Mauro Saccani
La lotta al fascismo e la Resistenza
Correggio, identità e storia di una città

Il quadro socio-economico

Per tutto l'arco di tempo che prenderemo in esame non si verificano sostanziali mutamenti nella realtà socio-economica del territorio che, quindi, può essere così sintetizzata. L'attività economica di gran lunga prevalente è l'agricoltura: i cosiddetti ceti medi delle campagne (mezzadri, fittavoli, coltivatori diretti) sono circa il 50% della popolazione attiva; se ad essi si aggiungono i braccianti agricoli che sono circa un 10%, abbiamo che complessivamente nell'agricoltura è occupato il 60% della popolazione.
Nell'industria invece è occupato un 20%, mentre il restante 20% opera nel commercio, nell'artigianato, nei trasporti e nei servizi in genere. La forma di conduzione largamente prevalente in agricoltura è la mezzadria, sia per il numero di biolche coltivate, che è circa il 50% dell'intera superficie agraria, sia per il numero di lavoratori. Il restante 50% della superficie è coltivato in affitto (30%) o a conduzione diretta (20%). La proprietà è estremamente frazionata: i nuclei famigliari dei coltivatori diretti sono circa 400 e lavorano mediamente meno di 12 biolche a famiglia; inoltre le grandi proprietà terriere superiori alle 50 biolche complessive sono 37, delle quali soltanto 10 superiori alle 100 biolche. Anche queste il più delle volte sono spezzettate in diverse unità poderali condotte, nell'80% dei casi, a mezzadria e per la restante parte tramite l'affittanza.
Un'agricoltura quindi caratterizzata da una larga presenza di mezzadri e da una scarsa presenza di proletariato agricolo, il quale si trova per di più frazionato in unità poderali medio-piccole. Anche il proletariato urbano si trova nelle stesse condizioni: gli operai, oltre ad essere non molto numerosi, sono sparsi, per così dire, in tante piccolissime aziende poco più che artigianali.

L'opposizione al fascismo durante il ventennio

Dalla conquista del potere allo Stato totalitario.
Il primo delitto compiuto dalle squadre fasciste in provincia di Reggio Emilia avviene proprio a Correggio: si tratta dell'uccisione dei giovani Agostino Zaccarelli e Mario Gasparini, dirigente politico della gioventù socialista il primo, organizzatore sindacale il secondo. Il fatto si verifica il 31 dicembre 1920; la squadra fascista che compie il delitto parte da Modena e giunge all'imbrunire a Correggio dove è in programma un "veglione rosso" per festeggiare la vittoria riportata dai socialisti a Correggio nelle elezioni del novembre 1920. L'intervento dei fascisti è chiaramente provocatorio: questi infatti si mettono a distribuire volantini e a cantare canzoni patriottiche in mezzo alle persone che si stanno radunando per la festa. Dopo alcune scaramucce verbali e qualche spintone, i fascisti esplodono diversi colpi d'arma da fuoco lasciando sul terreno esanimi i due giovani socialisti correggesi e dandosi immediatamente alla fuga.
Pochi mesi dopo, vale a dire nel marzo del 1921, all'albergo Posta viene ufficialmente fondato il fascio di Correggio e da questo momento, come si legge in un documento successivo di parte fascista, "il fascio inizia la sua azione energica e decisa per pulire la nostra città da quei pochi lazzaroni che l'hanno lordata. Sante legnate - così prosegue il documento - corsero in quei giorni sul groppone di chi aveva per troppo tempo inquinato l'animo mite dei correggesi". Queste colpiscono in primo luogo gli esponenti socialisti della neoeletta Amministrazione Comunale: nel marzo del 121 infatti viene bastonato per due volte il Consigliere Comunale socialista Giovanni Salami; la stessa cosa tocca pochi giorni dopo all'Assessore Adolfo Corghi; anche gli Assessori Antonio Cocconi e Pietro Giovanardi vengono più volte minacciati, tant'è che il secondo è costretto ad emigrare.
Ma quando le intimidazioni o addirittura le legnate e l'olio di ricino non bastano a cambiare le "teste dure" dei militanti socialisti, sindacali, degli amministratori locali, dei cooperatori, si passa all'omicidio. E il caso di Aristodemo Cocconi, un piccolo proprietario di Canolo la cui unica colpa è quella di unire la sua attività di contadino al lavoro nell'organizzazione sindacale e di essere fratello di quell'Antonio Cocconi di cui si è appena detto.
Egli viene colpito la sera del 14 agosto 1921, mentre rincasa, da numerosi colpi di pistola sparati da due fascisti di Correggio ben presto identificati. Anche a Correggio il movimento operaio e contadino che con la propria rappresentanza politica, il Partito Socialista, era risultato di gran lunga vittorioso nelle elezioni del novembre 1920, conseguendo 3019 voti contro i 1105 delle altre liste, nell'arco del primo semestre del'21 viene praticamente annientato. Il 2 aprile il Sindaco e la Giunta presentano le dimissioni al Consiglio Comunale; nello stesso periodo viene invasa la sede del Circolo Giovanile Socialista e bruciati i mobili e la bandiera.
L'analisi prevalente anche tra i dirigenti socialisti correggesi è che si tratti di "un fuoco di paglia", di qui il rifiuto da parte loro di ogni opposizione seria e organizzata, ma soprattutto armata contro chi, invece, delle armi, dei manganelli, delle devastazioni e sopraffazioni di ogni tipo fa un uso sistematico.
Non mancano tuttavia gruppi di giovani che tentano di organizzarsi anche su questo piano. E il caso, ad esempio del gruppo che il 9 aprile del'21 viene arrestato in un casolare isolato a S. Lodovico. Sono in otto e vengono trovati in possesso di bombe, moschetto e rivoltelle. Si tratta però di gruppi molto sparuti e isolati che, stanti gli attuali rapporti di forza, non solo non producono alcun effetto positivo, anzi danno modo alla stampa liberale e all'opinone pubblica di avallare la tesi di una sorta di terrorismo rosso, contro il quale sarebbe in buona parte giustificato lo scatenamento delle squadre fasciste.
Non mancano tuttavia altri giovani che, seppur rifuggendo da tali sistemi di lotta, tentano in ogni modo di mantenere viva l'opposizione al fascismo. Tra questi troviamo fin d'ora Vittorio Saltini che diventa segretario della sezione comunista di Budrio; Umberto Bizzoccoli segretario del Circolo Giovanile Socialista; Aldo Magnani che succede al Bizzoccoli alla segreteria della stessa federazione; Rodolfo Zanichelli che dirige la sezione del P. C. I. di Correggio.
Mentre il Partito Socialista continua ad invitare tutti i suoi aderenti a mantenersi nel campo della neutralità, dichiarandosi pronto ad infliggere pene disciplinari contro coloro che non rispettano tale direttiva, vi è ancora chi continua a morire a causa della propria militanza politica.
E' il caso dell'appena citato Bizzoccoli che, a soli 19 anni, viene raggiunto a La Spezia, dove sta compiendo il servizio militare, da una spedizione punitiva eseguita "su mandato dei fascisti correggesi" (Paterlini). La violenta bastonatura gli lacera i polmoni e poco tempo dopo, il 22 febbraio 1922, muore a Correggio. Più o meno la stessa sorte tocca poi ad Antonio Pellicciari di Fazzano, Angelo Mariani di Budrio ed Emesto Monselice: tutti muoiono infatti in età giovanissima poco tempo dopo aver subito bastonature da parte dei fascisti.
Tutto ciò non vale certo a fermare la marcia vittoriosa del fascismo, il quale, nelle elezioni dell'aprile 1924, con la minaccia del bastone e dell'olio di ricino, conquista la maggioranza assoluta e sei mesi dopo reagisce alla crisi provocata dal delitto Matteotti col varo delle leggi eccezionali che in pratica mettono al bando qualsiasi forma di opposizione. Ci pare però assai significativo un fatto: nelle elezioni del 1924 a Correggio il fascismo ottiene 1836 voti, mentre lo schieramento socialista ne ottiene 1649 e il Partito Popolare ottiene 401 suffragi. il fascismo in altre parole non ottiene la maggioranza assoluta.
Nella seconda metà degli anni Venti anche a Correggio l'opposizione al fascismo si riduce notevolmente e, ad occhi superficiali, appare pressoché cancellata. Il Partito Comunista, a livello provinciale, registra dal 1925 (anno in cui inizia la clandestinità) al 1929, un costante calo dei propri aderenti. Per quanto riguarda Correggio la situazione appare precaria anche se non disastrosa: dei dirigenti che abbiamo citato in precedenza il solo Saltini è rimasto nel territorio comunale a tentare di organizzare quei giovani che anche in questi anni si accostano al P.C.I. Egli tuttavia è continuamente braccato. Quanto a Zanichelli è costretto a trasferirsi in un primo momento a Reggio, poi a Torino ed infine ad emigrare in Francia. Magnani, infine, fin dal 1925 deve emigrare a Milano dove viene arrestato nel'27 e condannato a 5 anni di carcere che sconterà interamente fino al 1932. E' il primo correggese ad essere condannato dal "Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato" istituito proprio nel'27; ne seguiranno diversi altri.
Su un piano più generale il regime sembra passare di successo in successo. La politica liberista promossa negli anni immediatamente seguenti la presa del potere crea una discreta ripresa della produzione industriale, anche se minata da un tasso di inflazione assai elevato. Quanto all'agricoltura, almeno fino al 1926, prosegue quel fenomeno di ascesa alla proprietà da parte di un certo numero di mezzadri e fittavoli che aveva assunto una certa consistenza fin dall'immediato dopoguerra.

Non sono pochi i mezzadri che, ricorrendo a debiti a volte consistenti, riescono ad acquistare un podere, con la speranza di pagare il debito in tempi relativamente brevi, vista appunto l'inflazione.
A completare il quadro dei successi, anche sul piano politico, intervengono i Patti Lateranensi sottoscritti nel febbraio del 1929 che conferiscono al regime fascista "un riconoscimento morale, senza dubbio assai efficace sulla coscienza delle masse cattoliche" (Candeloro). Ciò vale anche per Correggio, dove la stragrande maggioranza dei dirigenti e delle masse cattoliche è già da tempo allineata al fascismo dominante. Certo non mancano le eccezioni e forse la più eclatante è data proprio dal Prevosto Monsignor Pietro Tesauri che la voce popolare dice essere antifascista. Egli rimane a Correggio dal 1919 al 1933 finché viene nominato Vescovo di Isernia e Venafro e, come è stato scritto, "c'è chi vede in questa nomina l'allontanamento di un sacerdote valente, anticonformista, che ha un particolare ascendente sui giovani seminaristi, che ricordano le sue lezioni non allineate con la dottrina fascista" (Galeotti).
Se dunque per i cattolici si può parlare in larga misura di adesione al fascismo, non altrettanto può dirsi per i socialisti la cui opposizione rimane costantemente viva, anche se sul piano puramente ideale. Sebbene larghe masse di lavoratori, soprattutto nelle campagne, restino fedeli agli ideali socialisti riformisti e alla predicazione prampoliniana, il gruppo dirigente o si è ritirato a vita privata, oppure è stato costretto ad emigrare per sottrarsi alle continue persecuzioni.

