'istruzione pubblica e la cultura non hanno sorte migliore: sono viste come pericolose fonti di ribellione all'assolutismo. Per non correre rischi, nel 1828, viene reintrodotta la censura preventiva sulla stampa e sugli spettacoli. Il Duca, inoltre, richiama e ridà prestigio a numerosi ordini religiosi, ai Gesuiti in primo luogo.
Ancor più significativo è il peso politico e sociale che egli assegna alla nobiltà e alla proprietà fondiaria, mentre dimostra avversione verso le attività imprenditoriali e i ceti borghesi, che considera fortemente pericolosi per la stabilità del potere. La sua politica consiste nel cercare di isolare la borghesia, da una parte ridando potere e prestigio alla nobiltà, dall'altra neutralizzando il ceto popolare e contadino con la "politica della carota e dei bastone", ossia alternando l'assistenzialismo paternalistico alla repressione poliziesca.
Nel caso di Correggio, in verità, egli non ha alcun bisogno di agitare il bastone, né al momento della sua investitura né negli anni successivi: la trionfale accoglienza che Francesco IV riceve in occasione della sua prima visita alla città non è che il preludio di una ossequiosa lealtà che porterà lo stesso Duca a fregiare Correggio del titolo di "fedelissima".
Nel restaurato Ducato estense Correggio è Comune di secondo rango, cui fanno capo 14 ville (le 11 attuali più Cognento, S. Michele della Fossa e Rio Saliceto): la popolazione complessiva è di circa 11.000 abitanti.
Nuovo Podestà viene nominato Pietro Rossi-Foglia: ha 34 anni, non è un nobile, ma appartiene a quel ceto di possidenti terrieri emergenti che proprio durante la dominazione francese hanno accresciuto le loro proprietà, nel caso specifico quasi raddoppiandole, assimilandosi di fatto al patriziato locale. Prende il posto di Pietro Saccozzi, per il quale vale pressappoco lo stesso discorso, che diviene presidente del Consiglio Comunale e, negli anni successivi, sarà volte membro della Comunità: come si vede la continuità del personale politico è assicurata. Ancor più garantita lo sarà con Rossi-Foglia che manterrà la carica di Podestà fino al 1849, attraversando indenne i momenti di crisi politica e istituzionale conseguenti ai moti risorgimentali del 1831 e del 1848/49, ben meritandosi quindi l'epigrafe scolpita sulla sua tomba: "uomini, tempi e cose tramutantisi, la invitta anima non mutò".
Ad un'assoluta continuità politica si accompagna una sostanziale tranquillità sociale. Il caso di Correggio, quindi, è significativo - nel panorama degli avvenimenti politici, sociali ed economici che precedono e preparano l'Unità d'Italia - come esempio di immobilismo, conservatorismo e localismo.
Due avvenimenti di un certo rilievo hanno luogo a Correggio nel 1819. Il primo è costituito dalla riapertura del Collegio: il Duca accontenta così sia le autorità correggesi che il Vescovo di Reggio il quale rivendica nella propria diocesi l'istituzione di un Seminario. Quella che viene riaperta nel 1819 è una istituzione con la duplice funzione di Seminario e di Collegio. Entrambi vengono affidati alle cure di una Congregazione di Sacerdoti detta degli Oblati e assoggettate al Vescovo. In realtà il Seminario-Collegio manifesta ben presto segni di crisi sia economica che educativa e più volte la Comunità negli anni seguenti deve intervenire per tappare le falle e cercare - non senza polemiche più o meno esplicite col Vescovo - di non venire completamente tagliata fuori dalla sua gestione.
Ancor più rilevante è la riapertura - autorizzata da un chirografo ducale del primo aprile 1819 - del Libro d'oro della nobiltà correggese: ad una triplice lista di 6 individui ciascuna, segue l'elenco delle famiglie già annoverate nel Libro d'oro (in totale 57).
Anche questo è un chiaro segnale degli indirizzi politico-sociali che Francesco IV intende seguire e che non possono non suscitare il massimo compiacimento da parte dei notabili correggesi, in gran parte nobili o aspiranti a divenirlo.
Altra significativa espressione della politica ducale - complementare alla precedente - è l'istituzione, nel 1822, del Monte di farina. Si tratta di. un deposito di farina - dotato di settecento quintali - che rappresenta una garanzia per la popolazione verso le frequenti carestie e le conseguenti speculazioni sul prezzo del pane. La "farinera" costituisce una delle maggiori iniziative assistenziali promosse dal Sovrano; oltre ad essa si può ricordare il divieto di esportare il grano nonché l'ordine al Monte di Pietà di ricevere in pegno frumento, frumentone e fava dando ai proprietari i due terzi del loro valore all'epoca del raccolto. Queste iniziative si associano ad altre più direttamente di beneficenza e di elemosina, al fine di alleviare le misere condizioni di vita della maggior parte della popolazione. Tutto ciò mira ad evitare sia l'esplosione violenta di spontanei conflitti sociali, sia che parte dei ceti popolari possa essere "irretita" e conquistata dalla propaganda sovversiva delle sette segrete.
Non che a Correggio esistano pericoli in tal senso. Anzi. Non deve trarre in inganno il fatto che uno dei primi "martiri" del Risorgimento, don Giuseppe Andreoli, operi a Correggio. Questi, nato a S. Possidonio nel 1789, si trova in città abbastanza casualmente, in qualità di insegnante di grammatica e retorica presso il Seminario-Collegio. Dal 1820 ha aderito alla Carboneria reggiana e mantiene contatti con alcuni intellettuali e professionisti di idee liberali di Reggio e S. Martino in Rio. Non risulta invece alcuna sua attività o legame politico a Correggio, dove viene arrestato nel febbraio del 1822. Condannato a morte dal Tribunale Statario di Rubiera, don Andreoli viene decapitato il 17 ottobre successivo.
La fedeltà al Duca e l'immobilismo politico di Correggio vengono ulteriormente confermati in occasione dei moti del 1831, che toccano assai da vicino il Ducato estense.
Non è certamente qui il caso di occuparsi degli ambigui legami che si stabiliscono tra Francesco IV ed esponenti liberali come Misley e Menotti, né dei rispettivi obiettivi politici. Non ci si può neppure dilungare sulla sequenza di episodi che portano all'arresto di Ciro Menotti e di altri cospiratori nella notte del 3 febbraio 1831; alla quasi immediata insurrezione patriottica che interessa Bologna, Modena, Reggio e altre città minori dei Ducato; alla fuga di Francesco IV e alla costituzione di un "Governo provvisorio di Modena e Reggio" il 18 febbraio; alla definitiva sconfitta degli insorti (guidati dall'ex generale napoleonico Carlo Zucchi) ad opera delle truppe austriache il 24 marzo, infine al ritorno di Francesco IV e alla dura repressione che ne segue.
A Correggio, come già era avvenuto nel 1796, ci si preoccupa di difendere la città contro eventuali indesiderati blitz da parte di gruppi di insorti provenienti da altre località, giacché qui di cospiratori non ve n'è traccia alcuna.
