Antonio Rangoni
I movimenti popolari dalla nascita del partito socialista al "Biennio rosso"
Correggio, identità e storia di una città

Le fonti

Questo breve saggio sui movimenti popolari correggesi è il sunto di alcuni capitoli del primo volume di una più vasta ricerca iniziata nella seconda metà degli anni Settanta. Pertanto non vengono qui nemmeno accennati aspetti particolari quali: i dibattiti dei congressi socialisti del Collegio elettorale di Correggio; gli esiti delle otto elezioni politiche e delle elezioni amministrative generali e parziali; gli esiti dei congressi sezionali del correggese per il XV, XVI e XVII Congresso nazionale del Psi- le polemiche dell'anziano prevosto di San Quirino, don Tommaso Rozzi, con i giovani religiosi e i silenzi del suo successore don Giulio Casolari; le vicende di Correggio di fronte alla guerra di Libia e nella prima guerra mondiale.
La maggior parte delle notizie di carattere locale qui riportate sono state raccolte consultando tutti i giornali correggesi dell'epoca e le raccolte complete di: "La Giustizia", organo dei socialisti di Reggio Emilia; "L'Azione Cattolica", periodico domenicale, poi L'Era Nuova", settimanale dell'Azione Cattolica; "Giornale di Reggio", quotidiano liberale; 'La Plebe", giornale di propaganda cristiana; 1l Risveglio Democratico di Correggio", quindicinale dell'Associazione Democratica Correggese. In questo contesto, la suddivisione del saggio in otto parti (pensando al lavoro quotidiano degli insegnanti) potrebbe anche avere il pregio di contribuire alla riformulazione di facili percorsi didattici e di stimolare i giovani studenti ad approfondire ed arricchire con nuovi contributi gli argomenti qui esposti.

Il socialismo e i suoi caratteri

Tra il 1887 e il 1892 l'aggravarsi della crisi agraria, lo scoppio della crisi edilizia e le difficoltà in cui cominciarono a trovarsi alcune industrie accentuarono la tensione sociale in tutta l'Italia.
Sul nostro territorio, dopo la completa gelata delle viti del 1880 - "tanto che in tutto il Comune non si raccolse un quintale d'uva" - e la successiva gelata completa del 1883, si aggiunse una crisi agraria che colpì l'economia correggese su tre principali fonti di reddito, frumento, granoturco e bozzoli; i prezzi all'ingrosso sui mercati italiani del frumento e del granoturco scesero da lire 31,49 e lire 21,10 al quintale nel quinquennio 1876-80, a lire 22,63 e lire 14,85 al quintale nel quinquennio 1886-90; il prezzo dei bozzoli al chilogrammo scese da lire 4,64 a lire 3,59, in riferimento ai medesimi quinquenni.
Le masse popolari delle campagne e delle città reagirono in due modi alla crisi che le colpiva duramente rendendo spesso insostenibili le loro condizioni economiche: con l'emigrazione, che ebbe un fortissimo incremento; con le agitazioni, che si andarono intensificando, nonostante il clima di reazione creato da Crispi.
Alle manifestazioni dei disoccupati, soprattutto dei muratori, che talvolta sboccarono in violenti tumulti, si aggiunsero gli scioperi di operai e di braccianti, che in quegli anni andarono aumentando da 96, nel 1886, a 126, nel 1888 e a 139, nel 1890.
Le agitazioni agrarie, che ancora nel biennio'88 -'89 furono numerose, soprattutto in Lombardia, dal '90 in poi si fecero frequenti e vivaci specialmente nella bassa pianura emiliana e romagnola, che divenne la zona d'avanguardia del movimento contadino italiano. Questo si dovette da un lato alla rapida trasformazione capitalistica dell'agricoltura, fortemente stimolata dai lavori di bonifica, che determinarono la formazione di un numeroso proletariato agricolo (composto in maggioranza di braccianti giornalieri), e dall'altro lato all'intensa attività di propaganda e di organizzazione svolta dai socialisti guidati da Andrea Costa in Romagna, da Camillo Prampolini a Reggio Emilia, da Nicola Badaloni a Rovigo, da Gregorio Agnini nella Bassa Modenese.
Prima di seguire le vicende del socialismo correggese è opportuno accennare per grandi linee ad alcuni avvenimenti che precedettero la nascita del Partito socialista. In occasione del centenario della Rivoluzione francese, il 14 luglio 1889, a Parigi, alla presenza dei delegati dei partiti operai e socialisti, si svolse il congresso costitutivo della Il Internazionale, che deliberò di sostenere in tutti i partiti un programma di legislazione del lavoro, di lottare per la giornata lavorativa di otto ore e di organizzare una grande manifestazione internazionale a data fissa, per modo che, in tutti i Paesi, in uno stesso giorno prestabilito, i lavoratori ponessero ai Poteri pubblici la condizione di ridurre legalmente a otto ore la giornata di lavoro.
Questo congresso costituente - indetto dai partiti e non più dalle organizzazioni operaie che nel 1864 diedero vita alla 1 Internazionale - fornì una spinta non indifferente alla creazione in Italia di un unico partito.
Proprio in quei giorni del luglio dell'89 Filippo Turati scrisse a Costa: "Ora si è fondata qui la Lega socialista milanese, che concentra in sé i socialisti (intesa la parola con una certa larghezza, però senza confusionismo), gli amici socialisti del Partito Operaio ed esclude gli anarchici.
Mentre in alcuni Paesi europei i partiti socialisti si erano già formati soprattutto forti i socialisti in Germania che nelle elezioni del Reichstag del 1890 avevano raccolto un milione e mezzo di voti e il 20% del totale ~ in Italia le tre formazioni politiche (il "Partito socialista anarchico rivoluzionario", il "Partito socialista rivoluzionario di Romagna" poi "italiano" e il "Partito operaio italiano") si trovavano ancora in mezzo al guado; ancora divise, ma già sulla via dell'unificazione.
Alla vigilia del Congresso di fondazione del "Partito dei lavoratori" (Genova, 14~15 agosto 1892), Filippo Turati e Anna Kuliscioff rilevavano che in Italia si balbettava ancora sul socialismo e si ripercorrevano tutte le fasi del suo sviluppo, come se la esperienza altrui a nulla dovesse servire. Se il proletariato italiano giungeva in ritardo -dicevano - aveva, in compenso, il vantaggio inestimabile di poter usufruire dello sviluppo generale della coscienza socialista europea; assorbendo quella cultura, impugnando quell'arma, si potevano bruciare più rapidamente certe tappe intermedie, si poteva fare a meno di ripercorrere tutte le tortuosità di un cammino già tracciato da altri, si potevano superare, in breve, tutte le "malattie dell'infanzia" del socialismo e tagliare il legame ombelicale con la democrazia borghese, senza ricadere, da un lato, nella ribellione indiscriminata contro tutto ciò che era di provenienza borghese, e, dall'altro lato, nell'anarchismo e nel corporativismo di classe.
Vedremo fra poco quanto fosse robusto il legame ombelicale fra il socialismo correggese e la democrazia borghese; legame che verrà tagliato assai in ritardo rispetto ad altre realtà della pianura reggiana-modenese.
Nei venti anni che intercorsero tra il Congresso di Genova e il tumultuoso XIII Congresso (Reggio Emilia, 7-10 luglio 1912) molte cose erano cambiate nel Paese e nel movimento operaio, ma il partito, nelle sue caratteristiche fondamentali, non era cambiato che di poco. L'organizzazione era assai poco articolata, fatta di piccoli circoli frazionali e di grosse e rade sezioni che si risvegliavano nelle campagne elettorali, ma non facevano da tramite tra il partito e le masse popolari che esso influenzava; la propaganda era concepita e praticata soprattutto nelle forme di predicazione della nuova novella; il rispetto della disciplina era affidato prevalentemente, se non esclusivamente, al senso di onestà e di responsabilità di dirigenti e militanti; il numero degli iscritti non superava che di poco i ventimila. Lo statuto approvato dal IV Congresso di Firenze del 1896 stabiliva che l'istanza di base del partito era la sezione, alla quale veniva riconosciuta la facoltà di associarsi con altre in federazioni provinciali e regionali, ma queste ultime istanze stenteranno ad affermarsi - e la storia della federazione socialista del Collegio di Correggio lo conferma - lasciando intatta la sostanziale autonomia politica delle sezioni.
Accanto alla sezione il movimento socialista presentava una molteplicità di organizzazioni tutte riconducibili a forme concrete di una presenza territoriale definita e limitata. La Camera del lavoro, la "Casa del popolo", il giornale locale, l'Amministrazione "rossa", la Cooperativa erano gli elementi costitutivi dell'universo " socialista, che si configurava abbastanza chiaramente come una contro-società, un antistato, con le sue regole, consistenti in primo luogo nell'assicurare la salvaguardia e lo sviluppo delle sue istituzioni.
Nel "micro universo" socialista correggese non figurarono né l'Amministrazione "rossa", né il giornale locale, ma, fra le prime, le Cooperative di consumo, la Cooperativa muratori e le Leghe dei contadini.
Una breve digressione merita di essere fatta accennando ad un fondatore del socialismo correggese, un personaggio a tutti noto per la sua professione: il fotografo Gildaldo Bassi.
Nato a Correggio nel 1852 da modesti genitori, adolescente respirò lo spirito patriottico del Risorgimento; aveva sette anni quando, trovandosi tra la folla riunita in Piazza delle Erbe, applaudì Garibaldi affacciantesi da una finestra dell'Albergo Posta. Le immagini ed i ricordi delle imprese delle Camicie rosse, i fatti tristi ma gloriosi di Aspromonte e Mentana ed infine l'ultimo atto del Risorgimento, l'occupazione di Roma papalina, infervorarono la fantasia del giovane e scavarono delle tracce profonde nel suo animo.
Nel 1871, a Rimini, presente allo storico Congresso delle Società operaie di tutta la penisola, s'incontrò con un altro oscuro giovane, segretario del congresso, il cui nome varcò ben presto i confini della natia Romagna e la cui vita si identifico con un periodo del movimento socialista italiano: Andrea Costa.
I due strinsero amicizia e si trovarono accomunati negli ideali, nelle persecuzioni e nelle sofferenze, anzi, vi sarà un certo parallelismo fra l'evoluzione posteriore dei due uomini politici. Nel'73 Bassisubiva ben due arresti per propaganda sovversiva tanto che l'anno dopo, rendendogli la polizia la vita sempre più difficile, si decise ad espatriare ed emigrò nell'America del Sud; nell' '88 lo vediamo impegnato a diffondere un programma di realizzazioni sociali del famoso Prof. Ruggero Panebianco, Abbiezioni e martiri, ossia effetti dell'appropriazione esclusiva della terra, come nel '91 a propagandare il libro L'avvenire (uno sguardo retrospettivo dall'anno 2000 ai nostri giorni) dello scrittore Edward Bellamy, un utopista e riformatore statunitense, coetaneo del Bassiil cui libro L'uomo di 143 anni venne considerato dal grande filosofo John Dewey il più importante testo politico dell'epoca dopo Il Capitale di Marx.
Nel '92 Bassi, era a Genova al Congresso con Prampolini, Sichel, Berenini, con Turati e la Kuliscioff; nel'93, al congresso di Reggio, il vero congresso costitutivo del Partito socialista, e, in quella occasione non mancò di svolgere la sua professione, eseguendo due fotografie, una nel locale del Congresso e l'altra nel banchetto di Massenzatico: due foto che verranno poi vendute a lire due l'una, oppure a lire tre per due.
Fra le numerose perquisizioni della polizia effettuate nel'92,'93,'94 e su su fino al triste '98, quando Bassinei giorni della reazione di Bava Beccaris venne arrestato a Milano e trattenuto nelle carceri di Finalborgo per parecchie settimane, merita di essere ricordata la ridicola perquisizione avvenuta nella sua casa in Piazza Garibaldi n. 5 il 27 aprile 1892. Alle ore 5,30 del mattino, mentre era ancora a letto, un delegato e due agenti di custodia rovistarono mettendo sossopra la casa, credendo forse di scoprire un arsenale d'armi e un magazzino di materiali esplodenti.
1 mattinieri visitatori non trovarono che ritratti del re e della regina, lettere, libri e santi della madre. Lo strano - commentarono i socialisti dell'epoca - è che il buon Gildaldo non ha mai nutrito idee sovversive e tutta la sua ferocia di ribelle si limita a far propaganda delle teorie ch'egli ha letto sul libro del Bellamy".
Già osservando la lotta politica in occasione delle elezioni della XVIII Legislatura del 1892 si possono cogliere le caratteristiche del socialismo correggese: da un lato i grandi limiti, e, dall'altro lato il pesante dato oggettivo costituito dalla configurazione dei Collegio elettorale di Correggio che permetterà a Vittorio Cottafavi di rimanere l'unico deputato conservatore della provincia di Reggio Emilia fino al 1919 con lo scioglimento dei Collegi uninominali.
Un solo esempio può chiarire i ritardi del socialismo correggese: mentre nel 1892 nei collegi elettorali di Carpi veniva eletto il socialista Gregorio Agnini, di Guastalla il socialista Camillo Prampolini, di Montecchio il socialista Giacomo Maffei, a Correggio i socialisti - già critici con il nuovo partito che stava nascendo - si limitarono ad appoggiare un oscuro personaggio, presentato dal gruppo democratico radicale di Correggio, piovuto per la bisogna da Roma, la cui unica referenza politica era quella di essere il nipote di Giuseppe Zanardelli. Questo mette pure in luce la mancanza di uomini di rilievo fra la borghesia illuminata locale; infatti, nel 1895 i radicali, sempre appoggiati dai socialisti, ritenteranno di rieleggere il Martini - mai visto sulla piazza di Correggio - che verrà sconfitto dal trentatreenne Vittorio Cottafavi.
"Scuotiamoci!" è il motto d'ordine da qualche tempo sulla bocca di alcuni giovani stanchi della vita che si vegeta in questa città. "Scuotiamoci! - scrive un giovane socialista - ~ il grido di tutta Correggio giovane che lavora e vuol progredire; è il grido di tutti i migliori nostri operai. Uniamoci, organizziamo il nostro partito, entriamo noi pure coraggiosi e fidenti in quel grande movimento di emancipazione e di giustizia che infiamma d'entusiasmo i nostri fratelli di tutte le nazioni civili!".
il grido non cadde nel vuoto. Per merito di alcuni facoltosi socialisti, probabilmente il Dott. Pietro Ruffini, il Dott. Alberto Rovighi (sempre pronto a sostenere tutti i giornali socialisti e a versare forti somme per il Primo Maggio) e alcuni giovani benestanti (che di lì a poco accetteranno di candidarsi nella lista votata dai socialisti per il consiglio comunale, per poi passare nel campo avversario) veniva fondato il quindicinale "La fiaccola", con sottotitolo Grido dei lavoratori e con la celebre asserzione galileiana "eppur si muove", il cui primo numero uscì un mese prima del congresso costitutivo di Genova, il 10 luglio 1892.
Accanto al socialismo cittadino, composto da un ristretto ceto medio e da poco seguito popolare, che decideva in nome di tutti, esisteva un socialismo diverso: il socialismo delle ville, non in grado di far sentire la propria voce per l'impossibilità di esprimersi in lingua nazionale.
Il primo Circolo socialista nato dal basso sorse a Mandrio. Per comprendere il perché sorse in questa frazione e non altrove bisogna tenere presenti due aspetti concomitanti: l. l'alta densità della popolazione, la più elevata dell'intero Comune (eccetto ovviamente il centro storico) con 246 abitanti per kmq. nel 1901, quindi con la presenza di parecchi braccianti, fornaciai e manovali generici; 2. la vicinanza con il territorio carpigiano-, territorio che partendo da Novi, Concordia, Budrione, Fossoli e Migliarina, quest'ultima considerata "il cuore del socialismo carpigiano", dava appunto il 40% dei voti al candidato socialista dell'intero Collegio elettorale di Carpi.
Non a caso una delle più grandi manifestazioni socialiste si svolse a Mandrio il 20 agosto 1893 con la partecipazione di 25 associazioni socialiste, di cui quella del nuovo Circolo di Canolo per ascoltare le parole del "Gesù socialista", dell'apostolo del socialismo reggiano, Camillo Prampolini. Da Migliarina giunse una massiccia partecipazione e questo particolare ci costringe a riflettere su un fatto noto, ma che è bene rimembrare in questa sede: la presenza di tremila persone a Mandrio era possibile anche perché da Migliarina e da Rio Saliceto (Comune del Collegio elettorale di Guastalla con una forte presenza socialista) era il luogo più vicino da raggiungere a piedi.
Riviviamo insieme, per un attimo, questa manifestazione popolare pensando che alla grande festa erano accorse 1a fanfara" di San Martino in Rio, "il concerto" di Correggio e 1a banda" di Budrio che fra gli "Evviva" generali suonò l'Inno dei lavoratori.
Il giorno dopo, il lunedì, duecento soci del circolo di Mandrio, fra cui 50 donne, si raccolsero per sciogliere canti e evviva alla fede comune; dopo la bicchierata e le parole pronunciate da due giovani del luogo, Ragni e Fulloni, che deplorarono gli eccidi degli italiani in Francia, l'opera nefanda del sistema borghese", i soci percorsero le strade improvvisando così una pubblica dimostrazione della quale fu grande parte l'elemento femminile, che con slancio cantò l'Inno di Turati.
Le caratteristiche del socialismo di Mandrio, dunque, apparivano già ben precise e venivano riconfermate vent'anni dopo, al Congresso nazionale di Reggio Emilia; Mandrio era l'unica sezione del Correggese, con altre tre sezioni della provincia, Gavassa, Mancasale e Cadelbosco Sotto, a votare l'ordine del giorno che decretava la fine del riformismo consociativo e la rottura con i riformisti di destra che avevano approvato l'intervento italiano in Libia; l'ordine del giorno massimalista che in sede locale segnava la fine politica di Gioacchino Ferretti e Luigi Diacci, i due massimi dirigenti correggesi dell'età giolittiana che di lì a poco confluiranno nel fascismo.