Gli anni del consenso

Anche a Correggio gli anni Trenta si aprono con la ripresa dell'attività "sovversiva" alimentata e diretta dal Partito Comunista. In questi anni infatti numerosi sono i giovani che, provenienti in genere da famiglie di antica tradizione socialista, si accostano al P.C.I.. Questi infatti è l'unico che riesca a garantire un minimo d'organizzazione e qualche collegamento a chi non è disposto ad accettare supinamente il regime con tutto ciò che di negativo comporta per le classi lavoratrici. Ne ricordiamo alcuni scegliendoli tra quelli che pagano o che pagheranno duramente tale loro militanza: Ugo Bizzarri, arrestato una prima volta nel 1927 e assolto, viene poi nuovamente arrestato nel 1930 e condannato a 10 anni di reclusione; Venerio Bonezzi, arrestato una prima volta nel 1934 e condannato a 8 anni di carcere, viene arrestato una seconda volta nel 1939 e condannato ad altri 12; Gisberto Vecchi, arrestato una prima volta nel 1936 e condannato a 7 anni di reclusione, viene nuovamente arrestato nel 1939 e condannato ad altri 12; Guerrino Guerrieri, condannato una prima volta nel 1936 a 8 anni di carcere, amnistiato, subisce una seconda condanna nel 1939 ad altri 12.
L'elenco potrebbe continuare: basti pensare che dal 1927 (anno di istituzione del T.S.) al 25 luglio 1943 sono ben 33 i correggesi arrestati e deferiti al T.S., senza contare tutti coloro che vengono arrestati, trattenuti in carcere per periodi più o meno lunghi e poi liberati senza essere deferiti a detto tribunale. Dei 33 anzidetti, 3 vengono assolti, gli altri 30 vengono invece condannati a 251 anni di reclusione. Sono tutti comunisti.

Che cosa spinge questi giovani all'opposizione al fascismo? Schematizzando alquanto, due sono le ragioni che in questo momento maggiormente influiscono, anche sul territorio di Correggio: la forte crisi economica dell'inizio degli anni'30 e la cosiddetta "svolta" operata al Comintern.
E in questo periodo che la crisi mondiale del 1929 investe l'Italia e si salda, quasi senza soluzione di continuità, con la crisi prodotta dalla rivalutazione della lira (quota 90). Questa aveva già provocato una forte crisi deflattiva che si era ben presto tradotta a livello locale in una forte crescita della disoccupazione.
La crisi non investe tuttavia soltanto i braccianti e i salariati, ma anche i cosiddetti ceti medi agricoli. In un documento si legge: "La politica monetaria del fascismo, conosciuta nelle campagne come quota 90, ha fatto subire un grande tracollo alla nostra agricoltura, fallimenti e dissesti hanno ridotto molti piccoli proprietari alla miseria e costretti alla vendita del podere, fittuari e mezzadri indebitati ed anche rovinati" (Relazione sulle condizioni economiche dei contadini in provincia di Reggio Emilia, 19.2.1945, in "Ricerche Storiche").
L'altro elemento da tener presente è la cosiddetta "svolta". Con questo termine viene qui indicata quella revisione teorico-strategica iniziata nel 6' Congresso dell'Internazionale Comunista del 1928 che giunge alla teorizzazione del "socialfascismo", vale a dire della socialdemocrazia come altra faccia del fascismo. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa abbia a che fare ciò con la storia di Correggio. La risposta è semplice: con la svolta si ha infatti una forte accentuazione dell'attività cospirativa svolta dal P.C.I. in Italia, in condizioni di assoluta clandestinità, che non manca di avere i suoi riflessi sul nostro territorio.
Sotto l'impulso della grave crisi economica degli anni Trenta e della forte attività cospirativa, nella prima metà del decennio si verificano alcuni fenomeni dei quali occorre render conto almeno per sommi capi: una ripresa della lotta politico-sindacale che si traduce, a volte, in scioperi e manifestazioni eclatanti ma isolati, più spesso, in diffusione di manifesti, volantini, scritte sui muri, esposizione di bandiere rosse; una crescita vertiginosa, tenuto conto delle condizioni di assoluta clandestinità, degli aderenti al P.C.I.
L'inizio degli anni Trenta è costellato da una serie di agitazioni e manifestazioni che, se da un lato non intaccano granché la solidità del regime, dall'altro fanno percepire l'esistenza di un'organizzazione clandestina che si batte per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Il fatto più clamoroso avviene nel febbraio dei 1930 quando un centinaio di braccianti addetti ai lavori di bonifica sospende il lavoro e si reca nel centro di Correggio davanti alla sede dei Sindacati fascisti e al Municipio. La motivazione "ufficiale" che essi adducono è abbastanza pretestuosa: sostengono infatti che, a causa della pioggia caduta nei giorni precedenti, il lavoro risulta difficile e poco redditizio e minacciano di non riprenderlo fino a quando le autorità non abbiano provveduto al prosciugamento dei canale. Contemporaneamente però fanno sapere "di trovarsi quasi sprovvisti di mezzi"; manifestano "il desiderio di interessare gli uffici e le autorità competenti per fornire altro lavoro"; chiedono ed ottengono che si venga in "aiuto ai più bisognosi mettendo a disposizione un certo numero di buoni pel prelevamento di minestre dalle cucine economiche" (tutte le citazioni sono tratte dalla relazione del Prefetto alle autorità centrali). Nel frattempo ai braccianti radunati in piazza si aggregano altre decine di lavoratori, molto probabilmente disoccupati che quel mattino non hanno trovato l'ingaggio. Ne esce una vera e propria manifestazione che coinvolge centinaia di lavoratori e che vede affiancati occupati e disoccupati.
Appena un mese dopo, in marzo, ancora i braccianti di Correggio, addetti ai lavori di bonifica, manifestano la loro avversione al regime attaccando dei manifesti alle carriole. Al sopraggiungere dei carabinieri un operaio che sta leggendo uno dei manifestini ad alta voce, intona l'Internazionale e a lui fanno eco gli altri operai che vengono arrestati.
Ai primi di settembre nella zona di Correggio compaiono numerose scritte antifasciste sui muri; vengono distribuite centinaia di volantini, numerose bandiere rosse compaiono attaccate ai pali e ai fili della luce. Subito dopo vengono arrestati i budriesi Marri Liberio e i fratelli Mentore e Sergio Ghizzoni "perché sospetti autori delle scritte sovversive sulle mura di quell'abitato", ma quello che viene ritenuto il maggiore responsabile di tutta l'iniziativa si è già dato alla latitanza: "un quarto responsabile - si legge nel dispaccio del Prefetto ~ tale Saltini Vittorio, resosi latitante, è attivamente ricercato".
Il P.C.I., come si è detto, è in crescita: all'inizio del 1932 conta in provincia di Reggio 1119 iscritti oltre a qualche centinaio di simpatizzanti: è la federazione provinciale numericamente più consistente di tutta l'Italia. A più riprese arrivano a Reggio alcuni dei massimi dirigenti del Partito da Secchia a Moscatelli, da Teresa Noce a Giancarlo Pajetta. Tutti o quasi, nei loro rapporti al centro del Partito, fanno grossi elogi alla federazione reggiana e in uno di questi, tra l'altro, si legge: "Vi è un afflusso di riformisti, vecchi operai, contadini e cooperatori prampoliniani che vengono al partito in quanto riconoscono che solo i comunisti lavorano tra i contadini e gli operai ed inoltre perché si sta operando, con l'impoverimento e la miseria dei contadini, la loro proletarizzazione. Questo spiega anche perché noi siamo molto forti nelle campagne" (Rapporto di Estella [Teresa Noce] su Reggio, Parma, Ferrara, febbraio 1932, in "Ricerche Storiche").
La situazione a Correggio, ricostruibile sulla base di documenti e testimonianze, vede negli anni dal 1930 al'33 un P.C.I. che può contare nel territorio comunale su circa 200 aderenti. Si tratta per lo più di giovani che al tempo dell'avvento del fascismo erano poco più che ragazzini, mentre quelli che potremmo definire i "capi storici", quali Magnani e Saltini, sono in questo periodo assenti. Il primo esce di prigione nel novembre del 1932 e dopo pochi mesi viene di nuovo arrestato e incarcerato. Il secondo, fin dal dicembre del 1930, è costretto all'espatrio e viene inviato alla scuola di partito a Mosca dove rimane per 17 mesi; ritornato a Parigi il partito lo destina quale funzionario al lavoro in patria dove appunto rientra nell'estate del '32, in piena illegalità, riprendendo il lavoro di organizzazione, finché nell'autunno del 1934 viene arrestato e nel 1936 condannato a vent'anni di carcere, dal quale uscirà soltanto il 31 agosto 1943, dopo la caduta di Mussolini.
Se gli anni 1930-32 segnano il momento di massima espansione dell'opposizione al regime, il decennio successivo ne vede l'assopimento, tanto che si è spesso parlato a proposito di questo periodo di "anni del consenso". Due i motivi fondamentali di tale situazione: la ripresa economica e il perfezionamento dell'apparato poliziesco che consente al regime di assestare durissimi colpi alle organizzazioni che gli si oppongono (in primo luogo il P.C.I.).
L'autarchia e la produzione bellica sul piano interno, l'imperialismo sul piano internazionale sono gli ingredienti che permettono al regime di superare la lunga crisi economica degli anni 1928-34. Ad essi si accompagnano in agricoltura la "battaglia del grano" e la "bonifica integrale". Tutto ciò non manca di avere riflessi sull'economia provinciale e, indirettamente, su quella correggese. A partire dal 1935 ha inizio l'enorme sviluppo delle "Reggiane" che, assieme alle opere di bonifica, allenta la morsa della disoccupazione in provincia.
Nelle campagne si ha la fine dei fallimenti e dei dissesti prodotti dalla "quota 90" e dalle estese gelate del 1929. Il lieve miglioramento delle condizioni economiche complessive toglie vigore alle spinte rivendicative dei lavoratori e quindi alle forze che si oppongono al fascismo. I colpi maggiori tuttavia vengono dalla reazione poliziesca che, a più riprese, sconvolge dalle fondamenta l'organizzazione del P.C.I.
Di alcuni si è già detto in precedenza; ora tocca ad uno "svoltista": Rodolfo Zanichelli, il quale, emigrato in Francia nel 1929, nel maggio del 1931 rientra in Italia portando a Torino stampa clandestina. identificato e arrestato, viene condannato dal T. S. a due anni di carcere. Il colpo più grave l'organizzazione comunista correggese lo riceve però nel 1935 quando vengono arrestati ben 19 suoi militanti che vengono processati nel febbraio del 1936 e condannati a pene detentive varianti da cinque a otto anni. Si tratta in pratica di tutti, o quasi, i dirigenti del partito operanti nelle frazioni e nel centro storico.
Nel 1937 alcuni comunisti condannati l'anno precedente escono dal carcere in seguito ad amnistia e, seppur faticosamente, tentano di riprendere l'attività illegale che si sviluppa soprattutto verso i braccianti e i disoccupati.
A Correggio, il 15 aprile 1937, circa 150 braccianti disoccupati inscenano una manifestazione davanti all'ufficio di collocamento e poi si recano in massa dal Podestà per chiedere lavoro. Si allontanano soltanto dopo "aver avuta assicurazione che le Autorità si sarebbero interessate al riguardo" (Relazione del Questore di Reggio Emilia a S.E. il Capo della polizia). Di nuovo, nell'aprile del 1939, 8 correggesi, alcuni dei quali da poco usciti in seguito ad amnistia, vengono catturati e imprigionati.
Il P.C.I. è in grave difficoltà, tuttavia l'atteggiamento della popolazione comincia a mutare. Un documento fascista dell'ottobre 1939, vale a dire di poco successivo all'aggressione alla Polonia da parte di Hitler, ci pare descriva molto bene lo stato d'animo della popolazione reggiana. In esso si legge tra l'altro: 1a grande maggioranza della cittadinanza di Reggio non è entusiasta del Regime! In mezzo alla gente ho udito ragionamenti molto seri, auspicando tutti la pace e augurandosi tutti che da Roma parta la voce che possa una buona volta tranquillizzare tutto il paese. Nell'ambiente operaio vi è la grande maggioranza che non dimentica le sue origini rosse. E di fronte al pericolo che è ritenuto ormai certo, dell'inasprimento dei conflitto, molti pensano con vero terrore, alla possibilità che l'Italia sia costretta a parteciparvi, a fianco dei tedeschi, e questa prospettiva, mantiene agitati gli animi, mentre affiorano sempre più le avversioni per la Germania" (Il fascismo reggiano alla vigilia della guerra, in "Ricerche Storiche").
Nell'arco di pochi mesi, da Roma, anziché partire "a voce che possa una buona volta tranquillizzare tutto il paese" (come è detto nel documento citato) parte la dichiarazione di guerra contro la Francia e l'Inghilterra, a fianco della Germania hitleriana, succede cioè quello che la popolazione aveva maggiormente temuto. Nell'occasione il fascio correggese tenta di inscenare una bella manifestazione convocando in piazza la popolazione con "cartolina precetto", ma "dalle prime file si leva un debole applauso e il solito isterico DUCE, DUCE, poi un subito squagliamento dalla piazza" (Magnani).