E' in questo contesto che la notte fra il 4 e il 5 febbraio - mentre il Duca e la sua famiglia sono in fuga verso Novi - una pattuglia della Guardia Urbana correggese si scontra con una decina di insorti provenienti da Mirandola riuscendo a metterli in fuga dopo averne ucciso uno. La notte successiva un gruppo più numeroso di mirandolesi cerca nuovamente di sorprendere i difensori correggesi - comandati dal capitano degli Urbani Agostino Saccozzi - i quali, appostati sulle mura della città, dopo un incruento scambio di fucilate riescono a respingere gli assalitori che fuggono lasciando sul terreno armi e oggetti personali.
Il giorno 7, tuttavia, di fronte a un ordine deciso del Governo provvisorio, la Guardia Urbana di Correggio consegna le armi e viene sostituita dalla Guardia Civica: da notare la circostanza che di essa fa parte anche quello stesso Sergente Rustichelli che comandava la pattuglia che ebbe il primo scontro coi mirandolesi. La qual cosa non sorprende affatto se si pensa che al suo posto rimane anche il Podestà Pietro Rossi-Foglia che - durante la breve esperienza del Governo provvisorio - si limita a funzioni amministrative senza compromettersi con le nuove autorità.
Sicché sono ben giustificate le lodi che Francesco IV, una volta tornato al potere, vuole di persona esternare al Rossi-Foglia e al Saccozzi per la inossidabile e attiva fedeltà dimostratagli da loro stessi e da tutta la città. Per la verità qualche "infedele" c'era stato nelle settimane precedenti, perché fra i numerosi arrestati dopo il ristabilimento dell'autorità ducale figurano anche dieci correggesi già militanti nell'esercito estense e accusati di aver aderito, al momento dell'insurrezione, al Governo provvisorio.
Di essi, otto sono di origine popolare e solo due, Alessandro e Camillo Zuccardi, appartengono alla nobiltà; questi ultimi erano anche stati gli unici correggesi a partire volontari per sostenere il nuovo Governo. A tutti, comunque, viene concessa l'amnistia.
Qualche sospetto di infedeltà le autorità ducali lo nutrono anche verso altri correggesi, visto che, qualche mese dopo, il Podestà riceve una lettera dal Cancelliere del Buongoverno Provinciale in cui si richiedono informazioni sulle "qualità morali e politiche" di dieci studenti universitari correggesi e, soprattutto, sul comportamento da loro tenuto durante i moti insurrezionali. Il Podestà si affretta a rispondere cercando di dissipare ogni sospetto sui dieci giovani. Non è escluso che a determinare questa risposta incida anche la circostanza che quei giovani appartengono in gran parte a famiglie importanti (quattro sono sicuramente di nobile casato), pertanto sarebbe oltremodo imbarazzante che su di loro e sulle rispettive famiglie pesasse l'ombra di infedeltà al Duca. Qualche dubbio è però legittimo, sol che si pensi che fra i dieci figurano anche don Carlo Cattania - che più tardi manifesterà apertamente le sue idee liberali e che nel 1863 sarà fra i fondatori della locale Società Operaia di Mutuo Soccorso - nonché Guzzoni e Montessori che, due anni dopo, saranno sorpresi a diffondere manifesti della Giovane Italia.
In ogni caso sia la vicenda dei dieci militari arrestati e poi amnistiati sia questa dei dieci studenti sospettati di irrequietezza politica, testimoniano come, in questi anni, i giovani correggesi maturino idee ed esperienze nuove soprattutto al di fuori dell'ambiente locale.
L'unico scossone alla plumbea tranquillità correggese lo dà un terremoto, non politico ma tellurico, che il 13 marzo 1832 colpisce duramente la città danneggiando seriamente molti edifici, fra cui la Chiesa di S. Giuseppe che perde la cuspide del campanile e una delle statue che ornavano la facciata.
Alla fine del marzo 1848 le truppe piemontesi, al comando di Carlo Alberto e con il tricolore in testa, attraversano il confine con la Lombardia austriaca: comincia la prima guerra d'indipendenza.
Vista l'impossibilità di contare anche questa volta sull'aiuto austriaco, Francesco V (che era succeduto al padre sul trono di Modena nel 1846) si dà alla fuga. t il segnale per l'insurrezione anche nei territori Estensi: dopo qualche giorno viene istituito un Governo provvisorio unificato per entrambe le provincie di Reggio e di Modena, col primo obiettivo di raccogliere armi e volontari per partecipare alla guerra in Lombardia a fianco di Carlo Alberto.
Di fronte a tanto rivolgimento cosa succede a Correggio?
Sorprendentemente, i correggesi sono fra i primi a riconoscere il nuovo Governo provvisorio; il 30 marzo si celebra una Messa solenne durante la quale si esalta la figura di Pio IX e viene benedetto il tricolore.
In secondo luogo, ben quarantanove volontari prendono parte alla Campagna di Lombardia; alcuni di loro, anzi, nel 1849 partecipano anche alla battaglia di Novara e agli assedi di Roma e di Venezia; il loro comandante, il tenente Luigi Pongileoni, diviene aiutante del Capo Battaglione Fontana e riceve una decorazione al valor militare.
Va poi registrata una serie di episodi, a metà fra espressione politica e manifestazione di costume, significativi di un sia pur vago sentimento patriottico. Ad esempio, di fronte alle sanguinose sconfitte degli italiani, alcuni sacerdoti si uniscono spontaneamente a gruppi di cittadini per pregare "misericordia e vendetta per tanto sangue innocente e preziosissimo".
Ogni settimana la locale Guardia Civica, accompagnata dalla Banda militare, porta in tutte le ville il tricolore che viene benedetto dai rispettivi parroci e affisso sulla croce dei campanili.
Si riscontrano anche isolate invettive e minacce all'indirizzo del Prevosto, don Pietro Rota, notoriamente ostile alle nuove idee liberali e patriottiche. Chi invece ha dei guai seri a causa dei mutamenti politici è Agostino Saccozzi. Questi, infatti, dopo le vicende del 1831 aveva compiuto numerosi progressi nella carriera militare. Da Capo della Guardia urbana di Correggio era divenuto, nel giro di pochi anni, comandante dei Reali Dragoni e uomo di fiducia del Duca- dal 1834 al 1837 aveva ricoperto anche l'incarico di Presidente del Tribunale Statario, comminando pesanti condanne - alcune anche a morte - ai patrioti dell'insurrezione del 1831. Dal 1846 è addirittura comandante dell'esercito estense col grado di General Maggiore. Grande è perciò il suo prestigio e il suo potere a Correggio e qui viene a ripararsi nel 1848 dopo la fuga di Francesco V da Modena. L'8 aprile dello stesso anno viene arrestato con l'accusa di aver tenuto contatti segreti col Governatore austriaco di Mantova. Incarcerato a Reggio, attraversa momenti difficili e viene anche processato, ma dopo alcuni mesi è prosciolto e rilasciato. Questo epilogo favorevole Saccozzi lo deve quasi certamente alle molte amicizie e ai "crediti" che può vantare presso diverse autorità che ancora ricoprono il loro ruolo sotto il Governo provvisorio. Uno di questi è sicuramente il Podestà Rossi Foglia che gli procura un certificato di buona condotta politica. Le simpatie per Saccozzi e per il Duca non mancano neppure fra le classi popolari, che verso il nuovo corso politico dimostrano scarso entusiasmo: in agosto, ad esempio, alla notizia del ritorno di Francesco V, gruppi di contadini inneggianti al Sovrano cercano di disarmare la Guardia Civica di Correggio.