Il movimento dei democratici cristiani

Ormai lontani erano i tempi dell'assioma "0 cattolici col Papa, o barbari col socialismo". Controproducenti si rivelavano certi modi di affrontare gli avversari come a Canolo nell'agosto 1889, quando Camillo Prampolini e i suoi compagni, colà recatisi per un comizio, furono presi a sassate e cacciati al grido di "Dai al levroun". Anacronistico il grido contro lo Stato di uno dei presuli più intransigenti, il Vescovo di Livorno, Sabatino Giani, alla diciottesima Assemblea dell' Opera dei Congressi (Taranto, settembre 1901): "0 Roma o morte!", grido che rovescia il famoso motto garibaldino per auspicare la vendetta sul 20 settembre.
Occorreva un "programma dei cattolici di fronte al socialismo", che rispondesse a questi quesiti: "Qual giudizio si deve recare, sotto il punto di vista cristiano, del socialismo moderno pratico e teorico nell' Italia nostra. Qual programma i cattolici possono contrapporre a quello dei dottrinari socialisti. Con quali presidi e criteri se ne deve propugnare la pratica attuazione". Occorreva rispondere in modo nuovo allo sviluppo della società e soprattutto rispondere alle istituzioni (Cooperative di Consumo, di Lavoro e Produzione, Leghe di resistenza, Enti Comunali) realizzate dal neo partito socialista.
I cattolici, dopo aver puntato fino alla Rerum novarum e oltre sulle Società di Muto Soccorso (a Correggio una Società venne fondata da don Carlo Cattania nel 1863 ) come strumenti di collaborazione interclassista in alternativa agli organismi di resistenza, si volsero decisamente, per rafforzare la loro presenza tra i ceti rurali, sull'organizzazione dei Credito e della Cooperazione. Il comitato Diocesano dell'Azione Cattolica di Reggio Emilia incominciò l'opera di promozione e coordinamento di queste nuove forme organizzative a partire dal 1896. Sorse in quell' anno a Budrio la Società Operaia Cattolica di Mutuo Soccorso fondata dal parroco don Attilio Alai, e alcuni anni dopo il Circolo Cattolico Giovanile "San Pietro" fondato dal nuovo parroco don Livio Morini e poi la Banda cattolica diretta da Alfredo Pinotti.
A Canolo (1904) era operante un Sindacato cattolico agricolo retto democraticamente dall' assemblea generale dei soci: nelle assemblee si discuteva del rinnovo delle cariche sociali, dell'acquisto di generi agricoli, della modifica (1909) all' articolo 12 dello statuto Sociale, della autorizzazione al consiglio d'Amministrazione (1910) di poter contrarre prestiti passivi e far compre e vendite per conto della società.
Il 15 aprile 1904 don Guido Meroni, dirigente diocesano dell'Azione Cattolica, rivolse un incoraggiamento ai soci del sindacato di Canolo "perché maggiormente esplichino la loro azione democratica cristiana e fece un caldo appello ai giovani per la costituzione del Circolo". Immediatamente venti giovani si iscrissero e dopo poco tempo venne inaugurata la bandiera del "Circolo Cattolico San Paolo" con un discorso pronunciato da don Enrico Ceresoli, influente membro del comitato Diocesano, il brindisi del giovane universitario Cattini di Correggio, e "dopo la sfilata, preceduta dal concerto musicale di Budrio, chiuse Marmiroli di Cognento con un: Evviva la Democrazia Cristiana". Sempre a Canolo - centro del cattolicesimo correggese - venne fondato un "Fascio Democratico Cristiano" e una "Unione Professionale dei Coloni", dando così piena attuazione alle raccomandazioni del presidente dell'Unione cattolica per gli studi sociali in Italia", Giuseppe Toniolo, che contrappose al noto motto di Marx "Proletari di tutto il mondo unitevi!", il motto "Proletari di tutto il mondo unitevi in Cristo!".
A Lemizzone (1908) sorsero due società cattoliche: la "Cassa Rurale Cattolica di Deposito e Prestito per sovvenir ai bisogni degli agricoltori in modo speciale" e la "Cooperativa Cattolica Laterizi". Venne sperimentata a Mandrio una "Associazione Mutua Bestiame" e nel corso di una riunione don Guido Meroni prospettò 1a necessità dell'unione e della solidarietà sugli acquisti collettivi dei generi agricoli".
Ettore Barchi, candidamente nella sua preziosa opera (La nostra battaglia. Storia dell'Azione Cattolica dal 1870 al 1945, Reggio Emilia 1958, p. 114), sentì il dovere di "insistere purtroppo nel precisare che le opere sociali dei cattolici a favore dei lavoratori sono quasi sempre sorte per arginare quelle dei socialisti, più che per uno slancio spontaneo dei cattolici di fronte al bisogno".
Testimonianza preziosa, quella del Barchi, e riconfermata in documenti dell'epoca redatti dai funzionari dello Stato. Il Prefetto di Padova, nel 1908, al Ministro degli interni, Giolitti, inviò un rapporto sulla situazione del movimento cattolico nella sua provincia. Il funzionario ricordò l'azione efficace di una circolare del clero delle vicarie di Borgoforte e di Consalve ai proprietari e conduttori di fondi: i parroci della zona si erano prodigati animosamente per indurre i proprietari terrieri a più larghe concessioni verso i lavoratori, per evitare l'inasprimento dei rapporti di classe. Ma a quale fine? In vista - si legge nel rapporto - di neutralizzare "il movimento interessato e non sempre pacifico dei falsi amici del popolo", in vista 'Ai raccogliere le forze del proletariato ed impedire che esse rimangano ancora nelle mani degli avversari.
Il Prefetto di Perugia, in un rapporto del 1911, rilevò che "scopo ultimo delle organizzazioni cattoliche è quello di minare il terreno ai socialisti ove essi hanno il sopravvento [ ... ] per conquistare le pubbliche amministrazioni e i poteri dello Stato". Il Canonico Giovanni Ravaglia, parroco della cattedrale di Cesena scrive a Romolo Murri: il partito socialista ha già costituito in molte parti del nostro territorio cesenate parecchie leghe di resistenza [ ... ] Quindi il pericolo vero di queste leghe è nell'asservimento delle masse ancora credenti dei nostri lavoratori al partito socialista il quale in breve riuscirà a sottrarle alla benefica influenza del cattolicesimo. Posto ciò, quale contegno dobbiamo tenere noi cattolici di fronte alle leghe di resistenza promosse dai socialisti? qual'è il provvedimento praticamente più utile per arrestare il diffondersi delle leghe e paralizzarle dove sono già costituite?".
E a Correggio città esistevano organizzazioni cattoliche? Se in alcune frazioni i cattolici si impegnarono "a migliorarsi religiosamente e civilmente", a formarsi "una coscienza sicura dei doveri che attualmente incombono ai cattolici" e a prepararsi a "quelle sante lotte con cui la Democrazia Cristiana si sforza di conservare lo spirito religioso in mezzo al popolo e di fissare sulla base della giustizia cristiana e della evangelica carità le rivendicazioni del proletariato", a Correggio -11cittadella del moderatismo" - i cattolici non riuscirono a liberarsi dalla tutela del deputato liberale Vittorio Cottafavi.
Il giovane socialista Luigi Diacci nel 1899 scrisse che "il partito cattolico [ ... ] tentò una volta di levarsi dal letto ove giaceva sorretto per le spalle del così detto partito moderato, ma l'organismo suo era assai debole e senza muscoli e appena in piedi ruzzolò [ ... ] Un giovane solo, cattolico ardente e asceticamente entusiasta si trova fra le lusinghe e gli adescamenti dei signori che ci governano e la inerzia dei cattolici che essendo stati fino ad ora a guardarsi l'ombelico, non possono ingaggiare su qualche nome e specialmente sul suo una qualsiasi battaglia".
Solo nel 1901, con la pubblicazione del Numero Unico dal significativo titolo Democrazia Cristiana e Socialismo, i cattolici correggesi trovano la forza di uscire allo scoperto. Il 1901 era proprio l'anno in cui, mentre alcuni cattolici correggesi tentavano, in settembre, di trovare un loro spazio politico, il Papa Leone XIII con l'Enciclica Grasse de comuni aveva già affermato: "Non sia poi lecito dare un senso politico alla democrazia cristiana"; e precisato L'intendimento e l'azione dei cattolici che mirino a promuovere il bene dei proletari, non deve punto proporsi di preferire e preparar con ciò una forma di governo invece di un altra." Ancora nel 1901 la polemica antiliberale dei cattolici veniva sostenuta dall'Azione Cattolica. Il giovane sacerdote Luigi Franzoni, in aperta polemica con "La Giustizia", che lo accusava di aver fatto visita il 10 ottobre all'Onorevole Cottafavi nella sua Villa di Mandriolo", non solo ribadì che "non c'è parola di vero" nelle corrispondenze degli "adepti di Correggio", ma per dar prova della sua lealtà ricordò ai lettori un suo articolo del dicembre 1900 e concluse scrivendo: "ci accarezzino pure i conservatori, ma ricordino che fare la corte non vuol dire fare all'amore. Ecco perché non ho fatto e non farò mai visite all'Onorevole Cottafavi".
Su quest'ultima frase intervenne polemicamente Don Luigi Moretti, il direttore spirituale del Convitto "Rinaldo Corso" che di lì a poco abbandonerà la Chiesa cattolica per diventare pastore protestante, che domandò all'amico Franzoni: "L perché? Credi forse che il movimento cattolico reggiano debba arenarsi per una visita all'On. Cottafavi? [ ... ]1 cattolici di cinquant'anni addietro perché vivevano profani all'ambiente esteriore non s'accorsero che il movimento intellettuale e sociale minacciava di sfuggir loro di mano. Oggi invece che usciti di sagrestia, abbiamo frequentato la Società [ ... ] e così affermati nella nostra marcia". Questa forza espressa da alcuni cattolici e religiosi, rappresentata appunto da una chiara posizione di indipendenza e di equidistanza fra liberali conservatori e socialisti, e che se consolidata sarebbe stata l'arma più efficace per contrastare questi ultimi sul medesimo terreno sociale, si andò via via indebolendo. Nel marzo 1904 il nuovo Vescovo Arturo Marchi dirigeva ai fedeli una lettera indicante l'opportunità di dar vita ad una combinazione fra i partiti dell'ordine per la difesa della Chiesa dagli attacchi dei sovversivi, e, il dieci dello stesso mese alcuni grandi proprietari e commercianti si riunirono per gettare le basi di quella alleanza clerico-moderata chiamata "Associazione Reggiana per il Bene Econornico" e definita dagli avversari con nome canzonatorio, essendo da poco scoppiato il conflitto russo-giapponese, "Grande Armata".
Inoltre, Pio X, ostile al movimento della democrazia cristiana, nel luglio sciolse l'Opera dei Congressi, ponendo tutti i gruppi regionali e diocesani sotto il controllo diretto dei vescovi. Naturalmente, le forze democratiche cristiane reggiane fremevano di fronte a tale indirizzo e allora rivendicarono la loro autonomia.