La disgregazione del fronte interno

Il triennio che va dalla dichiarazione di guerra (10 giugno 1940) alla caduta del regime (25 luglio 1943) può essere suddiviso in due periodi, il primo dei quali arriva grosso modo all'estate del 142, il secondo al 25 luglio, caratterizzati da atteggiamenti diversi della popolazione nei confronti del regime. Se infatti nel primo ci pare di riscontrare una sostanziale tenuta del cosiddetto fronte interno, è nel secondo che ha inizio quella progressiva disgregazione del medesimo che porterà larghi strati della popolazione, soprattutto operai e contadini, da un generico afascismo all'antifascismo, alla lotta armata.
Mentre per il primo periodo non pare esservi alcun elemento che possa far pensare a una "disaffezione", per il secondo si hanno alcuni segnali, seppur deboli. Alle "Reggiane" si sciopera e tra gli animatori, regolarmente arrestati, vi sono due correggesi. Al salumificio Veroni compaiono scritte contro la guerra e Mussolini, mentre l'effigie di quest'ultimo, davanti alla Casa del Fascio, viene trovata tutta ricoperta di sterco. Nelle campagne inizia un'altra forma di lotta (difficilmente valutabile per la carenza di dati precisi) che consiste nella mancata consegna dei prodotti agricoli ed in particolare del grano agli ammassi obbligatori. Nel marzo del 1943, in coincidenza con i grandi scioperi che avvengono nel triangolo industriale, anche nelle campagne correggesi vi è un certo fermento. Esso stenta però a tradursi in atti concreti e il motivo va ricercato più che altro nella composizione socio-economica del territorio di cui si è detto all'inizio.
Che cosa determina dunque questa "tenuta del fronte interno" nel primo biennio di guerra e questa sua progressiva disgregazione a partire almeno dall'estate del'42?
In primo luogo l'andamento complessivo della guerra che nel primo biennio è nettamente favorevole alle potenze dell'Asse. In secondo luogo la disorganizazzione dell'opposizione ed in particolare di quella comunista. A Correggio, come abbiamo visto, essa ha subito un nuovo duro colpo con gli arresti e le condanne del 1939. L'inizio della guerra poi, che porta i giovani a disperdersi sui vari fronti, rende ancora più difficile la ricostruzione di un tessuto organizzativo. Così, mentre nel paese cresce il malcontento, mentre anche tra i cattolici si comincia ad avere qualche manifestazione di dissenso, il P.C.I. non è in grado di agganciare queste forze e di portarle su un piano di militanza antifascista e di lotta organizzata al regime.
Che alcuni settori del mondo cattolico siano in fermento non vi è dubbio. Basti pensare alla frazione di Canolo dove, dal 1940, è Curato Don Pasquino Borghi, la cui azione si espleta soprattutto tra i giovani. Egli manifesta "apertamente le proprie idee contro la guerra e contro il regime fascista" e non esita ad affrontare questi argomenti "in talune prediche in termini scoperti ed inequivocabili", il che gli procura una denuncia per "espressioni ostili nei confronti di Hitler e Mussolini" (Fangareggi).
Anche a Correggio, però, non si è in grado di dar vita ad un fronte unitario antifascista prima del 25 luglio. Questo non significa che il P.C.I. sia assente, anzi, nel '43 esso riesce ad irrobustire la propria organizzazione. Sintomatico il fatto che proprio a Correggio e più precisamente presso la famiglia Borciani di Mandrio, nel maggio del '43, viene installata la tipografia clandestina del P.C.I. nella quale, sotto la direzione di Giorgio Amendola, vengono stampati i numeri di maggio e giugno dell'Unità. In seguito, anche se non sappiamo se sia stato per tale attività o meno, il capofamiglia Roberto Borciani verrà arrestato e deportato a Mauthausen dove morirà il 26 febbraio 1945.

I 45 giorni

Il giorno 26 luglio 1943 la popolazione di Correggio si riversa nella piazza centrale del paese per manifestare la propria felicità per la caduta di Mussolini. In piazza Mazzini si forma un corteo di alcune centinaia di persone che, dopo aver sfilato con alcune bandiere tricolori, si porta davanti alla sede del Fascio. All'interno di questa si trova il segretario del P.N.F. , Quirino Codeluppi (più noto col soprannome di "Nacio"). Tra gli animatori della manifestazione figurano alcuni militanti comunisti di vecchia data quali Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti accanto ad altri più giovani. In poco tempo vengono demoliti i vecchi e odiati simboli del regime. Fino a tarda mattinata nessuno è penetrato nella sede del Fascio, cosa che avviene solo dopo l'arrivo da Reggio del treno che trasporta i lavoratori delle "Reggiane". I fascisti (Nacio non è solo) se ne tornano alle loro abitazioni tra due ali di folla, senza che venga loro torto un capello. A questo punto si dà inizio alla defenestrazione dei documenti, degli schedari, delle suppellettili che sono all'interno della sede. Nel primo pomeriggio analoghe manifestazioni avvengono in diverse frazioni del comune, là dove esistono sedi del Fascio.
Se l'elemento comunista è largamente presente, non si può dire che le manifestazioni vengano dirette o organizzate da comunisti. Sono in larga misura spontanee e vedono il concorso di persone delle più diverse estrazioni ideologico-politiche. Ovunque, per quanto si sappia, non viene commesso alcun atto di violenza contro le persone.
Nell'arco di pochi giorni gli entusiasmi e le speranze della popolazione per una rapida fine della guerra si raffreddano. Già la sera precedente, poco dopo l'annuncio della caduta di Mussolini, la radio aveva diffuso un comunicato del Maresciallo Badoglio che affermava: "La guerra continua".
Nel mese di agosto altri elementi chiariscono la vera natura del governo Badoglio. In primo luogo la continuazione della guerra a fianco dei nazisti che lascia tutto il tempo ai tedeschi di occupare in forze il territorio italiano. Anche a Correggio verso i primi di settembre si installa una compagnia di SS.
Un secondo elemento di preoccupazione è la lentezza esasperante con la quale vengono rilasciati i detenuti politici. Degli otto correggesi condannati a pene detentive varie nel 1939, quattro sono già stati messi in libertà, ma altri quattro sono ancora in carcere, oltre a Vittorio Saltini, condannato in precedenza, e Umberto Righi, condannato a 21 anni nel maggio del 1943. Tutti vengono liberati soltanto tra la fine di agosto e i primi di settembre, tranne uno. Si tratta di Guerrino Guerrieri che rimarrà in carcere a Portolongone fino al marzo del 1944 per essere poi trasferito alle carceri di Parma. Portato successivamente nel campo di Fossoli, il 21 giugno parte per destinazione ignota. Egli morirà il 26 dicembre 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen.
Se, dunque, dal 1925 in poi, l'antifascismo a Correggio è stato per così dire un fatto privato dei comunisti, ora entrano in scena anche cattolici e socialisti.
Il gruppo cattolico nel mese di agosto va assumendo una fisionomia più precisa. Dell'attività svolta da Don Pasquino Borghi qualcosa si è già detto. Egli però il 30 agosto viene nominato parroco di Coriano Tapignola, una piccolissima frazione del comune di Villa Minozzo, nella quale si trasferirà il 17 ottobre 1943. Che la partenza di Don Borghi faccia venir meno un sicuro punto di riferimento è innegabile, ma vi è anche dell'altro che si sta muovendo. li 4 agosto si tiene a Reggio la riunione costitutiva del "Centro Studi social-cristiano" nella quale si discute sull'opportunità o meno di dar vita ad un partito di cattolici.
Vi partecipano, così come alla riunione successiva del 22 agosto, anche il maestro Scaltriti e il ragioniere Paterlini di Correggio. Questo fatto è importante in quanto anche a Correggio il movimento cattolico comincia a mettere la "testa fuori dal guscio" (Ruggero Orfei). Questo non riguarda tutto il mondo cattolico; gran parte rimane ancorata ai vecchi schemi, preoccupata di mantenere l'ordine, la pace sociale, l'ubbidienza all'autorità.
Quanto ai socialisti è presto detto: se è vero che l'ideologia riformista-prampoliniana ha ancora un certo seguito a Correggio, soprattutto tra le persone anziane e tra alcuni strati di contadini, è però altrettanto vero che essa non sfocia, nemmeno dopo la caduta di Mussolini, in un movimento organizzato.
A Correggio il P.C.I. è l'unico partito che già all'atto della caduta di Mussolini possiede un'organizzazione articolata sul territorio. E tuttavia soltanto tra la fine di agosto e i primi di settembre che esso riassume decisamente l'iniziativa, in concomitanza con alcuni fatti significativi. Il primo è l'occupazione del Paese da parte delle truppe naziste; il secondo è la liberazione dei detenuti politici i quali portano le proprie capacità organizzative; il terzo è il rientro da Roma di Attilio Gombia, che ha appreso da Longo e Amendola che l'armistizio sta per essere firmato e ha ricevuto la direttiva di passare immediatamente alla formazione di gruppi armati di partito. L'informazione e le direttive vengono trasmesse subito ad Aldo Magnani e a Vittorio Saltini. A questo punto il partito promuove una fitta serie di incontri tra i propri militanti nei quali prima di tutto vengono lanciate le seguenti parole d'ordine: passare direttamente alla organizzazione di gruppi armati di partito, che vengono definiti "Gruppi Sportivi", mentre col termine di "lavoro sportivo" si designa l'attività di reperimento di armi, documenti falsi, che tali gruppi sono fin d'ora chiamati a svolgere; "stabilire accordi con tutte le forze antifasciste e creare ovunque fronti di lotta contro i nazisti e i fascisti" (Magnani), cosa che anche durante i 45 giorni non è stato possibile fare a Correggio.