Appaiono vere, ma senz'altro superficiali ed ingenerose, le argomentazioni con cui Tommaso Cattania, comandante della Guardia Civica, cerca di spiegare - in un rapporto del 1848 - le scarse adesioni raccolte nelle campagne a favore dell'annessione al Piemonte: "ciò credo non essere cagionato da avversione ma piuttosto dalla pressoché generale ignoranza dei contadini sul tenore delle cose loro richieste e a quel timore che in tali nature ingenera la novità e l'esagerato pensiero della guerra".
Sull'atteggiamento di simpatia per il Duca espresso da mezzadri, boari e braccianti, pesa anche una sorta di riconoscenza per i suoi interventi paternalistici ed assistenziali, mentre da saccenti ed eleganti patrioti si sentono proporre promesse aleatorie di indipendenza e gloria in cambio di sicure disgrazie: guerre e battaglie, abbandono della famiglia, sofferenze e lutti. Per di più coloro che vengono a chieder loro di contribuire a costruire una nuova patria sono i padroni di sempre.
A Correggio, infatti, il 148 non attiva nuove forze dirigenti e quindi nuove idee e nuovi programmi sociali e politici. Ai posti di comando sono sempre gli stessi, a cominciare dal Podestà che è ancora l'intramontabile Rossi-Foglia che solo l'anno successivo verrà sostituito, dopo trentaquattro anni di ininterrotto "servizio" e alla rispettabile età di 68 anni. Né si tratta di una defenestrazione, poiché per qualche tempo ancora continua a ricoprire incarichi di rilievo: prima come delegato del Governatore di Reggio nel Consiglio Comunale di Correggio, poi come Presidente del Consiglio medesimo, infine come membro della Comunità.
Nel frattempo Francesco V ha riguadagnato il trono e i fuochi rivoluzionari o indipendentisti sono stati spenti ovunque.

Aspetti amministrativi, sociali ed economici

Sarebbe certamente superficiale limitarsi a descrivere tanto immobilismo politico, o a constatare una fedeltà al trono estense - tanto eccessiva quanto per noi oggi fastidiosa - quasi come se entrambi fossero caratteri spontanei o innati dei correggesi. In realtà andando a scavare sotto le emergenze della cronaca e delle vicende politiche è possibile rintracciare radici di carattere economico, sociale, istituzionale e culturale che consentono di comprendere meglio, e in una prospettiva di lungo periodo, le ragioni profonde del conservatorismo e del lealismo ad oltranza che emergono dalla precedente narrazione.
Cominciamo dai meccanismi istituzionali e amministrativi.
Già nel corso del Settecento i sovrani Estensi, soprattutto Francesco III ed Ercole III, nell'ambito della loro azione tesa a rendere più efficiente ed incisiva l'azione di controllo degli organi governativi centrali, avevano progressivamente limitato gli spazi di autonomia consentiti a Correggio dalla lunga sopravvivenza degli antichi Statuta Civitatis.
Questo processo portò infine all'Editto di Ercole III, del 2 settembre 1789, con il quale veniva introdotta a Correggio una nuova Costituzione tesa a rendere uniforme la composizione e il funzionamento della sua' amministrazione pubblica a quella delle altre Comunità del Ducato.
Si è già detto dell'impronta fortemente centralistica, tuttavia arcaicamente democratica, che caratterizzò l'organizzazione statuale e amministrativa della dominazione francese. Connotazione centralistica che viene colta da Francesco IV come funzionale al proprio disegno autoritario e che quindi viene recepita, purgata da ogni concessione suffragista, dalla legge dei gennaio 1815 con la quale egli riorganizza le amministrazioni locali nei suoi domini. Organi della Municipalità sono il Consiglio Comunale, la Comunità e il Podestà. Il primo è composto di 30 membri scelti dalla lista dei 90 maggior! estimati della città (una lista quindi basata sul censo); ne sono comunque esclusi gli interdetti, i sacerdoti, i minori, le donne e i non cattolici. La Comunità è invece composta di 6 membri oltre il Podestà che la presiede. Primo elemento fondamentale: Podestà, amministratori e consiglieri sono tutti nominati dal Sovrano tramite un'istruttoria condotta dal Governatore della Provincia; il Consiglio Comunale può solo suggerire delle proposte con il sistema delle triple. Questo comporta che non solo gli amministratori pubblici della città appartengono alla nobiltà o comunque alle famiglie più importanti, ma sono oculatamente scelti fra elementi di sicura fedeltà non a caso ricorrono sempre i soliti nomi e vi sono personaggi che più o meno ininterrottamente ricoprono cariche pubbliche per lunghi periodi.
Di cosa si occupano questi Organi? Il Consiglio Comunale si riunisce in seduta ordinaria due volte l'anno - alla presenza di un delegato del Governatore - per l'esame dei bilanci preventivi e consuntivi, in seduta straordinaria - previo consenso del Governatore - tutte le volte che gli affari cittadini lo richiedono. Relativamente al Bilancio si può osservare che - nel caso di Correggio - le uscite più rilevanti sono costituite dagli onorari e pensioni per il personale e dalle spese ecclesiastiche, in particolare il contributo necessario al mantenimento della Parrocchiale di S. Quirino. Considerevoli sono anche le spese per "beneficenza pubblica" che si affiancano a quelle della Congregazione di carità per offrire qualche forma di assistenza (compresa quella sanitaria) ai moltissimi poveri e indigenti. Abbastanza limitati sono invece gli stanziamenti a favore dell' "istruzione pubblica": le spese per l'istruzione elementare sono quasi completamente a carico della Municipalità, mentre a carico dei Governo ducale sono quasi tutte quelle relative alle scuole ginnasiali, tecniche o di belle arti.
