Odoardo Rombaldi
Veronica Gambara e Ippolito
Correggio, città e principato, Banca Popolare di Modena, 1979

Vedi anche "Veronica Gambara" di R. Finzi

La mancanza dei carteggi dei da Correggio impedisce di ricostruire le vicende del loro stato durante le guerre d'Italia (1494-1559). Dai Diari del Sanudo sappiamo che nell'aprile del 1500 Niccolò è a Venezia ed espone al Doge "in quanto pericolo era il suo stato minazato da francesi, et era venuto a ricomandarsi a questa Signoria, la qual ha il suo stato in protetione" (1). La conquista della Lombardia da parte di re Luigi spinge Niccolò a chiedere a Venezia di rinnovare la protezione già concessa dal 1447 al 1454. Nel maggio, Niccolò è a Rovereto con il re Massimiliano; subito dopo, a Venezia, conferma l'aderenza della sua casa: "Voria esser nel numero di aderenti di questa Signoria" (2); nel primo e nel secondo soggiorno veneziano aveva chiesto alla Repubblica raccomandazione per il re di Francia; forse ciò contribuì a ridurre la taglia imposta dai francesi a Correggio. Non diversa la linea seguita da Borso e da Giberto che chiedevano di passare al servizio di Venezia.
La presenza della Francia in Lombardia gravava come un pericolo mortale non solo su Correggio ma sui feudi vicini, tra i quali, dal maggio 1500, correva un'intesa per affrontare insieme le comuni difficoltà; ma oltre al timore del presente un oscuro presentimento del futuro indusse quei signori a chiedere d'accordo la protezione di Venezia. Ce ne informa Stefano della Pigna, da Mantova:
"Ill.mo Sig. Marchese si è avvisato da lo ambasciatore francese residente in Venezia che Mr. Niccolò da Corezo, el Signor Alberto da Carpi, el conte Zan Francesco de la Mirandola, el conte Zoan Pietro da Nuvolara, el conte Achille da Guastalla sono stati a Venezia a offrire i loro stati a la Signoria et chadauno di loro de vendergerli; sono in gran pratiche" (3).
L'informazione non ha seguito, ma è un sintomo: è cominciata la crisi degli stati minimi. Ciascuno di questi moltiplicherà i propri sforzi per sopravvivere. Per Correggio punto costante di orientamento politico sarà l'obbedienza all'Impero e la ricerca della sua protezione. Nel 1494 (5 aprile) Niccolò, Borso e Galeazzo, anche a nome di Giberto, ottenevano da Massimiliano il rinnovo dell'investitura del feudo, nell'estensione riconosciuta nel 1452; altro passo in tale direzione faceva Niccolò, nel 1498; nel 1510 (31 agosto) un decreto di Massimiliano regolava i rapporti tra i membri della famiglia, ordinando che, quando vi fossero più uomini, il più anziano avesse l'amministrazione della famiglia e il governo dello stato, secondo la vecchia consuetudine approvata dai predecessori della casata (1449).
Fu una fortuna per la contea di Correggio che il vuoto lasciato da Niccolò fosse colmato da una donna di eccezionale talento, non solo nel campo della cultura ma anche in quello di governo, ed è a questo che restringiamo il discorso.
Lo stesso anno, 1508, in cui Niccolò usciva dalla scena terrena, Veronica Gambara entrava nel palazzo di Correggio come moglie di Giberto, figlio di Manfredo. Il quale, da tempo occupato nella carriera delle armi, lasciò il governo della casa alla consorte. La situazione famigliare e i rapporti tra i membri del consorzio dei da Correggio esigevano tatto e accorgimento. Dalla prima moglie, Violante Pico, Giberto aveva avuto due figlie, Costanza e Ginevra; di entrambe Veronica ebbe cura, la prima andrà sposa al conte Alessandro Gonzaga di Novellara, la seconda al conte Paolo Fregoso di Genova, con dote di 8300 scudi (1521). Più complessi erano i rapporti con i parenti, con Manfredo e Gian Francesco, figli di Borso, e Gian Galeazzo, figlio di Niccolò.
Nel 1510 (10 marzo) Gian Galeazzo, in compenso dei servizi prestati all'Impero nella guerra contro Venezia, otteneva da Massimiliano la facoltà di vendere i beni feudali nell'ambito del consorzio famigliare. Col suo testamento, il figlio di Niccolò aprì l'eredità, anche nelle parti feudali, alla madre Cassandra Colleoni e alle sorelle Eleonora, maritata in Eleuterio Rusca, e Beatrice (Mamma) sposa di Niccolò Quirico Sanvitale; avverso gli eredi di Gian Galeazzo (+ 1517) si aprì una causa al fine di recuperare i beni feudali; la controversia si chiuderà solo nel 1551 (19 maggio) con un diploma di Carlo V, che investirà Giberto, Camillo e Fabrizio di Manfredo, del feudo.
Associati nel governo della contea erano, con Giberto, i nipoti Manfredo e Gianfrancesco. Nel 1517 (27 marzo) Massimiliano investiva della contea Giberto, Gianfrancesco e Manfredo, tra i quali seguiva, il 28 luglio, la divisione. La morte di Giberto (1518, 26 agosto) poneva Veronica capo della famiglia sua e al centro dei rapporti con i condomini.
Prima sua preoccupazione fu quella di educare i figli, Ippolito e Gerolamo. Caratteristica del governo della Gambara fu sublimare l'amor materno nell'ideale del perfetto governo, subordinando le esigenze dello stato all'interesse della sua casa; i viaggi, i soggiorni, la corrispondenza sono tutti rivolti al solo fine di aprire una carriera fortunata ai figli, nella convinzione che, in questa, fosse anche il bene dello stato. Le doti di un ingegno eletto, cultura e tatto diplomatico furono costantemente rivolti a stringere relazioni di altissimo rango, giovevoli alla famiglia e allo stato. Nel 1515, col marito è a Bologna per incontrarvi Leone X e Francesco I. Fin dal 1521 (7 marzo) è in relazione con Carlo V, da poco assunto all'Impero, che le rivolge un prezioso riconoscimento:
"Multorum relata audivimus quae tua sit in nos et Imperium sacrum animi promptitudo, fides et singularis quaedam observantia."
Della Gambara è universalmente noto l'ingegno poetico e letterario; qui va rilevato l'uso cui esso fu rivolto spesso politico e financo adulatorio; in lode di Carlo V compone almeno cinque sonetti, e lettere invia ai suoi ministri; ma si deve anche avvertire l'intuizione politica della donna che, tra Francesco I e Carlo V scelse con sicuro giudizio il secondo, segnando una strada, che battuta dal figlio Gerolamo, sia pure in contrasto con quella francese, qualificherà la politica del feudo per tutto il secolo. Dalla fine del 1528, appoggiandosi al fratello Uberto, governatore papale a Bologna, soggiorna in questa città per alcuni mesi; le relazioni stabilite aprirono l'avvenire dei figli e della contea:
"La casa di Veronica era un'Accademia, ove ogni giorno si riducevano a discorrere di nobili questioni con lei il Bembo, il Capello, il Molza, il Mauro e quanti uomini famosi di tutta l'Europa seguivano quelle corti" (4).
Il 23 marzo 1530, per due giorni, Carlo V fu ospite della Gambara in Correggio (in tale occasione si costruì un'ampia strada dal Palazzo nei sobborghi per due miglia). I colloqui furono certamente politici e dovettero definire la posizione del feudo nello scacchiere della politica italiana e nella Val Padana in particolare; progetti di fortificar Correggio è probabile fossero esaminati in quelle ore. Il 16 dicembre 1520 Carlo aveva investito Gianfrancesco e Manfredo, Ippolito e Gerolamo del feudo di Correggio. E alla luce dell'inquadramento di Correggio nel sistema degli stati padani assume un particolare significato la seconda visita di Carlo a Veronica (dicembre 1532), cui segue (20 gennaio 1533) un diploma che concede a Manfredo, conte palatino, facoltà di creare notai e di legittimare figli naturali.
La seconda visita di Carlo precede di poco la conclusione della Lega difensiva dell'Italia, che si avrà il 27 febbraio 1533 in Bologna; la resistenza di Venezia ad entrare nella Lega e le difficoltà frapposte da Ferrara erano altrettante carte nel gioco della Francia e del partito francese in Italia. Il feudo di Correggio, piantato nel cuore dei ducati di Modena e di Reggio, dei quali il Duca Alfonso chiedeva il riconoscimento a Clemente VII, ben deciso a rifiutarlo, era un punto nevralgico dello scacchiere emiliano, un punto su cui poteva far leva la politica antiestense ed antifrancese di Carlo V; Correggio diventava, fin da questi anni, un punto di applicazione importante della politica spagnola in Emilia. Veronica ne intese appieno la funzione e il valore che, come i fatti successivi dimostreranno, andranno al di là di ogni possibile congettura.
Ippolito (1510-1552) sarà il braccio armato della politica filo-ispano imperiale di Veronica, come Gerolamo ne esprimerà l'arte diplomatica.
Lo stato di servizio di Ippolito fino al 1539 era così riassunto dal Marchese del Vasto:
Il Conte Ippolito ha servito a la Maestà Cesarca nel mestiero de le armi con carico e senza, accettissimamente, nella guerra di Ungaria et proprio dal mese di giugno del 1532, et in tutte le altre piazze et servitii simili successivamente occorsi per S.M.tà, fin al mese di giugno prossimo passato del presente anno, et il tempo che non si è guerreggiato, il predetto Sig. Conte ha continuato sempre nel detto servizio, si appresso de la bona memoria dell'Ill.mo Sig. Antonio de Leyva, come appresso de noi, oltre che ci ricordiamo ancora del medesimo servire ne la guerra già di Milano"(5).
Poi, come capitano e colonnello, combatte per Carlo V in Piemonte; come generale della fanteria italiana si distingue a Carignano e in Provenza (Antibes e Tolone); passa poi alle dipendenze del generale Gian Iacopo de Medici, marchese di Marignano, fratello del Papa Pio IV; sempre al servizio della Spagna partecipa alla guerra di Parma, contro il Duca Ottavio Farnese, conquista Colorno e Brescello e partecipa all'assedio della Mirandola e alla conquista di Siena; qui muore (1552). Il matrimonio tra Ippolito e Chiara, figlia di Gianfrancesco, è un atto politico determinante per conservazione dell'unità del feudo, ed è probabile che ad esso non fosse estranea la madre Veronica. L'unica figlia, nata da quelle nozze, Fulvia, andrà sposa a Ludovico Pico della Mirandola.
Veronica Gambara ebbe dunque qualità di governo, che diedero i loro buoni frutti sia nel mantenere la coesione tra i membri della casata, sia nell'amministrazione dei beni e, ancora, nella esemplare organizzazione della cancelleria, dando ella stessa perfetto saggio di lettere per le più diverse occasioni. Già il Tiraboschi riferiva:
"Alcuni fogli conservansi nell'Archivio Pubblico di Correggio, scritti per lo più di carattere di Roberto Orsini, che le servì un tempo da segretario, e in parte di lei medesima, sembrano essere il registro dei suoi corrispondenti tra quali veggonsi quasi tutti i Principi di Lombardia, i più celebri Generali d'Armata e molti dei più illustri letterati di quell'età".
La intelligenza dei fatti prossimi richiede la conoscenza della successione di Manfredo.