La Resistenza

Un difficile avvio: autunno-inverno 1943-44.
Alle ore 17 dell'8 settembre 1943 gli Alleati annunciano, via radio, che l'Italia ha firmato l'armistizio con gli anglo-americani. Anche a Correggio, in seguito a tale annuncio, la popolazione scende di nuovo in piazza per manifestare il proprio entusiasmo. L'iniziativa parte da un gruppo di giovani comunisti che si radunano a porta Modena e danno vita ad un corteo. All'inizio si tratta di poche decine di persone, poi il corteo si ingrossa, tanto che alla fine la folla è enorme. il reparto di SS che da alcuni giorni è a Correggio non si muove e così la manifestazione si scioglie senza incidenti.
Subito dopo l'8 settembre gli italiani mettono in atto una forma di resistenza, che forse non si può definire nemmeno tale in quanto si tratta più che altro di solidarietà umana, che consiste nell'aiutare in tutti i modi possibili i soldati a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi. Essa non può esplicarsi nel nostro territorio in quanto non vi sono caserme, ma di essa sicuramente beneficiano decine e fors'anche centinaia di giovani correggesi che si trovano sotto lo armi. Nonostante siano moltissimi quelli che riescono a tornare a casa, circa 400 vengono catturati dai tedeschi e nella stragrande maggioranza sono deportati in Germania. Quasi tutti riusciranno a fare ritorno a guerra finita, ma ben diciannove mancheranno all'appello, stroncati dalla fame, dal freddo e dalle malattie.
E ora giunto il momento di gettare uno sguardo negli opposti campi, di vedere cioè che cosa fanno e come si stanno organizzando le forze fasciste e tedesche da un lato e quelle antifasciste dall'altro, in quell'arco di tempo che precede lo scontro frontale e che appare ad esso preparatorio. Ci si riferisce all'autunno-inverno 1943-44, allorquando il fronte si stabilizza lungo la linea Gustav". Il blocco delle operazioni belliche durerà fino alla primavera del 1944; nel frattempo Mussolini accetta l'invito rivoltogli da Hitler di porsi a capo, nell'Italia occupata dai nazisti, di un governo che nella sostanza sia il continuatore di quello del Ventennio. Nasce così la Repubblica Sociale Italiana con capitale a Salò. Intanto a Roma i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale (C. L. N.) per chiamare gli. italiani alla lotta e alla resistenza, mentre il governo Badoglio, insediatosi nella parte liberata dell'Italia, solo dopo molti tentennamenti, si decide a dichiarare guerra alla Germania (13 ottobre).
Questo è il quadro all'interno del quale si sviluppano gli avvenimenti correggesi. Dell'occupazione tedesca si è già fatto cenno- basterà aggiungere che a Correggio ha sede una Orstkommandantur, ossia un comando periferico con giurisdizione sui comuni limitrofi e ciò comporta la costante presenza di almeno un centinaio di unità. Accanto ai tedeschi ricompaiono ben presto anche i fascisti. Il "fascio" di Correggio è uno dei primi di tutta la provincia a ricostituirsi, cosa che accade nell'ultima decade di settembre. Animatore e organizzatore è Quirino Codeluppi, che assume la carica di Commissario straordinario politico di Correggio e ispettore federale dell'VIII zona, comprendente i comuni della bassa reggiana orientale. il "nuovo" fascismo, ora divenuto Partito Fascista Repubblicano, a Correggio è costituito da un gruppo di persone abbastanza ristretto e moralmente isolato dalla popolazione. In sostanza sono molti gli ex fascisti che preferiscono rimanere in disparte, in attesa degli avvenimenti.
Ora, se è vero che non tutti gli ex fascisti accorrono nelle file del neocostituito RER., è altrettanto vero che alcuni correggesi lo fanno. Viene rioccupata la vecchia sede e il 5 dicembre il Solco Fascista può annunciare che "all'ingresso della nostra bella casa dei Fascio sono state collocate le due lapidi, che nel periodo badogliano, la furia di alcuni scalmanati aveva distrutte". In dicembre poi viene istituita la Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) e un distaccamento di una quindicina di uomini, almeno inizialmente, viene posto a Correggio.
Vediamo ora cosa fanno i partiti antifascisti. Per fare ciò occorre ancora una volta fare riferimento al Partito Comunista, l'unico che si ponga fin dal primo momento in termini netti il problema di organizzare una resistenza armata contro l'invasore nazista.
In ogni frazione del territorio comunale c'è un gruppo di militanti comunisti. Per tradizioni famigliari o per condanne subite, essi possono costituire un sicuro punto di riferimento per tutti coloro, soprattutto i giovani, che vogliono farsi idee e opinioni proprie, non si accontentano della propaganda di regime e cercano di trovare una strada alternativa all'arruolamento nell'esercito della R.S.I. Ed è proprio per la presenza di un tessuto organizzativo già abbastanza ramificato che a Correggio la direttiva di procedere alla costituzione di "Gruppi Sportivi" trova una largo seguito. Diversi sono tuttavia i problemi, a volte pressoché insolubili, che si debbono affrontare per organizzare un movimento di resistenza armato. Il primo è proprio quello del reperimento delle armi. Il secondo è quello della conformazione del territorio, assolutamente inadatta allo sviluppo di una lotta per bande. Un terzo problema è dato dal reperimento di "case di latitanza", cioè di famiglie disposte ad ospitare chiunque abbia bisogno di nascondersi. Questo problema, almeno inizialmente, viene superato con relativa facilità sia perché i latitanti sono poco numerosi (spesso i primi partigiani sono persone "normali" che escono di notte per compiere qualche sabotaggio, rientrano in famiglia e continuano a svolgere il proprio lavoro), sia perché la disponibilità dei contadini è davvero notevole. Diciamo per inciso che per tutto il periodo resistenziale le case di latitanza saranno 90. Un quarto problema da affrontare è quello dell"attendismo". Col termine "attendisti" si designano coloro che ritengono errato e irrealizzabile uno scontro armato coi nazifascisti, pensando sia più conveniente attendere l'avanzata degli Alleati. Per alcuni gruppi di moderati questa è chiaramente una posizione ideologica: in sostanza si teme che un forte movimento popolare, in gran parte diretto e organizzato dai comunisti, possa portare a notevoli rivolgimenti. Per molti poi è un problema etico: è giusto, ci si chiede, mettere a repentaglio non solo la propria vita, ma anche quella di persone innocenti sulle quali si potrebbero scatenare le rappresaglie nazifasciste, per combattere contro un nemico pressoché invincibile? Non è meglio, piuttosto, attendere gli alleati?
Il problema viene superato sia con un'intensa propaganda ideologico-politica a tutti i livelli, sia con misure di ordine organizzativo. La propaganda fa leva su alcuni concetti di fondo: in primo luogo non è vero che sia la lotta partigiana a scatenare il terrore tedesco, in quanto esso si è già scatenato deportando centinaia di migliaia di soldati italiani in Germania, oppure incendiando interi villaggi come è avvenuto il 19 settembre a Boves in Piemonte. 0, come è già avvenuto a Correggio, arrestando e sbattendo in carcere semplici cittadini. Qui il 21 settembre 1943 vengono arrestati insieme al dottor Pio Bosi, primario dell'ospedale, alcuni stimati professionisti della città. Trasportati alle carceri di S. Tommaso a Reggio, vengono trattenuti per alcuni giorni e poi rilasciati. Il motivo? Apparentemente inesistente; molto probabilmente si tratta solo di professionisti conosciuti in paese che non sono accorsi a mettersi a disposizione del fascismo repubblicano.
Si è detto poi delle misure organizzative; tra le altre citiamo soltanto la nascita del C.L.N. comunale che avviene verso la fine di ottobre: è uno dei primi nel reggiano. All'incontro costitutivo partecipano Gustavo Corradini per il P.C.I., Luigi Paterlini per i cattolici e Bruno Montanari per i socialisti. Corradini assume la carica di presidente che lascerà poi ad Ezio Lini, anch'egli comunista, mentre più tardi per la componente socialista entrerà a farne parte Franco Zanichelli. Tutto il lavorio dei primi mesi stenta tuttavia a tradursi sul piano operativo in azioni concrete ed incisive, tanto che gli atti di sabotaggio e di guerriglia segnalati nei bollettini per il periodo settembre'43 gennaio'44 sono ben poca cosa. A fine mese però avviene un fatto clamoroso che sicuramente segna una svolta.
La sera del 28 gennaio, verso le 18.15, rimane ucciso in un agguato in località S. Martino di Correggio il capo squadra della G.N.R. di Rio Saliceto. La reazione dei fascisti di Correggio e Rio Saliceto è immediata, rabbiosa e brutale. Si dà subito inizio ad un "rastrellamento elementi sovversivi et pericolosi zona" (così è detto in un telegramma inviato al Ministero dell'Interno il giorno dopo). Nel corso della notte tra il 28 e il 29 gennaio vengono prelevati dalle loro abitazioni: Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti. Lo stesso 29 si riunisce il Tribunale Speciale il quale, seduta stante, decreta la condanna a morte dei quattro, insieme ad altri tre lavoratori di Rio Saliceto, arrestati anch'essi nel corso della notte, e a Don Pasquino Borghi ed Enrico Zambonini, arrestati in precedenza.