"La Plebe" e il sodalismo cristiano di Pietro Ruffini

Le vicende de "La Plebe" si intrecciarono con la realtà politica e religiosa del Correggese. Le "due tendenze" dell'universo cattolico che si erano già manifestate negli ultimi anni di vita di Monsignor Tommaso Rozzi (1827-1903), Prevosto della Basilica di San Quirino, emersero alla luce del sole a partire dal 1904.
Si può affermare che all'interno della realtà religiosa correggese, come pure nel Comitato diocesano, si schieravano due gruppi con posizioni nettamente contrapposte: coloro - ed erano la maggioranza, dopo il Motu proprio e Il fermo proposito di Pio X - che ritenevano utile combattere il socialismo alleandosi con i moderati; e coloro - la minoranza ~ quei "pochi individui mal consigliati o dalla propria superbia o da insinuazioni di falsi amici" ("L'Azione Cattolica", 12 agosto 1904 ), fra cui il correggese don Luigi Moretti e il ben più noto don Rodrigo Levoni che giudicavano l'alleanza fra cattolici e moderati un connubio mostruoso, ibrido ed assurdo. "Ai sedicenti cattolici che ci dicono: "quando si ha di fronte un forte nemico da combattere e da vincere, tutti quelli che hanno lo stesso nemico sono buoni alleati, noi rispondiamo - scrivevano i preti de 1a Plebe" - che questa morale del tornaconto, dell'utilitarismo, dell'opportunismo, è la morale del fine che giustifica i mezzi".
Secondo "La Plebe" le vittorie elettorali durature "sono quelle guadagnate col lungo assiduo lavoro di propaganda e di organizzazione fatto in nome della verità, della giustizia e dell'amore, cioè in nome del Cristianesimo, e in favore dei miseri e dei deboli, non dei ricchi e potenti per i quali Cristo ebbe sempre parole di rimprovero, di miseria e di condanna. "Erano nel giusto - domanda lo storico correggese Fernando Manzotti - " i don Cottafavi e i don Mercati nel loro intento di trasformare la società alleandosi alla classe borghese, o lo erano i sacerdoti della "Plebe" aggredendo frontalmente il blocco conservatore e caldeggiando una forma di avvicinamento al partito socialista?" (E Manzotti, I plebei cattolici fra integralismo e modernismo sociale (1904-1908), in "Convivium", n.IV, 1958, p. 430).
A ben vedere la battaglia dei plebei era quasi simile a quella che nella lontana Caltagirone stava conducendo il giovane don Luigi Sturzo che sul suo giornale, la "Croce di Costantino", criticò severamente la "prostituzione di un voto che nulla significa per sé, perché non ha programmi, non ha carattere, non ha vita.
L'otto settembre 1904, dunque, nonostante i reiterati appelli del Vescovo Marchi all'unità dei cattolici uscì il primo numero de "La Plebe,. Giornale di propaganda cristiana".
1 collaboratori del settimanale erano in gran parte giovani sacerdoti che nell'ambito del seminario avevano assorbito le teorie di Romolo Murri e che interpretavano le esigenze di molti sacerdoti delle campagne, per i quali la lotta contro il socialismo poteva meglio sostenersi rompendo ogni legame con le classi agiate e venendo incontro ai bisogni della povera gente. Quasi tutti questi sacerdoti firmavano i loro articoli con pseudonimi, unico modo per evitare le censure delle superiori gerarchie.
Insieme al gruppo di sacerdoti, per "La Plebe" operavano altri due gruppi di laici: di radicali cristiani e di socialisti ed ex socialisti. Fra gli ex iscritti al Partito socialista emerse la nobile presenza del Dott. Pietro Ruffini di Correggio che de "La Plebe" fu per alcuni mesi il direttore responsabile ed anche il sovvenzionatore e ad essa dedico con passione le doti del suo ingegno.
Lo scopo comune era di "riconoscere una buona volta senza reticenza la concordanza tra socialismo e cristianesimo".
"La Plebe" proclamava che voleva "cristianizzare i socialisti, socializzare i cristiani, il tutto nel nome di Cristo e seguendo le massime dei Vangelo".
Dopo il 28 agosto 1906, data in cui il Vescovo Arturo Marchi proibì a tutti i sacerdoti - "quelli compresi che hanno la licenza per libri proibiti di leggere e diffondere "La Plebe", il Ruffini ridefinì il programma dei plebei onde evitare il rischio di lasciarsi "inconscientemente trarre alla deriva del socialismo"; a sostenerlo in una impresa così ardua era un sacerdote di Udine che sotto il nome di Rovina Natale - pseudonimo che impiegato in periodo d'Avvento diceva già molto sullo stato d'animo dell'anonimo religioso - scrisse: "Lasciarci trarre alla deriva del partito socialista, come ella amico Ruffini, un po' leggermente teme, no: noi siamo gli uomini del domani, cui una forza morale superiore ad ogni altra, che non crolla né muta, ma si adatta, ravviva e integra [ ... ] Perciò noi comprendiamo di non poterci confondere o di metterci ai servigi di un partito col quale non abbiamo comuni tutte le finalità ultime, come non possiamo ostacolarlo in quanto rivendica una cosa che è anche la nostra, la causa del proletariato".
All'anonimo corrispondente (don Giuseppe Lozer?), il Ruffini rispose che avrebbe seguito volentieri le traccie indicate "dalla voce lontana di Rovina Natale, voce che mi è invece tanto vicina, nella fede e nelle aspirazioni".
"A coloro, o socialisti o reazionari, che ci censurano e dileggiano dicendo che il nostro movimento o è un duplicato inutile o è una finzione cattiva", Ruffini rispose: "non un duplicato né un infingimento, perché la qualità di cristiano, se degnamente intesa e sentita, vale a differenziarci oltre ogni misura, ed è appunto nell'intensificazione di questo carattere di cristiani ispirati ai precetti del Vangelo e de' suoi seguaci migliori che io vorrei che ponessimo ogni nostro studio".
"La Plebe" ebbe una condanna esplicita da parte del Vescovo. i sacerdoti che continuavano a scrivere sul giornale, pur nascosti dietro l'anonimato, furono costretti, dall'aggravarsi delle misure disciplinari, a "tirarsi in disparte".
Esemplare a tal riguardo il dramma di Don Rodrigo Levoni, che, sospeso a divinis dalla Curia di Reggio, dichiarò: 1l mio socialismo cristiano che io non ho mai ripudiato né ritratto non mi ha mai impedito d'essere cattolico apostolico romano"; e ancora: "si vuole da me non una ritrattazione di quanto può esservi di erroneo negli scritti miei, ma una sconfessione totale, esplicita di tutto me stesso, delle mie convinzioni politiche, dei miei amici, della mia fede socialista cristiana, del mio Cristo. La censura piombava miserabile su di me, strappandomi da quell'altare cui fin da fanciullo mi ero volontariamente aggrappato. Forse il Signore ha voluto questo?".
L'ultimo manifesto dei Plebei fu del luglio 1907 in occasione delle elezioni amministrative: vi era riunito l'intero programma, il mondo ideale dei radicali cristiani: "Noi non vogliamo il proletariato diviso, ma compatto, sotto sola bandiera [ ... ] Non lo vogliamo unito al padrone [ ... ] Al prete armigero che ha rinnegato la sua fede e che vi pone in mano la scheda dei vostri sfruttatori rispondete astenendovi. Al padrone, che vi costringe a votare per sé e pei suoi amici, rispondete che non è degno della vostra fiducia, perché non mantenne mai le promesse che vi fece". Quando nel 1907 Romolo Murri ~ il sacerdote marchigiano a cui la consorteria clerico-moderata correggese negherà l'uso del Teatro Comunale - venne sospeso a divinis, colui che i plebei reggiani, nonostante alcune divergenze, consideravano il loro "maestro", il movimento plebeo si sfasciò. Sull'ultimo numero de "La Plebe" Pietro Ruffini non si era ancora reso conto delle cause di cui si lamentava: ,'Amici, siamo giunti alla fine dell'anno e veramente ci vediamo scoraggiati perché tutte le nostre preghiere, tutti i nostri appelli, sono andati a vuoto. Perché? Non sappiamo. Forse il giornale non è più come voi lo desiderate? Ebbene, suggeriteci voi come lo volete, ma non boicottatelo, ma non siate voi la causa della fine del primo giornale del nostro movimento autonomo".