I DA CORREGGIO NEI SECOLI XV-XVII

Manfredo Niccolò m. Agnese Pio m. Beatrice d'Este __________________________!________________________________ ! ! ! ! ! Borso + 1504 Galeazzo Giberto + 1518 Nicolò + 1508 m. Francesca di +1494 m. Violante di Mirandola m. Cassandra Brandeburgo m. Veronica Gambara + 1550 Colleoni !____________________ __________________! ! ! ! ! ! ! Gian Francesco Manfredo + 1546 Ippolito + 1552 Gerolamo + 1572 Gian Galeazzo + 1531 m. Lucrezia d'Este ! + 1517 _____________!_________________ ! m. Ginevra ! ! ! ! Rangone Giberto +1580 Camillo +1605 Fabrizio +1597 Alessandro m. Claudia m. Maria + 1591 Rangone Collialto m. Ippolita _____________!________ Torelli ! ! ! Cosimo + 1624 Giansiro + 1645 Gerolamo + 1613 m. Anna Peloni ! Maurizio + 1672 ! Giberto + 1707


1 MARIN SANUDO, Diarii, 111, 264
2 MARIN SANUDO, cit. 111341
3 A.S.MO. Carteggi Ambasciatori, Mantova, b. 1, 1500, 28 maggio; 1503, 26 dicembre.
4 Per la vita di V.G. è ancora fondamentale: Veronica GAMBARA, Rime e lettere raccolte da Felice Rizzardi, Brescia, 1759, per le abbondanti notizie di storia correggese. Altre notizie in G. TIRABOSCHI, Biblioteca Modenese, 11, 135.
5 A.S.MO. - A.S.E. Controversie, cit. b. 74. 1539, 5 novembre.