Le scuole elementari sono articolate in tre sole classi che si propongono di fornire i rudimenti minimi del leggere, scrivere e far di conto; inoltre le scuole pubbliche sono quasi tutte concentrate entro le mura; nelle ville sono spesso i relativi parroci che suppliscono - magari in cambio di qualche contributo economico - alle carenze della Pubblica Istruzione, attivando corsi elementari in cui non è facile distinguere l'istruzione dal catechismo. Né è sicuro che ogni anno le scuole elementari riaprano regolarmente: può accadere che per ristrettezze del bilancio comunale o per scelte diverse una parte di esse venga momentaneamente soppressa o sospesa, come succede nel 1825 allorché il Consiglio Comunale, per non far mancare i finanziamenti necessari per il buon funzionamento del Collegio (che è frequentato dai rampolli delle famiglie importanti), decide di sopprimere provvisoriamente le scuole elementari delle ville. D'altra parte sono molte le famiglie appartenenti ai ceti popolari che - per ragioni facilmente intuibili - non mandano i loro figli a scuola, o quanto meno non li mandano con regolarità. Il risultato di tutto questo è una frequenza bassissima: è difficile fare valutazioni precise, ma è probabile che la frequenza si aggirasse mediamente intorno al 25/30% del totale dei bambini in età scolare.
Le entrate del bilancio comunale sono costituite essenzialmente da due tipi di imposte: la sovrimposta comunale sulla proprietà e il testatico (ovvero l'imposta personale) che grava su tutti gli uomini dai 14 ai 60 anni. Molti, tuttavia, sono gli esentati dal pagamento del testatico a causa della loro riconosciuta povertà; anzi nelle annate di carestia è il Duca stesso ad invitare gli amministratori comunali ad essere di manica larga: anche questo contribuisce a spiegare la fedeltà e la riconoscenza dei ceti popolari nei suoi riguardi.
Accanto al consenso che Francesco IV si guadagna con la sua politica paternalistica, c'è quello che si procura col controllo assoluto sul funzionamento degli organi della Municipalità. Il Consiglio Comunale non ha alcuna autonomia: tutto quello che approva deve essere confermato dalle autorità governative. Se a questo si aggiungono le già ricordate procedure di nomina del Podestà e dei Consiglieri, se ne deve dedurre che quel che potrebbe sorprendere sarebbe semmai una loro scarsa fedeltà o una facile propensione alla ribellione.
Un'analisi delle classi sociali locali fornisce altri elementi utili per comprendere le ragioni della fedeltà al Duca e del conservatorismo di Correggio.
In primo luogo qual è il quadro occupazionale?
Alcuni dati importantissimi ce li fornisce la Statistica generale degli Stati Estensi redatta dal Roncaglia nel 1849. Da essa risulta che la popolazione del Comune di Correggio è composta da: 1476 possidenti (comprese le relative famiglie), 66 ecclesiastici, 273 militari, 40 professionisti, 156 impiegati, 27 negozianti, 340 artigiani, 8476 contadini, 1202 fra operai, giornalieri e serventi, 147 ebrei, 7 protestanti e 1725 mendicanti. Si noti, per inciso, che in questa che appare palesemente una graduatoria dell'importanza sociale delle varie classi professioni o confessioni, ebrei e protestanti non solo sono indicati a sé stanti, ma figurano in fondo alla graduatoria appena prima dei mendicanti.
E' evidente che l'agricoltura caratterizza l'economia locale ed assorbe quasi tutta la popolazione: se si tiene conto, oltre che dei possidenti e dei contadini, anche dei braccianti agricoli, si può affermare che circa 1' 80% della popolazione dipende direttamente dalla campagna e dall'economia ad essa strettamente connessa. In realtà anche il rimanente 20% è in gran parte legato all'agricoltura e all'allevamento, di cui trasforma o commercializza i prodotti, a cui fornisce utensili e strumenti di lavoro, oppure l'occasione di guadagnarsi il Paradiso con qualche preghiera o con un po' di carità cristiana.
Questa condizione prevalentemente rurale della popolazione trova riscontro anche nella sua allocazione: essa, infatti, abita prevalentemente nelle ville, le più popolose delle quali sono Rio (1882 ab.), S. Martino (1202 ab.) e Canolo (929 ab.); nel centro urbano vivono circa 2200 abitanti.
t utile esaminare ora le caratteristiche delle più importanti classi sociali, cominciando dalla nobiltà.
Durante la dominazione francese la nobiltà correggese, seppur faticosamente, aveva mantenuto buona parte della propria forza economica e politica. Tuttavia un certo ridimensionamento lo aveva subito, soprattutto negli anni repubblicani: il Libro d'oro della nobiltà era stato bruciato per ordine diretto di Napoleone, con conseguente danno al suo prestigio sociale; aveva dovuto condividere - in alcuni momenti in posizione di assoluta minoranza - il potere amministrativo con elementi borghesi (soprattutto possidenti ma anche qualche professionista, artigiano e commerciante); aveva visto aumentare le ricchezze e le proprietà, in qualche caso a suo danno, di una ristretta ma solida borghesia rurale che, tuttavia, aveva la tendenza, più che a contrastare, ad assimilarsi alla nobiltà: non a caso i Podestà Pietro Saccozzi e Pietro Rossi-Foglia, come pure il nipote del primo e futuro generale Agostino Saccozzi, non sono nobili quando assumono le loro cariche, lo diventano più tardi (gli ultimi due nel 1844).
Per queste ragioni la nobiltà correggese non può che salutare con viva soddisfazione l'arrivo di Francesco IV e della sua politica, volta fra l'altro a ridare prestigio alla più vecchia e illustre nobiltà del Ducato. Uno dei suoi primi atti a favore della nobiltà correggese è, infatti, la riapertura (nel 1819) del Libro d'oro, non solo per iscrivervi le antiche famiglie che già nel 1765 e nel 1789 erano state insignite di tale onore, ma anche per potere accogliere quelle che in futuro avessero dimostrato di meritare la stessa distinzione. D'altra parte nelle mani dei nobili (o di coloro che lo diventeranno) già è concentrata una parte consistente delle proprietà e delle ricchezze. Rivelatore di ciò è, ad esempio, l'elenco dei contribuenti correggesi soggetti alle imposte dirette. Le famiglie a cui è attribuito il maggiore valore censuario relativamente a case e fabbricati sono: Zuccardi Merli (£. 26.416), Cattini (£. 23.960), Contarelli (£.19.598), Guzzoni (£. 16.312), Cattania (£. 13.341), Gerez (£. 11.255), Rossi-Foglia (£. 12.954), Saccozzi (£. 10.683).
Per dare una cifra di riferimento si può ricordare che le entrate del Bilancio Comunale nel 1824 ammontano complessivamente a circa 22.500 lire.
La stessa considerazione vale per i terreni: pur prendendo in esame solamente una parte del territorio correggese, risulta che una trentina di proprietari (spesso parenti fra loro) possiede oltre 6.000 biolche in particolare emergono i nomi di Giulio Bolognesi (1163 b.), Cesi (654 b.), Cesare Zuccardi Merli (541 b.), Giuseppe Rossi-Foglia (442 b.), Tommaso Cattania (333 b.), Orazio Guzzoni (252 b.), Giovanni Saccozzi (246 b.), Alessandro Gianotti (240 b.).