Crisi del riformismo

Gli iscritti al Partito socialista - ed era solo un aspetto per quanto vistoso - passarono dai circa 43.000 del 1908 ai 32.000 del 1910 e giù fino ai 27. 000 al XIII Congresso Nazionale del'1 2; in provincia di Reggio Emilia - epicentro del riformismo e del cooperativismo - la contrazione era assai rivelatrice: dai 4.213 del 1907 gli iscritti scesero a 2.985 nel 1912.
Se si tiene conto dell'incremento demografico nel Comune di Correggio, che proprio in quegli anni, oltre alla cintura del centro storico, vedeva il popolarsi di zone rimaste fino ad allora trascurate anche a causa dei terreno poco redditizio, il calo era pure sensibile: dai 217 del 1905 gli iscritti scesero a 162 nel 1910 per risalire poi di poco nel '12 con 171 iscritti e 172 nel 1913. La Confederazione Generale del Lavoro complessivamente cresceva e il partito tendeva a ridurre il suo ruolo ad un supporto politico-parlamentare delle organizzazioni economiche, oltre a continuare a svolgere una generica opera di propaganda. In questo contesto vennero coniate le più note ed azzardate espressioni sul declino del socialismo: Giolitti, dopo il voto favorevole dell'estrema sinistra al suo IV Ministero, dichiara che i socialisti italiani avevano messo "Marx in soffitta"; il filosofo Benedetto Croce proclama la "morte del socialismo" e Leonida Bissolati, noto esponente riformista e primo socialista ricevuto dal re, considerò ormai il partito un "ramo secco" e propose di costituire un partito del lavoro.
Le previsioni di un imminente crisi del socialismo vennero salutate e alimentate con gioia dalla consorteria correggese: la "Voce del Popolo", il giornale di Cottafavi, dalle affermazioni apocalittiche sul socialismo divulgate dalla stampa nazionale, trovò materia per rincarare la dose: per canzonare e demoralizzare i seguaci di Prampolini pubblicò un interminabile "Nuovo inno socialista" dal giolittiano titolo Carlo Marx in soffitta. La radicalizzazione dello scontro di classe, aggravato nel Paese dalla guerra italo-turca, fece maturare nel Partito socialista di Correggio, seppur in ritardo e solo dopo il XIII Congresso nazionale, un processo di rinnovamento che presupporlo solo un anno prima sarebbe stato assai azzardato. Infatti, nel 1911, il partito continuò ad essere gestito da dirigenti la cui formazione politica risaliva agli anni delle lotte di fine secolo e la cui autorità sembrava intramontabile; i giovani, che pur incominciavano a far sentire la loro voce, non emersero e nessuno di loro venne delegato al XII Congresso nazionale di Modena.
Solo dopo l'esito di questo congresso (40% dei voti alla corrente intransigente) alcuni compagni trovarono il coraggio di criticare pubblicamente i dirigenti riformisti; un anonimo corrispondente su "La Frusta", Organo dei socialisti intransigenti della provincia di Reggio Emilia, scrisse: "Anche nel nostro paese si è sentita la deleteria influenza del riformismo, e non da poco tempo. Il proletariato socialista correggese che è assai numeroso e cosciente, è stato aggiogato alla democrazia [leggasi: al partito radicale], e deve lavorare per essa e votare per essa in tutte le maggiori cariche comunali e provinciali".
Gli scioglimenti e le ricostruzioni di Circoli socialisti, avvenuti nel corso del 1912, evidenziarono il graduale declino del vecchio gruppo dirigente e l'emergere di nuovi attivisti, che sostanzialmente, pur rimanendo riformisti e sinceri seguaci di Prampolini, non potevano non tener conto che il partito stava cambiando e che i giovani, dopo il congresso della loro Federazione Giovanile tenutosi a Firenze, incominciavano a rivendicare una propria autonomia basata su presupposti politici ben precisi. Scioglimenti e ricostruzioni si ebbero a Fosdondo, Mandrio e Correggio: da Fosdondo - riportava "La Giustizia" - scrivono che "è doveroso [ ... ] dover pubblicare che nel nostro villaggio si è dovuto sciogliere il circolo per la costante inattività della maggior parte dei suoi componenti [ ... ] Coloro che vogliono iscriversi devono rivolgersi a Bellelli Antonio, Corradini Delfino e Lusuardi Ernesto". Da Mandrio si segnalava che "in seguito a parecchie divergenze che inciampavano il funzionamento della sezione proprio in questo momento che esige attivo lavoro, è stata sciolta la sezione, dando incarico ad una commissione della immediata ricostruzione". Il corrispondente di Correggio città scriveva: "Crediamo che sia giunto il momento di parlar chiaro [ ... ] già da parecchio tempo alle sedute indette anche con avviso personale intervengono solamente quei sei o sette compagni di fronte ai 40 iscritti, dei quali quaranta, soltanto venti hanno prelevato la tessera. Come si può andare avanti così? Se questi compagni sono continuamente assenti e non si interessano delle questioni del partito, è meglio che se ne appartino. D'altra parte tornano inutili le discussioni, le critiche, i progetti fatti fuori dalla loro sede naturale".
Lo sciopero politico contro l'intervento militare in Libia del settembre 1911 segnò la svolta definitiva, la rottura con radicali correggesi, con gli avvocati Mario Cattania, Arnaldo Ghidoni, l'Ing. Plinio Cottafava e quel Ferruccio Cattania che ritroveremo alcuni anni dopo fra i primi artefici dei fascismo.
Riviviamo questo momento di lotta partendo da quel male oscuro, il nazionalismo, che sfocerà poi nell'intervento nel conflitto mondiale per approdare alla naturale sponda del fascismo.
Scrivevano i radicali correggesi: "Noi siamo di coloro - e sono la grande maggioranza - che ritengono utile, necessario, imprescindibile per la fortuna d'Italia, l'occupazione di Tripoli. E diciamo occupazione perché ci ripugna nascondere la realtà forte e premente sotto parole morbide e accomodanti.
Non si è in grado di sapere se il testo dell'articolo venne scritto prima o dopo il 27 settembre - giorno in cui si svolse in tutta Italia lo sciopero generale di protesta contro le "Follie espansionistiche tripoline" - ma un dato di fatto è certo: lo sciopero dimostrò che la "grande maggioranza" non era - come asserivano i radicali - per l'occupazione, era "per il lavoro e la pace".
"Evviva il lavoro e la pace", "Abbasso le maledette imprese africane" erano le parole d'ordine coniate dai lavoratori di Rio Saliceto che proclamavano lo sciopero la sera del 25 ancor prima che giungessero gli ordini dalla Camera del lavoro; a Reggio Emilia si scioperò già il 26 al grido di "Se a Tripoli s'andrà, rivoluzione si farà".
E opportuno ricordare che i dirigenti socialisti di Correggio - espressione di una realtà locale in cui non esisteva la grande azienda agraria e di conseguenza il bracciantato non era diffuso come nella Bassa Reggiana e nel Mantovano - non avevano mai spinto il proletariato a fare sciopero e nemmeno sollecitato a farlo in occasione del primo sciopero generale del 1904.
Lo sciopero del 27 settembre rappresentò quindi un avvenimento assai importante per il proletariato correggese, anche per il fatto che tale giornata di lotta segnò simbolicamente il passaggio dalla fase in cui il movimento operaio correggese si lasciava rappresentare da dirigenti socialisti provenienti dal ceto medio, alla fase in cui, seppur timidamente, tentava di far emergere un nuovo gruppo dirigente: vale a dire che nel partito socialista - e ciò verrà alla luce di lì a poco - stava per perdere egemonia il gruppo dirigente che trovava credito fra la piccola borghesia laica e democratica.
La crisi economica del 1907-1908 (primo sintomo di crisi del riformismo), la guerra italo-turca e l'esito del XIII Congresso nazionale con l'espulsione dei destri portarono, dunque, al definitivo chiarimento nel socialismo correggese, alla prima vera scissione; rottura che avvenne ben otto anni prima della più nota scissione del 1921 e che si manifestò pubblicamente, senza esclusioni di colpi degli uni contro gli altri, sulla candidatura socialista per il Collegio di Correggio in previsione delle prime elezioni politiche a parziale suffragio universale.
Non è possibile riassumere le 250 cartelle dattiloscritte dedicate alle elezioni politiche del 1913 e al periodo dell'anteguerra a Correggio (vedasi capitoli 8 e 9 in: Correggio 1900-1960. Storia dei movimenti popolari, volume 1, L'età giolittiana, la prima guerra mondiale, il "biennio rosso" (1900-1920"; si può solo sintetizzare e dire che la lotta interna al Partito socialista, iniziata il 13 gennaio 1913 con una corrispondenza da Prato sul giornale di Prampolini, a proposito del pronunciamento per la candidatura di Amilcare Storchi candidato per il Collegio di Correggio, si concluderà dopo una serie di eventi, tutti negativi, (dimissioni di parecchi dirigenti socialisti di Correggio città; rottura con i radicali e proclamazione di una candidatura radicale di disturbo; lotta infame dei socialriformisti reggiani contro i socialisti ufficiali e in particolare contro Camillo Prampolini; aperto appoggio dei parroci, imposto dal famoso "Patto" del Conte Ottorino Gentiloni, presidente dell'Unione elettorale cattolica, al massone della Loggia di Trastevere Vittorio Cottafavi; mercimonio di voti il famoso scudo d'argento per ogni voto) e controllo illecito del segreto del voto soprattutto nelle aree -Baiso, Viano e Castellarano - più depresse, con il ballottaggio del 2 novembre, in cui Vittorio Cottafavi conquistò per la sesta volta il Collegio elettorale di Correggio con il 54% dei voti.