Il mattino successivo, 30 gennaio 1944, alle ore 7.30, i nove vengono fucilati presso il poligono di tiro di Reggio Emilia. Prima di morire Giovannetti scrive un biglietto alla moglie Umberta e al figlio Placido nel quale esprime con forza e ripetutamente un concetto: lo stupore, l'incredulità di dover morire innocente, senza aver mai torto un capello ad alcuno: "Rassegnatevi al destino crudele, siate forti, non avrei mai creduto una cosa simile. Muoio innocente". Lo stesso sentimento di assoluta incredulità è espresso anche da Dodi, il quale riesce a far giungere un biglietto alla moglie in cui è scritto: "Stai tranquilla, tornerò".
Il 30 però, i famigliari sono ancora all'oscuro di tutto; è infatti soltanto il 1° febbraio che il Solco Fascista pubblica il testo della sentenza emessa dal Tribunale Speciale straordinario di Reggio Emilia, in cui si legge che i nove sono "imputati tutti di concorso in omicidio nelle persone dei militi: Maccafferri, Orlandi, Ferretti, ecc.", non in quanto esecutori materiali di tali delitti, ma semplicemente "per aver nel territorio della provincia di Reggio Emilia, con decisi atteggiamenti, con parole, con atti idonei ad eccitare gli animi, alimentato l'atmosfera dell'anarchia e della ribellione". Il testo così si conclude: "Sentito il pubblico accusatore che ha chiesto la pena di morte per tutti gli imputati rei confessi, ritiene gli stessi responsabili dei reati loro ascritti e condanna [seguono i nove nominativi] alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena da eseguirsi immediatamente". Per sapere in quale misura gli imputati siano "rei confessi" ci pare sufficiente ciò che abbiamo detto in precedenza. Ma è giusto chiedersi: chi ha voluto una simile strage? Innanzitutto i fascisti, non certo i tedeschi: in un documento che descrive i fatti, inviato dall'ispettore generale di P.S. Coco alle autorità centrali si legge tra l'altro: "Debbo far presente all'EN. che il Comando Militare tedesco non sembra che s'interessi molto ai tristi fenomeni di cui dianzi è cenno [leggasi attentati], sicché le nostre autorità non si sentono molto sorrette nell'adozione di misure di rigore che si manifestano urgenti e indispensabili"; il che farebbe addirittura pensare ad un contrasto tra tedeschi che non vogliono la rappresaglia e fascisti, che la pretendono.
La reazione all'eccidio, indignata e vibrante, coinvolge un ampio arco di forze: da quelle cattoliche, al C.L.N., ai partigiani. Sul bollettino diocesano il Vescovo di Reggio Mons. Brettoni non esita a difendere la figura e l'opera di Don Borghi. Il C.L.N. provinciale diffonde un manifestino nel quale si legge: "Ogni più elementare diritto alla propria difesa è stato calpestato ferocemente; gli autori dei massacro, i componenti del cosiddetto Tribunale Straordinario, riunitisi di notte come si riuniscono gli assassini, non hanno avuto il coraggio di sottoscrivere l'iniqua sentenza".
Il fatto provoca un notevole sconcerto nelle fila dell'antifascismo correggese, all'interno del quale pare instaurarsi un clima di sfiducia che influisce anche sull'esito non proprio positivo degli scioperi che nella prima settimana di marzo vengono indetti nel triangolo industriale. Anche a Correggio e più in generale nel reggiano si lavora intensamente per la riuscita dello sciopero. I risultati pero sono abbastanza deludenti anche se è vero che nelle campagne di Budrio c'è un certo fermento e che non pochi contadini si astengono dal lavoro e che a Prato si hanno atti di sabotaggio e compaiono scritte murali. Ecco quanto scrive in proposito il Capo della Provincia Savorgnan al Ministero dell'interno: "Durante la notte tra il 6 e il 7 corrente in località Prato di Correggio sconosciuti segavano ed abbattevano 10 pali della linea telefonica.. Nella stessa notte, nella medesima località, sui muri di tre case venivano scritte con tinta rossa le seguenti frasi: "PANE - PACE - ABBASSO LA GUERRA -SCIOPERATE - FUORI I TEDESCHI DALL'ITALIA - A MORTE I FASCISTI E LE SUE SPIE"; sopra le scritte è stato fatto il disegno della falce e martello. Sono in corso indagini per l'identificazione e l'arresto dei responsabili".

Verso la lotta armata di massa: primavera-estate 1944

Alla fine dell'inverno riprende l'offensiva alleata nell'Italia meridionale. Per diverse settimane la battaglia infuria attorno a Cassino che viene liberata soltanto il 17 maggio 0 primi attacchi erano iniziati a febbraio). A questo punto la strada verso Roma è aperta e già il 4 giugno la capitale viene liberata. Ora i partiti antifascisti chiedono ed ottengono la costituzione di un governo schiettamente democratico e formato da elementi di sicura fede antifascista. t così che il 10 giugno si costituisce il nuovo governo, guidato da Bonomi, già presidente del C.L.N.. t quindi nella primavera del 1944, quando le sorti della guerra appaiono ancora in bilico, che la R.S.I. compie il massimo sforzo per rafforzare il proprio apparato. Sul piano locale tale riorganizzazione investe tre settori: l'amministrazione del comune, l'organizzazione del P.F.R., i reparti armati addetti alla lotta contro il ribellismo. Vi è poi un quarto settore che, pur non essendo esclusivamente di carattere locale, ha importantissimi riflessi anche nel nostro territorio: la costituzione dell'esercito repubblicano.
Quanto all'Amministrazione comunale basterà dire che "il 1 aprile viene nominato Commissario Prefettizio Ezio Scaltriti, che ricoprirà tale carica fino alla liberazione. Si tratta però di una scelta piuttosto contraddittoria, in quanto Scaltriti non si mostrerà mai pienamente succube ai voleri del P.ER. e riceverà anche serie minacce dagli stessi fascisti. Circa la riorganizzazione del partito fascista, un primo momento si ha il 21 marzo, quando viene nominato alla testa della federazione provinciale un triumvirato, composto da Armando Wender, Marco Montanari e Quirino Codeluppi, segretario del P.F.R. di Correggio. Dopo l'uccisione di quest'ultimo, della quale si dirà in seguito, è l'agrario Alberto Giorgi ad assumere per qualche tempo la carica di segretario comunale, carica che dal 15 giugno viene affidata ad Arrigo Ruini, che diventerà poi anche comandante della Brigata Nera.
Tuttavia la R.S.I. compie lo sforzo maggiore nella costruzione di un proprio esercito e, tra marzo ed aprile, si ha un continuo susseguirsi di bandi di chiamata alle armi con relative pesantissime minacce per i renitenti. I benefici che tutte queste misure apportano alla causa fascista sono assai limitati e forse non compensano nemmeno i danni. Questo perché i vari bandi costringono in pratica tutti i richiamati ad una scelta di campo assai drastica, per Cui non sono pochi coloro che, invece di combattere per i nazifascisti, vanno ad ingrossare le formazioni partigiane.
Anche queste a loro volta sono in fase di riorganizzazione: in marzo infatti viene costituita una brigata G.A.P., la 37', con un proprio organico militare.
Un altro momento di crescita di tutto il movimento resistenziale è costituito dall'installazione nella primavera del '44, presso la casa dei fratelli Pinotti di Canolo, di una tipografia clandestina che funzionerà fino alla liberazione, stampando ben nove giornali e oltre un centinaio di manifesti.
Se nella primavera del '44 questo è il quadro sommario delle forze in campo, occorre ora analizzare lo scontro tra le medesime.
Tre sono i tipi di sabotaggio praticati anche nel nostro territorio: lo spargimento di chiodi a tre punte nelle strade in prossimità delle installazioni dei tedeschi; l'asportazione e la manomissione di cartelli segnaletici stradali in lingua tedesca; il taglio di cavi telefonici e telegrafici, in particolare di quelli che consentono le comunicazioni internazionali.
Ma il movimento resistenziale non punta più solo a colpire l'avversario nelle cose, bensì anche nelle persone. La sera del 3 maggio, nel pieno centro cittadino, verso le 21.50, poco prima dell'inizio del coprifuoco, viene ucciso a colpi di pistola Quirino Codeluppi. Il fatto suscita grande sgomento tra i gerarchi fascisti e tra la popolazione che, memore della feroce rappresaglia del 30 gennaio, teme vivamente il ripetersi di fatti analoghi. Ma a Codeluppi vengono tributate solenni onoranze funebri, senza che tuttavia venga compiuto alcun atto di rappresaglia e ciò potrebbe confermare i sospetti che Nacio nutriva di essere ormai un isolato all'interno del suo stesso schieramento.
La reazione fascista però non si fa molto attendere e, non potendo svilupparsi con azioni di guerra, si affida alla rappresaglia individuale, l'uccidendo di notte, presso le loro abitazioni, cittadini sospetti di antifascismo" (Franzini), benché i fascisti dichiarino pubblicamente di non commettere azioni individuali di rappresaglia. Per fare ciò è necessario ricorrere a spie e delatori ed è proprio in seguito ad infiltrazioni e delazioni che ai primi di giugno avviene il sacrificio dei primi partigiani o comunque simpatizzanti dopo la rappresaglia di gennaio.
Il primo di tali fatti si verifica la sera del 6 giugno, quando 2 lavoratori, già in contatto con Saltini ed altri elementi della resistenza, vengono prelevati dalle loro abitazioni e fucilati. Si tratta di Antonio Saccani e Incerti Capretti Bruno, il primo dei quali viene ucciso e il secondo gravemente ferito. Immediata la risposta delle forze resistenziali che in un volantino dal titolo Vendichiamo i nostri morti ammoniscono i fascisti con le seguenti parole: "Anche nell'agonia gli assassini fascisti non si smentiscono ... Questa notte i fascisti hanno assassinato un falegname e ferito un contadino a Fosdondo di Correggio ... Fascisti con questi assassini non ritarderete di un'ora la vostra fine, ma più terribile sarà la repressione e sarete annientati senza pietà". Tale ammonimento non serve tuttavia ad evitare un altro fatto di sangue che si verifica due giorni dopo, l'8 giugno, quando vengono proditoriamente assassinati i patrioti Ugo Bizzarri e Armando Luppi. I due cadono in un tranello e, mentre Bizzarri viene subito ucciso, Luppi viene ferito tanto gravemente che si spegnerà un mese dopo, il 6 luglio, senza aver ripreso conoscenza. Dal canto loro i fascisti, il giorno 10, sul loro quotidiano, giustificano l'omicidio annunciando l'arresto dell'assassino di Quirino Codeluppi. Versione questa alla quale non credono nemmeno loro in quanto in una lettera inviata il 12 giugno ai comandi superiori si afferma semplicemente che i due "erano sospetti far parte di un comitato di settore della federazione comunista reggiana" e invece non si fa alcun cenno all'ipotesi che fossero gli assassini di Codeluppi.
Il mese di luglio si apre con una nuova gravissima perdita per il movimento partigiano: la morte del comandante gappista Gisberto Vecchi. Per quanto grave, il colpo non è tuttavia tale da comportare una paralisi dell'attività operativa della resistenza. Questo per diverse ragioni: in primo luogo perché l'avanzata degli Alleati diventa più rapida alimentando aspettative di liberazione in tempi abbastanza brevi - in secondo luogo perché si ha una maggiore saldatura tra lotta armata e lotta di popolo; in terzo luogo perché si procede ad una riorganizzazione del movimento armato.
A metà luglio gli Alleati sono alle porte di Ancona, ad un centinaio di chilometri dalla pianura padana, sì che la liberazione dell'Emilia entro l'estate appare realistica. Di conseguenza la nostra zona viene a trovarsi nelle immediate retrovie del fronte, costituendo un vero e proprio avamposto della resistenza. Proprio qui infatti si sviluppa quella lotta per le risorse agricole in cui sono impegnati soprattutto i contadini e che si concretizza, nei mesi estivi, nella cosiddetta "battaglia del grano". In un primo tempo il C.N.L. provinciale pensa che sia possibile lasciare il frumento nei campi sino alla cacciata dei tedeschi e lancia la seguente parola d'ordine: "CONTADINI, ritardate la mietitura, trebbiate il più tardi possibile, nascondete il prodotto". Tale parola d'ordine viene tuttavia ben presto abbandonata, mentre trova larghissimo seguito l'indicazione di trebbiare al di fuori dei controlli degli agenti fascisti, occultando il prodotto per sottrarlo all'ammasso.
Quanto alla riorganizzazione dei reparti armati, essa avviene nei mesi di luglio ed agosto ed ha come elemento determinante la costituzione delle S.A.P.: sono chiamati a farne parte tutti coloro che, pur aderendo al movimento resistenziale, continuano a svolgere una normale attività lavorativa e non vivono permanentemente inquadrati come i gappisti o i garibaldini della montagna.
Un'importante novità in campo fascista è la costituzione in luglio della Brigata Nera. La provincia viene suddivisa in otto zone, in ciascuna delle quali viene posto un reparto armato. Correggio è il centro della seconda zona e, presso il Teatro Asioli, si insedia il reparto della Brigata Nera con a capo Arrigo Ruini.
Oltre alla lotta per i prodotti agricoli, nei mesi estivi si assiste anche all'intensificazione dello scontro armato e, di conseguenza, delle azioni di rappresaglia.
il 14 luglio, alle porte di Correggio, i partigiani attaccano un camion e feriscono quattro tedeschi. Non riuscendo a catturare gli autori, i tedeschi entrano nell'abitazione di Francesco Vezzani, antistante il luogo dell'attentato, e lo uccidono. Qualche giorno dopo compiono un rastrellamento nel paese arrestando una ventina di persone, tra cui due sacerdoti (don Enzo Neviani, cappellano dell'ospedale, e don Mario Grazioli, parroco di Canolo) e alcuni commercianti e professionisti della città (come il dott. Pio Bosi). Se per alcuni di questi i fascisti possono nutrire qualche sospetto circa le loro idee antifasciste, per gli altri è veramente difficile capire il motivo dell'arresto. Che esso avvenga in conseguenza delle azioni partigiane compiute nei giorni precedenti, risulta comunque evidente dal fatto che il gerarca Ruini pone agli arrestati la seguente alternativa: lo restate in stato di arresto quale ostaggio dei tedeschi, a garantire con la vostra pelle che non avverranno atti di sabotaggio, o partite subito per la Germania" (Bosi). Tutti scelgono la seconda ipotesi. Durante il tragitto alcuni riescono a fuggire, ma altri vengono effettivamente deportati; tutti però riusciranno a sopravvivere e a fare ritorno dopo la Liberazione.
Nonostante le uccisioni e gli arresti, i nazifascisti a Correggio non si sentono tranquilli. Il 29 viene così fatto affiggere per le vie cittadine un manifesto gigante, a firma di Savorgnan, rivolto ai cittadini di Correggio in cui, dopo aver falsamente affermato che 1 comandi germanici hanno soprasseduto anche questa volta alle rappresaglie contro la popolazione" (come se un civile ucciso e una ventina di arresti fossero avvenuti per caso), si formulano gravissime minacce: "ove altri atti di ostilità contro elementi delle forze armate Germaniche si dovessero verificare, la rappresaglia che seguirebbe sarebbe durissima e immediata".