Quasi sempre la proprietà non è costituita da un unico appezzamento di terra, ma da un certo numero di poderi, più o meno grandi, per lo più condotti a mezzadria: a metà del secolo risultano censiti 1.049 poderi, di cui un migliaio a mezzadria e i rimanenti a boaria, questo squilibrio, ancorché di lontana origine, non è casuale. La mezzadria, infatti, più di ogni altra forma di conduzione garantisce un'accettabile rendita associata alla quiete personale e sociale e, quindi, la possibilità di una vita tranquilla, discretamente confortevole e distinta, non sottoposta alla necessità di un continuo adeguamento delle tecniche colturali, defilata rispetto ai contenziosi o ai veri e propri conflitti che più facilmente sorgono laddove a un maggiore impegno imprenditoriale del proprietario corrisponde una progressiva proletarizzazione delle campagne: in definitiva consente una agiata e passiva esistenza di provincia.
t evidente che porsi in quest'ottica significa avere come maggior obiettivo l'immobilismo, la conservazione dell'ordine esistente, significa auspicare e appoggiare un'autorità che garantisca il più a lungo possibile tale situazione, anche se ciò comporta dover accettare una tutela spesso arrogante e invadente. La mezzadria è quindi coerente e funzionale a questo desiderio di conservazione dello status quo. Non a caso lo stesso Francesco V, in un apposito progetto di legge, si pronuncia a favore dell'estensione di tale sistema "di far compartecipare il contadino all'utile del padrone e così diminuire il più che sia possibile la classe numerosa dei giornalieri, boari, considerando che la classe dei mezzadri è nel nostro Stato la più morale e nello stesso tempo la più affezionata al nostro governo, mentre invece il crescente proletariato delle campagne rende sempre più malsicure le proprietà".
Questa sintonia fra Casa regnante e proprietari terrieri registra forse una dissonanza sul finire degli anni quaranta, allorquando si avverte, anche da parte di un ceto possidente conservatore come quello correggese, l'esigenza di un allargamento dei mercati - soprattutto per favorire il commercio delle uve e dei vini di cui queste campagne già ora sono grandi produttrici - e quindi si vedrebbe con simpatia l'adesione del Ducato estense alla Lega Doganale italiana, tanto più che essa è patrocinata da Papa Pio IX.
La decisione di Francesco V di non aderire alla Lega delude i proprietari terrieri, e forse crea anche qualche risentimento che trova riscontro in quell'effervescenza - certo modesta ma pur sempre nuova per Correggio - che si registra durante gli avvenimenti del 148.
A Correggio i nobili primeggiano non solo sul piano economico, ma anche nella vita politica e culturale. Si è già detto che essi ricoprono quasi totalmente le cariche pubbliche; inoltre presiedono all'organizzazione e all'amministrazione delle varie Confraternite religiose; sono infine i promotori e i maggiori fruitori dell'iniziativa culturale e della formazione scolastica superiore.
L'immobilismo e il privilegio che connotano siffatta classe dirigente trova riscontro nella situazione di arretratezza colturale e di povertà che caratterizza la campagna correggese, nonostante la sua fertilità. Le colture, che si presentano varie e impiegate in modi diversi, sono praticate basandosi più su rudimentali fondamenti empirici che su una razionale analisi e comprensione della realtà agraria.
Tale precarietà di base diventa drammatica ogni qualvolta turbolenze militari e politiche oppure epidemie e calamità naturali riducono sostanzialmente la produzione: l'endemica povertà lascia allora il posto alla miseria. Di qui la necessità - da parte delle autorità che comunque non hanno né interesse né intenzione di cambiare i meccanismi di tale sistema - di ricorrere a una serie di istituzioni e iniziative calmieratrici o di compensazione che, a fianco della beneficenza e dell'assistenza vere e proprie, attenuino in qualche modo le conseguenze di tali ricorrenti crisi e leniscano le sofferenze dei contadini e dei ceti più poveri. Nel 1822 viene istituito il Monte di farina, che si aggiunge ai preesistenti Monte dei Pegni e Monte dei grani, creati rispettivamente nel 1544 e nel 1609. A questa stessa logica si ispira l'istituzione, nel 1845, di un Monte Annonario Perpetuo.
Misure atte non a risolvere i problemi ma ad attenuarne gli effetti più disastrosi, esse finiscono però sia con l'appesantire i bilanci pubblici impedendone così l'intervento in altri settori produttivi, sia con l'intralciare i commerci sottraendovi parte dei prodotti agricoli.
La base dell'economia agraria è costituita, per un verso, dalla coltivazione della vite, del grano, del granoturco e dei foraggi - integrata nel tradizionale sistema della piantata - per l'altro dall'allevamento dei bestiame e dalla lavorazione dei suoi prodotti.
Va però detto che, come già per la coltivazione, anche per l'allevamento e per la produzione e lavorazione del latte si ricorre a metodi di scarso rendimento: per fare un esempio si può valutare che nella prima metà dell'Ottocento la quantità di latte prodotta annualmente da una vacca ammonti a circa 7/8 quintali, poco più di un decimo della media attuale. Oltre ai mezzadri, ai boari e ai pochi coltivatori diretti, nelle campagne risiedono alcune centinaia di braccianti, che però trovano occupazione solo in alcuni periodi dell'anno. L'assenza di attività produttive extragricole impedisce loro di trovare soluzioni occupazionali complementari o alternative. Il salario che entra nelle case dei salariati agricoli è pertanto scarso e precario; è stato calcolato che l'entrata media di una famiglia di braccianti vari da 350 a 500 lire, a fronte delle 520 lire circa necessarie per mantenere una famiglia a livelli di pura sopravvivenza. Questa condizione di miseria cronica, acutizzata dalle periodiche carestie, spinge i braccianti a una ricorrente emigrazione interna a carattere stagionale e, nel peggiore, dei casi all'elemosina o anche ai piccoli furti nelle campagne e nelle case altrui (attività a cui sono particolarmente preposte le donne, ma anche i ragazzi e i fanciulli).
In definitiva, la vita della maggior parte dei lavoratori dei campi (mezzadri o braccianti) è caratterizzata dalla povertà, quando non dalla miseria vera e propria; questo in cambio di un'esistenza fatta di duro lavoro, di stenti, di malattie e di morte precoce.
A questo proposito mi sembra significativo un rapido confronto fra la consistenza delle diverse fasce d'età della popolazione di Correggio com'era nel 1847 e come si presenta oggi. Coloro che nel 1847 avevano più di 61 anni erano meno di 1/8 dell'intera popolazione, attualmente (1990) sono quasi 1/4; la fascia d'età da 0 a 25 anni era sensibilmente più consistente, il 35% circa contro il 28% circa di oggi. Con questo particolare: se si considera solo la fascia 0-5 anni tale differenza è solamente di due punti (il 6.5% contro il 4.4%).
Poiché sappiamo che allora il tasso di natalità "ufficiale" (che era certamente inferiore rispetto a quello reale) era più del doppio di quello attuale (il 15,4 per mille contro l'attuale 7,2) si ha la misura della mortalità infantile a Correggio a metà Ottocento.