Con le elezioni del 1913 Cottafavi ottenne l'ultima vittoria, mentre in campo socialista si registrava il formarsi di un nuovo gruppo dirigente -la terza generazione del socialismo correggese - che ritroveremo più maturo e temprato nell'immediato dopoguerra.
Nel congedarsi dai suoi elettori l'internazionalista Storchi ringraziò e disse: "Tutti, proprio tutti han fatto il loro dovere. Adulti e adolescenti, uomini e donne, tutti han voluto essere nelle prime file della mischia perché tutti sentivano che era questa la battaglia della classe lavoratrice contro la classe dominante".

1919: risorgono le organizzazioni di classe

Verso la fine del conflitto mondiale la situazione del Partito socialista di Correggio si presentava per molti aspetti difficile. Decimato nei quadri e nei ranghi - 45 iscritti in quattro sezioni nel 1918 contro i 188 iscritti in undici sezioni agli inizi del'15 - il partito poteva ugualmente presi2ntarsi come il principale punto di riferimento e di aggregazione dei diffuso malcontento nei confronti della guerra, dei suoi responsabili politici e militari, e in particolare, delle classi conservatrici correggesi.
Parecchi socialisti erano al fronte, altri erano già morti nel corso della guerra- a dirigere le quattro sezioni ancora rimaste in piedi erano rimasti solo gli anziani, coloro che nei primissimi anni del nuovo secolo furono i protagonisti del progressivo estendersi degli organismi di classe e che -convinti di arrivare al socialismo nei modi enunciati da Prampolini - si illudevano ancora, come aveva scritto Giovanni Zibordi, che 1a provincia di Reggio Emilia fosse, in Italia, il principale laboratorio di vita socialista". Con il ritorno dei reduci il partito socialista e la Confederazione Generale del Lavoro crebbero con un ritmo impressionante: i ventiduemila iscritti al partito nel 1918, passarono un anno dopo a ottantaseimila e sul finire del 1920 raggiunsero i duecentosedicimila; gli iscritti al sindacato dai duecentocinquantamila dei '18 raggiunsero il milione e mezzo nel'19 e due milioni nel 1920.
Per ragioni storiche che non è qui il caso di ricordare, nel Reggiano il partito socialista e gli organismi di massa avevano uno sviluppo superiore alla media nazionale. A Correggio gli iscritti al partito socialista ridotti a 45 nel '18 aumentarono a 298 nel '19 per raggiungere la punta massima di 736 nel 1920. Pure la Federazione Giovanile Socialista di Correggio si era vista ridurre notevolmente i suoi iscritti: da cinque circoli con 87 iscritti del 1915 era scesa nel 1918 a soli due circoli con 32 iscritti. Il circolo giovanile di Correggio città - uno dei primi sorti in provincia - risultava sciolto, ma ciò non impedì ad alcuni giovani di svolgere attività politica. Furono proprio alcuni giovani, troppo giovani per essere richiamati alle armi, ma già abbastanza maturi per limitarsi a svolgere attività nel solo ambito giovanile, a partecipare alle riunioni dei circoli adulti sostenendo le posizioni che 1'Avanguardia", l'organo della Fgs, andava diffondendo (riassumibile nella seguente frase: "Spetta ai giovani di dichiarasi pronti non a seguire il Partito, ma a precederlo. Il giornale nostro ci indica il nostro posto: l'Avanguardia.") Con l'aprirsi della bella stagione, i giovani socialisti ripresero ad organizzare l'unica attività sportiva largamente incoraggiata dagli adulti per ovvi motivi propagandistici: quella dei " Ciclisti rossi".
La domenica, tempo permettendo, folte schiere di giovani, muniti di bracciale rosso e di una bandierina pure rossa (il tricolore era considerato simbolo nazionalista) percorrevano baldanzosamente l'intera provincia in bicicletta, in uno stato d'animo in cui il piacere della gita si fondeva con la consapevolezza di essere portatori dei nuovo verbo.
Con la ricostruzione dei circoli socialisti pure gli organismi economici e sindacali ripresero a funzionare. In quasi tutte le frazioni si formano le Leghe braccianti, a Mandrio, inoltre, la Lega Fornaciai e a Lemizzone la Lega Mattonai.
Si riorganizzarono le Leghe comunali dei Muratori-Manovali, dei Calzolai, dei Sarti, dei Facchini; a Correggio città le lavoratrici, per la prima volta, costituirono una Lega Femminile di Miglioramento.
Le cooperative di lavoro (Braccianti, Muratori e Birocciai) ripresero con rinnovato vigore le attività; per queste cooperative era assai importante accontentare almeno i soci e agire con giustizia, dando ad ogni socio un turno di lavoro più o meno lungo secondo le condizioni di famiglia del singolo lavoratore.
Le Cooperative di Consumo di Budrio, Canolo, Fosdondo e Prato nel giro di pochi mesi videro premiate le innumerevoli e immaginabili azioni umanitarie assolte durante la guerra: i soci nel 1919 salirono a 3068.
Questa rapida ripresa organizzativa di tutti gli organismi di classe, che colse di sorpresa persino i dirigenti socialisti, avveniva in un momento in cui la situazione economica era caratterizzata in misura crescente dal forte aumento dei prezzi. Cominciò così nella primavera del 119 un'ondata di scioperi, che coinvolse via via tutte le categorie dei lavoratori delle campagne e delle città. A Correggio scese perfino in agitazione una categoria che non aveva mai scioperato: quella degli insegnanti.
Solo da una scarsa conoscenza del movimento operaio italiano si potrebbe giungere alla conclusione che nel Reggiano, per la presenza di un forte partito socialista, si ricorresse sovente all'arma dello sciopero. Non fu così. 1 dirigenti della Camera del Lavoro di Reggio Emilia ricorsero raramente, e solo come ultima ratio, allo sciopero; anzi, essi affermarono che "quando la classe operaia è fortemente organizzata ed ha creati i propri baluardi di difesa che dalle cooperative arrivano fino alla conquista dei pubblici poteri locali (Comune e Provincia) più facilmente può raggiungere le proprie aspirazioni, senza ricorrere all'uso di un'arma non sempre facile a maneggiare e che la maggior parte delle volte ha contraria l'opinione pubblica."
Dal '19 in poi il sopra descritto procedimento, che mirava "a formare nel lavoratore carattere e sana coscienza di classe [ ... ] senza creare nel suo cervello nuovi idoli e nuove illusioni" non troverà più riscontro nella realtà reggiana.
Agli scioperi economici si aggiunsero quelli politici chiaramente collegati alla speranza di un radicale rinnovamento della società, sulla via aperta dalla Rivoluzione di ottobre; si diffusero moti di solidarietà con i moti spartachisti in occasione dei funerali di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg (nel Reggiano alcuni circoli vennero intitolati alla loro memoria), e moti di solidarietà con la giovane repubblica dei Soviet e coi rivoluzionari ungheresi.
In occasione dello sciopero generale internazionale di solidarietà con le repubbliche di Russia e d'Ungheria, minacciate dall'intervento militare dei governi d'Italia, Francia e Inghilterra, si registrò a Correggio la completa astensione del lavoro di tutte le categorie.
Da un commento sullo sciopero di Correggio apparso su "La Giustizia", le seguenti due brevissime frasi: "Tutti i negozi ed esercizi pubblici erano chiusi. La solennità della dimostrazione non venne turbata da alcun incidente" indicavano che il socialismo evangelico predicato da Prampolini aveva creato una sana coscienza di classe nei lavoratori, che non sconfinava mai, anche nei momenti di maggior tensione, in incidenti e turbamenti pubblici.
Nello stesso tempo però lo sciopero del 20 e 21 luglio dimostrò in modo evidente che il proletariato reggiano non era più disposto a lasciarsi guidare da dirigenti che nel proprio intimo subivano lo sciopero piuttosto che sollecitarlo. L'astensione dal lavoro fu compatta in tutta la provincia e ai comizi parteciparono migliaia di persone: a Reggio, nel secondo comizio del lunedì, parteciparono ventimila persone, a Campegine, duemila, a Bagnolo in Piano, tremila; a Bibbiano, nel corso di un corteo le donne portarono cartelloni con diverse scritte: " Vogliamo la smobilitazione", "Viva l'Internazionale", "Chi non lavora non mangia"; perfino nella cattolica Campagnola, al comizio del lunedì, parteciparono più di tremila persone.
A Correggio il comizio venne tenuto da Mugnaini (socialista fiorentino che a Correggio ricoprì per breve tempo la carica di segretario della Camera del lavoro) e Storchi in Piazza Garibaldi gremita da lavoratori della città e delle ville. La corrispondenza da Correggio terminava con il seguente commento: "L'impressione per la grandiosità della manifestazione socialista di spiccato carattere internazionale è stata profonda". Era una dimostrazione che il proletariato aveva acquisito una maggiore coscienza e rinsaldato in modo nuovo, dopo il periodo della divisione, l'originario postulato dell'internazionalismo: "Proletari di tutto il mondo unitevi!".

