Viller Masoni | |
Conclusioni | |
Correggio - Cinque secoli di politica culturale |
Da tutte queste vicende mi pare emergano tre questioni particolarmente interessanti.
La prima, in qualche misura, contraddice il titolo dei capitolo. In effetti può sembrare azzardato parlare di istituzioni culturali a Correggio nel corso del XIX secolo. Sembra invece che la sola che venne veramente ritenuta un servizio attivo e utile per la città (perlomeno dal punto di vista degli Amministratori Comunali e delle classi sociali che essi rappresentavano) fu il Teatro: l'unico, dei resto, che ricevette attenzioni e finanziamenti veramente cospicui e che venne sempre tenuto a livelli notevoli di funzionamento.
Il Teatro fu il più autentico 'moderno' simbolo non solo degli interessi culturali, ma anche dei bisogni di ostentazione, di 'status symbol' e di mondanità che si poté permettere una classe dirigente aristocratico-borghese di provincia (composta prevalentemente di proprietari terrieri) come quella che dominò a Correggio fino al primo dopoguerra.
Biblioteca, Archivi, Galleria d'arte furono concepiti come pilastri utili (e questo fu comunque un fatto importante), ma non portanti della costruzione amministrativa e culturale cittadina. Essi furono fin dall'inizio destinati ad uno scopo e ad un'utenza limitati: servire come strumenti educativi alla "gioventù studiosa" e a qualche altro addetto ai lavori (lo stesso ruolo attivo dell'Archivio Notarile fu abbastanza limitato e ben presto divenne marginale).
Quella educativa/scolastica era certamente una funzione importante, che serviva a mantenere e a rappresentare il sistema di stratificazione sociale esistente; ma più importante era ormai la ricchezza e ciò che le consentiva di manifestarsi: gli affari, la proprietà, ma anche certi modi di vivere e di mostrarsi; in questo senso non c'è dubbio che il Teatro più di altre istituzioni culturali costituì uno dei luoghi di 'autoconsacrazione' per le nuove e vecchie classi abbienti.
Questo quadro naturalmente non rimase invariato per tutti i 120 anni qui considerati, subì anzi forti ritocchi che se certamente non eliminarono la logica e la realtà del 'privilegio' (anche culturale) almeno la ridimensionarono.
Sotto questo aspetto due momenti paiono maggiormente significativi.
Innanzitutto l'unificazione nazionale e i processi politici e sociali che si aprirono con essa, anche se molti programmi rimasero più che altro enunciazioni: basti pensare al fatto che in Italia perché gli analfabeti diventassero minoranza, il 48% della popolazione, si dovette aspettare il 1901.
Soprattutto, però, fu determinante il presentarsi sulla scena politica e amministrativa delle organizzazioni dei lavoratori. Allora il ridimensionamento del 'privilegio' fu più secco, tanto che al nostro capolinea - la conclusione del primo conflitto mondiale - il quadro arrivò fortemente ridisegnato.
L'avere messo gomito a gomito queste istituzioni culturali è una forzatura (motivata 'a posteriori') anche per un altro aspetto, e siamo alla seconda questione.
A Correggio, come credo quasi ovunque, non vi fu mai un disegno unitario, e ancor meno un'attività coordinata, fra di esse. Nella realtà ebbero sedi diverse, modelli e fasi di sviluppo differenziate, risposero a bisogni e spinte differenti, ebbero un rilievo assai diverso nella vita culturale cittadina che, come si è detto, risultò dominata dalla presenza del Teatro, per un verso, e del Collegio-Convitto per l'altro.
E' significativo che anche i partiti progressisti e popolari (democratici e socialisti), che pure si posero il problema di una crescita culturale delle masse, si occuparono assai più del Teatro che della Biblioteca; soprattutto non ebbero una proposta organica che assegnasse ad ogni istituzione un compito preciso e integrato con le altre.
Terza questione. Sarebbe a mio parere un errore pensare che nell'800 non restasse più niente del passato signorile di Correggio. Rimanevano innanzitutto molte testimonianze concrete (oggetti d'arte, libri, documenti, edifici) la cui assenza avrebbe impedito ad alcune istituzioni culturali perfino di nascere: gli Archivi, la Galleria, in parte la Biblioteca stessa. Inoltre restava qualcosa dello 'spirito' di quell'antica vicenda, una sorta di consapevolezza responsabilità di quel passato illustre che non andava dimenticato, anzi che doveva essere, per quanto era possibile, rivissuto.
Questo contribuì a determinare certe scelte, a fare certi "sacrifizi" finanziari: come si sa noblesse oblige. Qualche volta ciò portò anche al ridicolo, ma fu pure uno stimolo, una spinta importante a mantenere certi livelli di offerta al consumo culturale.
Mancavano, però, le condizioni economiche e soprattutto politiche per rinverdire quel glorioso passato. Ciò non solo impedì che certe scelte fossero fatte in modo più adeguato, ma determinò anche un mediocre livello culturale e politico della classe dirigente di allora; la quale non doveva più governare ma solo amministrare, non doveva più rapportarsi 'alla pari' con altri Stati (anche se più potenti) ma con "superiori istanze" burocratiche. Perciò il ceto politico-intellettuale correggese ci appare nell'800 assai più ampio, ma con un 'profilo' più basso. Non è un caso, forse, che anche le personalità correggesi di spicco del XIX secolo furono meno rilevanti di quelle del XV o XVI. La "classe dei ricchi", i ceti dominanti nella Correggio di fine '800 ci appaiono provinciali e conservatori. Gli stimoli più vivaci, anche in campo culturale, provenivano ormai dagli intellettuali dello schieramento laico progressista e, più tardi, anche socialista.
Questo nuovo schieramento, peraltro, non rifiutò l'eredità signorile della città e il suo patrimonio storico-culturale; cominciò anzi a porsi, sia pur timidamente, il problema non più solo di 'custodirlo' ma anche di 'utilizzarlo'.