L'insurrezione mancata: autunno 1944

Verso la fine del mese di agosto la missione militare britannica informa il comando partigiano dell'apertura, assai prossima, di una vasta operazione offensiva sul fronte italiano e chiede conseguentemente l'inizio di azioni concomitanti da parte delle formazioni reggiane.
I tedeschi sono ora attestati lungo la linea Gotica, contro la quale il 25 agosto inizia l'attacco dell'VIII armata britannica che incontra però una resistenza assai tenace. L'offensiva prosegue per tutto il mese di ottobre, anche se con vigore via via decrescente, sino ad esaurirsi completamente a fine mese.
Per tutto questo periodo le aspettative di una imminente liberazione sono assai vive ed è per questo che le forze della resistenza in tutta l'Emilia producono il massimo sforzo per rendere il più possibile insicure le spalle al nemico e favorire in tal modo l'avanzata alleata.
Sul fronte della guerriglia il mese inizia con un'azione di sabotaggio esemplare: l'assalto all'officina A.V.I.O., addetta alla riparazione degli aerei, situata lungo la strada per Carpi. A realizzarla sono i carpigiani in collaborazione con i correggesi Luciano Dodi, Natalini Vicentini Bruno ~ Giuseppe Campana.
E tuttavia una delle ultime azioni compiute dai tre amici in quanto il 18 essi cadono in un'imboscata tesa loro dai tedeschi tra S. Croce e Carpi. Nel breve conflitto a fuoco che si sviluppa Dodi e Vicentini muoiono subito, mentre Campana, ferito, viene fatto prigioniero dai tedeschi. Questi, dopo averlo torturato per alcuni giorni, lo impiccano il 30 settembre assieme ad altri 5 modenesi a S. Giacomo Roncole di Mirandola; ha appena 16 anni. li mese di ottobre vede via via affievolirsi le speranze di una liberazione in tempi brevi. Ciò, se da un lato toglie slancio alle azioni dei partigiani, dall'altro consente alle forze nazifasciste di assestare alcuni colpi molto dolorosi, per quanto isolati, al movimento. Il 19 viene prelevato dalla propria abitazione e ucciso a poca distanza Pietro Rossi di Prato, contadino di 59 anni, antifascista sin dal primo dopoguerra. Sicuramente l'obiettivo dei fascisti è di eliminare suo figlio Lucio che, assieme ai fratelli Carlo e Gino è uno degli animatori del movimento gappista, ma non avendoli trovati in casa, si sfogano sul padre. Esito analogo ha pure la cattura di Armando Bonezzi che avviene il giorno successivo, mentre più o meno negli stessi giorni altri due giovani correggesi pagano con la vita la loro fede antifascista. Si tratta di Giuseppe Becchi che viene ucciso nel cuneese e di Walter Borelli il quale cade in un'imboscata nei pressi di Colombaia il 25 ottobre e viene fucilato il 1 novembre e poi sepolto nei campi, dove verrà ritrovato, solo dopo la liberazione, dal fratello.
All'inizio di novembre le prospettive di guerra vengono via via mutando: il 13 il Generale Alexander, comandante delle truppe alleate nel Mediterraneo, dirama via radio un dispaccio nel quale invita i patrioti a "cessare le loro attività precedenti per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno". Sia per il contenuto, sia per il modo in cui viene diramato (via radio e non eventualmente con messaggio riservato ai comandi partigiani) esso viene interpretato in due modi: da parte della Resistenza come un invito alla smobilitazione; da parte nazifascista come una garanzia di tregua sulla linea del fronte che consente loro di dedicare buona parte delle forze all'annientamento dei "ribelli". A livello locale è ancora una volta Toti ad opporsi con vigore alle posizioni attendiste che qua e là affiorano anche all'interno del RC.I. e a sostenere con forza che le formazioni partigiane non solo debbono rimanere attive e continuare la lotta armata senza sosta, ma addirittura intensificarla; cosa che del resto, almeno a Correggio, sta già avvenendo.
Tra le varie azioni compiute in questo periodo ricordiamo solo quella del 20 novembre. Il fatto avviene in prossimità del Ponte Nuovo, lungo la strada Correggio-Carpi, dove si è portata un'automobile della Brigata Nera con a bordo sei militi. I partigiani, appostati lungo la strada, investono l'auto con raffiche di mitraglia e questa si capovolge e si incendia. Nel successivo scontro a fuoco 4 dei 6 militi restano uccisi. Ciò che colpisce maggiormente è la giovanissima età dei caduti oscillante tra i 16 e i 17 anni, a parte uno che ne ha 38.
Il mese di novembre si chiude con una nuova perdita per il movimento partigiano correggese: l'arresto, avvenuto il 26, del gappista Dino Turci. "Scheggia", così viene soprannominato dagli amici, quasi certamente in seguito ad una delazione, viene sorpreso dai nazifascisti il giorno 26 nella propria abitazione. Incarcerato con l'accusa di svolgere attività partigiana, viene sottoposto alle torture più disumane. Il povero Scheggia resiste per quasi due mesi, poi con ogni probabilità, fa qualche nome, indica qualche abitazione. A questo punto ai fascisti non serve più e il 3 febbraio lo conducono, assieme all'altro correggese Sante Lusuardi, che viene arrestato il 31 dicembre, e ad altri due patrioti prelevati dalle carceri, all'altezza di via Porta Brennone a Reggio Emilia e lo fucilano.