La costituzione del Partito Popolare

Le previsioni del Vescovo Marchi sul vicariato di Correggio si erano avverate: "un velo di indifferenza sta calando su gran parte del vicariato correggese che sembra vivere una sorte di autunno religioso [ ... ] e che, con l'eccezione di Budrio e Canolo, presenta un vuoto di opere cattoliche non solo nei piccoli centri ma nella stessa Correggio (Sacre visite Pastorali[ ... ]1902~ 1910).
Il lento declino dell'associazionismo cattolico correggese non era da attribuire soltanto alle vicende locali precedentemente ricordate e a don Giulio Casolari, prevosto di San Quirino, ma pure agli effetti deleteri della lunga guerra. Ancora nel 1918, a causa della permanenza di quasi tutti i giovani al fronte, i circoli cattolici reggiani sembravano quasi tutti inattivi; in occasione del Cinquantenario di fondazione della Società della Gioventù Cattolica Italiana non si ebbe quasi nessuna eco nei circoli; "segno che i Circoli non vivono quasi più" aveva amaramente scritto il Prof. don Pietro Tesauri, presidente e assistente ecclesiastico della gioventù reggiana di Azione Cattolica.
Prima di seguire le fasi iniziali della sezione di Correggio del Partito popolare italiano è opportuno ricordare che i tempi di un partito politico erano già maturi agli inizi del secolo. All'epoca delle elezioni dei 1904 don Sturzo aveva fieramente criticato sul suo settimanale, 1a Croce di Costantino", l'alleanza clerico-moderata; e, ancora il 24 dicembre 1905, in un discorso su I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani, aveva propugnata la costituzione di un partito nazionale dei cattolici, che fosse essenzialmente "aconfessionale" e "democratico". 1 cattolici italiani - aveva detto Sturzo - non possono sfuggire a questa situazione, né crearne un'altra; essi devono affrontarla: o sinceramente conservatori, o sinceramente democratici: una condizione ibrida toglie consistenza di partito e confonde la personalità nostra con quella dei conservatori".
Solo dopo la grande ondata rivoluzionaria, determinata in tutto il mondo dalla Rivoluzione d'ottobre, Benedetto XV dovette spingersi a compiere quel passo che Leone XIII e Pio X non avevano voluto compiere: favorire la formazione di un partito cattolico, sganciato, però, ufficialmente dalle organizzazioni della Azione Cattolica.
L'Appello al Paese, scritto da don Sturzo ed approvato dal Comitato provvisorio il 18 gennaio 1919, trovò immediata risposta. 1 dirigenti dei movimento cattolico reggiano formarono un comitato provvisorio e diedero vita ad un proprio organo di stampa, il quotidiano Tra Nuova". Il 9 marzo si costituì la sezione reggiana del Ppi e segretario venne nominato don Tullio Fontana.
Le prime sezioni trovarono la loro sede nelle parrocchie e spesso da segretario fungeva il parroco. Nonostante ogni tentativo di distinzione, l'etichetta di partito dei preti attribuita al Ppi dalla propaganda socialista e liberale, non era infondata.
Ai primi di maggio venne iniziato quel lavoro per addivenire alla costituzione della sezione di Correggio del Partito Popolare Italiano". Si invitarono gli "interessati e per quanti volessero aderirvi [ ... ] che per le adesioni e per ogni altro schiarimento è incaricato il prof. Amos Rio".
Nella sala del Municipio, a distanza di pochi giorni, il 1 maggio venne costituita la sezione comunale di Correggio del Ppi ed eletta la Commissione provvisoria di cui presidente risultò il Signor R Corazza e segretario il Signor Ettore Moggi.
Verosimilmente il nuovo partito ottenne le maggiori adesioni fra i coltivatori diretti, gli affittuari e i mezzadri delle parrocchie più attive: Canolo in testa, poi Mandriolo, San Prospero, San Biagio, Budrio e Lemizzone. In città, invece, non esistendo un circolo di Azione Cattolica maschile, i cattolici rimasero più a lungo nella incertezza e nell'ambiguità prima di rompere il ventennale legame con i liberali ed in particolare con l'onorevole Cottafavi.
Questo modesto dato locale rispecchiava per grandi linee la realtà nazionale; in quasi tutti i Collegi elettorali il Ppi raggiunse percentuali assai più alte nelle campagne che nelle città.
I dirigenti del Ppi riuscirono ad estendere la loro influenza nelle campagne perché trattavano argomenti assai sentiti dalle popolazioni rurali; andavano nelle parrocchie a tenere conferenze e riunioni sui problemi specifici, come ad esempio a Budrio il 26 luglio: "tutti i contadini erano presenti - si legge in una corrispondenza - a sentire l'Avv. Mazzucco che parlò sulle organizzazioni dei mezzadri, piccoli affittuari [ ... ] per la tutela dei loro interessi 1 Dopo Mazzucco prese la parola il solito Cocconi di Canolo ......
Per comprendere meglio questo aspetto relativo alla penetrazione del Ppi nelle campagne, occorre dire che fin dall'inizio dell'attività il partito si era preoccupato dei problemi connessi allo sviluppo della produzione agricola ed al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini; questa difesa di interessi particolari, per un verso assai giusta, veniva però svolta tentando di mettere i contadini contro il proletariato agricolo, contro i braccianti, quasi tutti aderenti alla Camera del lavoro.
Nel cortile e nell'ampia sala dell'Istituto Bellelli si svolsero le prime riunioni del nuovo partito.
La prima riunione con la presenza del nuovo segretario provinciale Domenico Farioli si svolse il 14 settembre; da una corrispondenza si legge: "Gli amici di Correggio hanno convocato gli iscritti della sezione e numerosi aderenti in una sala dell'Istituto Bellelli per presentarli al segretario politico ed illuminarli sempre meglio sui doveri che incombono a ciascun cittadino nell'ora presente". Gli italiani, infatti, di lì a poco, sarebbero stati convocati per eleggere i deputati della XXV Legislatura.