Questi pochi dati quantificano un fatto di per sé intuitivo: a metà Ottocento, specialmente fra le classi popolari, esistono (a Correggio come altrove) condizioni economiche e sociali che rendono assai più dura, precaria e breve l'esistenza; ciò ovviamente si riflette sulle fasce più deboli della popolazione: fanciulli e anziani.
Questo stato di cose ha come causa più immediata il fatto che nelle famiglie delle classi popolari le entrate sono spesso insufficienti a garantire quantomeno i generi di prima necessità: il prodotto maggiormente consumato è il granturco, cioè la polenta; notevole è anche il consumo di frumento e di vino; la carne è invece un lusso che ci si può concedere - e non tutti - solo in occasioni eccezionali; naturalmente non c'è spazio per i bisogni non primari.
Tuttavia miseria e disoccupazione sono spesso guardate, dalle vittime stesse, come sventure inevitabili: dovute cioè a cause naturali o al fato.
li popolo è ancora plebe: non ha coscienza di sé e dei propri sfruttatori, anzi è ligio e devoto al Duca e forse anche ai proprietari. La miseria, in mancanza di una chiara coscienza sociale e politica, porta paradossalmente ad essere ancora più grati verso chi ne è la causa (per ora ancora latente), ma in minima parte (questa però palese) contribuisce a lenirla con l'assistenza e la beneficenza associate al paternalismo.
Se contadini e braccianti vivono male, c'è chi sta perfino peggio: i mendicanti. A Correggio, verso la metà del secolo, sono ben 1725, più dei 13% dell'intera popolazione. Essi non svolgono attività lavorative remunerate vivono, o meglio sopravvivono, grazie all'elemosina e all'assistenza pubblica offerta dalla Congregazione di Carità.
Quest'ultima era stata creata dal Duca Francesco III nel 1772, con il nome di Deputazione sopra i Luoghi Pii della Città e Principato di Correggio, nell'ambito della politica di riforme avviata anche dal Governo estense. Essa aveva incamerato i beni delle numerose opere e fondazioni create nel corso dei secoli a scopo di beneficenza e assistenza, in gran parte legate a finalità di culto, e su queste doveva esercitare un controllo giuridico-amministrativo tale da garantire un corretto e coordinato funzionamento.
In realtà, in questo modo lo Stato entrava in prima persona nella gestione della politica assistenziale, dando vita ad uno strano rapporto fra intervento pubblico e privato, fra finalità assistenziali e religiose, con la conseguenza non secondaria di portare a soppressioni, a nuovi assetti proprietari, a sostanziali cambiamenti giuridici e organizzativi, con rilevanti riflessi sui diversi ceti sociali.
Nonostante numerose soppressioni e vendite di beni effettuate sia dalle autorità Estensi che, successivamente, dai governi napoleonici, la Congregazione mantiene nel corso dell'Ottocento una consistenza economica notevole, ulteriormente rafforzata nel 1851 dall'importante lascito di Caterina Contarelli (che comprende anche alcune importanti opere d'arte) finalizzato all'erezione di un orfanotrofio femminile che sarà poi inaugurato nel 1863.
1 bilanci della Congregazione sono superiori a quelli dell'Amministrazione Comunale. Le entrate derivano soprattutto dagli affitti e dalle rendite ricavate dai fabbricati in città e dai numerosi poderi
ammontanti complessivamente a oltre duemila biolche e affidati a contadini con contratti di diverso tipo - di cui la Congregazione è proprietaria. Le uscite sono dovute, oltre che alle spese per il proprio funzionamento, ai monti di pietà, all'assistenza ai trovatelli, ma soprattutto alla gestione dell'ospedale per gli infermi e ai vari istituti elemosinieri. Grandi quantità di denaro pubblico debbono perciò essere spese per garantire, entro certi limiti, la sopravvivenza di migliaia di mendicanti, operai e contadini poveri che sono il prodotto e il presupposto del sistema iniquo e inetto autoritariamente imposto dalla Monarchia estense ed entusiasticamente sostenuto dalla classe dirigente correggese.
Tale impostazione conservatrice è favorita a Correggio anche dal fatto che, meno che altrove, sono presenti ceti e attività imprenditoriali e commerciali in grado di contrastare tale situazione, forze che quindi potrebbero rappresentare anche un punto di riferimento (politico, economico, sociale e ideale) per le masse popolari: l'assenza (o la scarsa consistenza) di una borghesia produttiva è essa stessa un risultato della politica estense. A Correggio l'industria è praticamente assente e anche l'artigianato e il commercio sono marginali, limitati sostanzialmente ad una produzione di servizio e ad una vendita al dettaglio.
Tale situazione è dovuta alla scarsità dei capitali disponibili, alla ristrettezza dei mercati conseguente alle rigidità doganali, più in generale alla politica ducale tesa ad impedire che industria e commercio prendano il sopravvento sull'agricoltura. Tutta una serie di lavorazioni - specialmente quelle legate all'agricoltura - sono ancora svolte a domicilio. Ad esempio la macellazione del bestiame è ancora in gran parte un'attività e un rito che si svolge all'interno delle famiglie contadine. Lo stesso dicasi per la tessitura (del cotone, del lino e della canapa) che per lo più è praticata in forme artigianali e domestiche dalle donne contadine, con risultati di scarsa qualità che in parte soddisfano i bisogni famigliari e in parte vengono commercializzati al mercato. Anche l'attività di vinificazione è svolta in gran parte a domicilio: i contadini continuano a pigiare le uve con i piedi nei propri tini domestici o in città nelle cantine del padrone.
Gli "opifici e manifatture" veri e propri censiti dal Roncaglia sono complessivamente 26: 2 distillerie, 14 caseifici, i fabbrica di terraglie, 2 mulini, 1 tintoria e 6 telerie - sono prevalentemente a carattere famigliare e occupano pochi operai: in tutto 68.
Gli esercizi artigianali sono complessivamente 165 e occupano 190 titolari e 334 lavoranti, per lo più garzoni di bottega. Fra le attività più consistenti vanno ricordate le imprese edilizie (10 esercizi con 10 titolari e 125 lavoranti), le sartorie (16 esercizi con 20 titolari e 66 lavoranti) e le falegnamerie (40 esercizi con 48 titolari e 32 lavoranti).
A Correggio e nelle ville, infine, operano piccoli negozi: in tutto 75 con 101 occupati.
In definitiva, nell'attività manifatturiera, artigianale e commerciale verso la metà del secolo a Correggio sono impegnate complessivamente circa 700 persone fra titolari e lavoranti: ben poche rispetto alle migliaia occupate, a vario titolo, nell'agricoltura.
Nel disegno restauratore di Francesco IV la Chiesa e la religione hanno un ruolo di primo piano nella difesa dell'ordine morale, sociale e politico: rappresentano una garanzia di tranquillità per tutto il Ducato. L'alleanza trono-altare viene pertanto rafforzata con una serie di provvedimenti tesi a ridare prestigio e forza alla Chiesa anche nella sfera civile e sociale, contrariamente a quanto si era fatto durante l'epoca napoleonica.
