Viller Masoni
Conclusioni
Correggio - Cinque secoli di politica culturale

E' difficile negare che nel primo periodo del ventennio fascista. vi sia stato un passo avanti nelle vicende delle istituzioni culturali correggesi. Se per alcune di esse rappresentò una fase di stagnazione (Teatro Asioli e Scuole di Belle Arti), per altre consentì l'approdo a realizzazioni concrete dei buoni propositi a lungo sbandierati, ma sempre rinviati, negli anni precedenti.
Questo processo portò ad un maggiore equilibrio fra le due maggiori istituzioni: Teatro e Biblioteca. Ciò avvenne, mi pare, per un ridimensionamento (soprattutto di status e di funzioni sociali) del primo e per una contestuale crescita (strutturale e di 'utilità' politica) della seconda.
Il restauro del Palazzo dei Principi(protrattosi, con interventi successivi, dal 1919 al 1927) fu di per sé un fatto positivo; la sua parziale destinazione a fini culturali consentì poi, anche se in modi inadeguati, di trovare una sede più confacente al museo, alla Biblioteca e agli Archivi.
Questa unificazione fra di essi e con il Palazzo dei Principi fu un fatto significativo, per quanto non conseguente alla maturazione di una nuova concezione dei beni culturali. Le opere d'arte della città poterono essere riunite ed organizzate in un piccolo Museo, e per molte di esse si trattò di un reinserimento nel loro ambiente originario. Lo stesso dicasi per l'Archivio Notarile che ormai aveva assunto un valore esclusivamente storico documentario. La Biblioteca poi, a cui venne per la prima volta associato l'Archivio di Memorie Patrie, smise di essere un ammuffito e polveroso deposito di libri vecchi e antichi per diventare un vero e proprio servizio pubblico.
Non si trattò però di una rottura in senso innovativo con un grigio passato, ma di un suo adeguamento a nuove esigenze politiche e sociali.
Invero i risultati furono scarsi perché limitative furono queste nuove finalità politiche e sociali. Esso si proposero non di rinnovare la società, non di ammodernare la cultura, ma anzi di comprimerle all'interno di un disegno di dominio politico, economico e istituzionale assai rigido e antidemocratico. Le realizzazioni in campo culturale vennero giocate allo scopo di una copertura di prestigio e di un indottrinamento dei cittadini-sudditi. Il fine, insomma, fu essenzialmente e bassamente propagandistico (anche il 'glorioso' passato principesco servì a ciò).
Le realizzazioni in questione non vennero condotte all'insegna di un dibattito culturale (né tanto meno per favorirlo) che rimase invece rinchiuso in un angusto quadro 'provinciale', reso piccante non da guizzi di creatività ma da qualche velenosa polemica personale.
Né queste istituzioni vennero create per provocare o favorire una diffusa crescita culturale dei cittadini, risultato assai temuto ed avversato con l'impiego di tecniche arcaiche e selettive (si vedano, ad esempio, le norme per la fruizione della Biblioteca) e con metodi repressivi (censura, consumi culturali non liberi, prefissati e controllati da 'superiori autorità'). In definitiva la cultura e le sue strutture organizzative furono essenzialmente concepite e utilizzate come strumenti di diffusione del conformismo e della mediocrità culturale.
Per tutte queste ragioni, che ebbero origine e dimensione nazionale prima che locale, le realizzazioni in campo culturale finirono per essere asfittiche e neppure funzionali ai fini che vennero loro assegnati (con dotazioni finanziarie ben scarse, va anche aggiunto).
Una parte perì per strada (Museo e Scuola di musica) e un'altra mori 'in guerra'. Ma anche la salute di queste ultime (Biblioteca, Archivi, Teatro, Scuola di disegno) era già minata e in realtà la guerra (pur essa voluta dal regime) diede solo il colpo di grazia.