Le elezioni politiche del 1919

Con la nuova Legge elettorale proporzionale, sostenuta dai cattolici e dai socialisti, venne dato il colpo decisivo al feticismo uninominalista liberale e giolittiano.
Il clientelismo personalistico (Cottafavi, vedremo fra poco, sarà costretto a congedarsi dai suoi elettori), matrice di un trasformismo nefasto, riceveva un colpo irrimediabile.
Prima di seguire le vicende della lotta elettorale occorre fare un passo indietro ed osservare i rimanenti strati sociali finora non analizzati.
Se nelle campagne i socialisti e i cattolici tentarono di conquistarsi i favori del ceto medio agricolo (piccoli proprietari, affittuari e mezzadri), a Correggio città, invece, la piccola borghesia impiegatizia, i piccoli detentori di rendite, i commercianti, l'aristocrazia parassitaria e l'emergente borghesia industriale si trovarono senza un partito, sparpagliati e dominati dalla paura.
Per questi ceti sociali, alcuni dei quali usciti dalla guerra assai indeboliti (si pensi alla perdita di potere d'acquisto degli stipendi degli impiegati comunali e degli insegnanti, alla crisi d'identità di ufficali smobilitati in cerca di lavoro e del prestigio perduto) non esisteva alcun partito.
Non esiste più il Collegio elettorale di Correggio.
Vittorio Cottafavi, l'esponente del blocco conservatore che si era opposto nel 1900 al nobile tentativo di Giovanni Borelli e dei "giovani liberali" di creare un partito, nel 1919 non sa più che cosa fare.
Entrare o non entrare in una lista di coalizione: questo è il dilemma che lo tormenta fino agli ultimi giorni. Di un fatto l'Avvocato è sicuro: le cene e i banchetti elettorali, le pacche sulle spalle e le visite ossequiose ai parroci, i favoritismi e le concessioni di titoli cavallereschi, i ricatti e trucchi elettorali, l'acquisto di voti con scudi d'argento ed altri espedienti non sarebbero più stati mezzi praticabili per essere rieletto.
Come è noto le forze liberali non giunsero mai a darsi una precisa e
stabile organizzazione partitica- solo nell'ottobre 1922, al Congresso di
Bologna si costituì il Partito Liberale, quando ormai era troppo tardi.
Nel campo liberale la situazione era rimasta assai confusa. 1 bene informati ritenevano che Cottafavi si sarebbe ripresentato e con moltissima probabilità sarebbe stato rieletto; "nessuno potrà disconoscere - si legge sul "Giornale d'Italia" - ch'egli non abbia sempre con fervore tutelati, nell'ambito del possibile, gli interessi del suo collegio e degli elettori, conciliandoli con le altre generali esigenze".
Pure a Reggio Emilia il Deputato non godeva più dell'appoggio incondizionato della borghesia liberale; la sua immagine di ex Sottosegretario di Stato nel nefasto periodo bellico si era ridimensionata, mentre il deputato della montagna, Meuccio Ruini, salito alcuni mesi prima al Sottosegretariato per l'Industria e Lavoro nel governo Nitti, stava conquistando i favori dei nuovi ceti emergenti.
Cottafavi, allora, constatata l'impossibilità di poter rivaleggiare con il nuovo astro nascente ( e in perfetta sintonia con il soprannome di Onorevole Girella, coniato dai socialisti) tentò di cambiar partito: bussò alla porta del Partito Popolare; ma, "a Roma alle porte del Pipii -scrissero i maligni - gli si sarebbe risposto no 1 preti lo avrebbero forse preso, se non si fosse troppo compromesso con la guerra. Tollerarla, subirla, accettarla, transeat. Ma volerla, esaltarla, fare il guerraiolo ufficiale, apertamente ciò non va bene".
E così, il 25 ottobre, venti giorni prima del voto, Cottafavi raccolse tutte le sue forze e si congedò dagli elettori dei suo collegio.
Il drappello radicale, espressione della borghesia democratica ed illuminata correggese, si era sciolto nel 1913 dopo la sconfitta elettorale del suo candidato Avv. Mario Cattania.
All'indomani di Vittorio Veneto questo partito cercò di mantenersi in vita e di darsi una sua autonoma funzione, ma a Correggio non vi è traccia di ripresa; per altro il partito stava attraversando la crisi mortale dovuta alla irresolutezza e laceranti dissensi sul contegno da prendere nei confronti dei socialisti. "Chi era per la ricerca di una alleanza e stretta solidarietà - scrive lo storico Alessandro Galante Garrone - chi per una rivalità e concorrenza non pregiudizialmente ostili, chi per la lotta aperta senza esclusioni di colpi".
I socialisti furono i primi ad aprire la campagna elettorale con un comizio dell'On. Giovanni Zibordi, tenuto domenica pomeriggio 12 ottobre nel cortile del Palazzo dei Principi.
La propaganda dei popolari si svolse in modo capillare attraverso canali naturali: le canoniche. Occorre ricordare che la nascita dei circoli cattolici frazionali e le numerose visite di don Tesauri in alcune parrocchie avevano creato entusiasmo e dato al nuovo partito la possibilità di avere in ogni frazione dei propagandisti. Il punto debole dei popolari, però, rimaneva la città, e perché regnava la crisi ai vertici della Parrocchia di San Quirino, e perché parecchi potenziali elettori del Ppi avevano interesse a votare per il blocco di destra o a riversare la loro protesta attraverso il voto magmatico "Fascio d'Avanguardia".
Dalle cronache del comizio tenuto dal Prof. don Tesauri a Correggio si apprendono le difficoltà di questo partito.
Nel resoconto, pubblicato su "Era Nuova", quotidiano dei popolari, non vennero risparmiate critiche ai cattolici correggesi "ben pensanti" per il loro disinteresse e per aver lasciato l'illustre oratore circondato da socialisti; si apprende che la conferenza venne tenuta nel cortile dei Banco San Prospero e che per entrare occorreva un "apposito biglietto" e che don Tesauri "si trovò circondato dai pochissimi giovani dei circoli delle Ville limitrofe"- ma poi, continua la narrazione, "il vasto cortile si riempi di gente di ogni colore e il Prof Tesauri, avuto a stento un tavolo improvvisato, incominciò a parlare".
L'articolo terminava con queste chiare parole ammonitrici: "Correggio può andare orgogliosa dei suoi cittadini e dei suoi campagnoli e i "benpensanti" possono dormire tranquilli tanto a svegliarli penseranno i seguaci di Lenin. "
L'esito delle urne diede ai socialisti una schiacciante maggioranza, il 69,5 % dei voti validi (6,5 % al Ppi, 14,6 % alla lista liberale di "Rinnovamento Nazionale", 9,3 % alla lista magmatica formata da radicali, riformisti espulsi, sindacalisti e alcuni che vennero già chiamati fascisti, lo 0,1 % alla Lista dei Combattenti); ma un dato offuscò quella vittoria: la bassa affluenza alle urne (il 66,6 % dei votanti), a cui in quei giorni nessuno diede troppa importanza.
Allo storico sì presenta così un curioso paradosso: quando esistevano solo due possibilità di scelta, come nel ballottaggio del novembre 1913 e il non expedit formalmente non era ancora stato tolto, gli elettori correggesi affluirono assai numerosi alle urne, l'85 %; nelle elezioni del 119, con la presenza di cinque liste tra cui quella del nuovo Partito Popolare, solo i due terzi dei correggesi si recarono alle urne. Nel Paese l'afflusso alle urne risultò ancora più basso: i votanti furono circa cinquemilioniottocentomila, pari al 56,6 %.
Una breve analisi sui voti di preferenza permette di far emergere altri aspetti: i popolari correggesi votarono disciplinatamente per i loro quattro candidati (Micheli n. 133 preferenze, Manenti n. 122, Farioli n. 121 e Cavazzoni n. 100: vennero eletti il primo e il terzo); gli elettori del blocco di destra diedero i loro maggiori suffragi all'uomo sostenuto dalla Camera d'agricoltura, Morandi (n. 333 preferenze), mentre Ruini l'unico reggiano eletto, ricevette meno preferenze (n. 172).
Questa maggiore disposizione degli agrari ad appoggiare più l'uno che l'altro incomincia ad avere un significato più preciso ed occorrerà ricordarlo quando si vedrà che il fascismo trovò nel correggese la sua prima base di partenza per estendersi sull'intero territorio provinciale.
Dai voti di preferenza ottenuti dai candidati socialisti e analizzati sezione per sezione emergevano piccoli e modesti segnali politici, che si possono cogliere solo alla condizione di avere presente l'esito dei congressi frazionali in riferimento ai voti espressi dagli iscritti per la mozione riformista (maggioritaria in provincia) e per la mozione massimalista (maggioritaria al XVI Congresso nazionale di Bologna).
In Emilia e Romagna i Socialisti conquistarono il 60 % dei voti validi, i Popolari il 18 % e i gruppi liberal-democratici il 12 %.
Nel Paese il Psi, che aveva presentato liste proprie in 51 collegi su 54 ottenne il 32,4 % ed ebbe 156 candidati eletti (più 103 dalle ultime elezioni del 13); il Ppi raccolse il 20,6 % e 100 candidati eletti; i liberali e democratici persero 131 seggi, da 310 delle precedenti elezioni a 179; i radicali (38 seggi, meno 35) e i repubblicani 9 seggi, meno 8) persero complessivamente 43 seggi; soltanto i socialriformisti conservarono i 27 seggi che avevano.
Le elezioni del'19, dunque, segnarono l'inizio di un periodo nuovo nella storia parlamentare italiana. Per la prima volta i gruppi politici derivati dai partiti del Risorgimento, cioè dalla destra e dalla sinistra storiche, non ebbero la maggioranza della Camera. Ebbero invece un'enorme crescita socialisti e i popolari, le due forze politiche dalle quali sono derivati i grandi partiti di massa dell'Italia di oggi.