Il Roncaglia ci informa che nel 1847 a Correggio il clero secolare e regolare ammonta complessivamente a 237 unità. Vi sono un Prevosto e alcuni canonici preposti alla Collegiata di S. Quirino, che era stata soppressa nel 1799 e di cui l'energico Prevosto Pietro Rota riesce ad ottenere il ripristino nel 1835. Le offerte private e le rendite delle poche proprietà rimaste non bastano però a garantirne la sopravvivenza economica, così tutti gli anni il Consiglio Comunale vi destina una somma considerevole - più o meno analoga a quella stanziata per la beneficenza pubblica.
In tutte le ville è attiva una chiesa, con relativo parroco o curato, la cui sopravvivenza è garantita dalle rendite dei poderi di cui è proprietaria: ad esempio le nove parrocchie di campagna che fanno capo al Vicariato ecclesiastico di Correggio - le altre cinque infatti dipendono o da S. Martino in Rio (Prato e Lemizzone) o da S. Giovanni della Fossa (S. Michele e Canolo) o da Novellara (Cognento) - possiedono complessivamente più di mille biolche di terra.
Accanto al clero secolare operano alcuni ordini religiosi.
Nel 1824 viene istituito in città l'ordine delle Suore Francescane, al quale il Duca assegna il Convento e la Chiesa di S. Chiara che in precedenza erano affidati, sino alla loro soppressione avvenuta nel 1804, alle Clarisse; a queste monache viene demandata l'istruzione delle fanciulle povere. Sono attivi anche i Padri Francescani Riformati, che hanno sede nel Convento e nella Chiesa dedicata a San Francesco e possono contare sulla rendita di alcuni poderi: in totale poco meno di 500 biolche.
Il ritorno degli Estensi consente anche la ricostituzione di alcune Confraternite (segnatamente quelle di S. Sebastiano e della Beata Vergine della Misericordia) che, pur non possedendo grandi proprietà, possono tuttavia contare per le spese di culto e di organizzazione su qualche podere o su donazioni lasciate da devoti facoltosi.
Dal 1835 al 1849 Prevosto di S. Quirino è Monsignor Pietro Rota: personalità forte e intraprendente che imprime maggior dinamismo a tutta la Chiesa correggese. Fra l'altro egli promuove le due Congregazioni di S. Dorotea (nel 1836) e di S. Raffaele (nel 1838). Quest'ultima, in particolare, ha come obiettivo la cura dei fanciulli poveri, per indurli "ad amare la fatica, l'occupazione e soprattutto ad avere il santo timore di Dio". Per conseguire tali fini essa può contare sul contributo economico delle famiglie cattoliche più facoltose e sulla disponibilità personale di alcuni dei loro esponenti più devoti - ad esempio quell'Antonio Bellelli, capitano delle milizie estensi, che nel proprio testamento lascerà beni e denaro al fine dì creare a Correggio un orfanotrofio maschile.
Monsignor Rota non fa mistero della sua assoluta ostilità nei confronti delle idee liberali e della sua fedeltà ai Sovrani estensi, sì da procurarsi qualche anonima quanto innocua minaccia nei giorni caldi del '48. Questo sentimento di devozione al Duca e di riprovazione per le nuove idee è del resto comune a tutto il clero correggese, che assicura all'ordine costituito un importante appoggio morale e ideologico.

Gli ultimi anni della dominazione estense

Il decennio precedente l'Unità d'Italia, se non modifica sostanzialmente la situazione politico-sociale precedente, fa registrare tuttavia anche a Correggio qualche timida novità.
La prima è la nomina a Podestà, nel luglio 1849, del Dott. Tommaso Cattania. Pur appartenendo allo stesso gruppo sociale, possiede una personalità certamente diversa dal Rossi-Foglia, con precedenti non sempre i cristallina de tà duca e: ne 1835, ad esempio, i Buongoverno provinciale aveva chiesto al Podestà informazioni su di lui per fugare sospetti di natura politica - nel'48 lo troviamo a comandare la Guardia Civica, insoddisfatto dello scarso entusiasmo dei correggesi per i piemontesi, adirato per il tentativo di disarmare la Guardia Civica perpetrato da un gruppo di contadini plaudenti al Duca. Ciononostante un anno dopo egli è nominato Podestà e tale rimarrà fino al giugno 1859. D'altra parte Francesco V a Correggio sa di poter contare sulla determinante presenza e influenza del Saccozzi, che nella primavera del '49 guida le truppe estensi alla riconquista dell'intero Ducato, naturalmente con l'appoggio austriaco. Nel corso degli anni '50 Saccozzi è fortemente impegnato a rafforzare e a riorganizzare l'esercito estense (composto da circa 3 .000 uomini) e opera quindi a stretto contatto con la Corte e lo stesso Francesco V; a suggellare questo legame giunge, alla fine del 1853, la sua cooptazione nella nobiltà modenese. La sua fedeltà alla Casa d'Este è assoluta: quando, nel giugno 1859, Francesco V abbandona il Ducato per recarsi in Veneto sotto la protezione austriaca, Saccozzi è ancora una volta al suo fianco al comando della Regia Ducal Brigata Estense, morirà a Mira all'età di 75 anni col grado di Tenente Maresciallo Austriaco.
Nonostante questi suoi impegni presso la Corte, Agostino Saccozzi mantiene stretti contatti con la sua città, risiede spesso nella sua villa di Mandriolo, è Consigliere Comunale: in poche parole è probabilmente 'Duomo forte" di Correggio, colui che, da un lato, tutela la fedeltà di Correggio al Duca, dall'altro consente, grazie ai suoi stretti legami con la Corte, la distribuzione di 'Favor" sia a singoli individui che alle istituzioni cittadine.
Sul piano economico gli anni '50 segnano qualche significativo progresso, soprattutto per un aumento del reddito proveniente dalla produzione agricola. Ciò è favorito dalle iniziative, peraltro timidissime, assunte da Francesco V dopo il suo ritorno alla guida del Ducato. Si cerca di aumentare il frazionamento della proprietà e di trasformare i metodi colturali da estensivi a intensivi. Ci si rende altresì conto della necessità di mettere a disposizione dei proprietari capitali da investire nell'agricoltura: ad esempio nel 1852 viene creata la Cassa di Risparmio di Reggio. Ci si propone, inoltre, di attuare una parziale apertura dei mercati, sulla scorta dell'esperienza della Lega doganale a cui a suo tempo il Ducato di Modena non aveva aderito per le evidenti connotazioni politiche anti-austriache. Nel 1853 viene costituita una Lega fra il Lombardo-Veneto austriaco e i Ducati di Parma e Modena. Essa resta però in vigore solo fino al 1857, perché ben presto ci si rende conto che se consente un incremento delle esportazioni e dei valori dei prodotti agricoli, provoca nel contempo un aumento dei prezzi di quelli industriali, con conseguenti squilibri soprattutto nell'economia dei Ducati. I risultati più immediati sono un aumento dei redditi provenienti dall'agricoltura e, contestualmente, un ulteriore indebolimento della già fragile industria.
