Progetto di allestimento del museo - F. Manenti Valli

La conservazione, il restauro, la mutata destinazione d'uso di una fabbrica storica presuppongono l'oculata scelta di un reimpiego connaturale e pertinente che sappia coglierne le potenzialità espressive. Gli originari valori architettonici, che la poetica dell'artista aveva finalizzato a una determinata fruizione, possono, infatti, risultare sovvertiti da una destinazione incongruente con le strutture architettoniche o distorcente nei riguardi dell'assetto tipologico.
Nel Palazzo dei Principi la destinazione a museo della fascia occidentale, stabilita in base a peculiari criteri selettivi, sembra poter assolvere a un razionale impiego delle originarie strutture riproponendo, al tempo stesso, finalità già perseguite con sensibile attenzione nella piccola illuminata corte padana dei da Correggio: la raccolta di opere d'arte e il collezionismo. La ricontestualizzazione delle opere nelle antiche sale, perseguita con moderni criteri espositivi, attesta dunque un esemplare riuso anche se i termini della fruizione, all'origine di puro godimento estetico, assecondano oggi le istanze attualizzanti di un museo che ha scopi didattici, di diffusione, di promozione della cultura.

Il palazzo, agli inizi del secolo, è in stato di tale degrado da richiamare a fatica - al di là delle forme alterate e scomposte - l'originaria connotazione. Un intervento degli anni venti, dovuto all'ingegner Guido Zucchini, persegue il recupero dei fronti del braccio occidentale secondo criteri di restauro scientifico, subordinati all'identificazione di tracce e reperti in cotto delle cornici e delle finestre originarie e suggeriti da riferimenti tipologici in area ferrarese; non può, viceversa, ricomporre l'originaria facies del salone di rappresentanza, dove il ribassamento del solaio di copertura e l'inserimento di un muro portante longitudinale hanno provocato un'irreversibile alterazione. Quello che era il nodo focale dell'organizzazione distributiva e dell'immagine figurativa ci giunge così modificato nell'impianto tipologico e nella spazialità originaria. Il salone, secondo i canoni della dimora cortese, interessava invece la profondità dell'intero corpo di fabbrica e prospettava con i lati lunghi su strada e sulla corte interna, in un duplice assetto di rappresentatività e di privacy. Alla razionalità del simmetrico affacciamento a levante e a ponente si aggiungeva il taglio studiato delle finestre a giacitura alterna che, nella uniforme distribuzione della luce solare a coni intersecanti, veniva a convalidare l'ormai accreditata ipotesi di una paternità rossettiana. In questa ottica e per l'incremento della luce naturale è stata riaperta la finestra centrale verso corte. Le restituzione critica della struttura interna, da noi proposta in un saggio precedente (Manenti Valli 1976), consente ora di riadombrare la connotazione originaria delle parti alterate, in un'ideale riproposizione d'ambiente e, inoltre, di risalire all'impostazione metrico-compositiva che correla le singole membrature e l'impianto generale.

Con il recupero della regola aurea, è così possibile tracciare anche un'ipotesi restitutiva della tipologia iniziale della fabbrica, a U aperto verso levante. Probabilmente il corpo di fabbrica, che ora definisce l'impianto a corte chiusa, è realizzato in tempi immediatamente successivi al primo intervento. L'allestimento del museo prevede un percorso espositivo attuato secondo criteri cronologici di esecuzione delle opere: nel rispetto dei valori formali delle sale, quando riflettano l'edizione originaria, con intervento mirato a una rilettura dell'assetto primario, come nel caso del frazionato salone di rappresentanza. Per suggerirne l'unitarietà spaziale le facce del muro divisorio vengono diversificate cromaticamente e distaccate perimentralmente dalle altre pareti del museo. Il passaggio tra i vani adiacenti è ottenuto con due tagli simmetrici a identificare, con la continuità del pavimento e delle pareti ortogonali, le campiture non contestuali. Nella galleria dove sono esposte le tele del Seicento-Settecento, la cui copertura a botte, segmentata con passo ravvicinato da costolonature di irrigidimento, avrebbe impedito la collocazione delle grandi pale, è stata realizzata una incamiciatura a ridosso delle murature esistenti che, senza alternarne il profilo, consenta l'indispensabile continuità parietale. Nella sala degli arazzi, per risolvere le discontinuità all'intradosso di solaio, è stata appesa una soffittatura, ancora staccata dalle pareti a denunciare il nuovo inserimento: su questa corrono i binari elettrificati per l'alloggio dei faretti orientabili di illuminazione. Sui tre muri originari - i due laterali e quello ortogonale della facciata interna - è disposto il prezioso corpus degli arazzi fiamminghi, a ribadire la giacitura iniziale.
Nella sala del Correggio trovano posto le opere e le attrezzature inerenti la specifica funzione di studio dell'opera allegriana. E' prevista, in un successivo intervento, un'articolazione a due livelli con parziale camminamento pensile, che aumenti la superficie utile del vano e coinvolga le opere esposte in una più stimolante interazione. Il proporzionamento della struttura a ballatoio, agganciata solo in alcuni tratti alle pareti esistenti per sottolineare in modo inequivocabile il nuovo inserimento, è attuato secondo le stesse leggi compositive della fabbrica. Attraverso la continuità del rapporto aureo è, cosi, riaffermato il proseguimento armonico dei valori e dei ritmi architettonici. L'allestimento prosegue al secondo piano nella sala dell'Ottocento, dove gli oggetti sono raccolti per nuclei tematici, e nella galleria dei ritratti. Il suggerimento restitutivo della tipologia originaria ha consentito, oltre al recupero dei valori spaziali, una pertinente soluzione museografica. Il percorso espositivo, la disposizione delle opere, la loro interazione con la struttura del palazzo perseguono un'ottica culturale aperta, in un divenire consapevolmente guidato dalla memoria.



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