La prima amministrazione comunale socialista

Il "Blocco Costituzionale" o clerico-moderato, costituitosi nel '14 per fermare l'ascesa dei socialisti, nel 1919 risultò disgregato: la componente cattolica era uscita dalla Giunta Comunale, anche per dare una precisa identità al neo Partito popolare che stava affrontando per la prima volta il giudizio degli elettori- la componente moderata rimasta a dirigere il Comune si era divisa fra sostenitori della lista liberale di "Rinnovamento Nazionale" e sostenitori della lista radiconazional-fascista del "Fascio d'Avanguardia".
Con il 69,5 % dei voti conquistati nelle elezioni politiche, i socialisti di Correggio iniziarono a chiedere le dimissioni del Sindaco. Tralasciamo in questo breve sunto le polemiche, gli scandali amministrativi, gli insabbiamenti, le dimissioni del Sindaco e la nomina del Commissario prefettizio per arrivare alle elezioni amministrative, convocate, per la provincia di Reggio Emilia, in quattro turni dal 20 giugno all'11 luglio 1920, ma poi, a causa del tormentato e contestato "Concordato di Correggio" e della lunga agitazione nelle campagna, spostate al 7 novembre, una data carica di significati per il socialismo mondiale.
Superfluo rilevare che i socialisti, dopo tante lotte, si trovarono nelle condizioni ottimali per raccogliere i frutti del lungo lavoro; l'esito delle elezioni politiche era lì a dimostrare che non vi sarebbero state difficoltà per conquistare il Comune.
Proprio nel momento in cui la base socialista stava assaporando il piacere dell'imminente vittoria, il vertice si trovava in difficoltà a scovare un autorevole dirigente correggese in grado di assumere la carica di primo cittadino. Inoltre, in quel preciso periodo, il partito si trovava in una situazione imbarazzante a causa di illegalità commerciali commesse da due noti socialisti. Senza addentraci nei fatti che travagliarono, e non poco, il partito socialista, si può ben immaginare la soddisfazione del giornale liberale nel commentare le "teorie economiche, le virtù adamantine dei maggiori designati ad assumere nel comune socialista le redini del potere locale". I circoli socialisti delle ville iniziarono a discutere sul candidato e sul programma e a tenere pubblici comizi. La conferenza che suscitò maggior interesse, venne tenuta il 29 ottobre da Giacinto Menotti Serrati, direttore de "L'Avanti!" e leader della frazione massimalista.
Fra i 24 candidati socialisti l'unico non correggese era il Dott. Terisio Vezzani, di Bagnolo in Piano, che venne scelto, forse all'ultimo momento, per ricoprire la carica di Sindaco. Ancora una volta questa scelta palesava le difficoltà del socialismo correggese; ma era anche il segno di piccole rivalità personali e di lotte che stavano per giungere al pettine fra riformisti e massimalisti e che si manifesteranno in forma drammatica due mesi dopo con la scissione di Livorno.
Con il modesto e prezioso 6,5 % dei voti ottenuti nelle elezioni politiche, i popolari correggesi non avrebbero avuto nessuna possibilità di conquistare i sei posti riservati alla minoranza consigliare; eppure, questa volta, i cattolici non si lasciarono abbindolare in una lista concordata con i liberali, che, a prescindere dall'esito delle urne, avrebbe certamente garantito una loro presenza in consiglio comunale.
Ai cattolici organizzati nel Partito Popolare interessava presentarsi, finalmente, con il proprio volto; le numerose visite di don Tesauri nel correggese bloccarono sul nascere il pericolo di vecchie abitudini, di umilianti compromissioni e i tentativi di alcuni influenti notabili che non avrebbero detto di no ad una riedizione di una lista "di uomini superiori che affidano di aver cervello e polso ("Voce del Popolo", 2 luglio 1914). Il Partito Popolare concentrò i maggiori sforzi propagandistici sui contadini, sicuro di consolidare i risultati delle precedenti elezioni. A differenza dei socialisti, che nella nostra provincia riuscirono a farsi interpreti dei bisogni dei contadini e contemporaneamente a sostenere la difficile lotta dei braccianti, i popolari si limitarono a polemizzare a sinistra e non in egual modo a destra; ai mezzadri, agli affittuari e ai piccoli proprietari venne detto che i loro nemici erano i braccianti.
L'esito delle urne confermò le previsioni. La lista socialista ottenne il 72,6 % dei voti; la lista dei liberali "Pace-lavoro~libertà" (come suonano sarcastiche le parole!), battezzata dal popolo la lista dei vergini perché "non figurava alcuno dei nomi che pure erano un tempo una specie di bandiera delle forze del così detto ordine", ottenne il 16,7 % dei voti e i sei seggi riservati alla minoranza; la lista del Partito popolare, nonostante l'aumento di voti (il 74 % rispetto ai risultati delle elezioni politiche), ottenne il 9,9 %.
Riviviamo per un attimo la gioia del popolo correggese che già nel corso della serata domenicale apprese la notizia della vittoria: "Un gruppo di operai volle suonare a distesa il campanone del Comune, mentre al balcone del Municipio - si legge in una cronaca - veniva issata la bandiera rossa salutata da brevi discorsi di Giovanardi e Zanazzi. Anche il lunedì mattina, nel teatro comunale veniva improvvisato un comizio, e in tutte le ville del comune si festeggiò la vittoria coll'astensione dal lavoro. Nessun incidente".
Alcune ore dopo Un compagno scrisse la seguente entusiastica lettera: "Oggi, dopo la vittoria ottenuta, deve essere ancora più sentito in tutti noi, giovani e adulti, il bisogno di raddoppiare la nostra attività per il Socialismo. Il 7 novembre, la data memorabile della rivoluzione russa, segna anche per noi la fine della cricca cottafaviana e sul palazzo comunale sventola la bandiera rossa, segnacolo di libertà e di giustizia, là dove prima comandava la tirannia, il sopruso, il favoritismo, il camorrismo [ ... ] Viva Correggio socialista! Viva il 7 novembre!"
Dall'analisi delle otto sezioni elettorali emergevano alcuni dati di notevole interesse, le cui deboli tracce si troveranno ventisei anni dopo, nel 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative del dopoguerra. Per gli avvenimenti che di lì a poco avverranno è importante sottolineare che il risultato elettorale era già segnato dal riflusso: i socialisti persero voti dove maggiormente - soprattutto a Canolo - era stata aspra, dura e con punte estreme di settarismo la lunga lotta contadina, meglio dire dove maggiormente si era registrato l'antagonismo fra braccianti e contadini. Pur aumentando in alcune grandi città e vincendo nelle tradizionali roccaforti di Milano e Bologna, il Psi non raggiunse quegli obiettivi di conquista delle amministrazioni a Torino, Venezia e Firenze, che stando ai dati del 1919 sarebbero stati ampiamente conquistabili. L'intera prima seduta del consiglio comunale meriterebbe di essere rivista. Accontentiamoci di queste brevi notizie: i consiglieri di minoranza non parteciparono alla seduta d'insediamento. A questo primo colpo inferto alle istituzioni pubbliche dai liberali se ne aggiunse un altro ad opera dei socialisti.
Il consigliere Giuseppe Parmiggiani dichiarò che "siccome al 23 novembre nessuna legge in Italia prescrive che la bandiera Tricolore debba sventolare dal balcone del Palazzo comunale, così chiede che essa venga ritirata. Il presidente ordina senz'altro all'usciere di ritirare il Tricolore dal balcone del Palazzo comunale". La bandiera tricolore venne poi sostituita dalla bandiera rossa. L'episodio chiarisce molte cose a proposito del clima incandescente del momento (ma già verso l'epilogo: l'occupazione delle fabbriche torinesi si era conclusa con una sconfitta degli operai anche a causa dei sindacalisti riformisti).
Nel suo discorso d'insediamento il sindaco Vezzani, dopo aver ricordato l'immane sciagura che aveva colpito l'umanità, che ha seminato lutti immensi, ed indicato la necessità che i lavoratori di tutti i paesi si unissero in uno sforzo poderoso, tenace per la costruzione del nuovo edificio sociale che abolisse per sempre il privilegio, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, concludeva con un paragone che potrebbe definirsi una Iode" brechtiana dei socialismo, o meglio ancora una immagine poetica confrontabile con il famoso quadro del Pellizza da Volpedo: con la sola differenza che invece di vedersi raffigurata la folla del Quarto Stato proiettata con le mani in avanti chiedente giustizia, si deve immaginare la folla di profilo che fissa lo sguardo verso oriente; ascoltiamolo: "Come circa sei secoli fa (sic!) il Grande Navigatore di Genova ai compagni di ventura tristi, martoriati da lunghi mesi di navigazione nell'oceano ignoto e pauroso, e oramai disperati di non raggiungere la meta, poteva emettere il grido animatore di terra, terra, così il partito socialista a questa umanità sofferente e straziata da millenni, fissando lo sguardo all'orizzonte verso l'oriente, verso la Russia martire, verso la Russia grande può gridare finalmente con voce rombante come il tuono: ecco, ecco la terra benedetta, evviva, evviva il prossimo trionfo del socialismo internazionale. Evviva!".

Il debutto della minoranza consiliare avvenne nella seconda seduta dell'11 dicembre. Il Prof. Domenico Giannarelli a nome della minoranza dichiarò di essere d'accordo con la maggioranza "nel ritenere che il governo debba attingere alla cassa dei ricchi e più specialmente da coloro che hanno ricevuto indebiti guadagni dalla guerra sulla quale hanno speculato senza pericolo della loro vita, mentre l'esercito in mezzo a sacrifici, patimenti e pericoli difendeva la patria [ ... ] inoltre è d'accordo coll'assessore Zavaroni nel considerare di utilità generale il riattivamento delle relazioni colla Russia".
Per ora quindi opposizione al lattemiele - commentava il corrispondente socialista - vedremo quando verranno sul tappeto della discussione progetti concreti per la difesa dei consumatori poveri, se le candide verginelle metteranno fuori le unghie."
Come ha scritto Ernesto Ragionieri nelle pagine della Storia d'Italia dedicate a questo periodo, "per i gruppi dominanti locali, per i notabili di estrazione prevalentemente agraria, che già negli anni del dopoguerra avevano dovuto adattarsi alla volontà delle leghe oltre alla pressione costante delle masse, la perdita della direzione dei comuni, e spesso di ogni influenza su di essi, fu avvertita come il segno di una modificazione dei rapporti di potere irrevocabile in termini di lotta elettorale." 1 nuovi Capitolati di mezzadria e di affittanza conquistati dai contadini dopo una lunga vertenza, le bandiere rosse issate in segno di trionfo sui balconi di tanti palazzi comunali, le parole del sindaco di Correggio - "Noi abbiamo un mandato ed un compito non solo amministrativo da assolvere [ ... ] ma anche una missione politica di partito di classe che mira all'abolizione dell'attuale sistema capitalistico per l'attuazione del nostro ideale socialista" - potevano far ritenere che la spinta rivoluzionaria del proletariato fosse ancora in ascesa.
Queste illusioni erano destinate a svanire nel volgere di poche settimane. E a questo punto che si affaccia sulla scena politica italiana il fascismo. Sul "Giornale di Reggio" del 31 dicembre apparve un articolo dell'On. Cottafavi dedicato al dibattito parlamentare sulla proposta del rialzo del prezzo del pane, il cui titolo suonava dolcemente così: "La pace ai campi". Cottafavi scriveva che per dare questa pace era l'anzitutto indispensabile togliere di mezzo le agitazioni ed i torbidi che arrestano ed ostacolano l'energia e l'attività degli agricoltori." E, verosimilmente pensando alla lunga vertenza sui concordati, l'ex Sottosegretario concludeva con un "porro unum est necessarium ... elementi estranei, spesso violenti e sempre incompetenti, non potranno esercitare il loro arbitrio non richiesto nei rapporti fra agricoltori e lavoratori. Far sì che gli impegni presi siano mantenuti e che gli scioperi politici non fioriscano in quelle campagne dove essi predicano il grano e diffondono ire e rancori.
Si può quindi concludere affermando che le unghie - e che unghie! - non tardarono a spuntare". Il povero Cottafavi, che stava concludendo gli ultimi tristi cinque anni della sua vita, probabilmente non sapeva che proprio in quella mattina del 31 dicembre suo figlio contrattò il camion ed assicurò agli squadristi modenesi il pagamento per la loro spedizione punitiva a Correggio; spedizione che segnò, appunto, con la vile uccisione di Mario Gasparini e Agostino Zaccarelli, l'inizio delle violenze fasciste sul suolo reggiano e la fine repentina della prima amministrazione socialista di Correggio.