A Correggio ciò si traduce in un forte incremento del commercio (e del prezzo) delle uve e dei vini, con un conseguente aumento delle entrate dei proprietari terrieri, ma anche dei mezzadri e dei piccoli coltivatori. Un visibile effetto di questo improvviso benessere è il fervore edilizio che caratterizza gli anni cinquanta e che riguarda in primo luogo gli spazi di vita" - pubblici e privati - dei ceti abbienti. Vengono ristrutturati e abbelliti (sia nelle facciate che negli interni) molti palazzi privati; vengono lastricati in marmo di Verona i portici che affiancano la Strada Maestra (l'attuale Corso Mazzini); si edifica un nuovo e prestigioso teatro che sostituisce il precedente ormai fatiscente; si abbassa drasticamente il tratto di mura a meridione per costruirvi una pubblica passeggiata: vengono insomma attuati diversi interventi edilizi che mirano, nel loro complesso, a dare un aspetto più decoroso e meno provinciale alla città.
Ci si preoccupa anche di ristrutturare alcuni servizi pubblici: ad esempio l'ufficio postale (1852) e le scuole elementari (1860).
Gli anni '50 fanno registrare anche un aumento della popolazione. Il primo censimento generale della popolazione italiana (1861) assegna al Comune di Correggio 11.693 abitanti: circa 1.500 in più rispetto al 1847 considerando lo stesso territorio, escludendo quindi Rio (che dal 1861 fa Comune a sé), Cognento (passato a Campagnola) e S. Michele (passato a Novellara).
Qualche fessura si apre anche nella solida fedeltà al Duca e nel fermo rifiuto delle idee risorgimentali: a questo fanno pensare alcuni importanti indizi.
Innanzitutto va segnalata la crescente simpatia per le opere di Verdi (del quale in quegli anni vengono rappresentate nel nuovo teatro Comunale il Nabucco e Il Trovatore), nonché il grande successo ottenuto dalle due opere composte da Ferdinando Asioli, Lea e Maria de 'Ricci, di chiara ispirazione patriottica. L'Asioli, del resto, è attivo militante della Società Nazionale, a favore della quale opera clandestinamente a Correggio al fine di fare proseliti, reperire fondi e successivamente anche volontari per la II guerra d'indipendenza.
Ecco un secondo indizio significativo: se agli avvenimenti militari dei 1848/49 avevano complessivamente partecipato 49 volontari correggesi, per la Campagna di Lombardia del 1859 ne partono 75, capitanati ancora una volta da Luigi Pongileoni. Alcuni di essi più qualche altro, complessivamente 32 agli ordini del Capitano Emidio Salati, partecipano inoltre alla Campagna delle provincie meridionali nel 1860: uno di essi anzi, Fortunato Timolini, vi lascia la vita - a favore della "grande causa dei Fratelli della Sicilia" viene anche promossa, con grande rilievo, una pubblica sottoscrizione. Fra questi volontari ve ne sono alcuni che ricopriranno negli anni successivi un ruolo importante in città: da Emidio Salati che sarà Sindaco a Vincenzo Magnanini che sarà segretario comunale, da Giuseppe Aimi che diverrà ingegnere comunale a diversi altri che saranno Consiglieri o Assessori.
Gran tripudio, quindi, per la seconda e definitiva partenza di Francesco V dal Ducato: nella notte fra il 14 e il 15 giugno 1859, raccontano le cronache, il popolo di Correggio si riversa esultante nelle strade e il giorno successivo acclama Podestà Ferdinando Asioli, che sarà poi nominato Sindaco secondo le nuove norme del Regno d'Italia.
Anche in questa occasione, tuttavia, non mancano palesi manifestazioni filo-ducali: nel settembre 1859, ad esempio, alcuni contadini, intenti a lavorare nei poderi del generale Saccozzi, inneggiano a Francesco V e lanciano invettive anti-garibaldine all'indirizzo di volontari toscani di passaggio. Garibaldi in persona - nel suo peregrinare alla ricerca di volontari e mezzi per la liberazione delle Marche dallo Stato Pontificio -è di passaggio a Correggio in quei giorni.
L'11 e 12 marzo 1860 anche i correggesi, assieme agli altri elettori dell'Emilia-Romagna, si recano alle urne per approvare plebiscitariamente l'annessione al Regno di Sardegna.
Come interpretare tutto ciò? Come una tempestiva conversione dei correggesi agli ideali liberali e patriottici?
Non c'è dubbio che negli anni '50 maturano anche a Correggio orientamenti politici nuovi, di insofferenza verso il Governo estense; ma è probabile che queste idee si facciano strada solo in gruppi ristretti della popolazione. D'altra parte anche con la Monarchia Sabauda la consistenza della partecipazione politica non si amplia granché: nel 1860 gli iscritti alla lista elettorale comunale - cioè i cittadini maschi che hanno compiuto 21 anni e godono dei diritti civili - sono solo 316, meno del 3% dell'intera popolazione. Parimenti anche la profondità e l'ampiezza dei nuovi sentimenti liberali e nazionali dev'essere piuttosto scarsa, come del resto lascia pensare la lettura di un rapporto di polizia dell'agosto 1862: "Assopito il Partito d'Azione non si verificano più le clamorose riunioni di un tempo tale partito non era composto, nella massima parte, che da sfaccendati e discoli giovinastri nulla tenenti, spinti per certo non da spirito politico, ma da amor di polemica e da speranza di rapina [ ... 1 Esistono indubbiamente intelligenze reazionarie, molti ne sono i sintomi, ma queste corrono riservatissime fra i soli capi, persone che, per la loro influenza e col loro procedere, sarebbero sicuri di disporre all'evenienza della maggioranza della plebe, composta di villani loro dipendenti, e di proletari della città, ai quali poche parole e pochi soldi farebbero abbracciare qualunque partito. [ ... ] Lo spirito pubblico nelle campagne è generalmente illiberale sotto la pressione dei parroci e dei proprietari e qualche voce di prossimi cangiamenti politici, che ne denota il desiderio, si spande e si coltiva nelle ville. [ ... ] In città il numero dei veri liberali è esiguo; li più sono o per speculazione o per prudenza, ma un vero patriottismo, un vero amore al Governo, che parta da convinzione e da devozione, non si trova; insomma, una multiforme politica, ad ogni buon fine, è il color politico dominante. Le persone che godono di maggior prestigio e per la loro posizione sociale e per l'ascendente che acquistarono e per gli impieghi che coprono, non si curano di esercitare quella benefica influenza che molto varrebbe a ravvivare lo spirito delle popolazioni, dirigere la opinione pubblica, calmare le gare dei partiti, persuadere l'amore al Governo [ ... ]; si attengono invece ad una passività egoistica che fa perdere il coraggio, coi loro soliti ritornelli: "non si sa cosa possa succedere", "non è prudente spiegarsi per non ricevere sgarbi", "si ha famiglia", ecc. indifferenti, insomma, e nemici del governo".