Contro la fame, il freddo e il terrore.- inverno 1944-45

Nell'inverno 1944-45 la lotta diviene totale. Il fronte è fermo, i nazifascisti sanno di avere davanti qualche mese di relativa tranquillità per ripulire completamente le retrovie. ~ quanto tentano di fare, all'inizio di dicembre nella bassa reggiana e modenese. L'ordine di effettuare un ampio rastrellamento nella zona viene emanato direttamente dal Comando di Corpo d'Armata tedesco. Esso ha inizio nel modenese e prosegue poi nel reggiano, giungendo il l' di dicembre in territorio correggese, nella frazione di San Prospero. Le formazioni sappiste del reggiano sono all'erta, ma decidono opportunamente di non ingaggiare scontri. Questo tuttavia non impedisce ai fascisti di compiere proprio a San Prospero una strage orrenda e, almeno apparentemente, senza senso: vengono catturati e immediatamente fucilati, forse perché si tratta per lo più di giovani che non sono accorsi a vestire la divisa della R.S.I., sei operai che stanno lavorando alle fosse anticarro lungo la bonifica. Non contenti di ciò i fascisti rastrellano una settantina di persone, tra le quali numerosi giovani delle classi 1920-25, renitenti alla leva. Questi ultimi, tra cui figurano numerosi correggesi, verranno successivamente deportati in Germania.
Su un piano più strettamente militare e relativamente al nostro territorio, tutta l'operazione è da ritenersi fallimentare: un rastrellamento in grande stile che, almeno teoricamente, avrebbe dovuto distruggere l'intero ribellismo della zona, si conclude senza la cattura o l'uccisione di un solo partigiano e con il massacro di alcuni giovani innocenti.
Anche i patrioti sanno che ben difficilmente potranno ricevere qualche aiuto dagli Alleati; sanno che la loro capacità di sopravvivenza dipende in gran parte dalla loro capacità di difendere la popolazione dalle razzie, dai soprusi e dalle requisizioni, per averla propria alleata; sanno che l'autodifesa non ammette tentennamenti nei confronti delle spie e dei delatori; sanno che i patrioti in genere e quelli della montagna in particolare hanno bisogno di viveri, indumenti, armi e che l'unico mezzo per procurarseli è di sottrarli ai nazifascisti o a qualche speculatore che tenta di riempirsi le tasche col mercato nero. Ecco perché possiamo parlare di guerra "totale".
Dopo le festività natalizie, durante le quali si è avuta, per così dire, una settimana di tregua, l'attività dei patrioti riprende con rinnovata intensità: l'ultimo dell'anno i sappisti del distaccamento di Mandrio-S. Martino, in collaborazione con i carpigiani, attaccano un'autocolonna tedesca in transito lungo la via che costeggia il Tresinaro, Si sviluppa un combattimento che dura qualche ora e nel corso del quale trova la morte il patriota Contardo Campedelli.
Ai primi di gennaio comincia a nevicare e questo aumenta notevolmente i disagi dei combattenti. A questo punto si scatena la reazione nazifascista. L'obiettivo è proprio il territorio di Correggio che fino ad ora è passato relativamente indenne tra rappresaglie e rastrellamenti vari: l'esito per il movimento patriottico è disastroso. Il tutto avviene in poco più di una settimana, in pratica dal 23 gennaio al 3 febbraio, ed è fuori di dubbio che i fascisti si muovano sulla base di segnalazioni e informazioni ben precise fornite loro da spie c/o estorte a patrioti precedentemente catturati e sottoposti a tortura.
Ma procediamo con ordine. Il 23 gennaio tre fascisti si presentano davanti all'abitazione di Medardo Pergetti, un anziano antifascista di 61 anni. Pergetti esce e i tre gli sparano a bruciapelo, colpendolo mortalmente.
Questo non è che il preludio della ben più vasta azione condotta dai nazifascisti il giorno 25. Lo scopo è quello di "purificare" la zona compresa tra le frazioni di S. Martino, Mandrio, Canolo, Fosdondo e lo stesso capoluogo dai partigiani; quella zona cioè dove i tedeschi avevano fatto affiggere qualche tempo prima dei cartelli con la scritta ,,zona infestata dai partigiani [ ... ] pericolo". Non si tratta di un rastrellamento indiscriminato condotto con grandi mezzi (come quello dei primi di dicembre, tanto per intenderci), ma piuttosto di un'operazione di polizia di notevoli proporzioni. Da ciò la comparsa contemporanea dei fascisti in varie località e il frazionamento dell'azione dei rastrellatori in vari episodi.
Il primo di questi avviene a Canolo. L'alba non è ancora spuntata quando i nazifascisti circondano la casa dei partigiani Raul Incerti (Bobi) e Abbo Panisi (Nelson). Nella casa però, oltre all'Incerti, vi è l'intero comando della 77' S.A.P. composto da: Ciro (Guerrino Cavazzoni), Maggi (Renato Bolondi), Walter (Egidio Baraldi), Biavati (Vasco Guaitolini) nonché il giovane partigiano Nelson. Colti di sorpresa, gli uomini si accorgono di essere circondati e di non avere alcuna via di scampo. Allora, sparando all'impazzata e confidando nella sorpresa, si buttano all'esterno. Nello scontro Guaitolini e Panisi vengono uccisi, mentre il resto del gruppo riesce a sottrarsi alla cattura. Mentre a Canolo si svolgono questi fatti, a Fosdondo si consuma un altro delitto di cui sono vittime Vittorio Saltini e sua sorella Vandina. Evidentemente, sulla base di indicazioni abbastanza precise, i nazifascisti arrivano di primo mattino nell'abitazione del fratello di Toti, Adalciso, occupandola. Vogliono sapere dov'è Toti. Questi la sera precedente aveva convocato il Comitato direttivo del P.C.I.. La riunione si era protratta fino a tarda notte; poi Toti era partito per recarsi a S. Michele di Bagnolo, dove il mattino successivo lo aspettava un altro impegno. Transitando nei pressi dell'abitazione dei famigliari, pensa di fermarsi un attimo a salutarli e così, verso le otto, arriva direttamente sotto il portico della casa già occupata dai nazifascisti. Intuito il pericolo, Toti balza sul fienile, poi tenta la fuga dalla finestra attraverso i campi, ma una scarica di mitragliatrice lo falcia inesorabilmente. I nazifascisti sono ancora lì quando nel pomeriggio arriva la sorella di Toti, Vandina, la quale, visto il cadavere del fratello, si scaglia contro i fascisti, gridando loro in faccia: "vigliacchi, assassini, carogne". Due colpi di pistola al capo la zittiscono immediatamente.
Il giorno dopo i fascisti completano l'opera seminando terrore e morte nella frazione di Prato, dove ben tre patrioti vengono catturati: Marco Pinotti (Caruso), uno dei principali animatori della Resistenza nella zona, già condannato dal T. S., che viene ucciso dopo un giorno di
torture; Egano Grossi e Medardo Pagliani che vengono prima condotti a Villa Cucchi a Reggio, torturati e poi uccisi alcuni giorni dopo in momenti diversi.
Il bilancio dei dieci giorni di fuoco per la Resistenza correggese è pesantissimo: dieci combattenti catturati e uccisi, quattordici altre persone - tra cui tre staffette e tre sappisti - arrestati. Lo scompiglio prodotto è enorme.
Diversi sono i problemi che a questo punto si aprono all'interno del movimento resistenziale, il più complesso dei quali è quello che riguarda l'autodifesa. Occorre che alcuni patrioti entrino nella più assoluta clandestinità: di qui la trasformazione di alcuni distaccamenti in "volanti", costituiti cioè da gruppi di armati che nemmeno di giorno fanno ritorno alle proprie abitazioni e alle normali attività, ma che permanentemente si nascondono in case di latitanza. t in tal modo che, nella zona di Mandrio - S. Martino, si forma un distaccamento mobile forte di una ventina di uomini che dal marzo assumerà la denominazione di "Mobile Soave". Più o meno nello stesso periodo si forma anche il "Celere Borghi" comprendente oltre trenta partigiani delle frazioni di Prato, Lemizzone, Massenzatico. Che il movimento patriottico viva un momento di stanca o, come si direbbe oggi, di riflusso, è indubbio: l'inverno pare interminabile, il fronte non si muove, dagli Alleati non giunge alcun aiuto, i colpi inferti dal nemico sono durissimi.
Il 2 marzo viene attaccato un autocarro con rimorchio carico di truppe tedesche. Questo sbanda e si schianta contro una casa provocando la morte di quattro soldati germanici. La rappresaglia è immediata: tre carpigiani catturati otto giorni prima, tradotti al Palazzo dei Principi di Correggio, vengono selvaggiamente picchiati e torturati. La mattina del 3, ormai esanimi, vengono trasportati all'inizio di via Campagnola, poco lontano dall'ospedale, e qui sepolti. I correggesi possono vedere le tracce di sangue che dal centro arrivano fino al luogo della sepoltura. Lo spettacolo è agghiacciante, anche perché non è certo che i tre combattenti fossero già morti prima della sepoltura.
Ormai gli avvenimenti si susseguono ad un ritmo impressionante, ma stiamo entrando nell'ultimo mese di guerra e, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, la lotta diventa di giorno in giorno più cruenta.
Il 5 marzo, nei pressi del Ponte Nuovo, viene attaccata un'auto tedesca ad opera dei partigiani di Carpi. A bordo vi sono due ufficiali della Wehrmacht e un mongolo i quali vengono fatti prigionieri. il mongolo chiede ed ottiene di restare con i partigiani, mentre i due tedeschi sono eliminati. Questo però accade qualche giorno dopo, tanto che i tedeschi sono convinti che i tre siano ancora vivi nelle mani dei partigiani quando il giorno 12 operano un vasto rastrellamento nella zona di Fossoli, Budrione, Migliarina, catturando una sessantina di ostaggi, con i quali si dirigono verso Correggio, seguiti però da un corteo di donne che ne reclama la liberazione. A sera, tra i 60 vengono individuati e prelevati 4 partigiani. I tedeschi poi, convinti che i commilitoni catturati il giorno 5 siano nelle mani dei partigiani, fanno sapere di essere pronti ad una trattativa, vale a dire lo scambio dei rastrellati con i due tedeschi. Indicano poi in qualità di mediatori il Commissario Prefettizio di Correggio Ezio Scaltriti e il Prevosto Monsignor Bonacini. Un primo ultimatum è fissato per le 16 del 15 marzo: entro quell'ora i partigiani debbono consegnare i prigionieri ai due delegati anzidetti. Ovviamente lo scambio è impossibile; Scaltriti tuttavia riesce a far prorogare l'ultimatum di ventiquattro ore, impegnandosi ad effettuare un nuovo incontro alle 13 del giorno 16. L'incontro avviene nei modi e nei tempi prefissati e a questo punto i partigiani sostengono che effettivamente i tre sono stati catturati, ma che hanno tutti disertato. I tedeschi a loro volta, compiono la rappresaglia: conducono al Ponte Nuovo i quattro partigiani, più un altro catturato in precedenza, e li fucilano. Il fatto è gravissimo e lo stesso Scaltriti teme che possa far fallire tutta la trattativa così faticosamente avviata. Egli però si impegna ad andare ad un nuovo incontro la mattina del diciassette. Cosa succeda in esso non ci è dato saperlo, sta di fatto che i tedeschi concedono un'ulteriore proroga dell'ultimatum di ben quattro giorni e poi, il 23 marzo, liberano tutti gli ostaggi. Nel manifesto diramato dal Commissario Prefettizio di Carpi, in data 23 nel quale si annuncia l'avvenuta liberazione si legge: Tomunico che stamane è stata liberata la quasi totalità dei rastrellati di Fossoli-Budrione-Migliarina. Le trattative per il rilascio dei tre tedeschi sono ancora in corso. Detto rilascio è stato fatto sotto la completa responsabilità delle Autorità italiane, ed in particolare del Commissario di Correggio. Addito alla riconoscenza di tutti il camerata Scaltriti ed il Prevosto Don Bonacini, i quali si sono adoperati encomiabilmente".

La liberazione: aprile 1945

Nella prima decade d'aprile sia le forze resistenziali che quelle nazifasciste non hanno ancora l'esatta percezione di ciò che sta accadendo e soprattutto non prevedono un evolversi della situazione così rapido come sarà poi nella realtà dei fatti. Gli Alleati nei primi giorni del mese stanno accuratamente predisponendo l'offensiva contro le postazioni nemiche, offensiva che ha inizio il 9 e impiegherà una decina di giorni per assumere quel carattere travolgente che le permetterà poi nell'arco di una sola settimana di liberare tutta l'Italia del Nord. Nel frattempo la pianura reggiana diventa una specie di polveriera dove gli avvenimenti e gli scontri si susseguono ad un ritmo serrato e Correggio ne è, per certi aspetti, l'epicentro.
E in questo clima che si progetta, a livello provinciale, quella che viene definita la "giornata insurrezionale": una sorta di prova generale dell'insurrezione, da attuarsi il giorno 13. E' così che anche nel comune di Correggio i Gruppi di Difesa della Donna si mobilitano e il 13, mentre i partigiani si appostano lungo le principali direttrici che conducono al paese, le donne scendono in piazza appoggiate dalla popolazione. Intanto a S. Prospero squadre di S.A.P. e G.A.P. bloccano la strada Reggio-Correggio facendo tredici prigionieri tra i quali lo stesso Commissario Prefettizio di Correggio. Verso le 13 però i partigiani vengono attaccati da consistenti formazioni della Brigata Nera e, dopo circa un'ora di combattimento ripiegano trascinando con sé gli ostaggi, che vengono rilasciati in serata, dopo essere stati interrogati. Durante lo scontro rimane ferito il sappista Dario Ascari che viene catturato dai fascisti e trasportato alla sede della B.N. di Correggio. Qui viene sottoposto per tre giorni a torture, ma non cede; i fascisti decidono di eliminarlo e nella notte tra il 16 e il 17 lo portano a S. Biagio, dove viene trucidato.
La giornata del 13 non è che il preludio dell'altro avvenimento che si ha due giorni dopo, nel quale il movimento dimostra chiaramente la forza che anche sul piano militare ha raggiunto. La battaglia di Fosdondo che, accanto al combattimento di Fabbrico del 27 febbraio, viene unanimemente riconosciuta come il più importante fatto d'armi di tutta la Resistenza nella pianura reggiana. Ad essa, in un succedersi continuo di scontri non coordinati e non programmati che si sviluppa in pratica per l'intera giornata del 15 aprile partecipano circa 180 partigiani.
La mattina del 15 si apprende che un notevole carico d'armi è fermo a Gazzata. S'incarica d'andarlo a prelevare Sergio Fontanesi (Mauser) insieme a Giacomo Pratisoli (Aldo). Poco dopo si impara che ingenti forze fasciste stanno effettuando un ampio rastrellamento nella zona di Fabbrico-Campagnola-Rio Saliceto. Verso mezzogiorno un gruppo di fascisti, proveniente da Bagnolo e diretto a Correggio, cattura Ennio Bassoli (Musco) vicecomandante del Y battaglione. Un gruppo di partigiani dei distaccamento di Fosdondo li attacca, permettendo al prigioniero di -fuggire. Nel primo pomeriggio il gruppo di fascisti bagnolesi, che sta facendo ritorno al proprio presidio, si ferma a Fosdondo cominciando a perquisire cittadini inermi. Proprio in questo momento arrivano Musco e Aldo in motocicletta seguiti da altri partigiani con il carico d'armi. I fascisti fermano i due e individuatili come partigiani (pare che avessero addirittura fazzoletti rossi al collo) li uccidono. I partigiani che sono sul camion di scorta al carico, a loro volta aprono il fuoco contro i fascisti. Alcuni rimangono uccisi; gli altri si ritirano nella chiesa da dove continuano a sparare. A questo punto si decide di avvisare gli altri distaccamenti, in particolare il "Borghi" e il "Soave", oltre a un distaccamento G.A.P.. Questi si portano rapidamente nella zona e bloccano tutte le strade che portano alla frazione. Tre camion di fascisti provenienti da varie direzioni vengono attaccati e quasi annientati, in momenti diversi. A questo punto l'eco della battaglia si è ormai propagata a tutto il territorio circostante e i fascisti convogliano sul luogo tutti i reparti che nella mattinata avevano compiuto il rastrellamento a Fabbrico-Campagnola-Rio. Si tratta di circa 300 uomini trasportati su 12 o 13 autocarri. I fascisti operano un accerchiamento dei partigiani disposti nella zona nord del luogo dello scontro e cioè i distaccamenti "Soave" e di S. Prospero e Fosdondo. Mentre si avvicinano, i fascisti gridano i nomi di battaglia di alcuni patrioti: "Carburo" (Paride Caminati) e "Diavolo" (Germano Nicolini). Il primo, credendo che si tratti di compagni di lotta, si alza e si avvicina, ma a pochi metri di distanza viene freddato da una scarica di mitra. Oramai la battaglia è campale: non molto distante anche il giovane Luciano Tondelli (Bandiera) viene ucciso dal fuoco nemico. La situazione sta diventando decisamente sfavorevole ai partigiani quando il comandante "Diavolo" dà l'ordine di sganciarsi. L'operazione si presenta quasi impossibile se non fosse per l'eroismo estremo di Angiolino Morselli (Pippo), che non si muove dalla propria postazione e con tutte le armi a disposizione tiene impegnato il nemico permettendo ai compagni di ritirarsi e di salvarsi. Esauriti gli ultimi colpi e l'ultima bomba, Pippo viene colpito da una raffica nemica e cade al suolo. ~ ormai sera e la battaglia è conclusa. Questo il bilancio dell'intera giornata: 5 partigiani e due civili uccisi, 3 feriti,- non è mai stato possibile accertare le perdite in campo fascista, anche se, dall'andamento del combattimento, si presume ammontino a qualche decina.
Correggio , nei pochi giorni che precedono la liberazione, appare un paese deserto: la popolazione rimane chiusa in casa in attesa degli eventi, mentre i partigiani si mantengono sulla difensiva, allestendo postazioni ed iniziando ad operare azioni di rastrellamento.
Ormai i tedeschi sono in rotta ed è preciso compito dei partigiani catturarne il più possibile per impedire una ritirata ordinata che consenta loro di approntare una ipotetica linea difensiva oltre il Po. Già da qualche tempo i tedeschi di stanza a Correggio hanno abbandonato il presidio; altri tedeschi però, provenienti dal modenese, transitano in continuazione per le strade del centro e delle frazioni diretti verso il nord. A breve distanza di tempo (1 o 2 giorni) sono seguiti dalle prime puntate in avanti degli Alleati che lanciano le proprie avanguardie motorizzate all'inseguimento dei tedeschi in fuga: la prima autocolonna arriva a Correggio il 22 aprile. Scrive in proposito Rangoni: "Nel corso di quella splendida domenica 22 aprile [ ... ] la popolazione, nonostante il caldo, si ritira nel chiuso delle proprie abitazioni e così trascorrono alcune ore [ ... ] poi, verso sera, proveniente dal modenese, arriva la colonna dell'esercito Alleato che transita lentamente per Viale Vittorio Veneto diretta verso il Po. La popolazione scende nelle strade e applaude al loro passaggio; i bambini raccolgono le caramelle e quadretti di cioccolato durissimi; gli adulti, finalmente, si gustano le tanto sospirate sigarette americane donate dai giovani soldati". Il transito della prima colonna di Alleati non significa però la cessazione delle ostilità su tutto il territorio comunale, anzi: solo il centro cittadino è libero e non verrà più occupato né da fascisti né da tedeschi.
La mattina successiva (23 aprile), quando non è ancora l'alba, arrivano in paese i primi partigiani: sono quelli del "Soave". Regna ancora una notevole incertezza, dovuta soprattutto alle notizie che costantemente arrivano dalle frazioni, soprattutto da Prato. Qui, la mattina dei 23 alcuni partigiani si recano in una casa colonica dov'è segnalata la presenza di alcuni tedeschi e in poco tempo ne ottengono la resa. Nel frattempo una grossa colonna di fanteria tedesca sta avanzando verso Prato commettendo razzie nelle abitazioni. Appreso ciò, i partigiani si dirigono verso l'altro gruppo di tedeschi, del quale ignorano l'entità, intimandogli la resa. I tedeschi non solo non l'accettano, ma iniziano a sparare e la situazione si fa ben presto critica per le esigue forze dei partigiani. Intanto si inviano staffette a chiedere rinforzi e da S. Martino in Rio arriva sul luogo una cinquantina di sappisti. A questo punto le forze resistenziali decidono di attaccare (siamo nel pomeriggio). Ha così inizio una battaglia assai lunga nel corso della quale rimangono uccisi un partigiano e due civili. Alla sera la situazione è ancora immutata: i tedeschi sono asserragliati in alcune abitazioni, senza che i partigiani riescano a farli uscire, né tantomeno arrendere.
Il mattino successivo, 24 aprile, arriva a Prato una camionetta con a bordo un ufficiale americano, il quale intima ai tedeschi di arrendersi. Questi, che evidentemente erano intenzionati ad arrendersi soltanto nelle mani degli Alleati e non dei partigiani, depongono le armi: sono ben 186.
Come può essere giudicato questo avvenimento? Inutile spiegamento di sangue e ostentazione di eroismo, oppure evento che per quanto sanguinoso, permette forse di evitare lutti ben più gravi?
Se si pensa alla conclusione dell'intera vicenda, certamente l'ago della bilancia pende per la prima ipotesi, ma se si pensa a quanto contemporaneamente sta avvenendo a Canolo, certamente l'ago pende dalla parte opposta.
A Canolo, più o meno nelle stesse ore, si sta consumando un'altra tragedia. Qui la strage è veramente orrenda e priva di alcun senso: nove cittadini inermi, festosamente raggruppatisi per inneggiare ai liberatori, vengono massacrati da un reparto di tedeschi in ritirata. Ma sentiamo dalle parole di un testimone oculare come si svolgono i fatti: le colonne americane passavano ad intervalli di circa mezz'ora l'una dall'altra. Noi facevamo festa alle forze di liberazione, chi da una parte della strada e chi dall'altra, battevamo le mani. Ad un tratto vidi un carrozzone con bandiere americane. Erano armati fino ai denti con uniformi americane mimetizzate. Venivano verso di noi. Purtroppo erano tedeschi che erano stati asserragliati dentro al cimitero di Budrio e da cui erano riusciti a scappare. Quando questi ci videro, pure io li vidi. Incominciarono a gridare: Foiar, Foiar [fuoco, fuoco]. Ci buttammo a terra, uno addosso all'altro. La prima raffica arrivò da noi. Dall'altra parte della chiesa c'era l'osteria e dopo le prime raffiche indirizzate a noi si voltarono e fecero il resto" (Losi).
Lo spettacolo che si presenta ora è tremendo; scrive un altro testimone: "alcuni erano già morti, altri urlavano dal dolore delle ferite; la gente fuggiva come impazzita nei campi adiacenti poiché non si rendeva conto dell'accaduto" (Laghi). Sul terreno ormai esanimi giacciono infatti sei cittadini e i feriti sono numerosi, alcuni gravissimi (tre di questi moriranno nel giro di pochi giorni, portando a nove il totale dei caduti nella strage).

L'ultimo atto

Il 24 finalmente l'intero territorio di Correggio è libero, e la gioia
popolare può esplodere in tutta libertà.